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1. DEMOGRAFIA E SOCIETA’.........................................................................................

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2. BIOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO ...................................................................... 4
3. CONSERVARE SALUTE E QUALITA’ DI VITA ...................................................... 6
4. PREVENIRE LE MALATTIE PIU’ FREQUENTI...................................................... 8
5. LE GRANDI SINDROMI GERIATRICHE ................................................................ 10
6-7. LA VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE ...................................................... 76
8. FARMACOLOGIA .......................................................................................................... 89
9. SERVIZI TERRITORIALI............................................................................................ 98
10. PROBLEMATICHE MEDICO-LEGALI................................................................. 101

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1. DEMOGRAFIA E SOCIETA’
CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE NEL MONDO
La popolazione mondiale sta invecchiando. In italia e in Grecia, > 22% della popolazione ha ³ 60 anni,
rispetto al 16,5% della popolazione degli stati Uniti. È stato calcolato che tra il 1996 e il 2025, la
percentuale di persone di 60 anni aumenterà dal 17 all’82% nei Paesi Europei e del 200% nei paesi in via
di sviluppo. Dal 2025, Italia e Giappone presenteranno il numero maggiore di persone con più di 60 anni,
cioè, quasi un terzo della popolazione. Comunque, dal momento che paesi in via di sviluppo come Cina e
India hanno la popolazione totale più numerosa, essi hanno e continueranno ad avere il maggiore numero
assoluto di persone anziane. Nel 1996, il numero maggiore di persone con più di 75 anni viveva in Cina,
seguita poi dagli Stati Uniti e dall’India. Dal 2020, si presume che la popolazione mondiale comprenderà
più di 1 miliardo di persone con più di 60 anni, di cui la maggior parte vivrà nei paesi meno sviluppati
piuttosto che in quelli sviluppati.
L’eccezionale crescita nella percentuale degli anziani in tutto il mondo è correlata ai seguenti fattori:
riduzione sostanziale delle nascite durante gli ultimi 20 anni in molti paesi, migrazione dei giovani al di
fuori di alcune aree per motivi economici e riduzione della mortalità globale, compresa quella dovuta a
malattie infettive nei paesi in via di sviluppo e di quella dovuta a malattia coronarica e ictus in Europa e
negli altri paesi sviluppati. Negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, la mortalità dovuta a malattia
coronarica è diminuita di circa il 50% negli ultimi 25 anni.
ANZIANI E SERVIZI SANITARI
Assistere una popolazione sempre in aumento di soggetti anziani, che presentano più patologie e sequele
psicosociali complicanti rispetto alle coorti più giovani, determina una richiesta straordinaria per quanto
riguarda i sistemi sanitari.
Ospedalizzazione
Sebbene costituisca solo il 12% della popolazione degli USA, gli anziani sono responsabili di oltre il 40%
dei giorni di degenza in ospedale. Analoghi dati si hanno anche in Italia: il 33% dei ricoveri ospedalieri e
il 44% dei giorni di degenza erano relativi agli anziani. La loro permanenza nelle strutture ospedaliere è
più prolungata rispetto a quella del resto della popolazione, con una media di circa 9 giorni contro 6.
Visite mediche
Anche il numero delle visite mediche è notevolmente più elevato per gli anziani: in Italia è pari a circa 9
all’anno per gli ultrasessantacinquenni contro il 5 per il resto della popolazione.
Istituzionalizzazione
In base alle statistiche del 1995, circa il 4% degli anziani (l’1% di quelli di età compresa tra 65 e 74 anni;
il 10% degli uomini e il 17% delle donne di 85 anni) in qualsiasi momento può aver bisogno di ricovero
in case per anziani. Tra le persone che raggiungono i 65 anni di età, il 52% delle donne e il 33% degli
uomini trascorre del tempo in una casa per anziani. Tra le donne che muoiono dopo gli 89 anni, il 70% ha
soggiornato per almeno un po’ di tempo in una casa per anziani. Di tutte le persone che vivono in una
casa per anziani, il 45% vi risiede da meno di 1 anno circa, il 55% da più di 1 anno e il 21% da più di
5 anni. Circa il 97% degli ospiti delle case per anziani riceve supporto per una o più delle ADL, il 57%
ha difficoltà nel controllo sfinteriale intestinale e vescicale, il 65% fa uso della sedia a rotelle e il 25% di
un deambulatore. I fattori di rischio per l’istituzionalizzazione comprendono il fatto di essere vedovi, il
vivere da soli, l’avere un supporto familiare e sociale ridotto, l’avere un ridotto reddito, l’essere
mentalmente disorientati o incapaci, il soffrire di condizioni multiple croniche e richiedere assistenza per
le ADL o le IADL o per la deambulazione. I ricoveri nelle case per anziani sono più bassi per i neri che
per bianchi, suggerendo che alcuni fattori, come preferenze culturali e possibilità di assistenza, possono
influenzare il ricovero. Le fonti di pagamento primarie per i residenti in una casa per anziani sono
rappresentate da aiuti sanitari (55,7%); assicurazioni private, reddito personale e supporto familiare
(28,9%); assistenza sanitaria (12,7%); altre assistenze governative e di carità (2,7%).
Ultimo anno di vita
Del totale delle spese per l’assistenza sanitaria per un dato anno, > 25% è destinato ai servizi per
l’arruolamento nell’ultimo anno di vita, con circa la metà di questo denaro speso negli ultimi 60 giorni.
Le spese per l’assistenza sanitaria per tali arruolamenti sono sette volte più alte di quelle dei rimanenti;
comunque, l’assistenza sanitaria paga solo per circa un terzo di tali spese. Importante è il fatto che le
spese prima della morte sono ridotte tra i più anziani rispetto al resto della popolazione in età avanzata. Le
spese durante l’ultimo anno di vita sono correlate anche alla causa di morte; p. es., le spese per
l’assistenza sanitaria sono circa due volte più alte nei pazienti che muoiono di cancro rispetto a quelli che
muoiono per malattie cardiache o cerebrovascolari.

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2. BIOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
Invecchiamento: processo di graduale e spontaneo cambiamento che risulta nella successiva maturazione
dall’età infantile, alla pubertà, e dall’età adulta per poi proseguire verso l’età più avanzata.
Senescenza: processo attraverso il quale la capacità delle cellule di dividersi, crescere e funzionare viene
persa nel tempo, portando, alla fine, all’incompatibilità con la vita; cioè, il processo di senescenza termina
con la morte.
Benché l’invecchiamento includa sia la componente positiva dello sviluppo che la componente negativa
del progressivo declino, il termine senescenza si riferisce solo ai processi degenerativi che alla fine
rendono impossibile continuare a vivere. Non tutti i cambiamenti che si verificano con il passare del
tempo nell’età tardiva sono deleteri (p. es., capelli grigi, calvizie) e alcuni possono anche essere
auspicabili (p. es., aumento della saggezza e dell’esperienza). L’aumento, in relazione all’età, dei livelli
insulinemici e dei grassi corporei, che si verifica nell’età tardiva della vita, può essere utile quando le
possibilità nutrizionali sono inadeguate. Invece, l’alterazione della memoria che si verifica con l’età è
considerata parte della senescenza. La senescenza non ha caratteristiche positive.
La differenziazione tra l’invecchiamento normale e l’invecchiamento sano è utile. L’invecchiamento
normale si riferisce al comune complesso di malattie e alterazioni che caratterizzano molti anziani.
Comunque, le persone invecchiano in maniera differente: alcuni soffrono di malattie e disabilità, mentre
altri sembrano del tutto immuni alle malattie specifiche e si dice che muoiano di vecchiaia. Questi ultimi
possono svolgere una vita piena di attività fino alla morte.
L’invecchiamento sano (in salute) fa riferimento a un processo nel quale gli effetti deleteri sono ridotti
al minimo, la conservazione delle funzioni fino alla senescenza rende impossibile continuare a vivere. Le
persone che invecchiano in salute evitano di sperimentare molte delle caratteristiche indesiderate
dell’invecchiamento. Per esempio, queste ultime possono evitare la quasi completa caduta dei denti, che
generalmente è (e nei diversi popoli) caratteristica tipica e universale delle persone anziane. Gli anziani
possono evitare le complicanze delle vasculopatie, perfino quando il sistema circolatorio continua a
invecchiare, tenendo sotto controllo la glicemia e i livelli di grasso corporeo.
Il concetto di invecchiamento in salute si riferisce all’invecchiamento non necessariamente accompagnato
da malattie debilitanti e da invalidità. Dal momento che la percentuale delle persone con > 65 anni e la
percentuale di quelle > 85 anni è aumentata negli Stati Uniti, la percentuale di persone anziane ricoverate
in case per anziani si è ridotta (al 5,2%). Allo stesso modo, la percentuale di persone di età compresa tra i
75 e gli 84 anni, che presenta invalidità si è ridotta (< 30%), così come la percentuale di persone con
malattie invalidanti. Valori analoghi si osservano anche nella popolazione italiana. Sebbene ci possano
essere delle spiegazioni alternative a questi cambiamenti, una spiegazione valida è l’incremento della
percentuale di persone che invecchiano in salute.
Malattia rispetto all’invecchiamento: sia nel caso dell’invecchiamento che della senescenza, molte
funzioni fisiologiche declinano, ma il normale declino non può essere messo sullo stesso piano della
malattia. La distinzione tra il normale declino e la malattia è spesso, ma non sempre, chiara e può essere
dovuta solo alla distribuzione statistica. L’intolleranza al glucosio è considerata normale
nell’invecchiamento, ma il diabete è considerato una malattia, anche se molto comune. L’incidenza e la
prevalenza del diabete di tipo II aumentano con l’età, così che tra i soggetti con > 75 anni, > 10% ha il
diabete. Il declino delle funzioni cognitive è quasi universale con l’avanzare dell’età ed è considerato
parte del normale invecchiamento; comunque, il declino delle funzioni cognitive è compatibile con la
demenza, sebbene comune nell’età avanzata, è considerato una malattia. Il morbo di Alzheimer è un
processo patologico distinto dal normale invecchiamento, conclusione sostenuta dall’analisi autoptica del
tessuto cerebrale.

INVECCHIAMENTO CELLULARE E MOLECOLARE


Le cellule perdono la loro capacità di dividersi nel tempo, a meno che non subiscano una trasformazione
tumorale. Questo limite della capacità di replicazione cellulare (limite o fenomeno di Hayflick) può essere
dimostrato sui fibroblasti separati dal cordone ombelicale dei neonati e coltivati in vitro. I fibroblasti si
dividono solo fino a quando sono presenti in densità tale da entrare in contatto l’uno con l’altro, fenomeno
chiamato inibizione da contatto. Se diluiti, i fibroblasti si dividono nuovamente fino a raggiungere la
densità massima. Questo processo si può ripetere; comunque, dopo circa 50 mitosi cellulari, i fibroblasti
non si dividono più indipendentemente dalla loro densità. Si pensa che il limite di Hayflick rifletta i
processi che si verificano in vivo; i fibroblasti prelevati da persone anziane tendono a dividersi meno
volte. Alcuni studi hanno dimostrato che la perdita della capacità replicativa non dipende dal tempo totale
di coltura delle cellule (età cronologica), ma dal numero delle divisioni (età biologica).

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Quando le cellule si dividono così tante volte da non potersi dividere ulteriormente, aumentano di volume
e sopravvivono per poco tempo, per poi andare gradualmente incontro a morte. Tali cellule differiscono
nella morfologia e nella funzione dalle cellule giovani che sono ancora in grado di dividersi e dalle cellule
la cui divisione è stata arrestata mediante manipolazione sperimentale.
Ultimamente è stato chiarito uno dei meccanismi biologici alla base del fenomeno di Hayflick. I telomeri
sono parti di DNA localizzate in corrispondenza della parte finale dei cromosomi, che servono come punti
di ancoraggio lungo i quali i cromosomi si muovono durante la telofase della meiosi. I telomeri si
accorciano irreversibilmente ad ogni mitosi. Quando i telomeri diventano troppo corti, la cellula non può
più dividersi.
Nelle cellule trasformate (p. es., tumorali) l’enzima telomerasi allunga i telomeri dopo la telofase. I
telomeri delle cellule trasformate non si accorciano ad ogni mitosi e in questo modo le cellule divengono
immortali, morendo tempo dopo quanto previsto dal limite di Hayflick. Le cellule normali nella fase
postmitotica (tranne che le cellule fetali e le cellule germinali) esprimono la telomerasi a bassi dosaggi e i
loro telomeri si accorciano ad ogni mitosi.
La rilevanza del limite di Hayflick durante la senescenza dell’intero organismo non è chiara. Benché
alcune cellule (p. es., cellule epiteliali intestinali, fibroblasti cutanei) si dividano più o meno
continuativamente durante il corso della vita, difficilmente sono in grado di raggiungere il limite delle 50
divisioni. Anche se lo raggiungono, le cellule che più di frequente causano insufficienza funzionale
durante la senescenza sono probabilmente quelle che si dividono molto poco (cellule del sistema immune
o endocrino) o affatto (neuroni e cellule muscolari). Inoltre, la senescenza nei metazoi costituiti per intero
da cellule postmitotiche è altrettanto prevedibile e consistente di quella dei metazoi costituiti da cellule
mitotiche.
Meccanismi diversi dall’accorciamento della telomerasi possono essere coinvolti nella senescenza. Per
esempio, l’RNA messaggero (mRNA) trasferito da cellule senescenti a cellule giovani arresta la divisione
cellulare nelle cellule giovani. L’RNA agisce come un gerontogene (una mutazione genica che aumenta la
durata della vita), la cui funzione può sembrare quella dei geni onco-soppressori (p. es., p53). Mutazioni
della p53 possono portare alla divisione cellulare incontrollata, al cancro e, spesso, alla morte
dell’organismo. Mutazioni nei gerontogeni aumentano il numero delle divisioni cellulari.
Necrosi e apoptosi: la morte cellulare può verificarsi per necrosi o apoptosi. La necrosi è dovuta ad
alterazioni fisiche o chimiche (p. es., inibizione metabolica, ischemia) che colpiscono i normali processi
cellulari e rendono la cellula non vitale. Nella necrosi, la perdita di gradienti ionici attraverso la
membrana cellulare porta all’ingresso di calcio e altri ioni, che stimola la proteolisi e la rottura delle
membrane degli organelli citoplasmatici. La necrosi è un fenomeno puramente entropico dovuto alla
perdita dell’abilità delle cellule a trasformare l’energia esterna.
Al contrario, l’apoptosi è altamente controllata, si tratta infatti di un processo sistematico attraverso il
quale una cellula essenzialmente commette suicidio; di solito, lo stimolo per l’apoptosi è un segnale
fisiologico o un insulto molto lieve. Una caratteristica tipica dell’apoptosi è la frammentazione del DNA
cellulare, causata dall’attivazione controllata della desossiribonucleasi. Comunque, diversi altri processi
biochimici che portano a morte la cellula sono indotti contemporaneamente. L’apoptosi è essenziale per il
normale sviluppo e rimodellamento del corpo.
L’apoptosi è stata implicata in diverse malattie correlate all’età, compreso il morbo di Alzheimer. Il fatto
che la morte cellulare in relazione all’età sia dovuta primariamente a necrosi o ad apoptosi implica che
l’invecchiamento venga considerato il risultato di processi entropici (se dovuto soprattutto a necrosi) o di
processi più regolati relativamente più semplici (se dovuto principalmente ad apoptosi).

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3. CONSERVARE SALUTE E QUALITA’ DI VITA
L’età del paziente non deve influenzare l’approccio all’assistenza (p. es., risolvere il dolore, curare
quando possibile) o agli obiettivi terapeutici (cioè, ottima qualità di vita in relazione alla salute,
indipendenza, esiti compatibili con le credenze e gli obiettivi del paziente).
La qualità della vita è un concetto intensamente personale e variabile. La maggior parte delle persone è
confortante quando parla della propria qualità di vita, ma diventa incerta e riluttante quando le si chiede di
determinare la qualità di vita degli altri. Quindi, nell’assistenza sanitaria, la qualità di vita in relazione alla
salute è valutata meglio sulla base dell’esperienza del paziente. Le frequenti franche discussioni con il
paziente circa gli scopi e le aspirazioni di vita (p. es., basate su credenze religiose o esperienze pregresse,
relativamente all’assistenza sanitaria) e la percezione della qualità della vita legata alla salute, aiutano il
medico ad agire sul paziente. Questionari e altri strumenti che misurano la qualità della vita relativamente
alla salute (studiati a scopo di ricerca) di rado sono utili clinicamente.
Gli obiettivi terapeutici sono guidati meglio dalle misure oggettive, come la presenza e la gravità del
disturbo mentale o del dolore fisico, e dalla probabilità che il trattamento ristabilisca lo stile di vita e il
piacere di vivere o determini sofferenza. Gli effetti avversi di un test diagnostico o di un trattamento
proposti (p. es., complicanze mediche, fastidio, disagio, tentazione di eseguire ulteriori test diagnostici o
terapie) devono essere bilanciati in rapporto al potenziale beneficio; condizioni coesistenti possono
influenzare il rapporto rischio-beneficio, ma la necessità di modificare la terapia non deve essere
influenzata dall’età del paziente.
Alcuni studiosi di etica hanno proposto l’età come un criterio per razionare o negare il trattamento
specifico e la palliazione come l’unico trattamento disponibile per i pazienti malati con > 75 anni.
Ignorare le caratteristiche individuali (specialmente lo stato funzionale) e le preferenze nell’assistenza
sanitaria fra le persone anziane, tali proposte probabilmente creano più danni che beneficio per i pazienti
e la società. Diversi fenomeni prevalenti con l’età avanzata influenzano gli obiettivi terapeutici. La
malattia cronica accompagnata da invalidità fisica, dolore e sofferenza, alterazione cognitiva,
confinamento istituzionale (p. es., in una casa di assistenza), ridotta aspettativa di vita, uso massivo delle
risorse dell’assistenza sanitaria, perdite, dipendenza dalla famiglia e dagli amici e isolamento sociale
vanno considerati nella pianificazione dell’assistenza sanitaria.
Malattia cronica
Negli Stati Uniti, > 80% delle persone non istituzionalizzate con > 65 anni ha almeno un malattia cronica
e circa il 50% ha alcune limitazioni nell’effettuare le attività quotidiane (> 33% non può eseguire
indipendentemente le attività principali). Circa il 5% delle persone con > 65 anni, circa il 15% di quelle di
> 75 anni e circa il 25% di quelle con > 80 anni è costretta a casa. La malattia cronica causa l’80% di
decessi dopo i 65 anni e rende ragione di > 80% delle spese per l’assistenza sanitaria negli Stati Uniti.
Comunque, anche il 50% delle persone con > 40 anni ha almeno una malattia cronica. Perciò, il sistema
sanitario riguardo gli anziani deve essere orientato verso l’assistenza per le malattie croniche, senza
badare all’età del paziente, e deve sottolineare la continuità delle cure allo scopo di migliorare la
funzione, posporre il deterioramento e l’invalidità e prevenire le complicanze. I dati italiani sono
analoghi.
Dolore e sofferenza
Il dolore altera la funzione, variando da un declino minimo e praticamente poco rilevante all’invalidità e
all’immobilizzazione. Scale oggettive del dolore misurano realmente l’intensità del dolore, sia
assolutamente che relativamente, nel tempo. La valutazione della gravità del dolore come esso viene
percepito dal paziente e dei suoi effetti sul riposo, l’attività e la qualità di vita permette al medico di
stabilire quando il focus del trattamento deve portare sollievo al dolore e alla sofferenza. Le ultime
evidenze suggeriscono che la paura di dipendenza e altre complicanze (p. es., cadute, delirio) hanno
portato a una riduzione significativa della terapia del dolore nei pazienti fragili e istituzionalizzati.
Sebbene questi concetti siano legittimi, essi devono essere valutati alla luce dell’obiettivo di portare
sollievo al dolore e alla sofferenza. Il sollievo può essere ottenuto mediante una combinazione di farmaci
analgesici appropriati, somministrati a dosi modificate, e all’uso di misure non farmacologiche.
Compromissione cognitiva
La valutazione della gravità e degli effetti funzionali della compromissione cognitiva assicura che il
paziente capisca e, se possibile, dia il consenso al trattamento. Spiegare i rischi e i benefici a un paziente
con compromissione cognitiva, sebbene complicato e lungo, è essenziale per un’assistenza di buona
qualità. Quando il paziente non può partecipare a tali discussioni, la famiglia o gli amici che hanno
dimestichezza con le preferenze e lo stile di vita del paziente possono fornire informazioni utili nel
prendere le decisioni circa il trattamento. Le volontà, scritte prima che il paziente presenti
compromissione cognitiva, sono utili.
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Confinamento istituzionale
Tra gli ospiti delle case per anziani, la prevalenza delle caratteristiche che possono influenzare gli
obiettivi terapeutici è sproporzionatamente elevata. L’aspettativa di vita ridotta, la povertà, l’alterazione
cognitiva, l’invalidità fisica, la malattia cronica, il dolore e la sofferenza, le perdite e l’isolamento sociale
sono comuni. Nondimeno, va considerato il modo nel quale gli ospiti vedono la loro qualità di vita in
rapporto alla salute. Discutere le problematiche relative al trattamento con il paziente, la famiglia o
persone vicine, usando termini comprensibili, e rispettare l’autonomia sono fattori cruciali, senza badare
all’età del paziente o alla sua dimora.
Aspettativa di vita ridotta
Nel considerare un trattamento, un paziente deve essere informato dei suoi potenziali effetti collaterali e
delle altre conseguenze. Un paziente può scegliere di non fare il trattamento, se l’estensione della vita sarà
trascorsa probabilmente in un stato snervante e nauseato. Quando la prognosi è scarsa, il trattamento deve
essere progettato alla luce di un’aspettativa di vita breve; l’età del paziente non è importante.
L’aspettativa di vita basata sulle predizioni correlate a una coorte (p. es., 20 anni per una donna di 65
anni, 15 per un uomo di 65) non può essere il solo criterio. Per esempio, un 82enne ha un’aspettativa
media di vita di “solo” 5,3 anni; perciò, si deve rifiutare il bypass coronarico con un’alta probabilità di
migliorare la funzione? Sebbene l’aspettativa media di vita per una donna di 75 anni sia di 12 anni, la
stima dei rischi per il declino funzionale e per la sopravvivenza, basata su caratteristiche cliniche
individuali e demografiche, è essenziale per una predizione più accurata degli esiti e per decidere il
vantaggio dell’intervento. Per le persone anziane che hanno pochi giorni, settimane o mesi, conservare la
vita attraverso interventi medici eroici o ordinari può essere più importante. Determinare di procedere con
interventi maggiori richiede l’analisi dei probabili esiti e la condivisione dei risultati di questa analisi con
il paziente. Solo allora il paziente può prendere una decisione compatibile con i valori personali e
obiettivi. Tutti i pazienti devono documentare i loro desideri nelle proprie volontà.

