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Platone, il nichilismo e l’Occidente: l’interpretazione della filosofia platonica nel pensiero di

Emanuele Severino

Il presente contributo intende mettere in evidenza i nuclei tematici fondamentali intorno ai quali si sono
articolate le riflessioni che Emanuele Severino ha elaborato relativamente ad alcuni temi centrali di Platone
nell’arco della sua produzione filosofica e della valutazione che egli ne ha dato a partire dal sistema
filosofico da lui sviluppato, o dalla testimonianza della verità dell’essere che i suoi scritti indicano.
Si cercherà inoltre di comprendere il ruolo che Severino riserva alla filosofia platonica sia in
riferimento alla linea di sviluppo della storia della filosofia, sia – ma vedremo che in un certo senso, secondo
Severino, le due direttrici sono da ultimo una sola – relativamente alla storia dell’Occidente nel suo insieme.
Infine si vorrà analizzare in quale misura il pensiero platonico abbia inciso nella produzione filosofica
severiniana, ed eventualmente le ragioni che possono spiegare tale influenza.
Per intraprendere questo itinerario si procederà presentando brevemente il centro tematico della
filosofia di Severino, da utilizzare come punto prospettico di osservazione dell’intera storia dell’Occidente e
in special modo di Platone.

Severino: la verità dell’essere


La metafisica occidentale è segnata per Severino dalla contraddittoria identificazione dell’essere e del nulla,
che egli chiama “nichilismo”. Nichilismo è appunto ritenere che l’ente, ogni ente, divenga, cioè si generi
provenendo dal nulla e si corrompa tornando nel nulla: ma dire che l’ente diviene nulla (prendiamo come
esempio quel divenire “in uscita” che è l’annullarsi o corrompersi di un ente) significa identificarlo con il
nulla, ma così si identifica contraddittoriamente l’ente, cioè il “non-nulla”, con il suo opposto, il “nulla”
appunto.
Collocandosi “oltre” il nichilismo1 che permea l’Occidente, Severino, sin da un saggio giovanile
risalente al 1956, ha affermato invece l’eternità di ogni essente in quanto essente: il testo, dal titolo La
metafisica classica e Aristotele, costituisce una vera e propria “svolta” rispetto alla sua produzione filosofica
precedente2 perché <<compare quel tema che sarà centrale nel discorso filosofico di Severino – e che
conduce ad una lontananza estrema rispetto al pensiero occidentale>> 3, tema che consiste nella negazione del
divenire. Infatti, afferma Severino <<se l’essere diviene – se il positivo sopraggiunge – l’essere, prima di
sopraggiungere, non era: ed è appunto questo l’assurdo […] che l’essere non sia>> 4. Il pensiero severiniano,
che qui non si può ovviamente ripercorrere nella sua interezza, subirà delle variazioni nel suo svolgimento,
ma proseguirà sempre lungo una linea di sostanziale continuità e omogeneità, nonostante la grande quantità
di scritti e di temi da lui affrontati.
Lungo questa linea di sviluppo si incontra il fondamentale saggio del 1964 intitolato Ritornare a
Parmenide, dove però il verbo “ritornare” non significa affatto una riproposizione pura e semplice del
Parmenide “della tradizione”5, anzi nelle intenzioni dell’autore in quel saggio il “ritornare” non è un
imperativo, è un infinito. Parmenide intuisce il Sentiero del giorno, ma inaugura anche la tradizione
filosofica del nichilismo.
Parmenide ha un’importanza unica nella storia dell’uomo, perché è, insieme, il padre del nichilismo e colui che
indica la direzione lungo la quale il nichilismo può essere oltrepassato.6

È proprio il modo corretto di compiere questo ritorno a costituire un punto centrale della riflessione di
Severino e il terreno di confronto in cui egli si misura con Platone e con il modo in cui questi, tra i primi, ha
dovuto “fare i conti” con il filosofo eleate.

Parmenide: la negazione del mondo

1
Cfr., N. Cusano, Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Brescia 2011.
2
G. Goggi, Emanuele Severino, Città del Vaticano 2015, p. 38.
3
Ivi.
4
E. Severino, La metafisica classica e Aristotele, in Id., Fondamento della contraddizione, Milano 2005, p. 117.
5
Indico con questo termine il pensiero di Parmenide così come è comunemente inteso, e come lo hanno inteso i suoi discepoli e i
filosofi che immediatamente dopo Parmenide si sono confrontati con lui (tra tutti Platone e Aristotele), indipendentemente ciò che
abbia realmente inteso dire il Parmenide “storico”. Per un commento di Severino ad alcune diverse interpretazioni di Parmenide (es.
G. Reale, L. Ruggiu) v. Id., Sortite, Milano 1994, pp. 275-276.
6
Ibid. p. 278.

