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Conservatorio Statale di Musica Nicola Sala

‘La musica non è forse un linguaggio?’


Relazione su:
Il ritmo, la musica e l’educazione - Dalcroze

29/05/2019 Giuseppe Rigliaco


‘La musica non è forse un linguaggio? I poeti indicano forse il modo di interpretare i loro versi?’
Queste sono le domande che l’autore del libro pone al lettore cercando di spiegare le grandi falle dei
comuni metodi di insegnamento musicali.
Dalcroze, brillante pianista e compositore, elaborò all’inizio del secolo scorso un metodo di
educazione musicale basato sul linguaggio del corpo. Tale metodo considera il corpo come il primo
strumento musicale, infatti, il ritmo e l’altezza dei suoni vengono realizzati in movimento, facendo in
modo che con la richiesta di una risposta motoria a uno stimolo si possa innescare un processo che
porta all’educazione musicale. Quindi, per darne una corretta esecuzione occorre trovare un rapporto
equilibrato tra spazio, tempo ed energia.
Questa didattica è quindi centrata su
lezioni singole e di gruppo, scostandosi da
quella tradizionale che impone nozioni
seguendo uno schema rigido basato su:
spiegazione, studio e valutazione. Quindi
per ottenere buoni risultati l’insegnante
deve creare un clima di fiducia reciproca
in modo che ogni membro possa sentirsi a
proprio agio e dia il meglio di sé,
sentendosi sia individuo sia membro del
gruppo. Infatti, al fine didattico,
l’insegnante deve conoscere bene le
capacità e le difficoltà degli allievi in
modo da stimolare e gratificare ogni
individuo. Le lezioni comprendono
diversi tipi di improvvisazione e di solfeggio cantato. La metodologia è molto varia e dinamica, mai
ripetitiva. La caratteristica è l’uso di oggetti quali cerchi, palle, palline, elastici e corde. Certo che non
basta essere bravi musicisti per insegnare attraverso questa didattica, infatti, gli specialisti hanno
bisogno di seguire corsi particolari e selettivi: il diploma professionale superiore si può ottenere solo
all’Istituto Jaques-Dalcroze di Ginevra!
Il primo argomento fondamentale del metodo riguarda l’educazione dell’orecchio. Uno dei principi
favoriti degli insegnanti di armonia è che non bisogna mai usare il pianoforte per aiutarsi a scrivere
le armonie. Ma la domanda che sorge spontanea è: Perché fare a meno del pianoforte, se senza di esso
non si riesce a sentire nulla? È impossibile comporre musica se l’orecchio interiore non è in grado di
trasmetterci una vaga immagine dell’effetto che possano creare. Afferma il ricercatore viennese che:
prima di insegnare all’allievo qualunque forma musicale bisogna far nascere in loro il senso uditivo
e di sviluppare quello melodico e armonico mediante esercizi speciali.
Come si può pretendere da un bambino di suonare bene se nessuno si rivolge con attenzione
all’orecchio? È quindi fondamentale inventare esercizi per riconoscere l’altezza dei suoni, misurare
intervalli, individuare accordi e cercare di far percepire la qualità dei suoni. Non è proprio vero che
il musicista dovrebbe possedere innate queste qualità, esistono tantissimi bravi esecutori che hanno
avuto o hanno tuttora difficoltà nell’ascolto.
Tuttavia, non andrebbe esercitato solo l’orecchio. Tutto il resto del corpo contribuisce ai movimenti
durante l’esecuzione, partendo da tutti quei muscoli e nervi che si rilassano e si contraggono grazie
agli impulsi naturali. Lo scopo del metodo è quello di insegnare ai bambini ad ascoltare le sonorità
prima di eseguirle stimolando le idee.
Spesso le attitudini musicali sono nascoste e non hanno modo di manifestarsi. Molti bambini non
sono musicali perché l’incuria dei loro genitori ha soffocato i loro primi istinti. ‘Un genitore che
desidera sin dalla nascita che la figlia diventi una danzatrice, sorveglierà i suoi primi passi onde
evitare che le vengano le gambe storte. Allo stesso modo dovremo avere attenzione per l’apparato
uditivo.’