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4. PREVENIRE LE MALATTIE PIU’ FREQUENTI
Per gli anziani, la prevenzione si focalizza principalmente sulla malattia, la fragilità, gli incidenti (cioè,
lesioni non intenzionali), complicanze iatrogene e problemi psicosociali. Non tutti i pazienti anziani
beneficiano di ogni misura preventiva; l’efficacia varia in base alla salute fisica del paziente, alla capacità
funzionale e allo stato cognitivo.
La scelta delle misure preventive è guidata dalle condizioni generali del paziente, cioè, sano (60-75%
degli anziani), con malattia cronica (20-35%) o fragile (2-10%). Gli anziani sani non hanno malattie
croniche o, al massimo, piccoli disturbi e sono funzionalmente indipendenti. La prevenzione primaria e
secondaria della malattia e la prevenzione della fragilità sono le misure preventive più adeguate per
questo gruppo. Gli anziani con malattie croniche hanno in genere disordini non curabili, sono di solito
funzionalmente indipendenti o minimamente dipendenti, spesso prendono diversi farmaci e
occasionalmente sono ospedalizzati per esacerbazioni della malattia cronica. La prevenzione terziaria
della malattia e la prevenzione della fragilità sono priorità nei malati cronici, seguite dalla prevenzione
primaria e secondaria della malattia e dalla prevenzione delle complicanze iatrogene e degli incidenti. Gli
anziani fragili solitamente hanno molte malattie croniche gravi, sono funzionalmente dipendenti e hanno
perso le loro riserve fisiologiche. Sono frequentemente ospedalizzati e istitutionalizzati. La prevenzione
degli incidenti e delle complicanze iatrogene è il fatto più importante.
Alcune misure preventive sono applicabili a tutte le persone anziane. L’esercizio può aiutare a prevenire
la fragilità. Negli anziani fragili, può aiutare a preservare la capacità funzionale e a ridurre l’incidenza
degli incidenti. La vaccinazione antiinfluenzale annuale e la vaccinazione antipneumococcica (necessaria
una sola volta, eccetto per pazienti ad alto rischio) sono efficaci e associate a morbilità minima.
Paziente e problematiche assistenziali: le persone anziane sane devono andare dal medico di base
almeno una volta l’anno per assicurare nel tempo il completamento delle attività di prevenzione primaria
e secondaria della malattia. Seguire un sano esercizio fisico e una dieta equilibrata così come gli altri
comportamenti preventivi aiuta a prevenire la fragilità e molte malattie individuali. I malati cronici e chi
si occupa di loro devono essere informati circa la malattia e i piani di trattamento. La visita medica
regolare e la comunicazione rapida dei cambiamenti dei sintomi possono aiutare a ridurre la gravità delle
esacerbazioni della malattia, che può portare alla ospedalizzazione e al declino funzionale.
Chi si occupa dell’anziano fragile deve attuare assiduamente un programma di prevenzione degli incidenti
domestici, completando una lista di sicurezza e altre misure preventive. Chi si occupa del paziente deve
essere vigile anche per sottili modificazioni funzionali nell’anziano e riferirle prontamente al personale
sanitario. Se un paziente riconosce diverse necessità, specialmente quando accoppiate con declino
funzionale, chi si occupa del paziente deve ricercare l’assistenza di un gruppo interdisciplinare di
geriatria.

Disordine da identificare
Atto medico Frequenza
o prevenire
Misurazione della pressione Ogni 2 anni se < 140/85 mm Hg; una volta l’anno se
Ipertensione
arteriosa diastolica 85-89 mm Hg
Obesità, malnutrizione Misurazione dell’altezza e del peso Almeno una volta l’anno
Cancro
Mammella Mammografia Ogni 1-2 anni †
Cervicale, uterino Test di Papanicolaou Almeno ogni 3 anni
Colon Sangue occulto nelle feci Una volta l’anno
Sigmoidoscopia Ogni 3-5 anni §
Deficit uditivo Audiometria Una volta l’anno
Deficit visivo Controllo visivo Una volta l’anno
Alcolismo Questionario per lo screening Alla prima visita e quando si sospetta tale problema
Influenza Vaccinazione contro l’influenza Vaccinazione annuale ||
Infezione pneumococcica Vaccinazione anti-pneumococco Una volta a 65 anni ¶
Tetano Richiamo antitetanica Ogni 10 anni #
† Deve essere continuata nelle donne di > 70 anni se hanno una ragionevole speranza di vita. Deve essere sospeso all’età di 65
anni in donne che sono state testate regolarmente per tutta la vita adulta senza risultati anormali; per le donne che non sono mai
state testate, può essere sospeso se due Pap-test eseguiti a 1 anno di distanza mostrano risultati normali.
§ Non è chiaro se sia più efficace la ricerca del sangue occulto nelle feci o la sigmoidoscopia nello screening del cancro del
colon.
|| Per persone ad alto rischio di influenza A (p. es., epidemie in comunità), l’amantadina o la rimantadina possono essere iniziate
al momento della vaccinazione e continuate per 2 sett.
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¶ Raccomandata per persone immunocompetenti con 65 anni, adulti immunocompromessi con aumentato rischio di infezione da
pneumococco, e adulti con infezione da HIV asintomatica o sintomatica. La rivaccinazione con il vaccino polivalente 23
dovrebbe essere presa seriamente in considerazione per quelle persone che hanno ricevuto il vaccino polivalente 14 se sono ad
altissimo rischio di infezione pneumococcica fatale (p. es., pazienti asplenici). Inoltre, la rivaccinazione deve essere presa in
considerazione per adulti ad altissimo rischio che hanno ricevuto il vaccino polivalente 23 6 anni prima e per quelli che
mostrano un rapido declino dei livelli anticorpali contro lo pneumococco.
# Intervalli da 15-30 anni tra i richiami sono essere probabilmente adeguati per i pazienti che hanno ricevuto una serie completa
di 5 dosi nell’infanzia.

Strategie di prevenzione delle comuni malattie croniche


Malattia Strategia preventiva
Patologia cardiovascolare Trattamento dell’ ipertensione; smettere di fumare; riduzione del peso; riduzione dei
aterosclerotica (coronaropatia, ictus) grassi saturi e del colesterolo alimentare; aumento dell’esercizio aerobico
Aumento dell’esercizio aerobico ; smettere di fumare; riduzione dei grassi alimentari;
Cancro riduzione dell’assunzione di cibo salato o affumicato; esposizione minimizzata a
radiazioni e sole
Broncopneumopatia cronica ostruttiva Smettere di fumare
Diabete mellito (tipo II) Riduzione del peso; dieta compatibile con la prevenzione dell’ aterosclerosi
Ipertensione Riduzione del contenuto di sodio della dieta; riduzione del peso
Osteoartrosi Riduzione del peso
Mantenimento del calcio alimentare; esercizio fisico regolare; smettere di fumare; evitare
Osteoporosi
alcol eccessivo

PREVENZIONE DELLA FRAGILITÀ


La fragilità si riferisce a una perdita di riserve fisiologiche che rende una persona suscettibile di invalidità
per stress minori. Caratteristiche comuni della fragilità comprendono debolezza, perdita di peso,
distruzione muscolare (sarcopenia), intolleranza allo sforzo, cadute frequenti, immobilità, incontinenza e
instabilità delle malattie croniche.
L’esercizio e una dieta sana sono raccomandati per prevenire o ridurre la fragilità, benché l’evidenza
dell’efficacia sia limitata. L’esercizio può ridurre il rischio di diventare fragili per i giovani e il rischio di
ulteriore perdita funzionale per le persone anziane con perdite funzionali. Gli anziani che praticano
esercizio aerobico regolare (p. es., camminare, nuotare, correre) presentano fino al 50% di riduzione della
mortalità e hanno un declino funzionale ridotto in confronto a quelli che sono sedentari. L’allenamento
consente di aumentare la massa ossea, mentre diminuisce il rischio di cadute e di fratture. Una dieta sana
può prevenire o ridurre il rischio di molti disordini che contribuiscono alla fragilità, compresi alcuni tipi
di cancro (mammella e colon), l’osteoporosi, l’obesità e la malnutrizione e può ridurre la morbilità e la
mortalità.

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5. LE GRANDI SINDROMI GERIATRICHE
I. INCONTINENZA URINARIA E FECALE
Incontinenza urinaria
Dall’8 al 34% degli anziani residenti nella collettività soffre di incontinenza urinaria; la percentuale è
maggiore tra le donne che tra gli uomini e l’incontinenza urinaria colpisce > 50% dei pazienti ricoverati
negli ospedali e residenti nelle case di cura. Tuttavia, l’incontinenza urinaria è un fenomeno anormale,
indipendentemente dall’età, dalla mobilità, dalle condizioni mentali o dalla debolezza costituzionale.
Inoltre, essa è di frequente causa di imbarazzo, isolamento, discriminazione, depressione e regressione;
gli anziani incontinenti spesso vengono ricoverati in istituti di cura, poiché l’incontinenza comporta un
carico assistenziale notevole. Questa condizione rimane tuttora un problema trascurato, nonostante abbia
un notevole margine di trattamento e sia, spesso, curabile.
La continenza necessita di uno stimolo da parte del SNC e dell’integrità della funzione delle vie urinarie
inferiori, oltre a livelli adeguati di attività mentale, mobilità, motivazioni e destrezza manuale. Il ruolo del
SNC è complesso e non è stato ancora compreso del tutto. Complessivamente, a livello del SNC avviene
l’integrazione del controllo delle vie urinarie. Il centro pontino della minzione media la sincronia tra la
contrazione del detrusore e il rilasciamento dello sfintere, mentre centri più elevati, situati nel lobo
frontale, nei gangli della base e nel cervelletto, esercitano effetti inibitori e facilitatori. Dal momento che
la funzione delle vie urinarie inferiori coinvolge un così alto numero di centri del SNC, la ricaduta che
hanno su di essa malattie come l’ictus e la demenza, che raramente interessano un solo centro nervoso,
spesso è difficile da prevedere. Per esempio, l’iperattività del detrusore non è più frequente nei pazienti
dementi di quanto non lo sia in quelli con funzioni cognitive intatte.
Con l’età, la capacità e la contrattilità della vescica e la capacità di ritardare la minzione si riducono; le
contrazioni vescicali non inibite si fanno più frequenti. Il volume del residuo postminzionale aumenta, ma
probabilmente fino a valori £ 50-100 ml. La lunghezza dell’uretra e la forza dello sfintere decrescono
nelle donne, mentre nella gran parte degli uomini aumentano le dimensioni della prostata. I liquidi assunti
giornalmente sono eliminati più tardi nel corso della giornata e durante la notte. Queste modificazioni
aumentano la probabilità che insorga un’incontinenza negli anziani, ma da sole non sono in grado di
causarla.
Eziologia
L’incontinenza si può classificare secondo la durata della sintomatologia, la presentazione clinica o la sua
alterazione fisiologica. Clinicamente, tuttavia, è più agevole distinguere tra cause transitorie e cause che
riflettono una disfunzione intrinseca delle vie urinarie (che procurano incontinenza urinaria stabilizzata).
Le prime, di solito, riflettono problemi che stanno al di fuori delle vie urinarie.
Incontinenza transitoria: è inconsueta nelle persone più giovani, ma è comune tra gli anziani, nei quali
va sempre presa in considerazione. Le cause reversibili possono essere ricordate usando la formula
mnemonica DIAPPERS: Delirio, Infezioni (delle vie urinarie, sintomatiche), uretrite e vaginite Atrofica,
farmaci (Pharmaceuticals), disturbi Psichiatrici (specialmente depressione), diuresi Eccessiva (p. es., da
iperglicemia), mobilità limitata (Restricted) e fecalomi (Stool impaction). Bisogna diagnosticare e trattare
la causa sottostante. L’incontinenza transitoria non trattata può divenire persistente, ma non si deve
considerare stabilizzata per il solo fatto che è presente da lungo tempo.
Nei pazienti con delirio, l’incontinenza si riduce non appena la causa di fondo del delirio viene
identificata e trattata.
Le infezioni delle vie urinarie (IVU) sintomatiche sono una causa di incontinenza transitoria, anche nelle
donne giovani, se la disuria e l’urgenza minzionale sono così gravi da impedirle di raggiungere il bagno
prima di urinare. Le IVU asintomatiche, molto più frequenti nell’anziano, non provocano incontinenza.
L’uretrite e la vaginite atrofica, in post-menopausa, causano spesso l’insorgere di una sintomatologia a
carico delle vie urinarie inferiori. L’uretrite atrofica causa una riduzione dell’epitelio e della sottomucosa
del rivestimento uretrale, che predispone all’irritazione locale e alla perdita dell’aderenza mucosa.
L’incontinenza associata all’uretrite atrofica è caratterizzata spesso da urgenza minzionale e disuria. La
terapia si avvale degli estrogeni per via topica o sistemica.
L’assunzione di alcol e di farmaci è una causa frequente di incontinenza transitoria negli anziani.
Altri disturbi psichiatrici che causano incontinenza non sono stati ancora studiati a fondo; però, è
probabile che negli anziani siano meno frequenti che nelle persone più giovani. L’intervento iniziale è
rivolto al disturbo psichiatrico, che di solito è rappresentato da una depressione grave o da una nevrosi
che accompagna il paziente da sempre.
La diuresi eccessiva è causata dall’assunzione di grandi quantità di liquidi, dall’uso di diuretici (compresi
la caffeina e l’alcol) e da alterazioni metaboliche (p. es., iperglicemia, ipercalcemia). L’incontinenza
notturna può essere provocata o esacerbata da patologie che causano edemi periferici ed escrezione

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notturna eccessiva, come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza venosa periferica, l’ipoalbuminemia e
l’assunzione di farmaci (p. es., antiinfiammatori non steroidei, Ca-antagonisti diidropiridinici).
La mobilità limitata può impedire al paziente di raggiungere il bagno e può essere la conseguenza di
impedimenti fisici, di restrizioni patologiche (p. es., immobilizzazione a letto o su una sedia) oppure di
fattori meno eclatanti, ma correggibili (p. es., ipotensione ortostatica o postprandiale, lesioni ai piedi,
scarpe scomode, riduzione della vista, paura di cadere). Se la mobilità non può essere migliorata,
l’incontinenza si può risolvere o alleviare con un urinale o con una comoda posta accanto al letto.
I fecalomi causano incontinenza urinaria, soprattutto negli anziani. Il meccanismo può coinvolgere la
stimolazione dei recettori per gli oppioidi o un disturbo meccanico sulla vescica o sull’uretra. I pazienti
con fecaloma, di solito, hanno sintomi di urgenza minzionale o di incontinenza paradossa, tipicamente
associati a incontinenza fecale. La rimozione del fecaloma ristabilisce la continenza.
Incontinenza stabilizzata: se la perdita persiste dopo il trattamento delle cause transitorie di
incontinenza, bisogna prendere in considerazione l’incontinenza stabilizzata dovuta ad affezioni delle vie
urinarie inferiori. Di solito, le disfunzioni delle vie urinarie inferiori sono simili nelle persone anziane e in
quelle più giovani, anche se l’incidenza delle patologie specifiche varia con l’età.
L’iperattività del detrusore (contrazioni involontarie della vescica) è la causa principale di incontinenza
che origina dalle vie urinarie negli anziani, indipendentemente dalle condizioni mentali, ed è frequente
anche nei soggetti più giovani. È tipico il riscontro di pollachiuria e di urgenza minzionale che si presenta
all’improvviso. Il volume della perdita varia da moderato ad ampio; la nicturia e l’enuresi sono frequenti;
la sensibilità e i riflessi sacrali e il controllo volontario dello sfintere anale sono mantenuti. Il residuo
postminzionale è basso; un volume residuo > 50-100 ml evidenzia un’ostruzione all’efflusso (anche se,
nelle fasi precoci, il volume residuo può essere nullo), un ampio diverticolo vescicale, un ristagno delle
urine in un cistocele (nelle donne) o un’iperattività del detrusore con calo della contrattilità (Detrusor
Hyperactivity with Impaired Contractility, DHIC). Il riscontro di un ampio residuo postminzionale è
frequente nei pazienti con morbo di Parkinson, lesioni del midollo spinale o neuropatia diabetica.
Nell’anziano, l’iperattività del detrusore può coesistere con una compromissione della contrattilità, dando
luogo a una DHIC. Questa si associa a urgenza minzionale, pollachiuria, ipovalidità del mitto, residuo
postminzionale significativo e trabecolatura vescicale e si può confondere con un’ipertrofia prostatica
nell’uomo o con un’incontinenza da sforzo nella donna. Poiché nella DHIC la contrazione della parete
vescicale è debole, la ritenzione urinaria è frequente e può interferire con la terapia miorilassante della
vescica.
L’incompetenza sfinterica è la causa più frequente di incontinenza nelle donne più giovani e la seconda
nelle donne anziane. L’incompetenza sfinterica si manifesta come incontinenza da sforzo: perdita
istantanea di urina (senza contrazione vescicale) durante le manovre che richiedono uno sforzo: tossire,
ridere, piegarsi in avanti, sollevare un peso. In genere, è dovuta alla lassità dei muscoli o dei legamenti del
pavimento pelvico. Una causa meno frequente è il deficit sfinterico intrinseco, di solito dovuto a lesioni
chirurgiche, ma che può essere conseguenza di un’atrofia uretrale; la perdita urinaria può verificarsi anche
quando il paziente è in posizione eretta o siede tranquillamente. La perdita da sforzo può verificarsi in
presenza di ritenzione urinaria, ma non come risultato di un’incompetenza sfinterica. Negli uomini,
l’incontinenza da sforzo è dovuta in genere a una lesione sfinterica conseguente a una prostatectomia
radicale.
L’ostruzione dello sbocco vescicale è la seconda causa più frequente di incontinenza maschile, ma gran
parte degli uomini con ostruzione non è incontinente. Le cause più comuni sono l’iperplasia prostatica
benigna, il carcinoma della prostata e la stenosi uretrale. Nelle donne, l’ostruzione dello sbocco vescicale
è rara, ma può insorgere nei soggetti in precedenza sottoposti a un intervento chirurgico per incontinenza
o portatori di un voluminoso cistocele che prolassa e angola l’uretra sotto sforzo minzionale. In entrambi i
sessi, se si sviluppa un’iperattività secondaria del detrusore, può insorgere incontinenza da urgenza e, se
sopravviene uno scompenso detrusoriale, ne può conseguire un’iscuria paradossa.
L’ostruzione dovuta a patologie neurologiche è sempre associata a una lesione del midollo spinale.
L’interruzione delle vie nervose dirette al centro pontino della minzione, dove avviene il coordinamento
tra il rilasciamento dello sfintere e la contrazione della parete vescicale, provoca una dissinergia
detrusorio-sfinterico. Invece di rilasciarsi quando la vescica si contrae, lo sfintere si contrae anch’esso,
causando una grave ostruzione all’efflusso con notevole trabecolatura, diverticoli, deformazione ad
“albero di Natale” della vescica, idronefrosi e insufficienza renale.
Un’ipoattività del detrusore sufficiente a provocare ritenzione urinaria e iscuria paradossa avviene nel
5% circa delle persone incontinenti. Le cause sono lesioni dei nervi afferenti alla vescica (p. es., da
compressione discale o da coinvolgimento tumorale) o neuropatia autonomica del diabete, del morbo di
Parkinson, dell’alcolismo e della tabe dorsale. Negli uomini con ostruzione cronica dello sbocco
vescicale, il detrusore può essere sostituito da tessuto fibroso; il che rende impossibile lo svuotamento
della vescica anche se l’ostruzione viene rimossa. Nelle donne, in genere, l’ipoattività del detrusore è
idiopatica.
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La sintomatologia dell’ipoattività grave del detrusore (p. es., urgenza minzionale, pollachiuria, nicturia)
può essere simile a quella dell’iperattività e prima di istituire una terapia per questa, va esclusa la
presenza di una ritenzione urinaria. Una debolezza vescicale di minore entità è molto frequente nelle
donne anziane. Sebbene una debolezza di grado lieve non provochi incontinenza, può ugualmente rendere
problematica la terapia, se coesistono altre cause di incontinenza.
I problemi funzionali negli anziani (p. es., ambiente, condizioni mentali, mobilità, destrezza manuale,
fattori medici, motivazione), spesso si aggiungono alle disfunzioni delle vie urinarie inferiori. Questi
fattori possono contribuire all’insorgenza di un’incontinenza stabilizzata, ma raramente ne sono la causa.
Sintomi e segni
Molti sintomi e segni sono specifici del disturbo che provoca l’incontinenza.
L’urgenza minzionale (sensazione improvvisa che la minzione sia imminente, a prescindere dal tempo
trascorso e dall’entità della perdita seguente) è un segno attendibile di iperattività del detrusore. Se un
paziente con urgenza minzionale abbia anche una perdita e di che entità essa sia, dipende dal volume
vescicale, dalla portata dei sintomi di avvertimento, dalla possibilità di raggiungere un bagno, dal grado di
mobilità e dal fatto se il rilasciamento sfinterico che accompagna il sintomo possa essere superato. Nei
pazienti che non hanno alcun sintomo di avvertimento dell’imminenza della minzione (fenomeno spesso
definito incontinenza riflessa o inconscia), anche la fuoriuscita improvvisa di urina, senza manovre di
sforzo, è dovuta quasi invariabilmente a un’iperattività del detrusore.
La pollachiuria (> 7 minzioni/die) è un sintomo aspecifico. Anche se può dipendere dall’iperattività del
detrusore, può anche derivare dall’abitudine di mingere prima che la vescica sia piena, dall’iscuria
paradossa, dall’urgenza minzionale sensitiva, dalla presenza di una vescica stabile, ma poco elastica, dalla
depressione, dall’ansia o da una produzione eccessiva di urine (p. es., da diabete, ipercalcemia o apporto
elevato di liquidi). Invece, se le persone con iperattività del detrusore riducono fortemente l’apporto di
liquidi, è possibile che urinino poco frequentemente.
La nicturia (³ 2 minzioni/notte) va inserita nel contesto generale; p. es., due episodi possono essere
normali per una persona che dorme 10 h, ma non per chi ne dorme 4. In generale, le persone più giovani
eliminano gran parte dei liquidi assunti prima di dormire, ma molti anziani sani li eliminano durante la
notte. Le tre cause principali di nicturia sono la diuresi eccessiva, i disturbi del sonno e le disfunzioni
della vescica e delle vie urinarie inferiori. La capacità funzionale della vescica, definita come il maggior
volume urinario eliminato con una singola minzione riportata nel diario minzionale, può fornire
un’indicazione importante: se il volume della maggior parte delle minzioni notturne è molto inferiore alla
capacità funzionale, il paziente è affetto da un disturbo del sonno (urina perché, in ogni caso, è sveglio) o
da un problema vescicale. Qualunque ne sia la causa, in genere la nicturia è trattabile.
La sintomatologia ostruttiva e irritativa non è specifica dell’iperplasia prostatica benigna o dell’ostruzione
dello sbocco vescicale, specialmente negli anziani di sesso maschile. Circa un terzo degli uomini nei quali
inizialmente viene posta indicazione alla prostatectomia, a causa della presenza di sintomi ostruttivi, non
ha un’ostruzione; questi soggetti hanno, invece, un’iperattività del detrusore, che l’intervento chirurgico
non potrà migliorare o potrà addirittura aggravare. Il punteggio della sintomatologia prostatica può essere
utilizzato per valutare la gravità dei sintomi, ma non va impiegato per lo screening o per la diagnosi
dell’iperplasia prostatica benigna. A tutti i pazienti, o alle persone che prestano loro assistenza, bisogna
chiedere quali siano i sintomi minzionali più fastidiosi. Per esempio, anche se una donna può avere
un’incontinenza mista da sforzo e da urgenza, la componente legata all’urgenza può essere più fastidiosa
e deve rappresentare l’obiettivo principale della valutazione e del trattamento. Un uomo affetto da
ipertrofia prostatica può lamentarsi soprattutto della nicturia, alla quale si può porre rimedio anche senza
trattare l’ingrossamento della ghiandola.
Diagnosi
Un diario minzionale, tenuto per 48-72 h dal paziente o da chi gli presta assistenza, è una registrazione del
volume e dell’orario di ogni minzione e di ogni episodio di incontinenza. Il diario minzionale è una delle
componenti più importanti della valutazione del paziente: fornisce indicazioni preziose sulla causa
dell’incontinenza e aiuta a concepire una strategia terapeutica.
L’esame obiettivo è importante per escludere le cause di incontinenza transitoria, per identificare le
patologie sottostanti gravi e le cause di incontinenza stabilizzata e per valutare le affezioni concomitanti e
la capacità funzionale. L’esame neurologico aiuta a rivelare la presenza di delirio, demenza, ictus, morbo
di Parkinson, compressione del midollo spinale e neuropatia (autonomica o periferica). Inoltre, bisogna
ricercare la presenza di deformità della colonna vertebrale o di fossette che suggeriscono la disrafia, di
una distensione vescicale (indicativa di astenia della vescica o di ostruzione dello sbocco) e di
un’incontinenza da sforzo.
Con l’esplorazione rettale si deve verificare l’esistenza di fecalomi, masse o noduli prostatici e si devono
esaminare i riflessi sacrali e la simmetria delle pieghe glutee. Le dimensioni della prostata, stabilite con la
palpazione, sono poco correlate con il grado di ostruzione dello sbocco vescicale. Il resto
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dell’esplorazione rettale è in realtà un dettagliato esame neuro-urologico, perché le stesse radici nervose
sacrali (S2-4) innervano lo sfintere uretrale esterno e lo sfintere anale. Introducendo un dito nel retto del
paziente, l’esaminatore valuta l’innervazione motoria mentre il paziente contrae e rilascia volontariamente
lo sfintere anale. L’altra mano viene posta sull’addome del paziente per esaminare l’eventuale contrazione
della muscolatura addominale, che può simulare quella dello sfintere. Molti pazienti anziani con funzioni
neurologiche integre non riescono a contrarre volontariamente lo sfintere. In ogni caso, la presenza di una
contrazione sfinterico efficace depone contro l’esistenza di una lesione midollare. L’innervazione si può
valutare ulteriormente esaminando il riflesso anale (S4-5) e quello bulbospongioso (S2-4). Tuttavia,
l’assenza di questi riflessi (specialmente del riflesso anale) non è necessariamente patologica, né la loro
presenza esclude la possibilità di un’ipoattività del detrusore (p. es., dovuta a neuropatia diabetica).
Infine, si valuta l’innervazione afferente esaminando la sensibilità perineale.
In tutte le donne incontinenti bisogna procedere all’esame della pelvi. La lassità della muscolatura pelvica
può provocare l’insorgenza di un cistocele, un enterocele, un rettocele o un prolasso uterino. La
protrusione della parete anteriore associata alla fissità di quella posteriore indica un cistocele, mentre la
protrusione della parete posteriore indica un rettocele o un enterocele. La lassità della muscolatura del
pavimento pelvico, a meno che non sia grave (nel qual caso il prolasso può angolare l’uretra e provocare
ostruzione), dà poche informazioni sulla causa dell’incontinenza. A un cistocele, infatti, può associarsi
un’iperattività del detrusore, mentre l’incontinenza da sforzo può insorgere in assenza di cistoceli.
Va ispezionata la vagina alla ricerca di eventuali segni di vaginite atrofica, caratterizzata da eritema
mucoso, dolorabilità, friabilità, petecchie, teleangiectasia o erosioni vaginali. L’atrofia vaginale (non
associata a incontinenza) è caratterizzata dalla perdita delle pliche rugose e da una mucosa sottile e
lucente. Un indice di maturazione citologica che mostra il 100% di cellule parabasali indica la presenza di
un’atrofia, ma non necessariamente quella di una vaginite atrofica.
La prova da sforzo, se eseguita correttamente, ha una sensibilità e una specificità > 90%. A vescica
piena, il paziente assume una posizione più vicina possibile alla stazione eretta, distende le gambe,
rilascia la muscolatura perineale ed esegue un singolo colpo di tosse vigoroso. Il test è positivo se si
osserva una perdita immediata di urina che comincia e si esaurisce con il colpo di tosse. Risultati falsi
negativi possono verificarsi se il paziente non rilascia la muscolatura perineale, se la vescica non è piena,
se il colpo di tosse non è abbastanza energico o se il test è eseguito in stazione eretta in una donna
portatrice di un cistocele di grandi dimensioni. In questo caso, la prova va ripetuta con la paziente in
posizione supina e, se possibile, dopo aver ridotto il cistocele. Una perdita tardiva o persistente suggerisce
la presenza di un’iperattività del detrusore (scatenata dalla tosse), più che di un’incompetenza sfinterica.
L’esecuzione del test in un momento in cui il paziente accusa un’improvvisa urgenza minzionale
(possibile conseguenza di un’iperattività del detrusore) può causare risultati falsamente positivi.
L’osservazione della minzione dà molte informazioni riguardo alla funzione vescicale e uretrale. Se
l’osservazione non è possibile, la velocità del flusso urinario si può valutare con un apparecchio
flussimetrico (uroflussimetro) o ricorrendo a un trasmettitore audio portatile (analogo a quelli utilizzati
per tenere sotto controllo le camere dei bambini a casa). Il paziente deve appoggiare una mano
sull’addome per verificarne la contrazione durante la minzione, specialmente se si sospetta
un’incontinenza da sforzo e si prevede la possibilità di un intervento chirurgico, perché la contrazione
addominale suggerisce la presenza di un’ipostenia del detrusore che può esporre il paziente alla ritenzione
postoperatoria.
Il volume residuo postminzionale si può misurare con il cateterismo o l’ecografia. La somma del
residuo e del volume del mitto stima la capacità vescicale totale e misura approssimativamente la
funzione propriocettiva vescicale. Un residuo postminzionale ³ 50-100 ml è suggestivo di ipostenia
vescicale o di ostruzione all’efflusso, ma volumi inferiori non escludono alcuna delle due diagnosi, specie
se il paziente si è sforzato per urinare o ha urinato in due tempi.
Esami di laboratorio
Bisogna eseguire l’esame delle urine e misurare l’azotemia e la creatininemia. Se il paziente è confuso
bisogna dosare gli elettroliti, se è presente disuria va eseguita l’urinocoltura e, se il diario minzionale
indica che c’è poliuria, bisogna determinare la glicemia e la calcemia (e l’albuminemia, per consentire il
calcolo della concentrazione di Ca libero nei pazienti malati e malnutriti).
La citologia urinaria o la cistoscopia vanno eseguite se il paziente ha un’ematuria sterile, una dolenzia
sovrapubica o perineale o un rischio elevato di carcinoma vescicale (p. es., insorgenza recente e
inspiegata di urgenza minzionale o di incontinenza da urgenza, esposizione a coloranti industriali).
Se non si può stabilire la causa dell’incontinenza, va considerata la valutazione urodinamica. Essa include
diversi test (p. es., cistometria, uroflussimetria, profilometria uretrale) e la raccolta di immagini
radiografiche durante il riempimento e lo svuotamento della vescica. Le indagini da usare dipendono dal
quesito clinico. Sebbene il suo ruolo esatto sia ancora dibattuto, è probabile che l’esame urodinamico
multicanale sia indicato quando l’incertezza diagnostica può influire sulla terapia, quando la terapia