1
Prima di procedere ad osservare più da vicino l’interpretazione severiniana di Platone, occorrerà ripercorrere
gli assunti fondamentali del pensiero parmenideo e la lettura fornitane da Severino perché, come si è
accennato, il pensiero di Parmenide è un riferimento imprescindibile per Platone (come lo sarà poi anche per
Aristotele), nonché ovviamente per lo stesso Severino.
Parmenide afferma l’unicità, l’eternità e l’immutabilità dell’essere, la sua infinita distanza dal nulla:
ha il merito di evidenziare il senso dell’essere, il suo opporsi assolutamente al nulla ma allo stesso tempo è
colui che per primo riduce le cose del mondo a nulla7. L’essere parmenideo è indeterminato, “tutto uguale” 8,
omogeneo, non è nessuna delle cose del mondo (molteplici e divenienti) che anzi sono ridotte ad illusione:
Parmenide è cioè all’origine tanto del “Sentiero del giorno”, che afferma la verità dell’essere, quanto del
“Sentiero della notte” che afferma la nullità delle cose del mondo che non essendo essere, sono nulla.
Analizzando il ragionamento parmenideo Severino afferma che

il motivo per il quale Parmenide nega l’esistenza di una molteplicità di enti [è che] ognuno di questi non è
l’essere (ad esempio albero non significa essere) e quindi ognuna delle cose che appartengono al mondo è non-essere.
Affermare allora che le varie cose del mondo esistono, significa affermare che il non-essere è e pertanto significa
violare il supremo principio della ragione, per il quale l’essere non è non-essere. La tutela di questo principio sembra
esigere dunque la negazione dell’esistenza del mondo molteplice9.

Avendo isolato le determinazioni dall’essere, e relegandole così nel non essere, Parmenide non può
più affermarne l’esistenza, altrimenti dovrebbe porre la contraddittoria identità del non essere (le
determinazioni) con l’essere10. Come vedremo in seguito, il progetto di Platone sarà quello di isolarle dal non
essere, mantenendole però, come Parmenide, isolate anche dall’essere.
Per Parmenide solo l’essere “è” mentre le determinazioni del mondo, molteplici e divenienti, sono
illusione:
Parmenide è […] il primo responsabile del tramonto dell’essere. Poiché le differenze non sono l’essere –
poiché ‘rosso’, ‘casa’, ‘mare’, non significano ‘essere’, non significano cioè ‘l’energia che spinge via il nulla’, le
differenze sono non-essere, sono esse stesse il nulla11.

Analizzando più in profondità il motivo per cui Parmenide possa escludere le differenze dal “recinto”
dell’essere, Severino spiega nel seguente passaggio che
il determinato è non essere: παρεξ τοῦ ἐόντος; ma in modo che l’essere e il determinato sono pensati
come assolutamente indipendenti l’uno dall’altro, si che il determinato, proprio per questa sua assoluta
indipendenza dall’essere, vien posto come nulla […] perché sia posto come nulla si richiede […] quell’astratta
separazione che pone l’essere e il determinato come due assoluti, come due luoghi assolutamente irrelati,
cosicché il determinato, come si diceva, proprio per questa sua assolutezza cade al di fuori dell’essere, nel
nulla12.

Il tentativo platonico di “salvare i fenomeni”


Sarà Platone il primo filosofo che cercherà di “salvare i fenomeni” in modo rigoroso13, che tenterà cioè di
“recuperare” la realtà del mondo, fornendogli quella consistenza ontologica negatagli da Parmenide 14: il

7
Cfr. Ibid., p. 278.
8
Parmenide, Poema sulla natura fr. 8 v. 22: <<πᾶν ἐστιν ὁμοῖον>>.
9
E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, Milano 2004, p. 133.
10
<<l’isolamento delle determinazioni dall’essere risale al pensiero […] di Parmenide. Per Parmenide le determinazioni – le
differenze, il molteplice – sono niente (non essere), perché altrimenti il niente sarebbe essere […] Parmenide vede che la
determinazione non è l’essere (l’albero, la casa, la stella, non sono l’essere). Ma isolate e separate dall’essere […] le determinazioni,
viste nel loro differire dall’essere, devono essere concepite come l’assolutamente niente […] proprio perché assolutamente isolate
dall’essere, per Parmenide esse sono definitivamente consegnate e legate al niente>>, Id., La filosofia futura. Oltre il dominio del
divenire, Milano 2006, pp. 50-51.
11
Id., Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, Milano 1982, p. 23.
12
Id., Poscritto a Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, cit., p. 71.
13
Ne Il parricidio mancato, Severino mette in evidenza come il primo tentativo di recuperare il mondo dopo la negazione
parmenidea sia quello di Empedocle, che però manca nel suo intento, non riuscendo a mostrare in che modo si possa affermare che
gli enti, pur essendo “non essere”, siano. Il suo è quindi un “parricidio mancato” mentre quello platonico sarebbe “il parricidio
riuscito”. Tuttavia, come si vedrà, per Severino <<anche il parricidio riuscito è un parricidio mancato>>, Cfr., Id., Il parricidio
mancato, Milano 1985, pp. 77-81.
14
<<Parmenide nega l’esistenza del mondo. E Platone ha inteso essere il salvatore del mondo, colui che mostra che le differenze del
mondo non possono essere negate>>, Id., La filosofia futura, cit., pp. 52-53.