Per essere un musicista bisogna avere un buon orecchio, immaginazione, intelligenza e personalità.
Non si tratta solo di riconoscere e distinguere i suoni, ma avere una percezione interiore e suscitare
emozioni. Essere artisti non significa soltanto essere intonati, avere una buona tecnica ed essere puliti
nell’esecuzione ma significa essere sensibile alla musica. Infatti, l’altezza delle note è solo una delle
caratteristiche del suono, riconoscere la dinamica, agogica, timbro e velocità rivela un orecchio
musicale. Anche Rubinstein affermava di fare spesso errori al pianoforte, sbagliando tante note, ma
certo non possiamo affermare che sia un cattivo musicista. Avvicinare un bambino alla musica
significa anche fargli ascoltare tutte le sfumature del suono, facendogli notare i diversi timbri degli
strumenti orchestrali e delle differenze tra i suoni gravi e acuti.
Se questa educazione fosse adottata nelle nostre scuole, nel giro di pochi anni il livello musicale del
nostro paese si alzerebbe considerevolmente. Esistono pianisti di prim’ordine, estremamente
musicali, ma ve ne sono altri che non amano la musica o amano solo quella che essi stessi suonano,
ai concerti apprezzano soltanto i virtuosismi, non sanno distinguere stili, né forme, e non si
interessano né si emozionano ascoltando le opere più belle; se la loro sensibilità fosse stata educata
prima di intraprendere lo studio di uno strumento, è molto probabile che le loro capacità di apprezzare
la musica sarebbero molto più elevati.

Dalcroze racconta di come certe ragazze, senza ombra di


musicalità, studiano il loro strumento varie ore al giorno, fino ad
ottenere una certa virtuosità delle dita, la quale non appena
sposate non verrà più coltivata, portando di conseguenza ad un
irrigidimento delle dita. Poiché non hanno più quelle ore da
dedicare al pianoforte abbandonano completamente la musica e
chiudono il pianoforte. Se il bambino acquisisce a scuola il
piacere per il canto e per la buona musica lo conserverà per
sempre, infatti, esclama Dalcroze: se il bambino fosse educato
musicalmente secondo le leggi del buon senso, i compositori non avrebbero più bisogno di scrivere
sul foglio di carta tutte le sfumature e il suo fraseggio senza dover seguire le indicazioni.
La gente va ad ascoltare i virtuosismi dei solisti! Manca sempre un pubblico ai concerti d’organo o
di musica da camera.
Dalcroze afferma che con il nostro corpo possiamo realizzare tutte le dinamiche di intensità ed
agogiche. Infatti, la teoria cerca di trasmettere l’amore della musica al bambino sviluppando in lui
l’elemento sensoriale del ritmo, il movimento! Si inizia con degli esercizi di una ginnastica speciale,
che insegni ai muscoli a contrarsi e a rilassarsi nel tempo e nello spazio, sviluppando il senso ritmico.
Tale ginnastica deve adattarsi alle varie personalità, perché ogni individuo reagirà in modo differente,
in base alla personalità e dalle doti psico-fisiche.
Il bambino che avrà imparato a conoscersi, a controllarsi e a prendere possesso della sua personalità
avrà il potere di eseguire facilmente tutti i movimenti che lui stesso desidera, usando a pieno tutte le
forze in suo potere.
Insegnare la ritmica all’allievo è fondamentale come preparare un terreno prima di seminare il grano.
Lo scopo dell’insegnamento della ritmica è quello di permettere agli allievi di essere in grado di
esprimersi con il pieno di energie e ad essere pronto a seguire gli ordini provenienti dal cervello, di
collegare l’inconscio all’inconscio.
Dopo che l’allievo ha appreso la sensibilità musicale e ritmica si può passare nella classe di solfeggio.
L’insegnante adatterà la voce al suo orecchio cercando di trasmettere la capacità di creare dei suoni
ritmati. La fase iniziale e più difficile di tutto questo processo è proprio il rilassamento, abbiamo mai
visto un bravo musicista teso nell’esecuzione? È risaputo che un corpo morbido produce bei suoni!
Anche per esperienze personali posso affermare che la maggiore difficoltà è
proprio quella di insegnare al bambino di rilassare parti separate del corpo. Il
rilassamento totale aiuta anche l’intonazione e l’ascolto. Il metodo proposto
da Dalcroze prevede nel far sdraiare il bambino e aiutandolo nella respirazione
ritmata; in questo modo l’allievo non avrà grandi preoccupazioni e sarà
agevolato nell’esercizio. Il bambino impara a discernere i suoni vocali
attraverso la sensazione prodotta dai vari gradi di tensione delle corde vocali
e a seconda della localizzazione delle vibrazioni sonore.
La parte più difficile di tutto il percorso di insegnamento musicale è l’improvvisazione al pianoforte,
cioè la composizione strumentale spontanea. Ciò prevede che l’allievo abbia una buona tecnica,
equilibrio e capacità di rilassamento sia delle mani che delle braccia e almeno una conoscenza delle
armonie e di un buon orecchio interiore. Spesso si confonde la tecnica con la velocità senza tener
conto che la perfezione dello stile deve scaturire da una fusione delle facoltà sensitive, percettive e
ricettive.
Infatti, prima ancora di sedersi al pianoforte, l’allievo deve possedere il meccanismo muscolare
necessario allo studio dello strumento.
Afferma Dalcroze: Quando arriverà il giorno in cui trionferà la cura della musica i nostri figli
avranno un impulso vitale.

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