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empirica non ha avuto successo e si possono tentare altri tipi di approccio o quando si vuole procedere
all’intervento chirurgico.
Terapia
La terapia dell’iperattività del detrusore inizia con l’adozione di rimedi semplici: la cura degli edemi
periferici, la regolazione dei tempi o delle quantità dei liquidi assunti o l’utilizzo di una comoda o di un
urinale da porre vicino al letto. Tuttavia, il cardine della terapia è rappresentato dalle misure
comportamentali.
I regimi di rieducazione vescicale, che comprendono le tecniche per sopprimere l’urgenza minzionale,
possono prolungare l’intervallo tra una minzione e l’altra. Per esempio, in un paziente che ha
incontinenza ogni 3 h, il regime prevede una minzione ogni 2 h durante il giorno e la soppressione
dell’urgenza negli intervalli tra le minzioni. I pazienti possono sopprimere l’urgenza minzionale
rilassandosi, rimanendo in piedi sul posto o sedendosi (invece di precipitarsi in bagno) e serrando la
muscolatura del pavimento pelvico in modo da prevenire la perdita. Molte persone traggono beneficio
anche dal fatto di sapere che la sensazione di urgenza durerà circa un minuto e poi recederà, come fa
un’onda sulla battigia. Quindi, non devono fare altro che trattenersi per un minuto o poco più. Una volta
che il paziente sia riuscito a mantenere il controllo della diuresi diurna per tre giorni consecutivi,
l’intervallo tra le minzioni può essere prolungato di mezz’ora e il procedimento può essere ripetuto finché
non si ottiene un risultato soddisfacente o la continenza completa. Il biofeedback può essere associato alla
rieducazione vescicale ed è utile per alcuni pazienti.
Nei pazienti che non riescono a seguire il regime di rieducazione, si usa una tecnica di incoraggiamento
alla minzione, che è in grado di ridurre la frequenza dell’incontinenza fino al 50% nei pazienti anziani
ricoverati. Al paziente viene chiesto, a intervalli di 2 h, se ha necessità di urinare; chi risponde
affermativamente viene accompagnato in bagno e, dopo la minzione, gli viene dato un rinforzo positivo
sotto forma di gratificazione (evitare i rinforzi negativi). L’incoraggiamento alla minzione non è
utilizzabile con le persone che non rispondono.
Se il diario minzionale rivela la presenza di nicturia e di incontinenza notturna, bisogna stabilirne la
causa. La diuresi notturna dovuta allo scompenso cardiaco si riduce con la terapia diuretica. Gli edemi
periferici in assenza di scompenso cardiaco possono rispondere all’utilizzo di calze elastiche a pressione
modulata e al sollevamento delle gambe durante il giorno. La diuresi dovuta a cause diverse dagli edemi
periferici può rispondere alla variazione delle modalità di assunzione dei liquidi oppure alla
somministrazione di un diuretico ad azione rapida nel tardo pomeriggio o nelle prime ore della sera. Nei
pazienti che hanno iperattività del detrusore, con deficit di contrattilità e contrazioni non inibite che
insorgono solo a volumi elevati, il cateterismo eseguito subito prima di andare a letto rimuove il residuo
urinario, aumentando la capacità funzionale della vescica e ristabilendo spesso la continenza e la
normalità del sonno.
La terapia farmacologica può potenziare gli effetti della terapia comportamentale, ma non sostituirla,
perché di solito i farmaci non aboliscono le contrazioni non inibite. L’efficacia dei singoli farmaci
riportati in tabella è quasi la stessa. Quelli a rapida insorgenza d’azione (p. es., oxibutinina [ma non la sua
forma a rilascio prolungato]) si possono usare a scopo profilattico se l’incontinenza si verifica in momenti
prevedibili. Occasionalmente, l’associazione di basse dosi di due farmaci dotati di azioni complementari
(p. es., oxibutinina e imipramina) ottimizza i benefici e riduce al minimo gli effetti indesiderati. Alcuni di
questi si possono somministrare per via intravescicale, ma solo nei pazienti che sono in grado di eseguire
l’autocateterismo. Tutti i farmaci miorilassanti vescicali possono causare ritenzione urinaria. L’induzione
intenzionale della ritenzione urinaria e l’utilizzo del cateterismo intermittente possono essere una scelta
ragionevole, per i pazienti la cui incontinenza (p. es., da DHIC) è refrattaria ad altre misure terapeutiche e
nei quali il cateterismo intermittente sia possibile.
La cistoplastica di ampliamento aumenta la capacità della vescica con l’incorporazione di una sezione di
intestino o di stomaco nella parete della vescica stessa. Questo trattamento viene riservato ai casi gravi di
iperriflessia intrattabile del detrusore, specie quelli associati alla presenza di una vescica contratta e poco
elastica, ed è controindicato nei pazienti in condizioni generali compromesse. La neuromodulazione, in
cui vengono impiantati elettrodi intorno alle radici dei nervi spinali, è una tecnica nuova e promettente,
ancora in fase sperimentale.
Per l’incontinenza refrattaria può essere necessario il ricorso a tamponi assorbenti e a indumenti intimi
speciali. Sono disponibili molti prodotti diversi, che consentono di fare la scelta più adatta per il paziente.
I cateteri uroprofilattici possono essere utili per alcuni pazienti di sesso maschile, ma spesso provocano
uno sfaldamento cutaneo del pene e riducono le motivazioni al controllo della minzione, oltre a non poter
essere utilizzati nei soggetti che hanno un pene piccolo o retratto. I nuovi dispositivi esterni di raccolta
delle urine possono essere efficaci nelle donne. I cateteri uretrali a permanenza non sono consigliabili per
l’iperattività del detrusore, perché in genere peggiorano le contrazioni. Se è indispensabile ricorrere al
catetere (p. es., per consentire la guarigione di un’ulcera da pressione in un paziente con iperattività del

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detrusore refrattaria), bisogna impiegarne uno di sezione ridotta dotato di un palloncino di piccole
dimensioni, in modo da ridurre al minimo l’irritabilità e la conseguente perdita di urine intorno al catetere.
Se gli spasmi vescicali persistono, si può utilizzare l’oxibutinina o la tolterodina. I farmaci gravati da
effetti indesiderati colinergici più potenti (p. es., supposte di belladonna) devono essere evitati negli
anziani.
L’incompetenza dello sfintere si può ridurre con il calo ponderale nei pazienti obesi, con il trattamento
delle condizioni precipitanti (p. es., vaginite atrofica, tosse) e, in alcune donne, con l’inserimento di un
pessario. Spesso sono efficaci gli esercizi per la muscolatura pelvica (p. es., esercizi di Kegel), specie se
eseguiti al momento dello sforzo. I pazienti devono contrarre i muscoli della pelvi, ma non quelli delle
cosce, dell’addome o delle natiche; spesso è necessario istruire una seconda volta il paziente e, di
frequente, torna utile il biofeedback. Nelle donne di età < 75 anni, il tasso di guarigione è compreso tra il
10 e il 25% e si ottiene un miglioramento in un ulteriore 40-50%, specialmente se la paziente è motivata,
se esegue gli esercizi come prescritto e se riceve istruzioni scritte e/o viene sottoposta a visite di controllo
durante le quali viene incoraggiata. Non si sa ancora se le donne di età > 75 anni possano ottenere risultati
analoghi.
I pessari, in molte forme e dimensioni, possono essere utili se la paziente desidera rinviare l’intervento o
se ha un rischio operatorio elevato. I diaframmi contraccettivi possono migliorare l’incontinenza da
sforzo. I tamponi sono utili, talora, nelle anziane con un’apertura vaginale ristretta. Stanno per entrare in
commercio dispositivi di nuova concezione, come gli inserti o i cappucci uretrali.
Una terapia aggiuntiva di tipo non farmacologico sta nell’osservare un regime igienico e di assunzione di
liquidi che mantenga il volume vescicale costante, sotto la soglia di incontinenza. Tale approccio risulta
spesso adeguato per le donne anziane, il cui deficit sfinterico è per lo più lieve e conseguente all’atrofia.
La terapia farmacologica con un agonista a-adrenergico (p. es., fenilpropanolamina a rilascio prolungato,
da 25 a 75 mg PO bid) può essere utile, specie se somministrata in associazione con gli estrogeni. Questi
farmaci possono essere più efficaci nelle donne affette da incompetenza dello sfintere interno.
L’imipramina, da 10 a 25 mg PO da 1 a 4 volte/die, può essere impiegata nei pazienti con incontinenza da
sforzo e da urgenza che non abbiano ipotensione posturale.
La correzione chirurgica dell’ipermobilità uretrale può essere necessaria se le altre strategie terapeutiche
non hanno successo o risultano inaccettabili. La colporrafia anteriore ha meno probabilità di risolvere
l’incontinenza da sforzo di quante ne abbiano altre procedure di sospensione del collo vescicale. Molte
donne anziane non sono in grado di tollerare un intervento di Marshall-Marchetti-Krantz, che comporta
una procedura chirurgica addominale di lunga durata e tempi di recupero prolungati. Una metodica
sovrapubica alternativa, la colposospensione di Burch, richiede un intervento meno esteso, corregge la
lassità della parete vaginale anteriore ed è molto efficace. Tuttavia, essa può accentuare la debolezza della
parete vaginale posteriore e causare stranguria (necessità di compiere uno sforzo per mingere) e ritenzione
urinaria in alcune donne con una vescica molto debole. Gli interventi di sospensione del collo vescicale
per via vaginale (p. es., interventi di Pereyra, Stamey e Raz) sono procedure relativamente meno invasive,
ma spesso i loro risultati hanno una durata inferiore a quella dell’intervento di Burch. Spesso, per
l’incompetenza dello sfintere interno, è necessario un approccio diverso (la fionda pubovaginale), che può
essere utilizzato anche in assenza di tale incompetenza. Tuttavia, la sua morbilità è elevata e la probabilità
che la ritenzione urinaria cronica si aggravi è superiore a quanto osservato con gli interventi usati di
norma per correggere l’ipermobilità uretrale.
Un’ altra terapia per l’insufficienza sfinterica, specie per gli uomini già sottoposti a prostatectomia, è
l’impianto di uno sfintere artificiale. Selezionando i pazienti, circa il 70% riacquista la continenza; dei
rimanenti, la gran parte utilizza solo uno o due assorbenti al giorno, ma nel 20-40% dei casi può essere
necessario un nuovo intervento o la revisione del precedente. Un altro approccio è l’iniezione periuretrale
di sostanze espansive. Con il collagene bovino legato in maniera crociata alla glutaraldeide, si ha il
miglioramento o la guarigione a breve termine nel 50-95% delle donne, ma spesso molto meno negli
uomini. Sebbene la tecnica delle sostanze espansive sia molto attraente (l’iniezione richiede soltanto
l’anestesia locale e un tempo limitato), in genere la sua riuscita comporta l’esecuzione di iniezioni
ripetute; inoltre, non ci sono dati sui suoi risultati a lungo termine. L’esperienza con le persone di età
> 75 anni è limitata e vi è il rischio di una ritenzione urinaria (che spesso porta alla necessità del
cateterismo).
Negli uomini, se tutte le altre misure terapeutiche falliscono, possono essere utili i cateteri uroprofilattici,
le pinze peniene, le guaine peniene (come la protesi di McGuire, simile ai sospensori usati dagli atleti) o
le guaine autoadesive (specialmente se rivestite di gel polimerico o di cellulosa). Esistono anche alcuni
dispositivi di raccolta per le donne. Gli assorbenti sottili ad alta efficacia, in gel polimerico, riescono ad
assorbire più facilmente le piccole quantità di urina perdute a causa dell’incontinenza da sforzo. È in via
di sperimentazione la stimolazione elettrica, che rappresenta un’alternativa promettente per le donne.
Negli uomini, l’ostruzione dello sbocco vescicale è trattata con gli antagonisti a-adrenergici PO (p. es.,
prazosina 1-2 mg da bid a qid, terazosina 1-10 mg/die, doxazosina 1-8 mg/die o tamsulosina 0,4-
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0,8 mg/die), che calmano la sintomatologia e possono migliorare il residuo postminzionale, la resistenza
all’efflusso e la velocità del flusso urinario. Gli effetti si vedono dopo giorni o settimane.
La finasteride, un inibitore della 5a-reduttasi, alla dose di 5 mg/die PO, riduce le dimensioni della
prostata, gli episodi ostruttivi e la necessità di una resezione prostatica transuretrale, in presenza di
ghiandole di peso > 50 g. Per stabilire se il farmaco è efficace, bisogna eseguire un tentativo di almeno
3 mesi. Alcuni ricercatori ne hanno suggerito l’impiego in associazione con un antagonista a-adrenergico,
ma le prove a favore di questo approccio sono incerte. Studi recenti indicano che la fitoterapia con estratti
di Serenoa repens può essere utile per i sintomi dell’ipertrofia prostatica, ma sono necessari studi più
approfonditi.
Se persistono sintomi poco sopportabili, si può ricorrere alla resezione transuretrale della prostata o alla
prostatectomia per via sovrapubica o retropubica. Altri approcci (p. es., incisione del collo vescicale con
prostatotomia bilaterale) hanno reso possibile la decompressione chirurgica anche nei pazienti più
debilitati.
Gli stent uretrali sono promettenti, ma non vi sono dati di follow-up a lungo termine. Gli effetti
indesiderati vedono la dislocazione dello stent e l’urgenza minzionale (che di solito regredisce dopo
poche sett. o mesi). Tra le nuove promettenti tecniche transuretrali vi sono l’ipertermia a microonde, la
terapia laser e l’ablazione con ago, ma anche qui mancano dati sui risultati a lungo termine.
Nelle donne, in genere, la terapia chirurgica è indicata in presenza di un cistocele di grandi dimensioni e,
se coesiste un’ipermobilità uretrale, bisogna eseguire un intervento di sospensione del collo vescicale. Se
lo sfintere vescicale è incompetente o la pressione di chiusura uretrale è < 10 cm H2O, può essere
necessario un approccio chirurgico differente. L’ostruzione primitiva del collo vescicale si può correggere
facilmente anche nelle donne più deboli. La stenosi uretrale distale si può trattare con la dilatazione e con
gli estrogeni. Interventi più estesi possono essere necessari in presenza di una stenosi meatale; altrimenti,
la dilatazione si può ripetere piuttosto di frequente. Tuttavia, la maggior parte delle donne sottoposte alla
dilatazione non è affetta da stenosi uretrale, ma ha piuttosto un’ipoattività del detrusore. In queste donne,
la dilatazione, oltre a essere in genere inutile, può risultare dannosa.
L’ipoattività del detrusore viene trattata mediante la riduzione del volume residuo, l’eliminazione
dell’idronefrosi (se presente) e la prevenzione della sepsi urinaria. Per i pazienti con una ritenzione
> 800 ml, si usa un catetere a permanenza per decomprimere la vescica per un periodo ³ 7-14 giorni; nel
frattempo, vengono eliminati i fattori che contribuiscono potenzialmente alla compromissione della
funzione detrusoriale (p. es., fecalomi, effetti sfavorevoli dei farmaci).
Se la decompressione non ristabilisce completamente la funzione vescicale, possono essere di aiuto le
tecniche per aumentare il volume minzionale: la minzione in due tempi o l’esecuzione della manovra di
Credé (applicazione di una pressione sovrapubica durante la minzione) o della manovra di Valsalva. Il
betanecolo, da 40 a 200 mg/die PO in dosi frazionate, talvolta è utile per i pazienti con scarsa contrattilità
vescicale dovuta a una terapia anticolinergica che non può essere sospesa (p. es., con antidepressivi
triciclici). Bisogna controllare il residuo postmizionale, in modo da poter sospendere il betanecolo se
risultasse inefficace.
Se, dopo la decompressione, il detrusore mostra un’assenza completa di contrattilità, è probabile che
qualunque intervento sia inutile e il paziente deve essere sottoposto al cateterismo intermittente o al
posizionamento di un catetere a permanenza. Nel caso del cateterismo intermittente, se il paziente ha
frequenti episodi di IVU sintomatiche oppure ha una valvulopatia cardiaca o una protesi ortopedica, è
probabile che sia indicata la profilassi delle IVU con antibiotici o con metenamina mandelato; tale
profilassi non è utile nel caso dei cateteri a permanenza. Se il cateterismo intermittente viene eseguito in
ambito ospedaliero, è bene attenersi alle norme della sterilizzazione, piuttosto che alla semplice igiene, a
causa della prevalenza e della virulenza dei batteri in questi ambienti.
Aspetti infermieristici e assistenziali
La cura appropriata dell’incontinenza urinaria spesso ha un carattere multidisciplinare. Molte procedure
diagnostiche e terapeutiche vengono eseguite spesso da fisioterapisti, medici o infermieri. Gli infermieri,
inoltre, devono istruire i pazienti e le persone che li assistono riguardo ai problemi legati all’incontinenza.
Gli infermieri che operano a domicilio, quelli delle case di cura e quelli ospedalieri hanno una parte di
responsabilità nel riconoscimento dell’incontinenza e nella programmazione dei piani assistenziali.

Incontinenza fecale
Perdita del controllo volontario della defecazione.
L’incontinenza fecale è un’umiliante regressione della funzionalità corporea che, spesso, causa ansia,
paura, imbarazzo e isolamento e può impedire gravemente l’attività e la vita sociale delle persone
anziane.

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Uno studio indica che circa il 5% della popolazione generale ne è affetto. L’incontinenza fecale colpisce
più frequentemente le persone > 65 anni ed è la ragione principale per il ricovero di questi pazienti. Circa
il 50% dei pazienti ricoverati ha un’incontinenza fecale.

Eziologia e fisiopatologia
La continenza necessita di sensibilità rettale e anale per distinguere tra fluidi, feci e aria. La capacità del
serbatoio del retto e del colon distale permette di accumulare feci per un periodo variabile di tempo. La
coordinazione tra gli sfinteri anali interno ed esterno è importante per bloccare la defecazione non
volontaria. I muscoli del pavimento pelvico, specialmente il muscolo puborettale, preservano la
continenza, ritardando il passaggio delle feci. Anche la motivazione è essenziale per mantenere la
continenza.
Con l’età, può decrescere la forza contrattile del muscolo puborettale, l’elasticità rettale e la pressione
dello sfintere anale interno ed esterno. La distensione dovuta a piccoli volumi può causare tenesmo rettale
e inibire il tono dello sfintere anale. Le cause di incontinenza fecale nell’anziano sono elencate nella
tabella:
Causa Commento
Fecalomi Causa più comune nei pazienti anziani lungodegenti
Compromissione funzionale mentale o fisica —
Causato dall’invecchiamento, dalla radioterapia, da tumori, da ischemia, da
Ridotta capacità del resevoir rettale
resezione chirurgica
Ridotta sensibilità rettale Causata dal diabete, dal megaretto, dai fecalomi
Ridotta funzione dello sfintere anale e del muscolo Causata da traumi, interventi, lesioni del midollo spinale o del pudendo o da
puborettale cause sconosciute

L’incontinenza fecale può essere dovuta a un fecaloma, generalmente il risultato di una sensibilità rettale
alterata, con passaggio di feci liquide intorno alla massa fecale.
Questi pazienti non contraggono in modo appropriato il muscolo striato dello sfintere anale per prevenire
l’incontinenza. Le pressioni dello sfintere anale generalmente divengono normali dopo la rimozione del
fecaloma. Nei pazienti con demenza totale, l’incontinenza fecale può presentarsi dopo i pasti o altre
attività che stimolano una risposta gastrocolica, perché questi pazienti semplicemente non perdono lo
stimolo della defecazione.
In ambulatorio, nei pazienti anziani non ricoverati, l’incontinenza fecale si presenta spesso come
conseguenza di una ridotta forza contrattile o di una alterata automaticità del muscolo puborettale e dello
sfintere anale esterno. Questi cambiamenti sono causati probabilmente da una debolezza muscolare
correlata all’età o da lesioni da denervazione parziale per una neuropatia pudenda. La causa della
neuropatia pudenda è sconosciuta, ma può comprendere stiramenti ripetuti dei nervi pudendi nelle donne
anziane, a causa della costipazione cronica e dello sforzo defecatorio, da indebolimento dei muscoli del
pavimento pelvico e, forse, da compressione delle radici dei nervi dovuta a una spondilite.