2
“parricidio” platonico15 è appunto l’affermazione della verità della molteplicità degli enti mondani operata
attraverso la distinzione tra i due differenti sensi del “non essere”, che può essere inteso sia come il contrario
(ἐναντίον) dell’essere cioè come “nulla assoluto”, sia come “essere altro” (ἔτερον), ossia “essere diverso”
dall’essere: le cose del mondo come “casa”, “cielo”, “albero”, non significano “essere”, ma non significano
nemmeno “nulla assoluto”; piuttosto significano “essere diverso” o potremmo dire “non essere relativo”,
cioè si collocano a metà strada tra l’essere e il nulla, dove platonicamente il puro essere è costituito dalle
Idee, quei particolari enti che stanno sempre uniti al loro essere, e quindi sono immutabili e indivenienti,
mentre gli enti del mondo “si dibattono” tra l’essere e il nulla.
Platone introduce un nuovo senso dell’essere, <<riesce dunque a mostrare che l’“essere” non deve
più venire inteso come il puro essere parmenideo (che, appunto, lascia fuori di sè il molteplice, ossia le
determinazioni dell’universo) ma come la sintesi tra il puro essere e le determinazioni>> 16. È un primo
riconoscimento attribuito da Severino a Platone, nello sviluppo della storia dell’ontologia, anzi è <<l’unico
approfondimento del senso dell’essere compiuto dalla metafisica dopo Parmenide>> 17.
Eppure, prosegue Severino evidenziando adesso le problematicità del platonismo, anche la soluzione
prospettata da Platone nel Sofista non permette veramente di “salvare” gli enti, appunto perchè essi vengono
considerati come oscillanti tra l’essere e il non essere e in tal modo si trovano in conflitto con la stessa
indivenienza dell’essere che ne costituisce la verità. Anzi il tentativo platonico risulta, agli occhi di Severino,
tanto essenziale, per la storia dell’Occidente, quanto “fatale”18.
Il motivo per cui Platone non riesce ad allontanarsi completamente da Parmenide, e che per
conseguenza non gli consente di affermare la piena consistenza ontologica degli enti del mondo, è ancora
l’astratta separazione tra l’essere e la determinazione che era già stata rilevata in Parmenide
Platone si è lasciato sfuggire la grande occasione di pensare la verità dell’essere, perché anche lui (e
dopo di lui tutto il pensiero occidentale) lascia al fondo del pensiero dell’ente l’astratta separazione dell’ente e
della determinazione: proprio lui che si presenta come il pacificatore della scissione, ossia come l’unificatore
dell’essere e della determinazione19:

la sintesi (quella tra la determinazione e l’essere) dovrebbe unire in un secondo momento, ciò che è
originariamente separato, la determinazione e l’essere, appunto: il ripensamento platonico parte anch’esso da
tale astratta separazione, che in quanto originaria non può poi essere recuperata fino in fondo 20.
Il progetto platonico ha il merito di tentare il salvataggio degli enti del mondo relegati da Parmenide
al rango di illusione, trascinandoli nell’essere 21, ma il proponimento di Platone, oltre a mantenersi nello
smarrimento del senso dell’essere, non è senza conseguenze, anzi è di capitale importanza per comprendere
lo sviluppo della filosofia e dell’intera civiltà occidentale, come si cercherà di mettere in luce nel seguente
paragrafo.

L’oscillazione degli enti e la produzione


Severino ritiene infatti che Platone sia il fondatore del “mondo”, inteso come l’insieme degli enti divenienti,
che oscillano cioè tra l’essere e il non essere e il nostro modo di leggere la realtà è l’eredità lasciataci da
Platone22: potremmo dire che gli occhi con cui tutti noi guardiamo la realtà, come l’Occidente guarda e
interpreta la realtà, sono gli occhi di Platone, che ha steso come una coltre nichilistica al di sopra del vero
darsi delle cose. Lungi dall’essere un convincimento relegato ai dibattiti filosofici e alle dispute accademiche
il modo in cui Platone ha inteso il divenire ha fondato un’intera civiltà che perdura da più di duemila anni e
che ha pervaso praticamente il mondo intero: <<il pensiero dominante […] resta ancor oggi quello di
Platone: l’essere (e cioè le determinazioni di cui ormai si esclude che siano un niente) è essenzialmente

