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Philologus 143 1999 2 317-322

MARIA GRAZIA BAJONI

I L T E M P O D E L L O S C H I A V O : A L C U N E O S S E R V A Z I O N I A P H A E D R . 5.8

Nella raccolta fedriana l'ottava favola del quinto libro, dedicata alia descrizione del
Tempus colto nelle qualitä specifiche dell' Occasio, spicca per evidenti anomalie ri-
spetto agli altri componimenti 1 e, in apparenza, non sembra trovare legami contestuali;
si presenta piuttosto come un epigramma ispirato al noto topos simbolico del Καιρός
diffusamente attestato nella letteratura e nell'arte figurativa, peraltro giä rintracciabile
nell'espressione di un tempo carico di tensione in Horn. II. 10.173: νϋν γάρ δή
πάντεσσιν επί ξυροϋ ϊσταται άκμής.
La raffigurazione del Καιρός impressa nell'immaginario antico e, con alcune varian-
ti, quella di un efebo pteropode, con un ciuffo di capelli sulla fronte, calva la nuca, lo
sguardo attento, il quale tiene un rasoio nella mano destra e una bilancia nella sinistra
e si mantiene in equilibrio sulla punta dei piedi sopra una sfera (in Phaedr. 5.8.1 e pen-
dens in novacula)·. con queste caratteristiche lo scolpi Lisippo il quale, molto proba-
bilmente, ritenne appropriata per l'allegoria dell'instabilitä del tempo l'immagine di un
Καιρός atletico, olimpico 2 . Un epigramma di Posidippo (Anth. Pal. 16.275) ispirato a
questa famosa scultura ne offre una εκφρασις realizzata attraverso un dialogo serrato
di domanda e risposta fra l'osservatore e l'oggetto. Una imitazione latina di questo
stesso epigramma, con alcune variazioni, e data da Auson. Epigr. 12 (ed. Green) in cui,
pero, l'artista indicato e Fidia e all' Occasio si accompagna Metanoea, la personifica-
zione del pentimento.
Pausania attesta un culto del Καιρός a Olimpia: της εσόδου δέ της ές τό στάδιόν είσιν
έγγΰτατα βωμοί δύο - τον μεν αυτών Έρμου καλοϋσιν Εναγώνιου, τόν δέ ετερον Καιροϋ
(14.9)3. La connessione dell' Occasio con l'ambiente delle gare atletiche e giustificata
dalla qualitä prima che l'atleta deve possedere e praticare in sommo grado per conse-
guire la vittoria: parliamo della μήτις, dell'intelligenza pratica che consente di domina-

1
La critica all'inserimento di un'allegoria tra le favole si trova in G. E. Lessing, Abhandlungen über die
Fabel, Sämtliche Schriften, VII, Stuttgart 1891, 429.
2
II topos dell'attimo fuggente ebbe una vasta e rilevante fortuna sia iconografica che letteraria: in pro-
posito cfr. E. Panofsky, Studi di iconologia, traduz. ital. di R. Pendio, Torino 1975, 92, e Fedro, Favole,
introd. traduz. e note di E. Mandruzzato, Milano 21981, 350. In particolare, si veda G. Thiele, Phaedrus-
Studien, Hermes 41, 1906, 577-581. La raffigurazione del Καιρός proposta da Lisippo e un tentativo di dare
corpo a un'astrazione in quanto si tratta di un tempo filosofico che annuncia un futuro in cui Τύχη ha
comunque il dominio: l'argomento e trattato diffusamente da Ch. Picard, Manuel d'archeologie grecque. La
Sculpture, IV.2, Paris 1963, 551-565.
3
Cfr. G. Pugliese Carratelli, ΟΛΥΜΠΙΟΣ ΚΑΙΡΟΣ, La Parola del Passato 25, 1970, 248-249.