Diagnosi
L’anamnesi e l’esame obiettivo forniscono indizi sulla serietà del problema e accertano l’integrità
dell’apparato neuromuscolare coinvolto nel mantenimento della continenza. Diversi test offrono
informazioni obiettive utili per stabilire i difetti responsabili dell’incontinenza.
La manometria anale misura direttamente la pressione del canale anale in condizioni basali e sotto
compressione. In generale, i pazienti con incontinenza fecale hanno pressioni basali e sotto compressione
significativamente più basse rispetto ai controlli crociati per età e sesso, ma molti mostrano pressioni
dello sfintere normali. La manometria anale ha più valore quando mostra pressioni basse in modo
anomalo, confermando un difetto dello sfintere.
Il test manometrico, che utilizza un palloncino gonfiabile attaccato mediante un catetere a un manometro,
testa la sensibilità rettale, la compliance rettale e il riflesso anorettale inibitorio. I risultati riflettono
l’integrità dei percorsi neuronali che mediano la sensibilità (sia cosciente sia come meccanismo riflesso
del rilassamento anorettale) e la risposta motoria.
L’elettromiografia del muscolo puborettale e dello sfintere anale esterno valuta l’apporto del nervo
motorio e la risposta dei muscoli scheletrici, ma la sua utilità clinica è limitata, a causa del disagio provato
durante il test.
La defecografia valuta la capacità e il diametro rettale, l’angolo anorettale (funzionalità del muscolo
puborettale) e l’abbassamento del perineo (funzionalità del pavimento pelvico). Si può individuare
facilmente l’indebolimento del muscolo puborettale e del pavimento pelvico.

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La sigmoidoscopia può valutare la mucosa e individuare le lesioni endoluminali (p. es., infiammazione,
melanosi del colon dovuta ad abuso di lassativi, tumori, stenosi) che possono contribuire alla
sintomatologia.
L’ecografia transanale valuta l’integrità degli sfinteri anali interno ed esterno, misurando lo spessore
muscolare e la presenza oppure l’assenza di lesioni muscolari.

Trattamento
L’incontinenza fecale può essere trattata nella maggior parte dei pazienti. Il trattamento può ridurre o
eliminare la sintomatologia in > 50% dei pazienti ricoverati.
Il FECALOMA deve essere trattato adeguatamente. Dopo che il colon è stato pulito, un paziente
immobilizzato o con funzionalità ridotte deve essere sottoposto a una dieta povera di fibre e a dei clisteri
profilattici, una o due volte la settimana, per prevenire un fecaloma recidivo.
Nei pazienti non costipati senza fecaloma la cura può comprendere la terapia farmacologica, la
bioretroazione e la chirurgia.
I soli farmaci che sono stati valutati per il loro effetto sull’incontinenza fecale sono gli oppioidi
antidiarroici, il loperamide e la combinazione di difenossilato e atropina. Nei pazienti con diarrea cronica,
4 mg di loperamide PO tre volte al giorno riducono significativamente la frequenza degli episodi di
incontinenza e di tenesmo e aumentano lievemente la pressione basale dello sfintere anale.
Quando l’incontinenza è associata a una ridotta capacità di serbatoio o a disturbi neurogenici che
colpiscono la funzionalità colorettale, un programma di defecazioni regolari pianificate e di riduzione
delle fibre per ridurre il volume delle feci, spesso, migliora l’incontinenza. Se l’incontinenza persiste, la
loperamide (al massimo 16 mg/die in dosi refratte) viene titolata per diminuire la frequenza o eliminare la
defecazione.
La bioretroazione spesso è efficace per l’incontinenza fecale dovuta ad anomalie rettosfinteriche. Un
dispositivo manometrico a palloncino aiuta il paziente a ottenere una soglia cosciente della sensazione di
distensione rettale e a coordinare la contrazione dello sfintere anale esterno con la distensione anale. Un
manometro anorettale attaccato a un video consente al paziente di osservare quando le risposte dello
sfintere sono appropriate. Successivamente il paziente, tenta di riprodurre la risposta appropriata. Benché
alcuni pazienti abbiano difficoltà con questo approccio a causa dell’ansia e del deficit cognitivo, questa
tecnica ha avuto successo in oltre il 70% dei pazienti che è motivato, capace di capire le istruzioni e che
ha un qualche grado di sensibilità rettale.
L’intervento chirurgico dev’essere preso in considerazione nei pazienti che non rispondono alla terapia
farmacologica e che hanno una lesione dello sfintere anale. Sebbene siano stati usati molti approcci
chirurgici, non è stato stabilito quale sia il migliore.
Quando l’incontinenza fecale è la conseguenza di un prolasso rettale, la risospensione o proctopessia può
prevenire un prolasso ulteriore e può essere combinato con una rettosigmoidoscopia per ripristinare la
continenza in più dei due terzi dei pazienti. Tuttavia, quando il prolasso è grave o prolungato, un danno
neuropatico permanente dello sfintere può precludere un buon risultato chirurgico.
Per i pazienti senza il prolasso a tutto spessore, la chirurgia deve essere presa in considerazione solo se il
trattamento conservativo è stato insoddisfacente, dal momento che le procedure non sono facili da
eseguire e possono avere delle complicanze. L’approccio chirurgico dev’essere individualizzato per
trattare le anomalie specifiche.

II. MALATTIE CEREBROVASCOLARI


Un gruppo eterogeneo di malattie vascolari che causano un danno cerebrale.
Ogni anno, circa 750 000 Americani sono affetti da ictus e circa 150 000 di essi muoiono. L’ictus
rappresenta la terza causa maggiore di morte negli USA e negli altri paesi industrializzati. Attualmente, ci
sono circa 2 milioni di persone sopravvissute a ictus negli USA. L’incidenza e la mortalità dell’ictus
aumentano con l’età, specialmente dopo i 65 anni. Circa il 72% delle persone colpite da ictus in un dato
anno e > 88% delle persone morte in seguito a ictus sono di età ³ 65 anni. La prevalenza negli USA,
generalmente, è più alta negli uomini e nella popolazione afroamericana.
Più notevole dei tassi di mortalità è il modo in cui cambia la qualità di vita tra i sopravvissuti a un ictus.
Spesso l’abilità al lavoro è ridotta, in casa e nella società, e molti pazienti affetti da ictus presentano
compromissioni della marcia, della vista e delle percezioni. Alcuni pazienti non sono in grado di leggere,
ricordare, pensare, parlare o di comunicare altrimenti rispetto al periodo precedente l’ictus. Ne può
conseguire demenza, specie in caso di infarti lacunari multipli.
Più devastanti dell’ictus possono essere le sue complicanze. L’ictus provoca l’aumento dei meccanismi
coagulativi, predisponendo, durante il periodo acuto o la convalescenza, a tromboembolie venose e a
infarto miocardico. A volte, può essere difficile stabilire se sia insorta prima l’ischemia cerebrale o quella
miocardica.
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Prevenzione
Prevenire la patologia da ictus è sicuramente meglio che trattarla. La migliore prevenzione va iniziata
prima dell’anzianità; tuttavia, nell’anziano sono applicabili molte misure preventive:
 Controllo della ipertensione
 Terapia dei disturbi cardiaci (p. es., malattia coronarica, insufficienza cardiaca, aritmie)
 Misurazione dei livelli sierici dei lipidi e trattamento dell’iperlipidemia
 Raccomandazioni per l’astensione dal fumo e da droghe illecite (p. es., amfetamine, cocaina,
eroina), per l’assunzione di alcol solo con moderazione e per l’esercizio fisico regolare
 Avvertimenti contro l’ipertermia, l’ipotermia e l’affaticamento eccessivo
 Trattamento dei disordini ematologici (p. es., anemia, policitemia, diatesi emorragica)
Il trattamento precoce dell’ictus può presentare alcuni vantaggi, quindi tutti i pazienti a rischio devono
essere informati circa i suoi primi sintomi. Si dovrà istruirli a consultare subito il medico qualora
manifestassero tali sintomi, sottolineando che il trattamento dovrà iniziare entro 3-6 ore:
 Improvviso intorpidimento o astenia di un lato del corpo (volto, braccio o gamba)*
 Riduzione improvviso della vista, specie di un occhio solo*
 Eloquio inceppato improvvisamente, perdita del linguaggio o difficoltà di comprensione del
linguaggio*
 Vertigini non spiegabili, difficoltà a camminare, perdita di coordinazione o cadute*
 Grave cefalea improvvisa, in assenza di cause apparenti*
 Difficoltà di deglutizione†
 Confusione improvvisa†
 Nausea e vomito†
*Anche l’attacco ischemico transitorio può produrre questi sintomi, ma i sintomi durano £ 24 h.
†Questi sintomi sono meno comuni.
Prognosi
Il recupero in seguito a ictus ha due aspetti: quello neurologico e quello funzionale. L’entità della
guarigione dipende dal meccanismo, dalla localizzazione e dall’estensione della lesione. Generalmente,
più è piccola la lesione maggiore è il recupero. Circa il 90% della guarigione neurologica avviene in
genere entro 3 mesi. Il rimanente 10% si verifica più lentamente. Il recupero dopo un ictus emorragico in
genere è più lento.
La guarigione dipende dalla situazione sociale ed economica del paziente nella stessa misura (se non di
più) del danno stesso. L’abilità fisica e la salute mentale precedenti al danno da ictus sono importanti
fattori predittivi della sua capacità di recupero. La depressione, frequente dopo un ictus, può ostacolare la
guarigione. I pazienti, se hanno buone risorse e godono di un ambiente che ne facilita l’autonomia (p. es.,
se vivono in case prive di scale), hanno più probabilità di ritornare a una vita attiva: se possiedono
un’automobile o hanno possibilità di disporre di un autista; di centri commerciali, ricreativi e sanitari
vicini, possibilità economica per strumenti di riabilitazione e per terapisti. L’assistente domiciliare è
estremamente importante per favorire il recupero.
Trattamento e problemi relativi ai pazienti terminali
L’équipe medica dovrà stabilire al più presto un appropriato protocollo terapeutico. Un trattamento
precoce e aggressivo comporta spesso un significativo miglioramento. Tuttavia, il trattamento aggressivo
non è indicabile per tutti i pazienti. Per alcuni di essi, la terapia non sembra efficace, per la bassa qualità
di vita attuale e futura. In tali casi è cruciale la terapia di supporto. Le volontà del paziente (p. es., volontà
in vita, procura legale durevole), se disponibili, possono aiutare i medici nella determinazione del tipo di
assistenza da fornire al paziente (cioè, idratazione, nutrimento, trattamento delle infezioni e del dolore).
La concomitanza di altre patologie gravi (quali cancro, malattie cardiache o polmonari invalidanti)
condiziona le decisioni terapeutiche. Possono essere controindicate alcune misure terapeutiche, come la
somministrazione di anticoagulanti in pazienti affetti da ipertensione arteriosa grave o da emorragie
gastriche. Certe terapie (p. es., anticoagulanti, neurochirurgia o chirurgia vascolare) presentano rischi
aumentati nel caso dell’anziano; tuttavia, l’età non rappresenta di per sé una controindicazione assoluta al
trattamento.
Test diagnostici aggressivi, terapie mediche e chirurgiche aggressive, nonché l’allettamento prolungato,
incidono spesso negativamente sullo spirito e sul vigore dei pazienti anziani. Sono piuttosto frequenti e
necessitano di prevenzione o trattamento, se presenti, le polmoniti, le anchilosi e le piaghe da decubito.
Gli antidepressivi sono particolarmente efficaci nella depressione post-ictale. Alcune strategie sono utili
nella prevenzione e nel trattamento delle complicanze da ictus.

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Qualora l’ospedale di zona non fosse equipaggiato per l’assistenza dei pazienti colpiti da ictus, è
raccomandato il loro trasferimento. Allo stesso modo, la riabilitazione è condotta meglio in centri
specializzati.
Problemi d’assistenza
Il personale infermieristico dovrà porre la massima cura nella prevenzione di problemi, spesso fatali,
molto comuni fra i pazienti affetti da malattie cerebrovascolari, quali quelli legati al sonno, alla
nutrizione, all’incontinenza, alla confusione mentale, alle cadute e al trofismo cutaneo. Gli infermieri,
inoltre, dovranno rilevare l’eventuale sviluppo di uno stato depressivo, molto frequente dopo un ictus. È
di solito un infermiere a coordinare un team interdisciplinare, consentendo l’organizzazione delle
procedure per la dimissione del paziente e contribuendo a stabilire un protocollo di assistenza fuori
dall’ospedale. È necessaria un’équipe interdisciplinare in quanto la malattia cerebrovascolare è complessa
e invalidante e perché i membri dell’équipe possono assistere il paziente nei vari centri.
È difficile elaborare un protocollo di assistenza successivo alla dimissione e possibile da seguire.
Dovranno essere considerati alcuni problemi fondamentali; questi comprendono il trasporto del paziente
ai vari controlli, la volontà del paziente a partecipare alla terapia riabilitativa, la sua capacità a rispettare
terapie farmacologiche complesse, nonché la volontà e la capacità a collaborare con gli assistenti
domiciliari. Sia il paziente che i familiari e gli assistenti dovranno assistere a riunioni organizzative per il
trattamento extra-ospedaliero. Conseguentemente, gli orari e la sede per tali riunioni dovranno essere
adattati a queste persone.

III. MALATTIE CARDIOVASCOLARI


Con l’età, il cuore può subire processi di atrofia, rimanere invariato o sviluppare un’ipertrofia moderata o
grave. L’atrofia, di solito, coincide con diverse malattie debilitanti e non si osserva con il semplice
invecchiamento in persone sane. Un aumento modesto dello spessore parietale del ventricolo sinistro con
l’età è normale; un aumento esagerato si verifica in persone con ipertensione arteriosa. Altri normali
cambiamenti correlati all’età possono comprendere un ingrandimento dell’atrio sinistro, un lieve
slargamento della cavità ventricolare sinistra e dell’ombra cardiaca alla radiografia del torace.
La quantità di tessuto fibroso all’interno del miocardio aumenta con l’età, ma non contribuisce in quantità
apprezzabile alla massa cardiaca. Piuttosto, l’ispessimento parietale miocardico si verifica in gran parte
per un aumento delle dimensioni dei cardiomiociti. Alcuni cardiomiociti sono sostituiti da tessuto fibroso,
cosicché il numero di miociti probabilmente diminuisce con l’età. Tuttavia, i cardiomiociti sono capaci,
probabilmente, di riattivare il ciclo cellulare e proliferare, controbilanciando in tal modo parzialmente la
perdita cellulare dovuta a necrosi o apoptosi.
In quasi la metà delle persone di > 70 anni, si può riscontrare tessuto amiloide cardiaco e l’incidenza
aumenta bruscamente con l’età. Circa la metà di queste persone ha soltanto piccole quantità di tessuto
amiloide limitato agli atri.
È dibattuto se l’amiloidosi cardiaca faccia parte del normale invecchiamento; essa non è presente in tutte
le persone anziane, neanche nei centenari.
Distensibilità ventricolare, riempimento cardiaco e precarico
Una riduzione correlata all’età dell’elasticità ventricolare rimane non dimostrata, perché la dimostrazione
richiederebbe misurazioni simultanee di pressione e volume; tali misurazioni invasive, di solito, non sono
effettuate in persone sane.
La velocità del riempimento ventricolare sinistro protodiastolico rallenta progressivamente dopo i 20 anni
di età, cosicché, all’età di 80 anni, essa si riduce al 50%. Questa riduzione viene attribuita a modificazioni
strutturali (fibrosi) del miocardio ventricolare sinistro o ad attivazione Ca++-dipendente residua di
miofilamenti dalla sistole precedente, che ha come risultato un prolungamento del rilasciamento
isometrico.
Sebbene il riempimento ventricolare sinistro durante la protodiastole sia minore nelle persone anziane
rispetto a quelle giovani, il riempimento durante la telediastole è maggiore, perché la contrazione atriale è
aumentata. Così, il volume telediastolico in posizione supina o seduta, di solito, non è ridotto nelle donne
sane più anziane e aumenta lievemente con l’età negli uomini, purché la contrazione atriale sia normale.
L’aumento della contrazione atriale è accompagnato da ingrandimento atriale e si manifesta
all’auscultazione come quarto tono (galoppo atriale). La mancanza dell’aumentata contrazione atriale in
pazienti anziani con fibrillazione atriale acuta o con un pacemaker che non stimola gli atri può essere
clinicamente significativa, se la funzione ventricolare è compromessa per altre ragioni. La conseguenza
può essere l’insufficienza cardiaca, soprattutto se la frequenza ventricolare è alta.

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Postcarico
Il grado con cui l’invecchiamento influenza il postcarico (che dipende da resistenze vascolari periferiche,
impedenza aortica e velocità dell’onda del polso aortico) varia notevolmente da persona a persona. Alcuni
studi hanno riportato che le resistenze vascolari periferiche a riposo aumentano con l’età. Un incremento
correlato all’età è stato osservato per l’impedenza aortica che, di solito, è < 10% dell’impedenza vascolare
totale.
La velocità dell’onda del polso aortico aumenta con l’età. Di conseguenza, nelle persone anziane le onde
di pressione dalla periferia ritornano al cuore più rapidamente. In uomini e donne anziani sani, la
pressione nella radice aortica continua ad aumentare e raggiunge il picco più tardivamente durante la
sistole, alterando in tal modo il profilo del polso pressorio e causando un aumento tardivo della pressione
arteriosa sistolica. La rigidità arteriosa, il conseguente aumento della velocità dell’onda del polso e
l’aumento tardivo della pressione arteriosa sistolica possono spiegare l’aumento globale della pressione
arteriosa sistolica con l’età. L’aumento della pressione arteriosa sistolica può riflettere un aggiustamento
dei riflessi barocettivi a un livello più alto nelle persone anziane. Le stesse modificazioni strutturali che
rendono l’aorta più rigida e provocano un aumento della velocità dell’onda di polso possono spiegare la
ridotta stimolazione dei barocettori, necessaria a produrre una modificazione della pressione aortica.
Alternativamente, la risposta barocettiva può essere attenuata per le modificazioni correlate all’età negli
impulsi nervosi afferenti dai barocettori o negli impulsi nervosi efferenti al sistema arterioso.
L’aumento della pressione arteriosa sistolica a riposo influenza il postcarico ventricolare sinistro a riposo.
Tuttavia, se l’aumento della pressione sistolica rimane entro limiti normali, lo spessore parietale
ventricolare sinistro può aumentare abbastanza da normalizzare lo stress di parete e mantenere così le
dimensioni della cavità e la frazione d’eiezione quasi nei limiti della norma.
Contrattilità miocardica
La contrattilità miocardica dipende dall’attivazione Ca++-dipendente dei miofilamenti (accoppiamento
eccitazione-contrazione). Gli effetti dell’età sui meccanismi che governano l’accoppiamento eccitazione-
contrazione nel muscolo cardiaco sono stati studiati in modelli animali. Alcune delle modificazioni legate
all’età sono correlate in parte ad alterazioni dell’espressione genica. Nei ratti, la produzione di forza
contrattile, almeno a basse frequenze di stimolazione, è conservata in età avanzata. Sebbene non sia stato
osservato un aumento della rigidità passiva del muscolo cardiaco isolato con l’età, la rigidità, durante la
contrazione, aumenta. L’aumento del Ca++ nel mioplasma dopo eccitazione a basse frequenze e l’affinità
delle miofibrille per il Ca++ non si modificano con l’età. A più alte frequenze di eccitazione, l’aumento
transitorio del Ca++ (breve incremento della concentrazione del calcio nel citosol) non è ben caratterizzato
in riferimento all’invecchiamento.
Nel muscolo cardiaco senile il rilasciamento è prolungato, probabilmente perché il Ca++ viene rimosso più
lentamente dal mioplasma durante la diastole. Questa lenta rimozione probabilmente si verifica perché il
reticolo sarcoplasmatico sequestra meno calcio. Il potenziale d’azione dura più a lungo nel muscolo
cardiaco senile, ma il ruolo di questa modificazione nel prolungare la contrazione non è chiaro. I
cambiamenti del potenziale d’azione possono riflettere modificazioni associate all’età delle conduttanze
ioniche del sarcolemma o possono dipendere dal prolungamento dell’aumento transitorio del Ca++ nel
mioplasma indotto dall’eccitazione.
Nel muscolo cardiaco senile isolato, gli isoenzimi della miosina virano verso le forme più lente e l’attività
dell’adenosina trifosfatasi si riduce. Questi cambiamenti possono spiegare perché la velocità di
accorciamento diminuisce durante la contrazione isotonica.
Una riduzione della velocità miocardica di rilasciamento comporta un rilasciamento miocardico meno
completo quando la valvola mitrale si apre e una riduzione della velocità del riempimento ventricolare
sinistra durante la protodiastole.
Frazione d’eiezione e gittata sistolica
In uomini e donne anziani sani, la frazione d’eiezione a riposo non è ridotta. La gittata sistolica a riposo
aumenta lievemente negli uomini anziani (in proporzione al volume telediastolico lievemente maggiore) e
rimane costante nelle donne anziane.
Frequenza cardiaca
La frequenza cardiaca supina a riposo non cambia con l’età negli uomini sani; mentre la frequenza
cardiaca in posizione seduta si riduce lievemente in uomini e donne. Negli uomini senza malattia
coronarica le variazioni spontanee della frequenza cardiaca durante il periodo delle 24 h si riducono, così
come le variazioni del ritmo sinusale con il respiro. La frequenza sinusale intrinseca (cioè, misurata dopo
blocco simpatico e parasimpatico) si riduce significativamente con l’età. Per esempio, la frequenza
sinusale intrinseca media è 104 battiti/min all’età di 20 anni rispetto a quella di 92 battiti/min all’età di
45-55 anni. Tuttavia, mancano i dati su persone > 55 anni.