15
Soph. 241 d.
16
E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo, cit., p. 135.
17
Id., Ritornare a Parmenide, cit., p. 28
18
<<La distinzione platonica tra il non-essere come contrario (ἐναντίον) e il non-essere come altro (ἔτερον), dall’essere è stata per il
pensiero occidentale tanto più fatale quanto più essa è essenziale e imprescindibile>> Ibid., p. 23.
19
Id., Poscritto a Ritornare a Parmenide, cit., p. 71
20
<<noi diciamo che al fondo del ripensamento platonico si nasconde quella stessa astratta separazione, dalla quale, in superficie,
Platone vuole liberare il pensiero dell’essere>> Ivi.
21
Si legga il seguente brano di particolare efficacia: <<guidato il gregge [degli enti] nell’ovile dell’essere, Platone lo divide in due
schiere: quella privilegiata degli enti divini, ingenerati e immutabili, e quella degli enti sensibili (il mondo) […]. Il cattivo pastore ha
già preso il sentiero della Notte>> Id., Il sentiero del Giorno, in Essenza del Nichilismo, cit., p. 148.
22
<<Platone lascia in eredità agli uomini il “mondo”>> Ibid., p. 146.

3
instabile>>23. Come afferma Leonardo Messinese <<Severino chiama “mondo” la regione dell’essere
diveniente che è stata inventata dalla metafisica greca, in primo luogo da Platone. Il “mondo” è l’autentico
mito originario del pensiero occidentale e della civiltà che esso ha potentemente contribuito a formare: la
civiltà della tecnica, cioè la civiltà della “produzione” delle cose tratte dal nulla e risospinte sempre nel
nulla>>24. Prima di Platone non si può parlare propriamente di mondo, dal momento che il divenire non è
pensato come annullamento dell’essere, ma passaggio di un ente da una certa “regione” dell’essere ad
un’altra; così pure non c’è propriamente agire (produzione e distruzione) inteso come <<far passare le cose
dal niente all’essere e dall’essere al niente>> 25
Oscillare, dibattersi, quindi essere instabile, è il senso che Platone attribuisce agli enti che formano il
mondo: ἐπαμφοτερἱζειν, è il termine usato da Platone nel V libro della Repubblica e che Severino ritiene
essenziale per comprendere il modo in cui Platone intende l’essere degli enti mondani. Un’analisi dettagliata
del termine è effettuata in Destino della necessità dove si afferma che <<Platone porta alla luce il senso della
cosa – l’orizzonte al cui interno cresce l’intera storia dell’Occidente -, ponendo la cosa come un
ἐπαμφοτερίζειν (Resp., 479 c)26, ossia un ἐρίζειν ἐπὶ τὰ ἀμφότερα>> 27. Il termine greco significa infatti
“dibattersi, oscillare tra l’uno e l’altro”, secondo quanto espresso dall’etimologia stessa del verbo, composto
dai termini “ἐρίζειν” = dibattersi, “ἐπὶ” = tra, “τὰ ἀμφότερα” = l’uno e l’altro, dove appunto gli estremi del
dibattersi sono l’assoluto essere, l’essere pieno, ovvero il mondo delle Idee da una parte, e il puro nulla
dall’altra: gli enti mondani sono perciò divenienti nel senso ontologico, il divenire è ciò in cui è in gioco
l’essere e il non essere degli enti28.
L’ente, ogni ente mondano è a metà strada (μεταξύ) tra il non essere e l’essere vero e proprio 29; l’ente
è ciò che <<è in modo da essere e non essere insieme […], a metà strada [μεταξύ] fra ciò che assolutamente
è, e ciò che non è affatto>> 30. Solo quegli enti “privilegiati” che sono le Idee conservano il carattere
distintivo che Parmenide aveva riservato all’essere indeterminato, cioè il non poter non essere; detto
altrimenti, non è l’ente (ogni ente) in quanto tale ad opporsi al niente, ma solo quello speciale tipo di ente che
è l’Idea: <<alla determinazione è proibito scrollarsi di dosso il suo “è” non già in quanto essa sia una
determinazione […] ma in quanto è ἰδέα, ossia è quel certo tipo di determinazione che si distingue dalla
determinazione sensibile>>31; concetto che viene ribadito anche nel seguente passo: <<Per porre qualcosa –
τι – come immutabile non è cioè sufficiente il suo essere semplicemente un qualcosa: si richiede, inoltre, che
esso sia qualcosa di specifico e di privilegiato rispetto al semplice esser cosa>> 32,
Per Severino l’aspetto nichilistico del platonismo sta nel suo modo di intendere l’ente, per cui l’ente
mondano non è ciò che si oppone costitutivamente al non essere, ma solo talvolta, cioè solo quando gli capita
di essere, potendo esso invece diventare nulla, annullarsi, e quindi identificarsi contraddittoriamente con
quell’altro da sé che è appunto il nulla. Nell’ottica severiniana invece, l’essere non è una delle proprietà
dell’ente, ma è il suo “senso”, la sua verità, e non un aspetto accidentale che le determinazioni possono avere
o meno. Platone, intendendo l’ente in tal modo, non può che cadere, come del resto l’intera metafisica
successiva, sotto il segno del nichilismo, che è il sostrato comune di tutte le filosofie, e di tutte le espressioni
culturali, succedutesi nella storia occidentale – e che consiste nell’alterazione del senso dell’ente, come recita
la famosa apertura del saggio Ritornare a Parmenide, per cui <<La storia della filosofia occidentale è la