21*
318 Μ. G. BAJONI, Phaedro 5.8

re il campo dell'agire, comprensivo delle piü comuni realizzazioni artistiche, delle piü
sottili finzioni e degli inganni piü complicati; indica l'accortezza che ogni essere umano
(e animale) deve esercitare nella lotta per la soprawivenza 4 . Come divinita μήτις com-
pare in Hesiod. Theog. 358; da Zeus ha concepito quel figlio che sarebbe stato piü forte
del padre; per questo, Zeus la ingoia assimilandone completamente la potenza (Hesi-
od. Theog. 886-900). Sul piano cosmogonico μήτις si accompagna alia coppia Τύχη-
Καιρός, i poli che definiscono lo spazio del cambiamento, dell'ambivalenza, dell'insta-
bilitä, della circostanza inattesa. Nel costante divenire del mondo l'epiteto
πανδαμάτωρ riferito al Καιρός in Simon, fr. 26,5 Page e nelP epigramma di Lisippo
sopra citato (v. 2) da all'istante divinizzato la qualificazione dell' onnipotenza. Il culto
del Καιρός sembra ideologicamente motivato da Piatone, Leg. IV 709b: ώς θεός μεν
πάντα, και μετά θεοΰ τύχη και καιρός, τάνθρώπινα διακυβερνώσι σύμπαντα 5 . II Καιρός
si presenta improwiso, ma e proprio la sorpresa che concede uno spiraglio all'intra-
prendenza umana: il ciuffo che gli cade sulla fronte lo nasconde e tuttavia lo rende
afferrabile; in ultima analisi, non serve ricercarne le cause, perche sopraggiunge improv-
viso, se ne constatano gli effetti sia che venga colto al volo ο che lo si lasci sfuggire.
La circostanza che sopraggiunge senza preawiso e variamente attestata nella tradi-
zione paremiografica, a partire dal detto attribuito a Pittaco καιρόν γνώθι fino ad arri-
vare alle varie formulazioni del concetto: espressioni come Καιρός ψυχή πράγματος ed
altre analoghe sono ricorrenti: ad esempio, Theogn. 401; Pind. Ol. 13.47; Pyth. 9.78;
Soph. El. 75-76; nei Monostici di Menandro il Καιρός e definito nelle sue prerogative:
e piü forte delle leggi (382), puo distruggere la tirannide (387), offre un presidio al
misero (394 e 872). In latino fra i distici cosiddetti di Catone si ritrova la rappresenta-
zione iconografica tradizionale del Καιρός: Rem tibi quam nosces aptam dimittere noli:
fronte capillata, post est Occasio calva (2.26 ed. Duff); altre formulazioni con valenza
gnomica sono rintracciabili in Publil. Syr. 163: deliberando saepe perit occasio e 496:
occasio aegre offertur, facile amittitur (ed. Duff); Hor. epod. 13.3: rapiamus, amici,
occasionem de die; Mart. 8.9.3: brevis est occasio lucri; Sen. epist. 22.3: Non tantum
praesentis, sed vigilantis est occasionem observare properantem; Symm. epist. 1.7.2:
occasionem rapere prudentis est; Hier, epist. 54.6 (paralleli concettuali vanno dal carpe
diem di Hor. carm. 1.11.8, all'invito ovidiano utere temporibus di trist. 4.3.83, al car-
pamus dulcia di Pers. 5.151)6. E' istruttivo il rinvio a Ennio, ann. 129 Vahl. 2 (= 123 Sk.):
Hie occasus datus est; 166 Vahl.2 (= 159 Sk.): iniicit inritatus: tenet occasus, iuvat res;
294 Vahl.2 (= 255 Sk.): aut occasus ubi tempusve audere repressit. Definizioni del