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Gittata cardiaca
L’indice cardiaco a riposo (gittata cardiaca per unità di tempo [l/min], misurata in posizione seduta e
divisa per l’area di superficie corporea [m2]) non è ridotto negli uomini anziani sani, che sono stati
rigorosamente selezionati per escludere patologie cardiache silenti e che vivono in modo indipendente
nelle comunità. Tuttavia, nelle donne anziane, la gittata cardiaca a riposo si riduce lievemente perché né il
volume telediastolico né la gittata sistolica aumentano per compensare la modesta riduzione della
frequenza cardiaca. Queste differenze tra i due sessi sembrano dovute in parte a differenze di forma fisica,
anche tra uomini e donne sedentarie.
Capacità aerobica e funzione durante l’esercizio
L’invecchiamento influenza la capacità aerobica e le prestazioni cardiovascolari durante esercizio. La
capacità massima di esercizio e il massimo consumo di ossigeno (O2) si riducono con l’età, ma le
variazioni interindividuali sono significative. La capacità aerobica diminuisce del 50% tra l’età di 20 e 80
anni, perché la massima gittata cardiaca si riduce del 25% e l’utilizzazione periferica di O 2 si riduce (cioè,
la differenza arterovenosa di O2 diminuisce del 25%) a causa delle riduzioni correlate all’età della massa e
della forza muscolare. Altri possibili meccanismi comprendono l’insufficiente redistribuzione del flusso
ematico ai muscoli in attività e la ridotta estrazione e utilizzazione di O2 per unità di muscolo. Con l’età,
la frequenza cardiaca durante l’esercizio massimale diminuisce, ma il volume cardiaco in telediastole e
durante il ciclo cardiaco (che comprende la telesistole) è maggiore durante l’esercizio nelle persone
anziane che in quelle giovani. Perciò, nelle persone anziane, il volume di riempimento protodiastolico
ventricolare sinistro aumenta durante l’esercizio. Di conseguenza, il volume telediastolico, anche al picco
dell’esercizio, non è compromesso a causa di un "cuore rigido" e la gittata sistolica durante l’esercizio,
nelle persone anziane, è conservata. La riduzione del 25% dell’indice cardiaco massimo che si verifica tra
l’età di 25 e 85 anni è dovuta completamente alla riduzione correlata all’età della frequenza cardiaca
massima.
Durante tutti i livelli di esercizio, un cuore più vecchio, in media, pompa sangue a volumi di riempimento
maggiori. Tuttavia, la gittata sistolica nelle persone anziane non supera quella delle persone giovani,
perché il volume telesistolico negli anziani è maggiore rispetto a quello dei giovani. Di conseguenza, la
frazione d’eiezione non aumenta tanto in risposta all’aumento del volume telediastolico. Così, sebbene la
gittata sistolica durante l’esercizio è mantenuta allo stesso livello nelle persone anziane e in quelle
giovani, il meccanismo di Frank-Starling si riduce con l’età. Queste modificazioni dipendono da una
combinazione di fattori legati all’età, che comprendono le componenti vascolari e cardiache
dell’aumentato postcarico, la ridotta contrattilità miocardica massimale intrinseca e il ridotto aumento di
contrattilità in risposta alla b-stimolazione adrenergica.
Modulazione b-adrenergica
L’attività del sistema nervoso simpatico sembra aumentare con l’età, come suggerito dai livelli ematici
più alti di norepinefrina ed epinefrina nelle persone anziane rispetto ai giovani durante qualsiasi tipo di
sforzo. Poiché i livelli di norepinefrina ed epinefrina sono più alti, più recettori b-adrenergici sono
occupati sulla superficie cellulare cardiaca e vascolare. Il risultato è una desensibilizzazione dei recettori
b-adrenergici, che causa, quindi, una down-regulation dei segnali intracellulari ad essi associati. Tale
desensibilizzazione può rendere conto di tutta o di una parte sostanziale della ridotta risposta
postsinaptica, correlata all’età, alla stimolazione b-adrenergica.
La stimolazione b-adrenergica delle cellule segnapassi è responsabile, in larga parte, dell’aumento della
frequenza cardiaca durante l’esercizio. Quando viene utilizzata un’infusione rapida endoarteriosa di un
agonista b-adrenergico (p. es., isoproterenolo) per riprodurre l’esercizio, l’aumento della frequenza
cardiaca e della frazione di eiezione è inferiore e la dilatazione vascolare e il rilasciamento venoso
nell’avambraccio sono minori negli uomini anziani rispetto a quelli giovani (nel muscolo cardiaco umano
isolato e nei miociti, anche la risposta alla stimolazione b-adrenergica si riduce con l’età). Tuttavia, la
venocostrizione a-adrenergica, mediata durante l’esercizio, non si riduce con l’età ed è un fattore
importante nel facilitare il ritorno ematico al cuore.
Il blocco b-adrenergico durante l’esercizio abolisce le differenze correlate all’età della frequenza cardiaca,
della velocità di riempimento ventricolare sinistra e del volume telediastolico. Così, la risposta
cardiovascolare all’esercizio dopo b-blocco acuto è simile nelle persone giovani e in quelle anziane.
Studi su animali confermano la riduzione con l’età della risposta contrattile dei cadiomiociti alla
stimolazione b-adrenergica. La risposta contrattile è ridotta perché, con l’età, la stimolazione b-
adrenergica è meno in grado di aumentare la disponibilità dei canali del Ca++ tipo L nel sarcolemma e di
potenziare così il breve incremento della concentrazione di calcio nel citosol (Ca++ transitorio). La
riduzione correlata all’età della risposta postsinaptica dei miociti alla stimolazione b-adrenergica sembra
essere dovuta a cambiamenti multipli nell’accoppiamento dei recettori b1 e b2-adrenergici ai meccanismi
post-recettoriali intracellulari. Il principale cambiamento correlato all’età, che limita la trasmissione
intracellulare di questa via di segnali, sembra interessare l’accoppiamento dei recettori b-adrenergici

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all’adenilato ciclasi mediante la proteina G stimolante (Gs). A causa di questo cambiamento, non si
produce una quantità di adenosina monofostato ciclico (cyclic Adenosine MonoPhospate, cAMP)
intracellulare sufficiente ad attivare adeguatamente la protein chinasi A, che fosforilizza proteine chiave,
determinando una funzione proteica alterata e una funzione cardiaca aumentata. La ridotta risposta alla
stimolazione b-adrenergica nelle persone anziane sane assomiglia a quella dei pazienti con insufficienza
cardiaca cronica. Tuttavia, diversamente dal caso dell’insufficienza cardiaca cronica, né l’attività della
chinasi b-adrenergica, né l’attività della proteina G inibitrice (Gi inibisce l’adenilato ciclasi intracellulare)
sembrano essere coinvolte nella riduzione correlata all’età degli effetti b-adrenergici.
Gli stessi cambiamenti vascolari e cardiaci (emodinamici) che sono stati osservati nelle persone
normotese quando invecchiano si verificano anche nelle persone ipertese, ma a un’età più giovane, e, in
alcuni, i cambiamenti sono esagerati. Tuttavia, con l’età, le persone ipertese subiscono alcune
modificazioni che non si verificano nei soggetti normotesi. Nelle persone ipertese, la resistenza vascolare
periferica aumenta sostanzialmente con l’età. L’aumento della resistenza vascolare periferica aumenta la
pressione arteriosa diastolica e media e ha un ruolo maggiore nel postcarico vascolare cardiaco rispetto
alle persone normotese. La gittata sistolica e la gittata cardiaca sono più basse nelle persone ipertese che
in quelle normotese anche a riposo.
Il sistema vascolare
Con l’età, le pareti delle grandi arterie di conduzione (p. es., l’aorta) si ispessiscono e le arterie si dilatano
e si allungano. L’ispessimento deriva principalmente da un aumento dello spessore intimale dovuto ad
accumulo cellulare e deposizione di matrice; si verifica anche la frammentazione della membrana elastica
interna. Queste modificazioni possono spiegare parzialmente l’aumentata probabilità negli anziani che si
sviluppi un’aterosclerosi. Con l’età, l’aumento del collagene e le modificazioni dei legami crociati del
collagene presente nella media dei vasi possono rendere questo strato meno elastico. Infine, le
glicoproteine scompaiono dalle fibrille di elastina, cosicché l’elastina si frammenta. Un aumento correlato
all’età dell’attività dell’elastasi e della deposizione di Ca++ e colesterolo sull’elastina può contribuire alla
frammentazione e alla riduzione quantitativa dell’elastina. Il contenuto totale di mucopolisaccaridi
(sostanza base) della matrice interstiziale non cambia con l’età, ma la quantità di dermatan e eparan
solfato contenuta nella matrice aumenta, mentre quella di ialuronato e condroitin solfato diminuisce.

IV. IPOMOBILITA’, SARCOPENIA, CADUTE


Disturbi di movimento
Un rallentamento della velocità di marcia oppure una deviazione della fluidità, della simmetria, o della
sincronia dei movimenti corporei.
Per gli anziani la capacità di deambulare, alzarsi da una sedia, girarsi e abbassarsi è fondamentale per
mantenere l’autonomia di movimento. La velocità di marcia, il tempo necessario per alzarsi dalla
posizione seduta e la capacità di camminare in tandem (con un piede davanti all’altro) sono fattori
predittivi indipendenti della capacità di svolgere le attività strumentali quotidiane (Instrumental Activities
of Daily Living, IADL), cioè la capacità di fare la spesa, spostarsi e cucinare. La velocità di marcia, il
tempo necessario per alzarsi dalla posizione seduta e l’equilibrio rappresentano anche fattori predittivi del
rischio di ricovero in casa di cura e di morte.
La deambulazione senza assistenza richiede la coordinazione efficace tra sensibilità, controllo motorio e
muscoloscheletrico, e attenzione.
Normali modificazioni della deambulazione legate all’età
La velocità di deambulazione (velocità di marcia) rimane stabile fino all’età di 70 anni circa;
successivamente si riduce di circa il 15% per decennio per la marcia normale e di circa il 20% per
decennio per la marcia massimale. La velocità si riduce perché l’anziano fa passi più corti. Diverse ipotesi
sono state proposte per spiegare la riduzione della lunghezza del passo.
La cadenza (il ritmo del camminare) non cambia con l’età. Ogni individuo ha una cadenza preferita,
legata alla lunghezza delle gamba e che in genere rappresenta il ritmo a minor dispendio energetico per la
particolare struttura corporea. Gli individui alti fanno passi più lunghi con una cadenza più lenta; gli
individui bassi fanno passi più corti con una cadenza più veloce.
La stazione doppia (in cui entrambi i piedi poggiano a terra, chiamata anche supporto doppio) aumenta
con l’età, dal 18% nei giovani adulti fino a ³ 26% nei soggetti anziani sani. Durante la stazione doppia, il
centro di massa si trova tra i piedi, in una posizione stabile. Aumentando il tempo trascorso in posizione
di stazione doppia, si riduce la velocità e pertanto si riduce il tempo di avanzamento della gamba,
contribuendo ad un passo più breve. Un maggiore utilizzo della stazione doppia può essere necessario su
un terreno accidentato oppure in caso di ridotto equilibrio, in modo che la lunghezza del passo venga

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sacrificata alla stabilità. Gli anziani che temono di cadere aumentano il tempo di stazione su due piedi. Il
tempo di stazione doppia è un forte fattore predittivo della velocità di marcia e della lunghezza del passo.
La postura di deambulazione (la posizione del corpo durante la marcia) si modifica solo lievemente con
l’età. In assenza di malattie come l’osteoporosi con cifosi, i soggetti anziani camminano diritti, senza
inclinarsi in avanti. Essi camminano con una maggiore rotazione pelvica anteriore (verso il basso), che
provoca un aumento della lordosi lombare, probabilmente a causa del maggiore tessuto adiposo
addominale, della debolezza della muscolatura addominale e della contrazione dei muscoli flessori
dell’anca. Gli anziani inoltre camminano con una “deviazione esterna dell’alluce”, di circa 5°,
probabilmente a causa della perdita della rotazione interna dell’anca oppure per aumentare la stabilità
laterale. Nell’anziano l’elevazione del piede durante il passo è identica a quella del soggetto giovane.
La mobilità articolare si modifica con l’età. La flessione plantare della caviglia si riduce durante la fase
tardiva della stazione (subito prima che il piede posteriore si sollevi), nonostante la flessione dorsale
massima della caviglia non si riduca. La mobilità globale del ginocchio non si modifica. La mobilità
dell’anca non varia sul piano sagittale, mentre sul piano frontale mostra una maggiore adduzione. La
mobilità pelvica si riduce nei piani frontale e trasverso, come anche la rotazione sul piano frontale.
La lunghezza del passo è minore nell’anziano. Un motivo è la debolezza dei muscoli del polpaccio che
non riescono a produrre una flessione plantare sufficiente. Un altro motivo è il fatto che gli anziani sono
restii a generare la potenza di flessione plantare normale a causa del minore equilibrio e del minore
controllo del centro di massa durante la stazione singola.
Eziologia e sintomi
Nell’individuo sano, i movimenti del corpo sono solitamente simmetrici. La lunghezza del passo, la
cadenza, il movimento del busto e la mobilità di caviglia, ginocchia, anche e cingolo pelvico sono uguali
sia a destra che a sinistra.
La simmetria di movimento e la coordinazione tra il lato destro e il sinistro spesso si riducono,
provocando un’asimmetria in caso di disturbi monolaterali neurologici o muscoloscheletrici. La riduzione
simmetrica del passo in genere indica un problema bilaterale. Se la cadenza, il passo o l’ampiezza della
falcata sono imprevedibili o altamente variabili, è presente una perdita del controllo motorio della
deambulazione a causa di una sindrome cerebellare o del lobo frontale.
I sintomi di pseudoclaudicatio, il dolore, la debolezza e lo stordimento durante la deambulazione e il
miglioramento con il riposo, possono essere causati dalla stenosi del canale vertebrale. La stenosi
vertebrale può essere causata da pressione o tensione sul midollo nella regione cervicale o lombare.
La difficoltà ad iniziare la marcia può essere dovuta ad un deficit isolato dell’inizio marcia, al morbo di
Parkinson, oppure a patologie frontali o sottocorticali. La prevalenza dei segni di parkinsonismo
(bradicinesia e rigidità) è elevata negli anziani e aumenta rapidamente dopo i 75 anni. Una volta iniziata
la marcia, i passi sono continui, con minima variabilità del sincronismo. L’arresto improvviso o il forte
rallentamento in genere suggeriscono una marcia cauta, il timore di cadere, o un disturbo frontale della
deambulazione.
L’incapacità a iniziare la marcia dovuta a un disturbo sensitivo-motorio di alto livello (lobo frontale o
sostanza bianca) può progredire a ulteriori alterazioni quali la postura rigida con piccoli passi, la
retropulsione (cadere all’indietro) durante la stazione eretta, risposte correttive insufficienti alle
perturbazioni dell’equilibrio durante la marcia e una tipologia di marcia estremamente variabile e
instabile. L’idrocefalo normoteso è una possibilità da considerare in presenza di deficit cognitivi e
incontinenza urinaria associati a disturbi di deambulazione sensitivo-motoria di livello elevato. La TC e la
RMN permettono di identificare infarti lacunari, patologie della sostanza bianca o atrofia focale, oltre
all’idrocefalo normoteso.
La caduta del piede, secondaria alla debolezza del muscolo tibiale anteriore o alla ridotta flessione del
ginocchio, può ridurre lo slancio del piede. Le cause possono essere la spasticità oppure l’abbassamento
del cingolo pelvico per la debolezza dei muscoli prossimali del lato affetto (in particolar modo il gluteo
medio).
Il passo corto è aspecifico e può essere dovuto al timore di cadere, oppure ad un disturbo neurologico o
muscoloscheletrico. Il lato con il passo corto è in genere quello sano e il passo corto è in genere dovuto a
un problema della fase di stazione della gamba controlaterale. Per esempio, un paziente con una gamba
sinistra debole o dolorante passa meno tempo sulla gamba sinistra e sviluppa meno potenza per spingere il
corpo in avanti. Ne risultano uno slancio più breve della gamba destra e quindi un passo più corto. La
gamba destra normale spinge in avanti il lato sinistro; il normale tempo di stazione sulla destra permette
uno slancio normale della gamba sinistra, e la propulsione in avanti del corpo da parte dell’anca e della
caviglia fa in modo che la gamba sinistra compia un passo più lungo della gamba destra.
L’instabilità irregolare e imprevedibile del tronco può essere causata da una disfunzione cerebellare,
sottocorticale e dei gangli della base. La pendenza costante del tronco dal lato della gamba d’appoggio
può rappresentare una strategia per ridurre il dolore articolare da artrosi dell’anca o, meno

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frequentemente, da artrosi del ginocchio (marcia antalgica). Nella deambulazione emiparetica, il tronco
può pendere dal lato più forte. In tale situazione, il paziente si piega per elevare il cingolo pelvico
controlaterale per permettere all’arto spastico (incapace di flettere il ginocchio) di sollevarsi da terra
durante la fase di slancio.
La deviazione dal percorso è una chiara indicazione di deficit del controllo motorio. La falcata ampia
può essere dovuta a patologie cerebellari, se la larghezza rimane costante. La falcata variabile suggerisce
la perdita del controllo motorio, che può essere provocata da disturbi della deambulazione frontali o
sottocorticali.
Diagnosi
La diagnosi si affronta in quattro tempi:
 discussione dei problemi, delle paure e degli obiettivi di mobilità del paziente;
 osservazione dell’andatura con e senza assistenza (se sicura);
 la valutazione di tutte le componenti della marcia;
 la nuova osservazione una volta note le componenti della marcia del paziente.
L’obiettivo è stabilire il maggior numero possibile di fattori concausali al disturbo di deambulazione. Uno
strumento di valutazione basato sulla performance può essere utile, come anche altri test (p. es., un esame
cognitivo di screening per pazienti con disturbi di deambulazione dovuti a sindromi del lobo frontale).
Esame obiettivo: la valutazione di routine può essere effettuata da un medico di base; può essere
necessario rivolgersi allo specialista in caso di disturbi complessi dell’andatura. La valutazione richiede
un corridoio rettilineo senza distrazioni e un cronometro per le misurazioni. Un righello e una squadra
sono necessari per misurare la lunghezza del passo. La misurazione della cinetica di marcia può essere
effettuata accuratamente solo in pochi laboratori dotati di tecnologia avanzata di computer e video.
Il paziente deve essere preparato all’esame, deve indossare pantaloncini che lascino scoperte le ginocchia.
Deve essere al corrente della necessità di eseguire più misurazioni e deve potersi riposare se affaticato.
I dispositivi per l’assistenza durante la marcia aumentano la stabilità ma influenzano l’andatura. L’uso del
girello spesso provoca una postura in flessione e una marcia discontinua, soprattutto quando il girello è
sprovvisto di ruote. Se non vi è pericolo, l’operatore sanitario può chiedere al paziente di camminare
senza assistenza, rimanendogli vicino. Se il paziente usa il bastone, l’operatore può affiancare il paziente
dal lato del bastone oppure prendergli il braccio.
L’equilibrio è ridotto se il paziente non è in grado di mantenere la posizione di tandem o su una gamba
per ³ 5 s.
La forza muscolare prossimale viene valutata facendo alzare il paziente dalla posizione seduta senza
l’ausilio delle braccia.
La velocità di marcia si misura con un cronometro. Si considera una distanza fissa (preferibilmente 6 o 8
metri). La velocità di marcia nell’anziano sano varia da 1,5 a 1,1 m/s.
La cadenza si misura in passi/min. La cadenza varia con la lunghezza della gamba da circa 90 passi/min
negli adulti di alta statura (190 cm) a circa 125 passi/min negli adulti di bassa statura (160 cm).
Può essere misurata od osservata la lunghezza del passo (la distanza tra due colpi di tacco consecutivi).
L’altezza del passo può essere valutata osservando lo slancio del piede; se tocca il pavimento, il paziente
può inciampare. Alcuni pazienti timorosi di cadere o affetti da sindrome dell’andatura cauta possono
volontariamente strisciare i piedi lungo il pavimento.
Il medico può individuare le asimmetrie o la variabilità del ritmo di marcia mormorando “ta..ta..ta” a se
stesso ogni volta che il piede colpisce il suolo. Alcuni operatori sanitari, per la rilevazione del ritmo, sono
dotati di un udito migliore della vista.

Sarcopenia
Fra i 30 e i 75 anni, la massa magra dell’organismo si riduce, soprattutto a causa della perdita di massa
muscolare scheletrica, e il numero e la dimensione delle fibre muscolari diminuiscono progressivamente.
Questo processo è denominato sarcopenia. Nella patogenesi della sarcopenia possono essere coinvolti
diversi fattori legati all’invecchiamento: riduzione del livello di attività fisica; modificazioni a carico del
sistema nervoso centrale o periferico, probabilmente iniziate nel corso dell’età media, che possono portare
alla perdita di unità motorie; riduzione del tasso di sintesi proteica nei muscoli scheletrici. In molte
persone anziane, la perdita di massa muscolare può essere accelerata dal concorso di un aumento del
fabbisogno proteico e di una riduzione dell’assunzione di proteine con la dieta.
Nei giovani sani, il 30% del peso corporeo è rappresentato dai muscoli, il 20% dal tessuto adiposo e il
10% dalle ossa. Ai muscoli si deve il 50% della massa magra corporea e circa il 50% del contenuto
corporeo totale di azoto. Entro i 75 anni, i muscoli costituiscono circa il 15% del peso corporeo, il tessuto
adiposo il 40% e le ossa l’8%. Pertanto, la metà della massa muscolare è scomparsa a causa della
sarcopenia.

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Le fibre muscolari di tipo II, ad alta velocità di contrazione, si riducono in misura maggiore rispetto alle
fibre di tipo I, a contrazione più lenta. Le fibre di tipo II prendono parte alle contrazioni muscolari rapide
di potenza, mentre quelle di tipo I hanno la funzione di mantenere la postura e di svolgere gli esercizi
muscolari ripetitivi e di resistenza. La perdita di fibre muscolari dovuta all’invecchiamento provoca una
diminuzione della forza massima di contrazione isometrica, che si riduce del 20% entro i 60 anni e del
50% entro gli 80 anni.
I motivi della comparsa di queste modificazioni della composizione corporea e della forza di contrazione
isometrica non sono ancora del tutto compresi, ma tra i fattori che vi contribuiscono potrebbe esserci un
deficit relativo di ormoni anabolizzanti, come l’ormone della crescita, il fattore di crescita insulino-simile
I (Insulin-like Growth Factor I, IGF-I), il testosterone e il deidroepiandrosterone (DHEA), e una riduzione
dell’esecuzione abituale di un lavoro muscolare vigoroso. I pazienti nei quali compaiono deficit ormonali
come quelli descritti potrebbero necessitare di una terapia suppletiva ormonale.
Nell’anziano, gli effetti benefici dell’esercizio muscolare hanno solitamente una specificità limitata al
compito motorio prescelto per l’esercizio stesso. Per esempio, se l’obiettivo è quello di raggiungere
un’abilità superiore nel lanciare una palla, l’esercizio dovrà riguardare proprio il movimento del lancio
della palla, più che mirare al generico rafforzamento dei muscoli coinvolti nel lancio. Per migliorare la
loro abilità funzionale, gli anziani devono seguire sia un allenamento mirato specificamente al compito
motorio prescelto, sia esercizi di rafforzamento muscolare. Per stabilire quali siano la frequenza,
l’intensità, la durata e il tipo ottimali degli esercizi necessari per il mantenimento di un livello auspicabile
di efficienza muscolare negli anziani, sarà indispensabile eseguire studi più approfonditi.
Le persone anziane con mobilità notevolmente ridotta a causa di una malattia acuta, e particolarmente le
persone anziane costrette a letto, corrono il rischio del decondizionamento e dell’accelerazione della
perdita di forza e di massa muscolare. Il tasso di perdita è all’incirca dell’1,5%/die; il decondizionamento
è maggiore a livello dei muscoli antigravitari (cioè, quelli utilizzati per mettersi a sedere dalla posizione
supina, alzarsi in piedi e sollevarsi con le braccia), i quali sono essenziali per lo svolgimento delle attività
della vita quotidiana. Alcuni geriatri ritengono che per 1 giorno di immobilizzazione assoluta a letto siano
necessarie, per ritornare allo stato funzionale preesistente, 2 sett. di ricondizionamento. Nel piano di
assistenza alle persone anziane ospedalizzate, specialmente se immobilizzate a letto, deve essere
compreso un programma di intervento precoce basato sulla terapia fisica e su un regime personalizzato di
esercizi motori.
Sebbene con l’invecchiamento si assista a una riduzione della forza muscolare, la capacità funzionale dei
muscoli è praticamente la stessa sia negli anziani, sia negli adulti più giovani. Generalmente, gli anziani
sani riescono agevolmente a mantenere la stazione eretta, a sollevarsi dalla posizione accosciata, a
camminare lungo una linea retta, a saltellare su un piede solo e a svolgere le abituali attività della vita
quotidiana.