23
Ibid., p. 149.
24
L. Messinese, Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Bari 2013, p. 31.
25
E. Severino, Il Sentiero del Giorno, cit., p. 151.
26
Resp., 479 c: <<καὶ τῷ τῶν παίδων αἰνίγματι τῷ περὶ τοῦ εὐνούχου, τῆς βολῆς πέρι τῆς νυκτερίδος, ᾧ καὶ ἐφ' οὗ αὐτὸν αὐτὴν
αἰνίττονται βαλεῖν· καὶ γὰρ ταῦτα ἐπαμφοτερίζειν, καὶ οὔτ' εἶναι οὔτε μὴ εἶναι οὐδὲν αὐτῶν δυνατὸν παγίως νοῆσαι, οὔτε ἀμφότερα
οὔτε οὐδέτερον>>.
27
E. Severino, Destino della necessità, Milano 1980, p. 21.
28
<<L’ “essere” (το εἶναι, esse) è la condizione che impedisce alla cosa di essere un niente. La cosa non è un
niente, perché è […] ma la cosa non sta al riparo dell’essere in modo definitivo: l’essere e il niente se la
contendono, e quindi essa rimane indecisa tra i due, ossia non appartiene definitivamente né all’uno né
all’altro, pur essendo sempre con l’uno o con l’altro>>, Ivi.
29
Per una diversa interpretazione del μεταξύ platonico v. L. Messinese, Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele
Severino, Pisa 2010, pp. 105-110.
30
Platone, Resp. 477 a: <<Ὄν· πῶς γὰρ ἂν μὴ ὄν γέ τι γνωσθείη; Ἱκανῶς οὖν τοῦτο ἔχομεν, κἂν εἰ πλεοναχῇ σκοποῖμεν, ὅτι τὸ μὲν
παντελῶς ὂν παντελῶς γνωστόν, μὴ ὂν δὲ μηδαμῇ πάντῃ ἄγνωστον; Ἱκανώτατα. Εἶεν· εἰ δὲ δή τι οὕτως ἔχει ὡς εἶναί τε καὶ μὴ εἶναι,
οὐ μεταξὺ ἂν κέοιτο τοῦ εἰλικρινῶς ὄντος καὶ τοῦ αὖ μηδαμῇ ὄντος; Μεταξύ. Οὐκοῦν ἐπὶ μὲν τῷ ὄντι γνῶσις ἦν, ἀγνωσία δ' ἐξ
ἀνάγκης ἐπὶ μὴ ὄντι, ἐπὶ δὲ τῷ μεταξὺ τούτῳ μεταξύ τι καὶ ζητητέον>>.
31
E. Severino, Poscritto a Ritornare a Parmenide, cit., p. 72
32
Id., Destino della necessità, cit., p. 22.

4
vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più
antico pensiero dei Greci>>33.