4
Analizzano il campo semantico della μήτις e i modelli operativi in cui si realizza M. Detienne - J.-P.
Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia, traduz, ital. di A. Giardina, Roma - Bari 1978.
5
Per una definizione ideologica del kairos, si veda P. Kucharski, Sur la notion pythagoricienne de καιρός,
RPhilos 153, 1963, 141-169.
6
Α. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig 1890 (= Hildesheim
1962), 249, n. 1262; A. Traina, Semantica del carpe diem, RFIC 101, 1973, 5-21 = id., Poeti latini (e neola-
tini), I, Bologna 21986, 227-251. Per un commento letterario, storico e filologico alle sententiae relative al
καιρός, si veda R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano l0 1994, 269-275, nn. 571-580.
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„momento" si trovano, ad esempio, in Cie. inv. 1.27.40: occasio autem est pars tempo-
ris habens in se alicuius rei idoneam faciendi aut non faciendi opportunitatem, e in
off. 1.40.142: tempus autem actionis opportunum Graece ευκαιρία, Latine appellatur
occasio\ in Ter. Eun. 605: An ego occasionem / Mi ostentam tantam, tarn brevem, tam
optatam, tam insperatam. Inoltre, relativamente alia pratica dell' ars rhetorica erano
previste, fra l'altro, exercitationes di declamazioni in cui si doveva prestare attenzione
all' abilitä di tenere discorsi improwisati, appunto ex tempore7.
Con il componimento fedriano siamo in presenza di una έκφρασις di tipo ellenisti-
co basata sul riuso del topos: non e improbabile che il poeta fosse stato richiesto di un
titulus, di una soscrizione per una raffigurazione iconografica del motivo, da un patro-
nus proprietario dell'opera e che, successivamente, ai cinque versi iniziali scritti ad hoc
avesse aggiunto Yepimythion e cosi completato lo avesse incluso nelle favole, perche
non andasse perduto 8 . II commento di Fedro suona come un praeceptum: effectus inpe-
diret ne segnis mora (v. 6), seguito dall'awertenza al lettore affinche si impegni nella
ricerca della verita nascosta dalla descriptio (v. 7: finxere antiqui talem effigiem Tem-
poris)9. E' impossibile, a questo punto, non richiamare l'affannosa fretta degli occupa-
ti in Sen. brev. 9: „ Quid cunctaris?" inquit „ Quid cessas? Nisi occupas, fugit". Et cum
occupaveris, tarnen fugiet; itaque cum celeritate temporis utendi velocitate certandum
est et velut ex torrenti rapido nec semper ituro cito hauriendum, e ibid. 10: Praesens
tempus brevissimum est, adeo quidem, ut quibusdam nullum videatur; in cursu enim
semper est, fluit et praecipitatur, ma anche questo e un argomento topico per il quale
vale il richiamo all' Iphigenia di Ennio, 234-241 Vahl.2 (= 195-202 J.) e a Fedro stes-
so con la favola Caesar ad atriensem (2.5): Est ardelionum quaedam Romae natio, /
trepide concursans, occupata in otio, / gratis anhelans, multa agendo nihil agens, / sibi
molesta et aliis odiosissima ( w . 1—4).
L'ipotesi che la favola del Tempus sia in realtä un titulus inserito nella raccolta per
evitarne la dispersione e valida e si puo anche pensare che nella composizione abbia
inevitabilmente interferito la memoria delle sententiae relative al topos. Comunque,
resta il fatto che questa „favola" richiede una spiegazione contestuale.
Nel prologo del terzo libro, Fedro spiega le origini del genere favolistico: Nunc,
fabularum cur sit inventum genus, / brevi dovebo. Servitus obnoxia, / quia quae vole-
bat non audebat dicere, / adfectus proprios in fabellas transtulit / calumniamque fictis
elusit iocis ( w . 33-37). La favola da voce alio schiavo il quale non possiede libertä e
non ha altra memoria se non quella delle ingiustizie e delle violenze che ha subito nel
passato, del pericolo cui e potuto sfuggire: in Plauto, nel Mercator, la schiava Sira tra-
scina la sua vecchiaia su una memoria dolente: annos octoginta et quattuor: / et eodem
accedit servitus, sudor, sitis: / simul haec quae porto deprimunt ( w . 673-675). Nei Cap-