Cadute
Spesso le cadute non vengono individuate dal personale medico perché non vi è una valutazione specifica
nell’anamnesi e nell’esame obiettivo e perché molte persone che subiscono cadute non mostrano segni
evidenti di lesioni. Molti pazienti sono restii a richiedere assistenza perché la lesione era minima, oppure
perché attribuiscono le cadute al processo d’invecchiamento, oppure perché temono di essere limitati
nelle attività o ricoverati.
Epidemiologia
Le cadute negli anziani rappresentano un importante problema di sanità pubblica con notevoli
conseguenze mediche ed economiche. Nel 1994, il costo era > $20 miliardi; nel 2020 tale costo è stimato
a > $32 miliardi. Ogni anno, circa un terzo degli anziani che vive a domicilio subisce una caduta. Il tasso
di caduta per i pazienti ricoverati in case di cura è circa tre volte maggiore; la media è di 1,5 cadute per
letto per anno. Il tasso di cadute per gli anziani ricoverati in ospedale è intermedio tra quello dei
domiciliati e quello dei pazienti in case di cura. Una delle ragioni per il più alto tasso di cadute tra i
pazienti ricoverati è la maggiore fragilità di tali pazienti; un’altra ragione potrebbe essere un più elevato
numero di denunce di tali eventi negli ambienti di ricovero.
Negli USA, le cadute sono la prima causa di morte accidentale e la settima causa di morte nelle persone
d’età ³ 65 anni. Il 75% dei decessi causati dalle cadute si verifica nel 12,5% della popolazione d’età ³ 65
anni. Il tasso di mortalità dovuto a cadute cresce esponenzialmente all’aumentare dell’età in entrambi i
sessi e in tutti i gruppi etnici di età ³ 75 anni.
La maggior parte delle cadute si verifica in casa. Non c’è un momento specifico della giornata o dell’anno
associato alle cadute. Tra gli anziani, la maggior parte delle cadute si verifica durante le normali attività
come la deambulazione. Le cadute dentro casa si verificano più spesso nel bagno, nella camera da letto e
in cucina. Circa il 10% delle cadute si verifica sulle scale, con la discesa più rischiosa dell’ascesa. Il
primo e l’ultimo scalino sono i più pericolosi. Le sedi più frequenti di cadute all’aperto sono i marciapiedi

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e i gradini. Nei reparti, le sedi più comuni delle cadute sono in vicinanza del letto (durante l’entrata o
l’uscita dal letto) e il bagno.
Eziologia
Per definizione, una caduta esclude eventi causati da una sincope , anche se una persona che cade può
perdere conoscenza a causa della caduta. Una caduta è causata in genere da un’interazione complessa di
fattori intrinseci (disturbi individuali), fattori estrinseci (pericoli ambientali) e fattori di situazione (legati
alle semplici attività quotidiane espletate). Per esempio, una donna anziana affetta da artrosi e da morbo
di Parkinson (fattori intrinseci) potrebbe inciampare sul bordo di un tappeto (fattore estrinseco) mentre
cammina verso il bagno di notte (fattore di situazione). Il contributo maggiore al rischio di caduta è dato
dalla presenza di fattori intrinseci.
I fattori intrinseci comprendono le alterazioni legate all’età e i disturbi che colpiscono le funzioni
necessarie al mantenimento dell’equilibrio. Tali funzioni comprendono la vestibolare, la propriocettiva e
la visiva, che sono integrate nel cervelletto; la cognitiva e la muscoloscheletrica sono anch’esse
importanti. Pertanto l’artrosi delle gambe (associata con il dolore e la riduzione della mobilità e della
forza) e la demenza (associata alla mancanza di giudizio, la distrazione e la confusione) contribuiscono al
rischio di caduta. Il capogiro è frequente tra gli anziani.
L’ipotensione ortostatica, frequente tra gli anziani, non rappresenta una causa comune di caduta, ma
spesso causa alle persone affette un obnubilamento che le costringe a sedersi. La nicturia frequente è
associata alle cadute, probabilmente perché la persona anziana ha difficoltà ad alzarsi dal letto e
raggiungere rapidamente il bagno di notte. Le patologie metaboliche (cioè disturbi della tiroide, del
glucoso e degli elettroliti); l’anemia e la disidratazione; i disturbi cardiopolmonari (cioè l’infarto
miocardico, le aritmie, l’insufficienza cardiaca, la polmonite, l’enfisema [in particolar modo se acuto o
scompensato]) possono anch’esse contribuire al rischio di caduta, come pure le patologie acute.
Le persone anziane che cadono nelle case di cura sono generalmente più debilitate fisicamente ed esposte
a meno fattori intrinseci; pertanto i fattori intrinseci (cioè la debolezza, i disturbi dell’equilibrio)
contribuiscono per la maggior parte al rischio di caduta e di lesioni legate alla caduta. L’uso di misure di
contenzione può aumentare il rischio di caduta in quanto i pazienti si dimenano per liberarsi; l’uso delle
barre al letto può aumentare il rischio di cadute in quanto i pazienti possono tentare di scavalcarle.
L’uso di farmaci è un importante fattore di rischio per le cadute; il rischio di cadere aumenta con
l’aumentare del numero di farmaci prescritti. I farmaci psicotropi risultano i più comunemente associati al
rischio di caduta e di frattura dell’anca. I farmaci vengono classificati in base al loro meccanismo
primario di azione.
I fattori estrinseci sono implicati nel 50% dei casi di caduta. Le persone anziane che vivono al domicilio
tendono ad essere esposte a maggiori difficoltà ambientali e a più fattori estrinseci, oltre ad essere meno
debilitate fisicamente; pertanto, i fattori estrinseci sono quelli che contribuiscono maggiormente al rischio
di caduta e di lesioni legate alla caduta. I fattori intrinseci ed estrinseci interagiscono, contribuendo al
rischio di caduta e di lesioni legate alla caduta quando siano presenti fattori estrinseci, quando le attività o
l’ambiente richiedano maggiore controllo e mobilità posturale, quando la situazione richieda un
cambiamento di posizione (come gli spostamenti, girarsi), quando il paziente si espone a rischi (come
camminare scalzo) e quando il paziente viene trasferito in una casa di cura. Inoltre, è molto importante la
tolleranza del rischio individuale del soggetto.
I fattori di situazione condizionano la gravità di una lesione dovuta a una caduta. Per esempio, una
persona anziana ha maggiori probabilità di riportare una lesione grave cadendo dalla posizione eretta,
poiché si dissipa maggiore energia, oppure cadendo lateralmente, poiché l’impatto sull’anca è diretto.
Complicanze
Le cadute possono provocare lesioni, tra cui le fratture. Fino al 2% delle cadute provoca la frattura
dell’anca; altre fratture (cioè dell’omero, del polso, del bacino) si possono verificare nel 5% delle cadute.
Lesioni gravi (cioè traumi cranici o degli organi interni, lacerazioni) si possono verificare nel 10% delle
cadute. Oltre il 50% delle cadute degli anziani provoca almeno una minima lesione.
La qualità della vita può deteriorare drasticamente dopo una caduta; almeno il 50% degli anziani in grado
di deambulare prima della frattura dell’anca non riesce a recuperare la mobilità al livello prefrattura. Se
l’anziano rimane a terra dopo la caduta, può andare incontro alla disidratazione, alle ulcere da decubito,
alla rabdomiolisi, all’ipotermia e alla polmonite.
Le persone anziane che cadono, in particolar modo coloro che cadono ripetutamente, tendono ad avere
deficit della capacità di svolgere le attività quotidiane semplici e strumentali e sono ad alto rischio di
successivo ricovero, ulteriore limitazione fisica e morte. Le lesioni da caduta rappresentano il motivo di
ricovero in circa il 5% dei pazienti di età ³ 65 anni. Circa il 5% degli anziani con frattura dell’anca muore
durante il ricovero in ospedale; la mortalità globale durante i 12 mesi successivi alla frattura d’anca varia
tra il 12 e il 67%.

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Anche le cadute che non provocano lesioni gravi possono avere conseguenze serie. L’anziano può temere
una nuova caduta, che può condurre a una minore mobilità a causa dell’insicurezza. Alcuni soggetti
arrivano a evitare determinate attività (come fare la spesa, fare le pulizie) a causa di tale timore. La ridotta
attività può aumentare la rigidità articolare e la debolezza muscolare, riducendo ulteriormente la mobilità.
Le cadute sono considerate un fattore concausale nel 40% dei ricoveri in casa di cura.
Diagnosi
Poiché l’anziano spesso non riferisce le cadute, la domanda va posta di routine durante lo screening. Nel
caso il paziente riferisca una caduta, si valutano per prime le eventuali lesioni acute. Successivamente,
con l’anamnesi e l’esame obiettivo, ci si concentra sui fattori intrinseci, estrinseci e di situazione.
Anamnesi: inizialmente si pongono domande generali riguardo alla caduta, seguite da domande più
specifiche su quando e dove si è verificata, e che cosa stava facendo il paziente al momento della caduta.
Alcune domande tipiche sono:
 Si è accorto di sintomi premonitori o associati quali palpitazioni, dispnea, dolore toracico,
vertigine o capogiro al momento della caduta?
 Erano presenti fattori estrinseci evidenti?
 Ha subìto una lesione, è stato in grado di alzarsi?
 È già successo in passato?
L’anamnesi deve comprendere domande riguardanti le patologie passate e presenti, oltre all’uso di
farmaci. Bisogna interrogare anche le altre persone presenti al momento della caduta.
Esame obiettivo: l’esame obiettivo dev’essere completo per escludere cause intrinseche evidenti. Il tipo
di lesione procurata può essere d’aiuto. La valutazione del sistema cardiovascolare permette di escludere
un’aritmia, una valvulopatia e l’insufficienza cardiaca. Si misura la pressione arteriosa in posizione
supina ed eretta per escludere l’ipotensione ortostatica. L’esame del sistema visivo, almeno dell’acuità
visiva, è essenziale. Si valutano il collo, la colonna e gli arti per individuare deformità, dolori e
limitazioni della mobilità.
Un esame neurologico completo comprende la valutazione della forza e del tono muscolare, della
sensibilità (compresa la propriocettiva), della coordinazione (compresa la funzione cerebellare), della
stazione eretta e della deambulazione. Il controllo posturale di base e i sistemi propriocettivo e vestibolare
si valutano con il test di Romberg (in cui il paziente sta in posizione eretta con i piedi ravvicinati e gli
occhi chiusi). I test per valutare la funzione d’equilibrio d’alto livello comprendono lo stare eretti su un
piede e la deambulazione in tandem. Se il paziente è in grado di stare su un piede per 30 secondi con gli
occhi aperti, ed è in grado di deambulare in tandem per 10 passi, il deficit intrinseco di controllo posturale
è verosimilmente minimo. Anche la funzione vestibolare deve essere valutata. È indicata anche la
valutazione dello stato. Poiché la caduta potrebbe essere una manifestazione atipica di una patologia
acuta, è necessario ricercare altre cause occulte quali le infezioni, l’infarto miocardico, la disidratazione e
l’anemia.
Valutazioni funzionali basate sulla performance: l’ottenimento di punteggi bassi in questi test potrebbe
indicare un maggiore rischio di caduta.
Esami di laboratorio: i test quali l’ECG, il monitoraggio cardiaco ambulatoriale, la misurazione dei
livelli degli enzimi cardiaci e l’ecocardiogramma sono indicati soltanto quando si sospetti una patologia
cardiaca. L’emocromo, gli elettroliti plasmatici e il test per il sangue occulto nelle feci sono utili nel
sospetto di una patologia sistemica. Le radiografie della colonna, la TC o la RMN del cranio e l’EEG
sono indicati soltanto quando l’anamnesi e l’esame obiettivo evidenziano nuovi disturbi neurologici.
Prevenzione e prognosi
Pochi dati sono disponibili riguardo al rapporto costo/beneficio della valutazione diagnostica per la
previsione e la prevenzione delle cadute. Gli interventi tentano di migliorare la capacità funzionale,
prevenire o ridurre il numero di cadute, e minimizzare le lesioni dovute alle cadute. Tuttavia,
l’autosufficienza del paziente a volte ne risente (p. es., per motivi di sicurezza si sconsiglia di deambulare
con il cattivo tempo). Nonostante non si riesca ad eliminare completamente le cadute, è possibile ridurre
la gravità delle lesioni riportate, la durata del ricovero e la comorbilità, adoperando gli accorgimenti sotto
elencati.
Trattamento
Se la caduta è causata da fattori intrinseci, gli interventi mirano a ridurre le limitazioni legate alle
patologie e a fornire fisioterapia. I presidi utili comprendono l’uso di farmaci dopaminergici se la caduta è
dovuta alla presenza di morbo di Parkinson, oppure di terapia del dolore, fisioterapia e chirurgia se la
caduta è legata alla presenza di osteoartrosi. Anche la correzione di un deficit visivo è d’ausilio. Si
consiglia di sospendere o ridurre il dosaggio di farmaci che possono aumentare il rischio di caduta. La
fisioterapia e i programmi d’esercizio fisico per aumentare l’equilibrio e la stabilità di marcia, l’istruzione

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all’uso di bastoni o girelli, sono presidi utili. Le strategie d’intervento che prevedono l’uso dell’esercizio
fisico (in particolar modo per migliorare l’equilibrio), possono ridurre il rischio di caduta del 10%.
Temi riguardanti pazienti e medici: sono utili la valutazione e la correzione delle eventuali situazioni
che aumentano il rischio di caduta in casa del soggetto anziano. Adattamenti delle sedie a rotelle, cinture
asportabili e sedili ad incastro possono prevenire le cadute e limitano la mobilità meno delle misure di
contenzione. È utile la supervisione da parte di un infermiere o assistente, in particolar modo nei pazienti
per cui si prendono in considerazione le misure di contenzione. Si possono adoperare anche i sensori di
movimento, ma richiedono che sia presente qualcuno che risponda al segnale.
Un cuscinetto posizionato sull’anca protegge l’anziano che è già caduto in passato ed è a rischio di
lesioni. L’uso di materiali di pavimentazione duttili può dissipare l’energia dell’impatto con il terreno;
tuttavia, un pavimento troppo cedevole può essere destabilizzante. Un approccio multifattoriale, che
integri strategie mediche, riabilitative, ambientali e di intervento è spesso il migliore.
Ai pazienti bisogna spiegare come agire in caso di caduta senza possibilità di rialzarsi. Alcune tecniche
utili comprendono girarsi dalla posizione supina a quella prona, poggiarsi su mani e ginocchia, gattonare
fino a raggiungere una superficie solida e tirarsi su. I contatti frequenti con familiari e conoscenti, il
telefono a portata di mano e un sistema d’allarme telecomandato possono ridurre la probabilità di
rimanere a terra per lungo tempo dopo la caduta.

V. DELIRIUM E DEMENZA
Delirium
Condizione clinica caratterizzata da una alterazione acuta e fluttuante dello stato psichico, con perdita
dell’attenzione e alterazione dello stato di coscienza.
Il termine “delirium” viene usato in varie accezioni. Alcuni operatori sanitari usano i termini “delirium” e
“stato confusionale acuto” come sinonimi. Alcuni usano il termine “delirium” per indicare uno stato
confusionale con iperattività. Altri usano il termine “delirium” per indicare uno stato confusionale grave e
il termine “stato confusionale acuto” per indicare un disorientamento lieve. Il Manuale Merck di Geriatria
usa il termine “delirium” come definito sopra.
Il delirium può essere classificato sulla base dell’attività psicomotoria (cioè, del livello di vigilanza). Nel
delirium iperattivo (circa il 25% dei casi), vi è aumento dell’attività psicomotoria ed è prevalente
l’agitazione; il delirium iperattivo può essere diagnosticato erroneamente come uno stato d’ansia e il
paziente può venire semplicemente sedato (cioè, si può non rilevare una causa grave sottostante). Nel
delirium ipoattivo (circa il 25% dei casi), vi è diminuzione dell’attività psicomotoria; il delirium
ipoattivo può essere erroneamente diagnosticato come depressione o può non essere individuato. Nel
delirium misto (circa il 35% dei casi), l’attività psicomotoria ha caratteristiche sia di iperattività che di
ipoattività. In circa il 15% dei casi, l’attività psicomotoria è normale.
Epidemiologia ed eziologia
Il delirium è molto comune tra gli anziani. Nei pazienti della medicina generale >70 anni ricoverati in
ospedale, dal 10 al 20% ha un delirium in atto all’ammissione e dal 10 al 20% incorre in un delirium
durante la degenza. L’incidenza del delirium postoperatorio nei pazienti >70 è tra il 15 e il 25% dopo
procedure elettive e tra il 35 e il 65% dopo interventi di emergenza (p. es., riparazione di frattura
dell’anca). L’incidenza in altri ambienti (p. es., le case di cura, la comunità) è sconosciuta, ma,
probabilmente, è in aumento, dato che i pazienti vengono dimessi in tempi più brevi dopo le cure di fase
acuta. I fattori di rischio comprendono l’età molto avanzata, una demenza soggiacente, un funzionamento
compromesso, una comorbilità per malattie mediche e le relative terapie. I fattori che possono precipitare
il delirium sono i seguenti:
 uso di farmaci (specialmente all’introduzione o in occasione di aggiustamenti posologici);
 alterazioni elettrolitiche e fisiologiche (p. es., iponatremia, ipossiemia);
 sospensione di farmaci (astinenza);
 infezioni (specialmente del tratto urinario o infezioni respiratorie);
 riduzione degli input sensoriali (p. es., cecità, sordità, oscurità, cambiamenti dell’ambiente);
 problemi endocranici (p. es., ictus, emorragia, meningite, stato post-ictale);
 ritenzione urinaria e fecalomi;
 problemi cardiaci (p. es., infarto miocardico, aritmie, insufficienza cardiaca).
Inoltre, il delirium può essere aggravato all’incirca da ogni malattia acuta di qualsiasi apparato o
dall’esacerbazione di qualunque malattia cronica.
Fisiopatologia
La neurofisiopatologia del delirium è sconosciuta. Spesso vi è un aumento dell’attività anticolinergica
sierica, probabilmente a causa di fattori endogeni o della terapia farmacologica. Gli anziani sono

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particolarmente vulnerabili alla riduzione della trasmissione colinergica. I livelli della fenilalanina e del
triptofano, che sono coinvolti nella sintesi di questo neurotrasmettitore, possono essere anormali e i livelli
di leucotrieni e interferoni possono essere elevati.
Sintomi e segni
Il segno caratteristico del delirium è una disfunzione cognitiva acuta con compromissione dell’attenzione,
che si sviluppa improvvisamente o in breve tempo (di solito da ore a giorni). Un paziente con delirium ha
fluttuazioni acute dello stato psichico, con vari livelli di disattenzione e alterazione dei livelli di
coscienza. Possono verificarsi alterazioni dell’orientamento, della memoria e del pensiero astratto, ma
esse non sono patognomoniche. L’attività psicomotoria (il livello di attivazione) può essere variabilmente
alterata. Possono essere presenti allucinazioni, deliri, tremore, alterazioni del ritmo sonno-veglia e altri
sintomi. In alcuni pazienti anziani debilitati, il delirium precede la comparsa di un’altra malattia ed è solo
la manifestazione precoce di tale malattia. Il delirium può persistere per molte settimane o mesi; in rari
casi, non si risolve in modo chiaro oppure sfuma verso una disfunzione cognitiva cronica (demenza).
Diagnosi
La diagnosi si basa su due elementi: stabilire la presenza del delirium e determinarne la causa sottostante,
se possibile. La mancata diagnosi o l’errore diagnostico si verificano in una percentuale fino all’80% dei
casi, ma sono meno probabili utilizzando dati di provenienza multidisciplinare (p. es., da medici,
infermieri e persone che conoscono bene il paziente, come i suoi familiari).
Criteri diagnostici per il delirium
- Disturbo della coscienza (cioè, riduzione della lucidità con cui si è consapevoli dell’ambiente) con riduzione della
capacità di focalizzare, mantenere o spostare l’attenzione
- Alterazione delle funzioni cognitive (p. es., deficit della memoria, disorientamento, disturbi del linguaggio) o
sviluppo di un disturbo percettivo che non è possibile attribuire con maggiore probabilità a una demenza
preesistente, stabilizzata o in evoluzione
- Il disturbo si sviluppa in tempi brevi (di solito da ore a giorni) e tende a manifestare fluttuazioni nel corso della
giornata
Per il delirium da patologie sistemiche:
evidenza dall’anamnesi, dall’esame obiettivo o dalle analisi di laboratorio che il disturbo è dovuto alle conseguenze
fisiologiche dirette di una patologia sistemica
Per il delirium da cause tossiche:
evidenza dall’anamnesi, dall’esame obiettivo o dalle analisi di laboratorio che:
1. i sintomi elencati nei primi due criteri si sono sviluppati nel corso di una intossicazione da sostanze
2. l’assunzione di sostanze è correlata eziologicamente al disturbo
Per il delirium dovuto ad astinenza da sostanze:
evidenza dall’anamnesi, dall’esame obiettivo o dalle analisi di laboratorio che i sintomi elencati nei primi due criteri si sono
sviluppati durante o subito dopo una sindrome di astinenza
Per il delirium da cause multiple:
evidenza dall’anamnesi, dall’esame obiettivo o dalle analisi di laboratorio che il delirium ha più di una causa (p. es., più di
una patologia sistemica, o una patologia sistemica oltre a un’intossicazione da sostanze o all’effetto collaterale di un
farmaco).

Un’accurata anamnesi è necessaria per determinare la frequenza e la durata delle alterazioni dello stato
psichico e delle altre caratteristiche cliniche. La revisione farmacologica mette a fuoco eventuali
modifiche del regime farmacologico (p. es., aggiunte, sospensioni, variazioni posologiche) che possono
aver aggravato il delirium. I farmaci psicoattivi, particolarmente gli ipnotico-sedativi, gli antidepressivi, i
farmaci anticolinergici e gli oppiacei, sono possibili fattori precipitanti, ma può essere implicato
pressoché ogni farmaco. Deve anche essere controllato l’uso di farmaci da banco e di alcol.
L’esame obiettivo può essere difficile nel paziente con delirium. I segni vitali, come il polso, la pressione
arteriosa, la frequenza respiratoria, la temperatura e la saturazione di ossigeno possono dare importanti
indizi eziologici. Va eseguito l’esame obiettivo cardiaco, polmonare, addominale, neurologico e psichico.
Il Confusion Assessment Method (CAM) può essere lo strumento più utile per diagnosticare il delirium.
Criteri Evidenza
Osservazione da parte di: familiare, persona che assiste il paziente o medico di
Alterazione acuta dello stato psichico
famiglia
Sintomi fluttuanti nel corso di minuti o ore Osservazione da parte del personale infermieristico o di altro assistente
Disturbi dell’attenzione Anamnesi
Cattiva memoria numerica, incapacità di nominare i mesi a ritroso
Alterazione dei livelli di coscienza Ipervigilanza, torpore, stupor o coma
Disorganizzazione del pensiero Eloquio divagante o incoerente
*I primi tre criteri più il quarto o il quinto devono essere presenti per confermare la diagnosi di delirium.