Platone e l’Occidente
Certamente Severino è sostenitore di una concezione della filosofia per cui quest’ultima non è una
sovrastruttura culturale, non si limita a comprendere o interpretare una realtà già data, ma fonda e apre la
strada ad un’intera civiltà. Si legga il seguente brano, in cui il filosofo bresciano presenta in modo eloquente
la “radicalità” della filosofia: <<Oggi la filosofia, soprattutto nel mondo anglosassone, è considerata come
una specie di fiore all’occhiello della scienza, quando addirittura non si afferma che una filosofia che non si
fondi sulla scienza è una cosa poco seria. La filosofia, e il linguaggio in cui essa si formula, è invece la cosa
più seria […] da essere messa […] come prima rispetto alla storia dell’Occidente. Questo vuol dire, in senso
essenzialmente non marxiano, che la filosofia è l’anima in cui cresce la storia dell’Occidente>>34 e che poi
si riversa nelle produzioni culturali, politiche, artistiche 35. A detta dello stesso Severino <<la metafisica si
impadronisce dapprima della cultura e della παιδεία, e per il tramite della teologia, del diritto, della politica,
della poesia, della scienza, della storiografia, diventa il terreno su cui si costituiscono l’Impero, la Chiesa, gli
stati nazionali, i movimenti politici ed ideologici>>36.
Si può quindi condividere il seguente giudizio secondo cui <<la filosofia di Severino è una filosofia
che afferma senza remore la grandezza e la preminenza della filosofia […] Per Severino la filosofia non è
uno dei tanti prodotti dell’Occidente, ma è ciò che sta alla sua radice>> 37 perché <<nella filosofia e nelle sue
mosse, in primo luogo nel significato che essa dà a “essere”, nel modo in cui formula il principio di non
contraddizione, nell’interpretazione che dà del divenire, si trovano i germi e le vicende della nostra storia
passata, degli avvenimenti che formano il nostro presente e che determinano il nostro futuro>> 38.
Il carattere “radicale” della filosofia – appunto nel suo essere la radice su cui l’Occidente ha edificato
le sue forme culturali - non è mai così chiaro come in Platone e nel suo modo di concepire l’ente:
sintetizzando con le parole stesse del filosofo bresciano <<L’Occidente è la Repubblica fondata da
Platone>>39, un’espressione che non fa riferimento in primo luogo alle dottrine di carattere politico o
pedagogico presenti in quell’opera, quanto piuttosto alla concezione ontologica che Platone vi espone.
Tutta la civiltà occidentale, sostiene Severino, cresce e si sviluppa a partire dalla base nichilistica
gettata da Platone, definito anche <<il seminatore dell’Occidente>>40, e che costituisce il “sottosuolo
filosofico”, il sostrato comune a tutte le forme culturali, politiche, artistiche, morali, giuridiche, religiose,
prodotte nella storia dell’Occidente: per quanto siano distanti, e anche in conflitto tra loro, esse condividono
tutte lo stesso “piano d’appoggio” cioè la convinzione (che poi nell’ottica di Severino è una fede) che le cose
divengano. Ad esempio, nonostante siano stati in conflitto tra loro, le liberal-democrazie occidentali e il
socialismo reale hanno condiviso la stessa persuasione; e lo stesso dicasi del conflitto tra religione (o
religioni) e visione laica dell’esistenza: la persuasione per cui il divenire è inteso in senso ontologico, come il
processo in cui ne va dell’essere e del non essere degli enti.
La filosofia severiniana si pone invece su di un piano radicalmente diverso, potremmo dire
incommensurabile, rispetto alla cultura occidentale: significativamente Leonardo Messinese intitola un suo
recente libro, dedicato appunto a Severino, Né laico, né cattolico41 e non nel senso che Severino non intenda
prendere posizione tra le due opzioni, o che egli tenti una improbabile sintesi tra le due, ma proprio nel senso
che il suo discorso filosofico è qualcosa di radicalmente distante e alternativo rispetto ad ogni prodotto
culturale occidentale: se molte volte Severino ha criticato certe affermazioni metafisiche o teologiche
presenti nel cristianesimo, a causa del loro carattere nichilistico, ciò non legittima affatto poterlo collocare
nel versante “laico” del mondo culturale attuale, come si potrebbe ritenere ad una prima impressione.

33
Id., Ritornare a Parmenide, p. 19.
34
Id., Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell’Occidente, Torino 2010, p. 10.
35
Cfr. Ibid. p. 21.
36
Id., Il sentiero del Giorno, cit., pp. 180-181.
37
L. Perissinotto, A mo’ di prefazione, in D. Spanio, Il destino dell’essere, Brescia 2014, p. 8.
38
Ivi.
39
E. Severino, Il sentiero del Giorno, p. 181.
40
Id., La strada. La follia e la gioia, Milano 2008, p. 57.
41
Vedi nota n. 25. Il libro è un’esposizione sintetica delle principali tesi severiniane.

5
Nel pensiero severiniano infatti, Cristianesimo e laicità, liberalismo e socialismo, pur potendo essere
configgenti tra loro, sono tuttavia molto più vicini di quanto si possa credere, proprio per la loro comune
persuasione “nichilistica”, e certamente sono molto più simili tra loro di quanto possano esserlo con la
filosofia severiniana, che nel suo carattere radicalmente inaudito riafferma la verità dell’essere, il suo “senso”
smarrito.