7
Cfr. H . Lausberg, Elementi di retorica, traduz. ital. di L. Ritter Santini, Bologna 1990 (rist.), 266.
8
Questa l'ipotesi di A. Marastoni, Fedro, University degli Studi di Parma, Facoltä di Magistero, „Studium
Parmense", Societa Cooperativa Editrice Libraria, a. a. 1964-1965, 123.
9
Per questa interpretazione si rinvia a Fedro, Un poeta tra favola e realta. Antologia a cura di M . J .
Luzzatto, con un saggio di L. Mondo, Civiltä letteraria di Grecia e di Roma, Torino 1976, 238-239.
320 Μ . G . BAJONI, P h a e d r o 5 . 8

tivi, Tindaro, che pero non e uno schiavo, ma che ha sperimentato la durezza della
condizione servile, esclama: Vidi ego multa saepe picta, quae Acherunti fierent / cru-
ciamenta, verum enim vero nulla adaeque es.t Acheruns / atque ubi ego fui, in lapici-
dinis. illic ibi demumst locus / ubi labore lassitudost exigunda ex corpore ( w . 998-1001),
e nc\YAsinana Libano ricorda stimulos, laminas crucesque compedesque, nervös, cate-
nas, carceres, numellas, pedicas, boias (w. 548-550).
Ii liberto Fedro guardava a un mondo di inferiori, di gente che non poteva vantare
alcuna genealogia: gli antenati, qualora esistenti e chiamati in causa, valgono solo a
sostenere il torto che un potente si sente autorizzato a compiere, paradossalmente sono
invocati dall'oppressore per giustificare una prevaricazione come nel caso del lupo e
dell'agnello in 1.1.10-13: „Ante hos sex menses male", ait, „dixisti mihi". / Respondit
agnus: „Equidem natus non eram". / „Pater hercle tuus ibi", inquit, „male dixit mihi".
/ Atque ita correptum lacerat iniusta nece. Fedro stesso non ha antenati illustri ed e
costretto a inventarsi una genealogia risalente alle Muse per dare una garanzia della
propria dignitä poetica: Ego, quem Pierio mater enixa est iugo, / in quo tonanti sanc-
ta Mnemosyne Iovi / fecunda novies artium peperit chorum, / quamvis in ipsa paene
natus sim schola / curamque habendi penitus corde eraserim / et laude invicta vitam in
hanc incubuerim, / fastidiose tarnen in coetum recipior (3 prol. 17-23).
E' stato osservato che il mondo della favola antica non conosce i valori della giusti-
zia (il compenso al male e realizzato da un' atroce nemesi immanente agli istinti, basti
ad esempio Phaedr. 3.2: Panthera et pastores) ne quelli della virtü, ammette solo l'eser-
cizio della forza e dell'astuzia: la moralizzazione di racconti diventati esemplari e stata
accuratamente studiata 10 .
Gli schiavi non hanno eroi, sono prigionieri ο figli di schiavi, devono rinunciare al
passato e non hanno futuro. II tempo dello schiavo, ancora piü che il tempo degli
uomini liberi, si concentra nelPattimo del καιρός, dell'occasio, nell'istante da cogliere e
da sfruttare per risolvere una situazione: il tempo desiderato e atteso dallo schiavo e
soprattutto il momento che offre la possibilitä della fuga. In Phaedr. 2.8.8-9 il cervo
braccato dice: „parcite, / occasione rursus erumpam data"·, analogamente si legge in
Plaut. Capt. 116-118: liber captivos avi' ferae consimilis est: / semel fugiendi si data est
occasio, / satis est, numquam postilla possis prendere\ ibid. 423-424: ergo quom optume
fecisti, nunc adest occasio / bene facta cumulare. Nelle favole fedriane 1 'occasio e anti-
cipata dalla presenza di awerbi temporali indicanti l'imminenza, quali ad es., repente,
subito, mox: lo schiavo e preda, deve sempre correre, anche se metaforicamente, un
passo lento non gli e concesso perche l'obbedienza al padrone, che non ammette dero-
ghe, richiede una risposta immediata: cosi Euclione minaccia la schiava Stafila in Plaut.
Aul. 46—49: illuc regredere ab ostio. illuc sis vide, / ut incedit. at sein quo modo tibi res