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Il CAM identifica i criteri necessari per la diagnosi; altri criteri che non sono necessari per la diagnosi
(sebbene comuni nel delirium) comprendono un’attività psicomotoria anormale, disturbi del ritmo sonno-
veglia, allucinazioni, deliri e tremore. Il CAM può evidenziare il delirium anche in presenza di demenza.
L’esecuzione degli esami di laboratorio è guidata dall’anamnesi, dalla revisione dei farmaci e
dall’esame obiettivo. L’emocromo completo, gli elettroliti sierici, l’analisi delle urine e le colture sono gli
esami di laboratorio più utili. La TC dell’encefalo, l’analisi del liquido cerebrospinale e
l’elettroencefalografia sono meno utili, ma vengono effettuati spesso. I pazienti possono dover essere
sedati durante questi esami e i rischi correlati alla sedazione possono superare i benefici del risultato
diagnostico. Perciò, forse è meglio riservare questi esami ai pazienti particolarmente ad alto rischio
(p. es., quelli che hanno avuto un trauma cranico e assumono anticoagulanti), a quelli con anomalie
neurologiche focali di nuova insorgenza o a quelli per i quali l’anamnesi, la revisione farmacologica e
l’esame obiettivo non hanno confermato una eziologia. Se si sospetta un disturbo cardiaco o polmonare
soggiacente si può richiedere un ECG e una radiografia del torace.
Diagnosi differenziale: le diagnosi differenziali principali sono la depressione e la demenza, le quali
possono coesistere entrambe con il delirium. Il delirium ipoattivo deve essere distinto dalla depressione.
In uno studio, un terzo dei pazienti ospedalizzati inviati a una valutazione per depressione aveva un
delirium ipoattivo.
La distinzione tra delirium e demenza non è sempre chiara e le caratteristiche delle due sindromi talvolta
si sovrappongono. L’esordio del delirium è rapido; la demenza di solito si sviluppa lentamente, sebbene
quella causata da un ictus o da anossia possa manifestarsi acutamente. Nel delirium, è colpita
principalmente la capacità attentiva. Negli stadi iniziali della demenza, è colpita la memoria piuttosto che
l’attenzione, sebbene negli stadi tardivi l’attenzione possa essere gravemente ridotta. Poiché il delirium
spesso è causato da fattori tossici o metabolici che compromettono il funzionamento delle cellule
cerebrali e poiché la demenza è causata abitualmente da danno o perdita di cellule cerebrali, spesso il
delirium è considerato potenzialmente reversibile e la demenza irreversibile. Perciò, la durata del declino
cognitivo è probabilmente la maniera più chiara per distinguere questi disturbi. Sebbene la maggior parte
delle persone con delirium abbia una remissione completa, alcuni non guariscono. Inoltre, alcune persone
hanno una demenza dovuta a una causa reversibile e sono suscettibili di guarigione. Non va posta
diagnosi di demenza finché non siano stati tentati tutti i trattamenti appropriati e non siano passati diversi
mesi per consentire l’eventuale guarigione.
Complicanze
I pazienti con delirium sono particolarmente vulnerabili a problemi iatrogeni, specie quelli dovuti a
contenzioni fisiche o chimiche (cioè farmaci). L’incontinenza o la ritenzione urinaria e intestinale sono
frequenti e possono contribuire direttamente al delirium. I pazienti allettati con delirium sono predisposti
ad atelettasia, decondizionamento e piaghe da decubito. Può verificarsi malnutrizione acuta, correlata
all’incapacità di provvedere alla propria alimentazione.
Prognosi e terapia
I pazienti ospedalizzati con delirium hanno un rischio fino a 10 volte più alto di complicanze mediche
(compreso il decesso), degenze più lunghe, costi ospedalieri più alti e una maggiore necessità di invio in
strutture assistenziali dopo la dimissione.
La gestione del delirium comprende il trattamento delle patologie di base, la rimozione dei fattori
contribuenti, il controllo comportamentale, l’evitamento di complicanze iatrogene e l’assistenza al
paziente e alla sua famiglia. Una équipe geriatrica multidisciplinare, che coinvolga la famiglia e gli amici,
è in grado di fornire la migliore assistenza possibile. Il ritardo nel fornire un’assistenza sufficiente può
condurre a complicanze potenzialmente letali (e costose) e a perdita del funzionamento a lungo termine.
Il controllo comportamentale può essere necessario a garantire sollievo al paziente e a favorire la sua
sicurezza. Di solito il contenimento sociale va preferito a quello fisico o chimico. Si raccomanda la
collocazione dei pazienti con delirium nelle stanze vicine all’infermeria; bisogna incoraggiare i familiari a
restare con il paziente. Occorre fornire oggetti che aiutino il paziente a orientarsi (p. es., orologi,
calendari) e i pazienti che hanno bisogno di occhiali e apparecchi acustici devono essere stimolati a usarli.
Si raccomanda la sospensione di farmaci o terapie di cui sia nota la capacità di precipitare il delirium.
Meno comunemente, per trattare direttamente il delirium si possono usare farmaci; p. es., il delirium
causato da astinenza alcolica può essere trattato con le benzodiazepine e la tossicità da farmaci
anticolinergici, se grave, può essere trattata con la fisostigmina.
Il trattamento con farmaci psicoattivi può essere richiesto per trattare l’agitazione, piuttosto che il
delirium stesso. Se viene richiesto un trattamento farmacologico psicoattivo, è necessario documentare e
valutare i sintomi bersaglio e la risposta al trattamento. Per la maggior parte dei pazienti, sono preferibili
bassi dosaggi di antipsicotici a elevata potenza (p. es., aloperidolo da 0,25 a 1 mg PO, IM o EV).
Recentemente è stato suggerito l’impiego del risperidone (da 0,25 a 1 mg) per il trattamento
dell’agitazione nel delirium iperattivo. Il risperidone, rispetto all’aloperidolo a basso dosaggio, può avere
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effetti extrapiramidali lievemente minori. Le benzodiazepine (p. es., il lorazepam da 0,25 a 1 mg PO, IM
o EV) sono il trattamento di scelta per i pazienti con delirium dovuto ad astinenza alcolica o da sedativi o
per i pazienti con parkinsonismo che non tollerano gli effetti extrapiramidali di un antipsicotico. Tutti i
farmaci utilizzati per trattare l’agitazione possono produrre sedazione eccessiva e il loro impiego talvolta
prolunga il delirium e aumenta il rischio di complicanze.
Il rischio di atelettasia, di decondizionamento e di piaghe da decubito può essere ridotto dalla
mobilizzazione; cioè, il paziente deve stare seduto o deambulare, piuttosto che rimanere allettato. Per
evitare la malnutrizione è necessario porre particolare attenzione all’apporto nutrizionale e, talvolta,
fornire assistenza manuale durante i pasti.
Bisogna informare la famiglia e il personale ospedaliero del fatto che il delirium di solito è reversibile, ma
che i deficit cognitivi spesso richiedono settimane o mesi per scomparire, dopo la risoluzione della
malattia acuta. Il sostegno al paziente e la sua sicurezza sono della massima importanza.

Demenza
Deterioramento della funzione intellettiva e delle altre capacità cognitive, che porta a un declino della
capacità di eseguire le attività quotidiane.
La demenza è caratterizzata da un declino cognitivo che si manifesta con uno stato di coscienza normale e
in assenza di altre malattie acute o sub-acute che possono causare un declino cognitivo reversibile (p. es.,
delirium, depressione). La demenza è uno dei disturbi più gravi che colpiscono gli anziani. La prevalenza
della demenza aumenta rapidamente con l’età; raddoppia ogni 5 anni dopo i 60. La demenza colpisce
soltanto l’1% dei soggetti tra 60 e 64 anni, ma dal 30 al 50% di quelli di > 85. Negli USA, circa 4-5
milioni di persone ne sono affette e la demenza è la prima causa di istituzionalizzazione tra gli anziani. La
prevalenza tra gli anziani in case di riposo è stimata dal 60 all’80%.
Sul piano clinico la demenza va differenziata dalla smemoratezza senile benigna (cioè, la perdita di
memoria dovuta all’età), che deriva dal rallentamento del funzionamento neuronale con l’invecchiamento.
Le persone con smemoratezza senile benigna apprendono nuove informazioni e ricordano le informazioni
precedentemente apprese con maggior lentezza. Tuttavia, se si fornisce loro altro tempo e li si incoraggia,
la loro prestazione intellettiva risulta essenzialmente invariata rispetto al loro livello di base. Il
funzionamento quotidiano resta inalterato. Le persone con
questa condizione spesso ne sono più preoccupate rispetto Demenza primaria (demenza corticale)
ai loro familiari; sono utili la rassicurazione e le strategie Morbo di Alzheimer
Morbo di Pick
di coping. Sindromi demenziali del lobo frontale
Eziologia Demenza mista con componente di tipo Alzheimer
Demenza vascolare
Le cause di demenza sono difficilmente distinguibili, in Demenza multi-infartuale
quanto imprecise; molti casi possono essere confermati Demenza da infarto strategico
soltanto dall’esame patologico post-mortem, che Stato lacunare
generalmente non viene effettuato. Inoltre, possono essere Malattia di Binswanger
Demenza vascolare mista
frequenti le demenze miste (p. es., una ricerca recente
Demenza associata alla malattia a corpi di Lewy
mostra una interazione tra il morbo di Alzheimer e le Demenza nel morbo di Parkinson
malattie cerebrovascolari). Paralisi progressiva sopranucleare
Il morbo di Alzheimer e le demenze vascolari Malattia a corpi di Lewy diffusi
probabilmente sono i due tipi più frequenti, comprendendo Demenza da cause tossiche
Demenza alcolica
fino al 90% dei casi di demenza certa, con un rapporto di Demenza da esposizione a metalli pesanti o ad altre tossine
circa 2:1. Demenza da causa infettiva
La demenza a corpi di Lewy è alla base di un gran numero Virale: demenza associata a HIV, sindromi post-encefalitiche
di casi, ma questa patologia non è ben conosciuta. Le Spirochete: neurosifilide, malattia di Lyme
Prioni: morbo di Creutzfeldt-Jakob
demenze spesso sono suddivise in quelle con Demenza dovuta ad anomalie strutturali del cervello
presentazione corticale (cioè, le demenze primarie), di cui Idrocefalo normoteso
il morbo di Alzheimer è il prototipo, e quelle con Ematomi subdurali cronici
presentazione sottocorticale, il cui prototipo è la demenza Tumori cerebrali
vascolare. Condizioni potenzialmente reversibili che simulano una demenza
Ipotiroidismo
Sintomi e segni Depressione
La storia naturale varia in relazione alla causa della Deficit di vitamina B12
demenza; comunque, i pazienti tipicamente manifestano
un declino stabile e inesorabile della funzione intellettiva nel corso di un periodo da 2 a 10 anni, che
culmina con la perdita totale dell’indipendenza e la morte, spesso dovuta a infezioni.
Il sintomo più comune nella demenza iniziale è lo scadimento della memoria a breve termine. I pazienti
fanno ripetutamente le stesse domande, spesso dopo solo pochi minuti, o dimenticano dove sono i loro

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effetti personali. L’incapacità di localizzare gli effetti personali può portare alla convinzione delirante che
essi siano stati rubati.
Diviene difficile trovare le parole; i pazienti possono dimenticare una parola specifica e usare elaborate
perifrasi di compenso (p. es., la cravatta può essere chiamata “quella cosa intorno al collo”). Anche le
attività quotidiane in precedenza padroneggiate (p. es., la guida, la gestione del denaro, il governo della
casa) possono diventare difficili. La chiave per la diagnosi è la variazione del livello di funzionamento.
Gli altri sintomi precoci della demenza comprendono cambiamenti della personalità, labilità emotiva,
compromissione della capacità di critica. I familiari possono riferire che il paziente “non si comporta
come al solito” o che sta facendo cose strane (p. es., un vedovo avaro spende migliaia di dollari in atti di
beneficenza discutibili). Si manifestano frequentemente oscillazioni dell’umore, come depressione ed
euforia. Sebbene la demenza in fase precoce di solito non colpisca le capacità sociali, i pazienti possono
diventare sempre più irritabili, ostili e agitati, specialmente nelle occasioni in cui si rendono conto del loro
deterioramento cognitivo.
I pazienti con demenza iniziale di solito riescono a compensare abbastanza bene e seguono le abitudini
domestiche consuete. Spesso l’interruzione di tali abitudini o un cambiamento dell’ambiente vicino
provoca un declino acuto. Per esempio, un genitore anziano che va a trovare il figlio che vive in un’altra
regione può manifestare disorientamento o disturbi del comportamento e invalidità funzionale, assenti
nell’ambiente più familiare.
Man mano che i pazienti progrediscono verso lo stadio intermedio della demenza, la loro capacità di
eseguire le attività quotidiane elementari (p. es., farsi il bagno, vestirsi, lavarsi) si riduce. I pazienti non
sono in grado di acquisire nuove informazioni. I normali segnali ambientali e sociali non vengono
registrati, il che aumenta il disorientamento nel tempo e nello spazio. I pazienti possono smarrirsi anche
negli ambienti familiari (p. es., non riescono a trovare la loro camera da letto o il bagno). I pazienti con
demenza in fase intermedia hanno anche un rischio maggiore di cadute e di incidenti dovuti a confusione
e a compromissione del giudizio critico.
I disturbi del comportamento possono insorgere nella demenza in fase iniziale o nello stadio intermedio e
possono continuare nella demenza grave. In circa il 25% dei pazienti si manifesta una condizione
paranoica importante (p. es., deliri specifici, sospettosità generalizzata). Un delirio particolarmente
penoso deriva dalla perdita della capacità di riconoscersi allo specchio, il che porta al sospetto che in casa
si siano introdotti degli estranei. Anche il vagare può essere un problema significativo, specialmente se i
pazienti cercano di ritornare agli ambienti familiari, che possono non esistere più. Nello stadio intermedio
della demenza possono manifestarsi anche aggressività fisica, comportamenti sessuali inadeguati e
agitazione non specifica.
I pazienti con demenza grave non possono eseguire le attività quotidiane e diventano totalmente
dipendenti dagli altri per l’alimentazione, la pulizia e gli spostamenti. La memoria a breve e lungo
termine viene persa completamente e i pazienti possono essere incapaci di riconoscere anche i familiari
stretti. La capacità di deambulazione è colpita in maniera variabile nelle diverse demenze, ma di solito
scompare negli stadi avanzati della malattia, particolarmente nel morbo di Alzheimer. La perdita di altre
prestazioni motorie riflesse (p. es., la capacità di deglutire) espone i pazienti al rischio di malnutrizione e
aspirazione. L’associazione di scarsa mobilità e malnutrizione accresce il rischio di piaghe da decubito.
Nel decorso tardivo della demenza, aumenta l’incidenza di convulsioni. Complicanze come
disidratazione, malnutrizione, aspirazione e piaghe da decubito alla fine sono inevitabili, ma possono
essere ritardate da un’ottima assistenza infermieristica.
La presenza di una totale dipendenza funzionale richiede che il paziente sia inserito in una casa di riposo
o che venga predisposto un sostegno analogo a domicilio. La causa di morte più comune è rappresentata
dalle infezioni di origine respiratoria, cutanea e urinaria.
Diagnosi
I criteri per la demenza del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition
(DSM-IV) comprendono la compromissione della memoria e di almeno un’altra funzione cognitiva (p. es.,
linguaggio, percezione, capacità visuo-spaziale, calcolo, critica, pensiero astratto, capacità di risolvere i
problemi).

Criteri diagnostici Per la Demenza


Sviluppo di deficit cognitivi multipli evidenziati da:
1. deterioramento della memoria (compromissione della capacità di apprendere nuove informazioni)
2. uno (o più) dei seguenti disturbi cognitivi:
Afasia (disturbo del linguaggio)
Aprassia (compromissione della capacità di compiere movimenti finalizzati nonostante l’integrità delle funzioni motorie)
Agnosia (incapacità di riconoscere o identificare gli oggetti nonostante l’integrità delle funzioni sensoriali)
Disturbi delle funzioni esecutive (cioè, progettazione, organizzazione, capacità di mettere in sequenza, astrazione)
Ognuno dei deficit cognitivi descritti sopra causa un deterioramento significativo della funzione sociale o lavorativa e

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rappresenta un declino significativo rispetto al livello di funzione precedente.
Il decorso è caratterizzato da esordio graduale e declino cognitivo costante.
I deficit non sono causati da delirium.
Per il morbo di Alzheimer:
i deficit cognitivi elencati nel primo criterio (parte 1 e 2) non sono attribuibili a nessuna delle seguenti cause:
1. altri disturbi del sistema nervoso centrale che causano deficit progressivi della memoria e delle altre funzioni cognitive (p. es.,
malattia cerebrovascolare, morbo di Parkinson, morbo di Huntington, ematoma subdurale, idrocefalo normoteso, tumori
cerebrali)
2. patologie sistemiche con capacità nota di causare demenza (p. es., ipotiroidismo, deficit di vitamina B12 o di folato, deficit di
niacina, ipercalcemia, neurosifilide, infezione da HIV)
3. condizioni indotte da sostanze
Per la demenza vascolare:
I segni e i sintomi neurologici focali (p. es., iperreflessia tendinea profonda, risposta plantaria in estensione, paralisi
pseudobulbare, anomalie dell’andatura, astenia di una estremità) o i reperti strumentali indicano una malattia cerebrovascolare
(p. es., infarti multipli a carico della corteccia e della sostanza bianca sottostante) che viene ritenuta eziologicamente correlata al
disturbo.
Per la demenza dovuta ad altre malattie mediche:
Le evidenze dall’anamnesi, dall’esame obiettivo o dalle analisi di laboratorio indicano che il disturbo è la diretta conseguenza
fisiologica di condizioni come il morbo di Parkinson, il morbo di Huntington, il morbo di Pick, il morbo di Creutzfeldt-Jacob, un
trauma cranico, l’infezione da HIV, l’idrocefalo normoteso, l’ipotiroidismo, un tumore cerebrale, la deficienza di vitamina B12 o
l’irradiazione intracranica.
Modificata da: American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition.
Washington DC, American Psychiatric Association, 1994, pp. 142-143, 146, 152.

Spesso sono compromesse molte o tutte queste capacità. Tale compromissione deve condurre al
deterioramento del funzionamento quotidiano abituale.
La chiave per la diagnosi di demenza è una anamnesi accurata; bisogna parlare quanto più possibile con
i familiari perché questi sono più consapevoli del deterioramento cognitivo rispetto ai pazienti stessi.
Bisogna ottenere informazioni sul tipo di deterioramento, sulla data di esordio e sulla modalità di decorso.
Anche l’esame strutturato dello stato psichico è una parte fondamentale della valutazione di
un’alterazione cognitiva. Per determinare se le funzioni cognitive siano in peggioramento è utile fare delle
valutazioni periodiche.
I pazienti con un deterioramento cognitivo che colpisce il funzionamento quotidiano richiedono una
valutazione più accurata rispetto al solo esame psichico. È della massima importanza escludere fattori
reversibili che contribuiscono al declino cognitivo (p. es., disturbi medici, farmaci, umore). Con l’età, le
persone diventano più suscettibili a questi fattori reversibili. Più anziano è il paziente, maggiore è la
probabilità che essi abbiano un ruolo nel deterioramento cognitivo.
La revisione completa dei disturbi medici in atto e la ricerca di eventuali disturbi sopraggiunti, possono
avere in sé la chiave per annullare i deficit cognitivi. Numerosi disturbi medici acuti possono provocare
un declino cognitivo acuto nell’anziano. L’esordio rapido del declino cognitivo non è tipico della
demenza e deve sollecitare una valutazione immediata per un eventuale delirium e per disturbi medici
reversibili. Alcuni disturbi medici (p. es., ipotiroidismo, deficienza di vitamina B12) si sviluppano
lentamente e possono somigliare più strettamente alla demenza che al delirium, ma sono del tutto
reversibili con il trattamento.
L’abuso di farmaci può essere il fattore reversibile più importante di deterioramento cognitivo. Ogni
paziente che viene valutato per una demenza richiede una completa revisione farmacologica, che
comprenda i farmaci da banco e le preparazioni oftalmiche. Deve essere ottenuta anche un’anamnesi per
l’uso di alcol. Prima che si possa porre diagnosi di demenza, tutti i farmaci psicoattivi devono essere
eliminati oppure sostituiti con farmaci meno psicotropi.
Tra i farmaci psicoattivi maggiormente potenti vi sono gli ipnotico-sedativi, gli antidepressivi
(specialmente i triciclici con struttura aminica terziaria), gli anticolinergici e gli oppiacei. Una strategia
ragionevole è quella di ripetere l’esame dello stato psichico 6 sett. dopo l’ottimizzazione del regime
farmacologico, per determinare se il deterioramento cognitivo persiste.
Ogni paziente anziano affetto da un problema cognitivo richiede una valutazione dell’umore completa,
che comprenda una revisione sintomatologica (usando la valutazione con il SIG E CAPS) e l’utilizzo di
uno strumento standardizzato come la Geriatric Depression Scale, forma ridotta. La depressione si
manifesta nel 40% dei pazienti con demenza, di solito nello stadio iniziale e intermedio. Il declino
cognitivo di tipo demenziale in un paziente con depressione viene chiamato pseudodemenza.
Un esame obiettivo completo deve sforzarsi di identificare i disturbi acuti e le esacerbazioni di disturbi
cronici che possono contribuire al declino cognitivo. L’esame deve indagare se vi sono deficit nella cura
di sé (p. es., cattiva igiene) che possano confermare i problemi di funzionamento descritti nell’anamnesi.
All’esame neurologico, segni neurologici focali possono indicare una malattia cerebrovascolare, segni
extrapiramidali possono indicare parkinsonismo o altre malattie neurodegenerative, neuropatie e miopatie
possono suggerire un disturbo sistemico trattabile.
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Una serie di analisi di laboratorio (p. es., emocromo completo, elettroliti, albumina, funzionalità renale,
epatica e tiroidea, livelli di vitamina B12) va richiesta di routine. Altre analisi di laboratorio (p. es., VES,
emogasanalisi, test sierologici per la sifilide, dosaggi ematici dei farmaci, esame del liquor) vanno
eseguite solo in pazienti selezionati ad alto rischio.
L’uso routinario delle tecniche di visualizzazione cerebrale nella valutazione della causa della demenza
è controverso. Tali tecniche possono identificare anomalie strutturali potenzialmente reversibili, come
l’idrocefalo normoteso, l’ematoma subdurale cronico e i tumori cerebrali. Tuttavia, questi disturbi sono
rari e di solito si presentano in modo caratteristico. Inoltre, non è chiaro se il trattamento di tali condizioni
migliori le capacità cognitive. In pratica, l’uso più frequente della visualizzazione cerebrale serve a
differenziare il morbo di Alzheimer dalla demenza vascolare. In numerosi studi, l’utilità diagnostica di
tali tecniche, nei pazienti con morbo di Alzheimer tipico, non giustifica i costi di esecuzione. Tuttavia,
nella pratica, la maggior parte dei pazienti valutati per demenza viene sottoposta a visualizzazione
cerebrale. Se non vi è necessità di individuare piccoli infarti cerebrali che colpiscono la circolazione
posteriore, la TC di solito è adeguata, in confronto alla RMN che è molto più costosa. Una sola indagine
di visualizzazione cerebrale eseguita dopo l’esordio del declino cognitivo, di solito, è sufficiente; indagini
ripetute non sono giustificate.
In alcuni centri specializzati, per distinguere il morbo di Alzheimer dalla demenza vascolare si usa la
visualizzazione dinamica del flusso ematico cerebrale tramite la tomografia computerizzata a emissione di
fotoni singoli (SPECT). Il morbo di Alzheimer fornisce un quadro tipico di riduzione del flusso ematico
nei lobi temporali e parietali, mentre la demenza vascolare produce un quadro più “irregolare”. Il costo e
la limitata accuratezza diagnostica della SPECT rendono il suo uso limitato a casi particolari, presso i
centri di riferimento. Parimenti, l’elettroencefalografia può essere utilizzata per distinguere i tipi di
demenza ed escludere disturbi convulsivi a crisi parziali complesse, ma è di limitata accuratezza
diagnostica e va riservata a situazioni particolari.
I test neuropsicologici possono essere di ausilio alla valutazione del deterioramento cognitivo, ma non
sono necessari nella maggior parte dei casi di routine. L’esecuzione di test approfonditi è utile
principalmente nella distinzione tra (1) smemoratezza senile benigna e demenza, particolarmente nei casi
limite o in quelli in cui il paziente o i suoi familiari sono molto preoccupati e desiderano ulteriore
rassicurazione; (2) tra demenza e pseudodemenza nei rari casi in cui la depressione è particolarmente
difficile da diagnosticare; (3) tra demenza e sindromi focali di compromissione cognitiva (p. es., amnesia,
afasia, aprassia, difficoltà visuospaziali). Non è chiaro se i test neuropsicologici siano in grado di
distinguere la cause di demenza meglio di una anamnesi e un esame obiettivo accurati.
Diagnosi differenziale: la diagnostica differenziale della demenza comprende la perdita di memoria
normale per l’età, le cause reversibili di declino cognitivo (p. es., delirium, depressione), le alterazioni
cognitive più lievi che non soddisfano i criteri per demenza (di recente definiti CIND; Cognitive
Impairment No Dementia) e la compromissione cognitiva focale che colpisce solo un settore (p. es.,
l’amnesia).
Trattamento
Il trattamento o l’eliminazione di tutti i fattori reversibili che compromettono la funzione cognitiva
possono migliorare significativamente il funzionamento quotidiano e la qualità della vita e possono
ritardare l’invalidità grave e l’istituzionalizzazione. I pazienti con sintomi depressivi significativi vanno
trattati anche se non soddisfano tutti i criteri per la depressione maggiore. Il trattamento della depressione
risolve la pseudodemenza e può ridurre significativamente l’invalidità nei pazienti con demenza vera. I
farmaci di elezione di solito sono i nuovi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (p. es.,
sertralina, paroxetina) introdotti a dosi basse e aumentati fino al livello terapeutico tollerato. Dopo 6-12
sett. di trattamento, va ripetuto l’esame dello stato psichico.
Il passo successivo è creare un ambiente supportivo in cui i pazienti possano avere un funzionamento
ottimale. I pazienti con demenza da iniziale a intermedia di solito hanno un funzionamento migliore negli
ambienti familiari. Una valutazione della sicurezza domestica e l’attuazione delle modifiche adeguate a
migliorare il funzionamento devono essere considerate per tutti i pazienti con demenza che vivono a
domicilio. Per esempio, possono essere apposti dei segnali per orientare i pazienti in sicurezza,
specialmente nella cucina e nel bagno.
Le imprese di pulizia possono fornire assistenza per le attività strumentali quotidiane; i servizi di
assistenza sanitaria domiciliare, l’assistenza per le attività fondamentali della vita quotidiana; gli
infermieri a domicilio possono assicurare la sorveglianza farmacologica.
L’equilibrio tra sicurezza e indipendenza è importante e le decisioni devono essere individualizzate. La
decisione del trasferimento in una sistemazione più supportiva è determinata da molteplici fattori, come le
preferenze del paziente, l’ambiente domestico, la disponibilità di familiari e assistenti sanitari, le risorse
finanziarie, nonché da fattori clinici diversi che non la gravità della demenza.