Oscillazione, libertà dell’ente, tecnica


Dal momento che l’ente è oscillante, allora la caratteristica degli enti mondani è la libertà: se l’ente oscilla tra
l’essere e il nulla, ossia è sciolto da ogni legame necessario sia con l’essere che con il nulla, esso allora è
libero, ma a questa libertà si accompagna la “volontà di potenza”, da intendersi come quella volontà che
intende governare l’oscillazione degli enti: <<La volontà di guidare l’oscillazione dell’ente si fonda infatti
sulla volontà che l’ente sia oscillazione tra l’essere e il niente, cioè sulla volontà che separa l’ente dal suo “è”
(e che lo vede, in quanto così separato, come un niente) e che lo rende disponibile all’essere e al niente>> 42.
Si prenda in considerazione il passo del Simposio platonico in cui la ποίησις è intesa come quel
processo per cui le cose sono estratte dal nulla e condotte nell’essere: è un tratto essenziale della cultura
occidentale, che concepisce il lavoro, il produrre, come trarre le cose dal nulla e il poterle risospingere nel
nulla, e che accomuna la filosofia greca e quella moderna, vedendo concordi tra loro filosofi apparentemente
molto lontani, come Aristotele, Marx e Nietzsche, per citarne alcuni. Tutto ciò è già presente in Platone, che
nel Simposio definisce la produzione, la ποίησις, come <<la [ogni] causa che fa passare qualsiasi cosa dal
non essere all’essere>>43; ma appunto, si diceva, la creatività umana, come trarre le cose dal nulla, è la cosa
più evidente per Platone, come per Nietzsche: <<Per Platone, come per Nietzsche, la mia creatività è
l’evidenza: io produco>>44.
Il pensiero severiniano considera quella attuale la civiltà della tecnica, che è resa possibile da quegli
esponenti della filosofia contemporanea (Leopardi, Nietzsche, Gentile) che hanno portato alle estreme
conseguenze il nichilismo su cui si fondava ogni struttura immutabile (metafisica, religiosa, morale ecc.)
prodotta dall’occidente: il processo di coerentizzazione del nichilismo da essi operato apre le porte al
dominio della tecnica. Ma se essi sono la causa (filosofica) prossima dell’attuale dominio della tecnica, la
causa remota si può scorgere di nuovo in Platone, che per primo ha inteso il “fare” umano come il processo
che produce e distrugge gli enti e che si fonda da ultimo sull’ ἐπαμφοτερἱζειν degli enti così come teorizzato
da Platone.
L’oltrepassamento del nichilismo si può verificare, per Severino, ritornando a Parmenide, per
procedere oltre Parmenide, ma non nel modo in cui ciò è stato fatto da Platone:
nei miei scritti “ritornare a Parmenide” significa che è necessario ripetere il “parricidio” mediante il
quale Platone procede oltre Parmenide. La forza straordinaria del pensiero di Parmenide minaccia l’esistenza del
mondo. Platone – e Aristotele – intendono salvare il mondo da Parmenide. Ma il modo in cui essi operano questa
salvazione – e in essa consiste appunto il “parricidio” – mantiene viva l’essenza di ciò che in Parmenide porta
alla negazione del mondo: l’essenza del nichilismo45.

L’autentico superamento di Parmenide può essere effettuato solo se si afferma che ogni ente, anche il
più insignificante ed evanescente, possiede quella caratteristica che Parmenide attribuisce all’essere puro e
indeterminato, cioè il suo non poter non essere: <<Quanto Parmenide diceva del puro essere “perciò né
nascere né perire gli ha permesso Giustizia disciogliendo i legami, ma lo tien fermo” […] la verità
dell’essere deve ripeterlo di ogni essere, di ogni positività determinata>> 46. cosa che, come si è sottolineato
in precedenza, non avviene con Platone a motivo della astratta separazione di cui si è parlato sopra e che per
Severino è un determinante allontanamento dal vero senso dell’essente, ovvero del suo opporsi al nulla.

Conclusioni
42
E. Severino, Destino della necessità, cit., p. 39.
43
Symp., 205, b-c.: <<Ὥσπερ τόδε, οἶσθ᾽ ὅτι ποίησίς ἐστί τι πολύ· ἡ γάρ τοι ἐκ τοῦ μὴ ὄντος εἰς τὸ ὂν ἰόντι ὁτῳοῦν αἰτία πᾶσά
ἐστι>>.
44
E. Severino, Volontà, destino, linguaggio, cit., p. 57.
45
Id., Sortite, cit., p. 278. Dove si dice anche che: <<non si tratta però di essere di nuovo parmenidei, ma di ripetere in modo
essenzialmente diverso il “parricidio”. Si tratta di riuscire per davvero ad andare oltre Parmenide […]. E perché parlare di “ritorno”?
Perché Parmenide indica qualcosa di essenziale, che lungo la storia dell’Occidente è andato perduto: l’eternità dell’“essere”>>, Ibid.,
p. 274.
46
Id., Poscritto a Ritornare a Parmenide, cit., p. 72.