10
Cfr. Μ. Nojgaard, La moralisation de la fable: d' fisope ä Romulus, Entretiens sur l'Antiquite Classi-
que, X X X , Fondation Hardt, Vandoeuvres-Geneve 1983 [Geneve 1984], 225-251, e anche F. Delia Corte,
Moralitä della favola, Opuscula, IV, Pubbl. Univ. di Genova, Facoltä di Lettere, 1st. Filol. Class, e Med.
Genova 1973, 93-106; A. La Penna, La morale della favola esopica come morale delle classi subalterne
nell'antichitä, „Societä" 17, 1961, 459-537.
Philologus 143 (1999) 2 321

se habet? / si hercle hodie fustem cepero aut stimulum in manum, / testudineum istum
tibi ego grandibo gradum, mentre gli schiavi affrancati in Poen. 519-523 dicono: quom
argentum pro capite dedimus, nostrum dedimus, non tuom; / liberos nos esse oportet,
nos te nihili pendimus, / ne tuo nos amori servos esse addictos censeas. / liberos homi-
nes per urbem modico magi' par est gradu / ire, servoli esse duco festinantem currere.
Bisogna aggiungere che il motivo del servus currens non solo e molto frequente nel
teatro comico 11 , ma rientra anche nella definizione giuridica del personaggio in Gaius,
Dig. 21.1.18 pr.: si quis venditor de mancipio ... verbi gratia si constantem aut labo-
riosum aut curracem aut vigilacem esse, aut ex frugalitate sua peculium adquirentem
adfirmaverit, et is ex diverso levis protervus desidiosus somniculosus piger tardus come-
sor inveniatur ...12.
La condanna della pigrizia dello schiavo, considerata un venire meno al dovere, e
indicata sul piano lessicale dai peggiorativi che frequentemente in Plauto indicano
Yotium otiosum, e. g.: socordia, segnitia, ignavia, pigritia; non manca la rivendicazione
AtW'otium, inteso come una sosta: cosi Stich. 421-422: nunc hunc diem unum ex Ulis
multis miseriis / volo me eleutheria capere advenientem domum, e Sosia in
Amph. 165-175 contrappone la condizione del padrone libero dalla fatica e indiffe-
rente alia fatica altrui, a quella del servus che non puo essere quietus^.
In queste condizioni, il Καιρός risalta in tutta la sua importanza di momento pre-
sente, fuggevole e determinante, comunque a portata di mano, e lo schiavo ha svilup-
pato una prontezza d'ingegno che gli consente di approfittarne a proprio vantaggio:
l'avaro Euclione teme che Stafila gli tenda un tranello: scelestiorem me hac anu certo
scio / vidisse numquam, nimi 'que ego banc metuo male / ne mi ex insidiis verba inpru-
denti duit (Plaut. Aul. 60-62). Invano si cercherebbe per lo schiavo un aiuto esterno:
se Yaristeia dell'eroe omerico, in particolare di quello iliadico, e spesso costruita su
azioni rese possibili, oltre che dall' άρετή personale anche dal fatto che una divinitä
infonde nel suo protetto il μένος (e. g.: Horn. II. 5.125-126; 136; 13.59-60; 16.529)14, lo