6
Dal percorso che è stato tracciato, appare ineludibile come il pensiero di Platone abbia costituito un
riferimento costante nella riflessione severiniana. Certo, altri filosofi sono stati oggetto di particolari analisi
da parte del filosofo bresciano (si pensi ad esempio agli studi su Aristotele), ma i termini e i giudizi che
Severino riserva a Platone ne indicano una certa preminenza rispetto ad altri, pur decisivi, riferimenti
filosofici.
La valutazione data da Severino alla filosofia platonica non può essere che quella di una filosofia che
ha smarrito il senso dell’essere, cosa di cui si era già reso responsabile Parmenide. E tuttavia le tesi
platoniche assumono una tonalità ancor più radicale e “grave” rispetto a quelle di Parmenide, il quale in
riferimento al mondo, aveva affermato la sua illusorietà: l’aspetto decisivo e problematico del tentativo
platonico è il suo carattere ambivalente, perché se da un lato intende restituire agli enti mondani il loro
spessore ontologico, dall’altro li lascia in balìa dell’annullamento: l’instabilità ontologica del mondo è,
possiamo dire, il tratto emergente dalle riflessioni platoniche e, per i motivi già evidenziati, della storia
occidentale, con le conseguenze a cui si è fatto cenno in riferimento alla produttività umana.
Si può anche affermare che pochi pensatori hanno attribuito un peso tanto grande a Platone, così
come è stato fatto da Severino: che sia uno dei riferimenti culturali centrali della filosofia occidentale è cosa
nota, ma qui riveste un ruolo fondativo e inaugurale come forse mai gli era stato riconosciuto.
Relativamente all’ultimo punto che si è inteso analizzare nel corso del saggio, si può affermare non
solo il fatto che la filosofia platonica abbia inciso in profondità nella riflessione severiniana, e il fatto stesso
che egli sia tornato a più riprese e a distanza di anni sul filosofo ateniese sta a dimostrarlo. Ma non pare
azzardato affermare che in un certo senso Severino abbia intrapreso una sorta di confronto a distanza con
Platone: più ancora che Parmenide, il quale rimane di certo essenziale per Severino, è Platone il filosofo con
cui egli ha inteso misurarsi più da vicino.
Questo perché l’intento di Severino è proprio quello di rimarcare la verità dell’essere e di farlo per
ogni ente: si configura pertanto l’importanza di ripetere il tentativo platonico di salvare gli enti mondani, ma
di farlo nel rispetto della verità dell’essere, cosa che invece Platone non ha fatto. Per cui a proposito della
filosofia severiniana si può parlare, più che di un ritorno a Parmenide, di un “ritorno a Platone”, come è stato
affermato da Messinese, <<dal momento che è proprio il filosofo ateniese, tenendo conto della lezione
parmenidea, a porre radicalmente l’esigenza di “fondare” l’ente finito, cioè di dare fondamento all’essere del
mondo>>47. Ma nonostante lo sforzo “salvifico” intrapreso da Platone <<nel profondo della sua anima, il
salvatore del mondo rimane il distruttore del mondo, rimane identico al Padre, a Parmenide […] nel
salvatore si nasconde, per il mondo, l’estremo pericolo>>48; se Platone è insieme il “costruttore” e il
“distruttore involontario” del mondo, Severino si propone come il “ricostruttore” che indica la verità
dimenticata dell’essere e con essa mostra la solidità ontologica di ogni essente.

BIBLIOGRAFIA
Scritti di Platone:
Repubblica
Simposio
Sofista
Scritti di Parmenide:
Poema sulla natura
Scritti di E. Severino:
La metafisica classica e Aristotele (1956), in Fondamento della contraddizione, Milano 2005.
Ritornare a Parmenide (1964), in Essenza del nichilismo (1971), Milano 2005.
Poscritto a Ritornare a Parmenide (1965), in Essenza del nichilismo, Milano 2005.
Il sentiero del Giorno, in Essenza del nichilismo, Milano 2005.
Destino della necessità, Milano 1980.
Il parricidio mancato, Milano 1985.
Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano 1994.
La filosofia dai greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, Milano 2004.
La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, Milano 2006.
47
L. Messinese, Stanze della metafisica, Brescia 2013, p. 178.
48
E. Severino, La filosofia futura, cit., p. 54.

7
La strada. La follia e la gioia (1983), Milano 2008.
Volontà, destino, linguaggio, Filosofia e storia dell’Occidente, Torino 2010.
Altri scritti:
N. Cusano, Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Brescia 2011.
G. Goggi, Emanuele Severino, Città del Vaticano 2015.
L. Messinese, Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino, Pisa 2010.
Id., Stanze della metafisica, Heidegger, Lowith, Carlini, Bontadini, Severino, Brescia 2013.
Id., Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Bari 2013.
L. Perissinotto, A mo’ di prefazione, in D. Spanio, Il destino dell’essere, Brescia 2014.

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