" Su questa particolaritä della condizione servile si vedano C. Weissmann, De servi currentis persona
apud comicos Romanos, Diss. Glessen 1911; J. Ch. Dumont, Servus. Rome et l'esclavage sous la Republi-
que, Collection de l'ficole Frangais de Rome 103, Roma 1987, 394-395; 444-446. Ma il personaggio del ser-
vus nelle fabulae risponde a esigenze letterarie che respingono una rappresentazione concreta della realtä
senza pero giungere a negarla: in proposito v. D. Averna, Male malum metuo, Palermo 1987; F. Caviglia,
Annotazioni sui Captivi di Plauto, „ΛΑΘΕ ΒΙΩΣΑΣ. Ricordando Ennio S. Burioni", a cura di R. Gendre,
Genova 1998, 75-88, e inoltre B. Veneroni, Aspetti umani e sociali del teatro plautino, „Studi su Varrone,
sulla retorica, storiografia e poesia latina. Scritti in onore di B. Riposati", II, Rieti-Milano 1979,
547-563. Una ricognizione storica aggiornata sulla condizione servile e data in „Schiavi e dipendenti
nell'ambito dell'oikos e della familia", Atti del XXII Colloquio G. I. R. E. A. (Siena, 19-20 novembre 1995),
Pisa 1997. Sempre utile il rinvio a M. Delcourt, Piaute et l'impartialite comique, Bruxelles 1964.
12
II richiamo a questo luogo del testo di Gaio e di E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto, traduz. ital.
di F. Munari, Firenze 1960, 430.
13
Si veda J.-M. Andre, L'otium dans la vie morale et intellectuelle romaine des origines ä l'epoque augu-
steenne, Paris 1966, 90-96; J. Dingel, Herren und Sklaven bei Plautus, Gymnasium 88, 1981, 489-504; P. P.
Spranger, Historische Untersuchungen zu den Sklavenfiguren des Plautus und Terenz, Stuttgart 1984.
14
Cfr. E. R. Dodds, I Greci e l'irrazionale, traduz. ital. di V. Vacca De Bosis, Firenze 1978 (4a rist. 1990),
13-17.
322 Μ. G. BAJONI, Phaedro 5.8

schiavo escogita una strategia di difesa permanente grazie alia μήτις, una risorsa del
tutto personale, che sviluppa in se associando intuito, intelligenza, esperienza e capa-
citä di finzione (πολΰμητις e detto Odisseo in IL 1.311 e in Od. 21.274), ma che, si e
visto, e una dote posseduta anche del padre degli dei: il Καιρός, lieve e instabile offre
la via di fuga, la μήτις, pesante, perche carica di esperienza (l'attributo adatto e
πυκινός)15, consente di individuarla e di percorrerla. In un certo senso, lo schiavo, come
in molti casi l'animale fedriano, deve essere prometeico, preveggente, deve imparare
cioe a conoscere in anticipo, per poter vedere ed afferrare il ciuffo del Καιρός: la μήτις
di Prometeo si oppone a quella di Zeus, la μήτις dello schiavo contrasta l'incertezza di
un presente immutabile che sembra eterno. A riscontro di quanto detto, vale la pena
di fare riferimento alia favola Non esse plus aequo petendum, tramandata fra i compo-
nimenti de\\'Appendix Perottina, la quale verte sui limiti dell'agire umano: per forza
fisica, l'uomo e certo piu debole degli animali, ma in realtä e superiore a loro sulla base
deH'intelligenza: et adesset homini sua tamen sollertia. / Nimirum in caelo secum ridet
Iuppiter, / haec qui negavit magno consilio homini, / ne sceptrum mundi raperet nostra
audacia (w. 8-11). La favola ripropone abbastanza fedelmente il modello dato da
Aes. 57, ma in Esopo la dote che distingue l'uomo dagli animali e il λόγος, in Fedro la
sollertia: e molto probabile che Fedro abbia tradotto λόγος con sollertia per ottenere
una maggiore aderenza al contesto romano 16 ο forse per evidenziare la valenza pratica
deü'inteligenza.
In conclusione, Pallegoria del Καιρός non sembra da considerarsi estranea nella rac-
colta fedriana: se si vuole, l'originalita del componimento sta nel fatto che 1 'occasio apre
uno spiraglio di ottimismo antropocentrico in un mondo di giustizia negata.

Universitä Cattolica
Istituto di Filologia Classica

1-20123 M i l a n o

15
Un riscontro indicato da Detienne e Vernant, op. cit., 7, n. 19, e in Horn. Od. 9.444-445 in riferimen-
to all'inganno ordito da Odisseo ai danni di Polifemo: ύστατος άρνειός μήλων έστειχε ϋΰραζε, / λάχνω
στεινόμενος και έμοί πυκινά φρονέοντι.
16
Fedro, Favole, introd., traduz. e note di G. Solimano, Milano 1996, 210.

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