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I pazienti con demenza sono suscettibili di atrofia ex non usu e devono impegnarsi a fare attività fisica e
mentale, a nutrirsi adeguatamente e a socializzare. Un programma di attività fisica regolare e controllata
spesso è semplice, come passeggiare 15-20 min al giorno. La prosecuzione dell’attività intellettiva di
solito va focalizzata sugli interessi del paziente prima dell’esordio della demenza (p. es., attualità, lettura,
arte). Le attività devono essere piacevoli e non vanno usate come prove di funzionamento intellettivo.
Un’alimentazione adeguata è necessaria per mantenere il peso corporeo. I pazienti possono necessitare di
pasti pronti; la sorveglianza assicura che i pasti vengano effettivamente assunti.
L’isolamento sociale va ridotto il più possibile, perché contribuisce a tutti i problemi sopra descritti. Per
assicurare la continuità della socializzazione possono essere richiesti degli sforzi speciali. In alcuni casi,
dei servizi di assistenza diurna o di compagnia forniscono la socializzazione quando non sono disponibili
familiari o amici.
I disturbi del comportamento possono essere trattati meglio con interventi comportamentali
individualizzati, piuttosto che con i farmaci. Tuttavia, i sintomi manifestamente psicotici (p. es., paranoia,
deliri, allucinazioni) vanno trattati con farmaci antipsicotici, iniziati a dosi basse. Bisogna controllare
attentamente i pazienti nell’eventualità di effetti collaterali.
La demenza è un importante fattore di rischio anche per altri problemi geriatrici (p. es., cadute,
incontinenza urinaria); occorre porre in atto strategie di prevenzione e terapia.
Il personale sanitario deve fornire sostegno ai familiari e agli assistenti sanitari dei pazienti con demenza.
Il materiale informativo sulle demenze in generale, nonché sul tipo specifico (se identificato), può essere
utile, ma non sostituisce la consulenza specifica, l’ascolto e il contatto empatico con il medico. È
importante un controllo stretto dell’eventuale burnout (“esaurimento”, n.d.T.) da parte dell’assistente
sanitario; la soglia per il burnout è variabile da persona a persona. Sono disponibili diversi gruppi di
sostegno per gli assistenti sanitari.
Problemi delle fasi terminali
È d’obbligo la pianificazione medica e finanziaria prima che la demenza diventi troppo grave. I pazienti
devono nominare un tutore per l’assistenza sanitaria e discutere le volontà in merito ad essa con il tutore e
con il medico di famiglia. Con l’aggravarsi della demenza, il rapporto rischio/beneficio volge a sfavore
degli interventi altamente aggressivi e dell’assistenza ospedaliera. Nei casi gravi, può essere più
opportuno dare sollievo al paziente che tentare di prolungare la sua sopravvivenza; il medico e il tutore
dell’assistenza sanitaria devono collaborare nel progetto assistenziale. Può giungere il momento in cui
vanno prese delle decisioni circa la nutrizione artificiale o il trattamento di una malattia acuta. È
opportuno parlare di queste decisioni prima che tali situazioni si presentino e poi riparlarne quando le
stesse si fanno critiche. A differenza del cancro e di alcune altre condizioni, la demenza non ha modelli
prognostici attendibili. In genere, i pazienti con morbo di Alzheimer che non possono più camminare
hanno circa < 6 mesi di vita.

VI. MALNUTRIZIONE
Sindrome carenziale causata dall’apporto inadeguato o dal malassorbimento dei macronutrienti.
Il marasma e il kwashiorkor sono forme di iponutrizione proteico-energetica. Il marasma è una
condizione di compenso nutrizionale borderline, nella quale il paziente ha una marcata riduzione della
massa muscolare e dei depositi adiposi, ma un contenuto proteico viscerale e una funzione organica
normali. Poiché tali pazienti hanno una deplezione delle riserve nutrizionali, ogni ulteriore stress
metabolico (p. es., interventi chirurgici, infezioni, ustioni) può portare rapidamente al kwashiorkor
(malnutrizione proteico-energetica ipoalbuminemica), caratterizzato dalla perdita delle proteine viscerali
e, spesso, associato all’edema.
Approssimativamente il 16% degli anziani che vivono nella collettività consuma < 1000 kcal/die, una
quantità insufficiente a mantenere uno stato nutrizionale adeguato. L’iponutrizione colpisce anche dal 17
al 65% dei pazienti ricoverati nei reparti ospedalieri di cura e dal 5 al 59% di quelli ospitati nelle strutture
di lungodegenza. L’iponutrizione proteico-energetica può condurre a molte condizioni patologiche acute e
croniche (v. Tab. 61-1). Gli studi effettuati mostrano che le persone anziane, che erano sottopeso nel
corso dell’età media e negli anni successivi, hanno un rischio di morte superiore, rispetto a quelle che
erano sovrappeso.
Il termine mancato accrescimento, mutuato dalla letteratura pediatrica, in cui si usa per indicare i
bambini con un ritardo dello sviluppo fisico, viene applicato agli anziani per indicare un deterioramento
dello stato funzionale che appare sproporzionato rispetto alla portata della loro malattia. Le cause del
mancato accrescimento sono multifattoriali e comprendono l’iponutrizione proteico-energetica, la perdita
di massa muscolare (sarcopenia), le difficoltà di equilibrio e di resistenza fisica, il declino delle funzioni
cognitive e la depressione.

36
Fisiopatologia
Le modificazioni fisiologiche tipiche dell’invecchiamento fanno sì che le persone anziane siano a rischio
di iponutrizione. Per esempio, si verifica una riduzione fisiologica dell’assunzione di cibo. I motivi di
questa riduzione non sono noti, ma possono esservi coinvolti diversi fattori.
Le persone anziane sembrano sentirsi più sazie con minori quantitativi di cibo, fenomeno che potrebbe
essere causato da una dimunzione dello stimolo ad alimentarsi mediato dagli oppioidi (dinorfina) e da un
aumento del senso di sazietà indotto dalla colecistochinina. Studi recenti suggeriscono che la sazietà
precoce dell’anziano possa essere causata da un deficit di ossido nitrico, che riduce il rilasciamento
adattativo del fondo gastrico in risposta all’introduzione di cibo.
La leptina, un ormone proteico scoperto recentemente, che viene prodotto dalle cellule adipose, induce
una riduzione dell’assunzione di cibo e un aumento del metabolismo energetico. Nei giovani adulti
normali, l’aumento del tessuto adiposo corporeo induce un aumento dei livelli di leptina e viceversa. Al
contrario, l’aumento abnorme dei livelli di leptina appare fortemente correlato con la diminuzione del
grasso corporeo ed è stato riportato che nei bambini il deficit di leptina ha portato all’obesità massiva.
Nelle donne anziane, i livelli di leptina si riducono parallelamente alla diminuzione del tessuto adiposo
corporeo che si osserva dopo i 70 anni. Negli anziani di sesso maschile, invece, i livelli di leptina
aumentano nonostante la riduzione del grasso corporeo. Questo aumento è legato alla diminuzione dei
livelli di testosterone, che si verifica con l’età. Il ruolo della leptina nella riduzione dell’apporto
alimentare legata all’età non è conosciuto. Le donne in post-menopausa che hanno livelli di leptina elevati
tendono a mangiare un po’ meno di quelle con livelli dell’ormone più bassi.
Un numero considerevole di citochine (p. es., tumor necrosis factor, interleuchina-2, interleuchina-6) è in
grado di ridurre l’assunzione di cibo. Alcuni anziani hanno livelli elevati di queste citochine, che possono
contribuire all’anoressia. Gli eventi stressanti (p. es., interventi chirurgici, infezioni, ustioni) provocano
generalmente il rilascio di citochine, il quale inibisce la produzione di albumina e ne provoca lo
spostamento dal sangue circolante allo spazio extravascolare. Questa evenienza fornisce una spiegazione
del calo, spesso drammatico, dei livelli di albumina (la cui emivita, di 21 giorni, è relativamente lunga)
osservati nei pazienti appena ricoverati. Caratteristicamente, nei pazienti anziani questa riduzione avviene
in maniera più rapida che nei pazienti più giovani; a causarla possono essere anche eventi stressanti di
portata relativamente minore. Generalmente, i pazienti anziani suscettibili ad essa sono sottopeso, ma
sono esposti anche coloro che sembrano avere una massa muscolare e adiposa notevole, se di recente
sono andati incontro a un rapido calo ponderale.
L’activina, un ormone prodotto dai testicoli e dalle ovaie, è stata messa in relazione con la sindrome da
deperimento dei topi transgenici. Con l’avanzare degli anni, i livelli di activina aumentano negli uomini,
ma non nelle donne; questa osservazione potrebbe spiegare la maggior riduzione dell’assunzione di cibo
che si osserva nei primi, rispetto alle seconde.
Eziologia
Se si eccettuano gli stati ipermetabolici o di malassorbimento (p. es., ipertiroidismo), la malnutrizione è
causata generalmente dall’anoressia. Quest’ultima è stata messa in relazione con le modificazioni
fisiologiche legate all’invecchiamento e con varie condizioni patologiche.
La diminuzione del senso del gusto e dell’olfatto può ridurre il piacere del mangiare, ma le modificazioni
del gusto sembrano avere un ruolo di secondo piano nella riduzione dell’assunzione di cibo, anche se
molte persone anziane lamentano il fatto che gli alimenti non hanno più il sapore gradevole che avevano
in passato. Le modificazioni del gusto sono variabili e spesso sono associate al fumo di sigaretta per tutta
la vita, alla scarsa igiene orale e agli stati di malattia.
La disfagia dovuta a un ictus, a un altro disturbo neurologico o al dolore esofageo causato dalla candidosi
può far ridurre l’apporto alimentare, alla pari dei problemi odontoiatrici e della xerostomia.
Altre cause possibili sono i tremori e gli altri problemi fisici che ostacolano l’alimentazione (p. es.,
l’incapacità a tagliare il cibo dopo un ictus). I tremori continui, dovuti a condizioni patologiche come il
morbo di Parkinson, possono provocare una perdita di peso per il notevole incremento del tasso
metabolico.
L’assunzione di determinati farmaci può provocare una perdita di peso attraverso il meccanismo
dell’anoressia (p. es., digossina, fluoxetina, chinidina, idralazina, vitamina A, farmaci psicoattivi), della
nausea (p. es., antibiotici, teofillina, aspirina), dell’aumento del metabolismo energetico (p. es., tiroxina,
teofillina) o del malassorbimento (p. es., sorbitolo usato come vettore nell’elisir di teofillina,
colestiramina). Anche l’astinenza da alcuni farmaci (p. es., alcol, ansiolitici o psicoattivi) può indurre un
calo ponderale. Nelle fasi tardive della vita, l’alcolismo è associato spesso alla perdita di peso, alla
sindrome da trascuratezza (vita in condizioni igieniche scadenti) e alla depressione.
Nell’anziano, la depressione è una delle cause reversibili di calo ponderale più frequenti. Le persone
anziane depresse hanno una maggiore probabilità di perdere peso, rispetto ai soggetti depressi di età più
giovane. Alcune persone molto avanti con gli anni possono smettere di mangiare perché hanno perduto la

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gioia di vivere, anche se non sono clinicamente depresse. La solitudine può far diminuire il desiderio di
prepararsi da mangiare.
Anche la povertà può causare una riduzione dell’apporto alimentare. I problemi legati all’acquisto e alla
preparazione degli alimenti possono far sì che in casa non sia disponibile una quantità di cibo sufficiente.
L’anoressia nervosa può ripresentarsi nelle persone anziane che ne hanno avuto un episodio durante
l’adolescenza; questo disturbo viene riconosciuto con frequenza sempre crescente. Atteggiamenti distorti
nei riguardi dell’alimentazione e della propria immagine corporea non sono rari tra gli anziani sottopeso.
Quando a questi atteggiamenti patologici si associa una perdita di peso marcata, la condizione è
denominata anoressia tardiva.
La paranoia e la mania possono esordire
tardivamente nella vita e sono anch’esse associate
a calo ponderale.
Generalmente, la demenza provoca perdita di peso
perché la persona dimentica di mangiare. In
aggiunta, le persone che vagabondano per tutto il
giorno possono consumare una grande quantità di
calorie, anche se gli individui affetti da morbo di
Alzheimer non hanno un metabolismo aumentato.
La demenza può provocare picacismo, compresa
la coprofagia (ingestione di feci). Nella demenza
in fase avanzata, l’alimentazione autonoma e
perfino quella assistita possono diventare
impossibili.
Tra le altre cause mediche di perdita di peso vi
sono l’ipertiroidismo, il morbo di Addison,
l’ipercalcemia, il feocromocitoma, il cancro e le
infezioni croniche (p. es., tubercolosi, diarrea
ricorrente da Clostridium difficile). In alcuni
soggetti anziani, le infezioni da Helicobacter
pylori sono state messe in relazione con
l’anoressia e il calo ponderale gravi. È necessario
prendere in considerazione anche le sindromi da
malassorbimento, in particolar modo l’insorgenza
tardiva della malattia celiaca e l’insufficienza
pancreatica. La colelitiasi può provocare perdita di
peso attraverso l’induzione di una sazietà precoce.

Screening e diagnosi
Il Mini Nutritional Assessment è lo strumento per
lo screening nutrizionale nelle persone anziane più
diffusamente affermato ed è stato tradotto in molte
lingue.
Il protocollo di screening SCALES è stato
sottoposto a verifica incrociata di validità con il
Mini Nutritional Assessment; è uno strumento
semplice da utilizzare in ambito ambulatoriale.
L’uso dello Specific Global Assessment per lo
stato nutrizionale è stato convalidato per i pazienti
ospedalizzati affetti da malattie gastrointestinali,
ma necessita di conferme ulteriori per la
definizione dello stato di malnutrizione nelle
persone anziane. Il Nutrition Screening Index è
stato sviluppato per l’identificazione delle persone
anziane a rischio di problemi nutrizionali, ma ha
una specificità e una sensibilità piuttosto scarse.
La perdita di peso è il miglior fattore predittivo
singolo per l’identificazione dei soggetti a rischio
di malnutrizione. Non esistono nomogrammi peso-
altezza adeguati per il calcolo della massa corporea ottimale negli anziani, ma un indice di massa
corporea < 21 kg/m2 (peso/altezza2) suggerisce la presenza di un problema. La circonferenza mediana del
braccio o la circonferenza muscolare mediana del braccio (che corregge il valore precedente per lo
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spessore della plica tricipitale, tenendo conto della sottrazione della massa grassa), possono essere di aiuto
per rivelare le modificazioni della massa muscolare nelle persone con ritenzione idrica. Le misurazioni
dello spessore delle pliche cutanee hanno scarso valore diagnostico.
L’albumina è un indicatore eccellente dello stato delle sintesi proteiche. Le persone anziane sane
deambulanti hanno livelli sierici di albumina > 4 g/dl (3,5 g/dl a causa della ridistribuzione dei liquidi
corporei in clinostatismo). Negli anziani ospedalizzati, un’albuminemia < 3,2 g/dl è altamente predittiva
della mortalità successiva. Il dosaggio delle proteine a emivita breve (p. es., prealbumina, proteina legante
il retinolo) ha un valore diagnostico limitato ma, in alcune circostanze (p. es., nelle unità di terapia
intensiva), può essere di aiuto per la valutazione della risposta alla terapia.
In coloro che risiedono in strutture assistenziali, livelli di colesterolo < 160 mg/dl (< 4,15 mmol/l) sono
predittivi di mortalità, forse perché essi sono indicativi di malnutrizione. Anche gli stati di malattia acuta
associati con il rilascio di citochine possono abbassare i livelli di colesterolo.
L’anergia (mancanza di risposta all’iniezione cutanea di antigeni comuni, come quelli della parotite) può
insorgere tanto nelle persone anziane sane quanto in quelle malnutrite. La presenza contemporanea di
anergia e di segni di malnutrizione è maggiormente correlata a una prognosi sfavorevole di quanto non lo
siano i due fattori presi singolarmente.
Nei soggetti con marasma, l’edema è assente; generalmente l’albuminemia, l’emoglobinemia, la capacità
ferro-legante totale e i risultati dei test per la funzione immunitaria cellulo-mediata (per individuare
l’anergia) sono normali. Nei soggetti con kwashiorkor, spesso sono presenti anergia ed edema.
L’albuminemia è < 3,5 g/dl ed è probabile che siano presenti anemia, linfocitopenia e ipotransferrinemia
(dimostrata da una capacità ferro-legante totale < 250 µg/dl [< 45 mmol/l]).
Terapia
Complessivamente, negli anziani, l’iponutrizione viene riconosciuta e trattata in misura insufficiente. È
essenziale procedere a un esame accurato delle cause di calo ponderale potenzialmente trattabili. L’uso
appropriato di un’energica integrazione calorica a breve termine può salvare la vita al paziente (gli aspetti
etici dell’appropriatezza della sospensione della terapia di sostegno nutrizionale sono trattati altrove).
Due studi recenti hanno suggerito che almeno la metà delle persone anziane ricoverate negli ospedali
assume una quantità di calorie insufficiente a soddisfare il suo fabbisogno basale. Questi pazienti hanno
una prognosi molto peggiore rispetto a coloro che ricevono un apporto calorico adeguato. Inoltre, studi
recenti mostrano che gli anziani con fratture dell’anca traggono beneficio dall’integrazione calorica PO o,
se la loro albuminemia è < 3 g/dl, da un breve periodo di alimentazione con sondino. La nutrizione
parenterale totale va riservata alle persone gravemente malnutrite (aventi un’albuminemia < 3 g/dl) e a
quelle che non riescono a tollerare l’alimentazione enterale. La nutrizione parenterale per via venosa
periferica sembra essere utilizzata insufficientemente nei pazienti anziani affetti da malattie acute, in parte
perché non è stata ancora studiata a fondo.
Esistono pochi dati su cui basare la scelta dei supplementi nutritivi. I supplementi ad alto contenuto
proteico sono utilizzati, in genere, per le persone affette da processi infettivi. Le diete ricche di grassi e di
fibre possono ridurre la risposta glicemica nei pazienti diabetici. Le diete ricche di fibre possono attenuare
il fenomeno della diarrea da alimentazione enterale, ma anche provocare costipazione nei pazienti
immobilizzati. Nella maggior parte dei casi, la scelta di un supplemento dietetico deve basarsi sulle
preferenze del paziente. Per l’alimentazione enterale, a parità di efficacia, va utilizzato il preparato più
economico.
L’alimentazione di una persona anziana malnutrita può portare alla comparsa di effetti sfavorevoli (p. es.,
alterazioni elettrolitiche, iperglicemia, polmonite ab ingestis). Il cibo può causare una riduzione
significativa della pressione arteriosa, cui si associa la possibilità di cadute e di sincopi. La riduzione
pressoria è la conseguenza dell’ingestione di carboidrati, che inducono il rilascio del peptide
vasodilatatore correlato al gene per la calcitonina.
Per l’alimentazione enterale a lungo termine, la maggior parte dei pazienti preferisce i sondini enterali con
gastrostomia percutanea, piuttosto che i sondini nasogastrici. I pazienti affetti da demenza tendono a
sfilarsi i sondini gastrostomici con minore frequenza di quelli nasogastrici. Tutti i tipi di alimentazione
enterale espongono al rischio di aspirazione. Studi recenti hanno dimostrato che l’alimentazione con
sondino a lungo termine è associata a una serie di complicanze e che in molti casi la prognosi non è
migliore, rispetto a quando essa non viene utilizzata. Queste osservazioni suggeriscono la necessità di una
selezione più accurata delle persone anziane che possono giovare dell’alimentazione enterale.
Per favorire la ritenzione di azoto e indurre un aumento ponderale negli anziani gravemente malnutriti, è
stato impiegato l’ormone della crescita ricombinante. Alcuni dei più recenti secretagoghi di questo
ormone potrebbero rivelarsi ideali per questo scopo. L’uso del medrossiprogesterone ha indotto un
aumento ponderale in pazienti anziani affetti da carcinoma polmonare e in persone residenti nelle strutture
assistenziali (in uno studio). Il dronabinolo ha provocato un aumento di peso in soggetti affetti da
demenza, residenti nelle strutture assistenziali (in uno studio). In Europa, l’impiego dell’oxoglutarato

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(non disponibile negli USA) [neppure in Italia, N.d.T.] ha avuto effetti molto notevoli sulla crescita
ponderale degli anziani.
Per i pazienti con tremore o con altri impedimenti fisici ad alimentarsi (p. es., incapacità di tagliare il cibo
dopo un ictus), può essere di aiuto l’utilizzo di posate concepite appositamente, come un cucchiaio con il
manico pesante o un coltello a impugnatura ricurva.
Aspetti assistenziali
Nelle residenze assistenziali, spesso l’apporto alimentare viene sottostimato. Gli infermieri devono essere
preparati nel valutare in maniera appropriata la quantità di cibo che i pazienti ingeriscono. Esiste un gran
numero di procedure di semplice attuazione, grazie alle quali si può migliorare l’apporto alimentare di
questi pazienti.

VII. DIFFICOLTA’ A COMUNICARE


VISTA
I cambiamenti correlati all’età possono essere divisi in due gruppi: quelli correlati alla visione
(modificazioni di rifrazione, visus, sensibilità al contrasto, riverbero, opacità, luci abbaglianti, mosche
volanti, modificazioni nella visione del colore, adattamento al buio dei campi visivi) e quelli correlati al
comfort dell’occhio (sensazione di corpo estraneo e cefalea).
Modificazioni di rifrazione
Quando una persona vede un oggetto più vicino di 60 cm circa, i muscoli ciliari si contraggono,
permettendo al cristallino di cambiare forma per fornire un potere di rifrazione ulteriore e mettere a fuoco
l’oggetto vicino sulla retina e la pupilla si costringe. Con l’età, il cristallino diventa denso e meno elastico
e l’accomodazione è ridotta. La presbiopia, una modificazione del visus che interessa tutti,
universalmente correlata all’età nelle persone di 40 anni, è corretta nei pazienti miopi e iperopici con
occhiali separati per la lettura oppure occhiali bifocali. Poiché l’accomodazione si perde
progressivamente all’età di circa 45-65 anni, le lenti per la lettura, di solito, devono essere modificate
ogni 2-3 anni.
Visus
Un visus non corretto comincia a ridursi nelle persone normali sane intorno all’età di 50 anni. L’occhio
diventa più iperopico e astigmatico con l’età. Queste modificazioni sono indipendenti dalla pupilla e dai
cambiamenti del cristallino e si pensa che siano in funzione delle modificazioni neurologiche delle vie
ottiche del cervello piuttosto che di modificazioni retiniche. Questa teoria è supportata dal fatto che, con
l’età, anche il visus di oggetti che si muovono rapidamente diminuisce e la percezione di oggetti che si
muovono è processata nel cervello, non nella retina. Malgrado queste piccole modificazioni dell’acutezza
come risultato delle normali modificazioni a carico del cervello, in assenza di malattia, il visus dev’essere
di 20/20 o correggibile fino a tanto, anche nelle persone anziane.
Sensibilità al contrasto
La sensibilità al contrasto (la capacità di distinguere i dettagli estremamente fini [p. es., dimensioni delle
maglie in uno schermo]) diminuisce con l’età a frequenze spaziali medio-alte (> 8 cicli/grado). Si era
pensato originariamente che questo fosse dovuto al fatto che le persone anziane hanno pupille più piccoli
e, quindi, con meno luce che colpisce la retina. Tuttavia, si pensa ora che la perdita di sensibilità al
contrasto sia dovuta a una perdita di neuroni nelle vie ottiche cerebrali piuttosto che ad altre modificazioni
retiniche. Funzionalmente, questa perdita di sensibilità al contrasto ha uno scarso effetto sulla qualità di
vita degli anziani. Attualmente questa perdita non può essere prevenuta o essere reversibile.
Bagliore
I pazienti anziani, spesso, lamentano una percezione visiva ridotta di fronte al bagliore. Poiché l’occhio
invecchia, i cambiamenti nel cristallino e nell’umor vitreo aumentano la dispersione della luce nei mezzi
oculari. Con un oftalmoscopio, un esaminatore può essere in grado di distinguere tra le opacità del
cristallino (osservate meglio con una lente di +10) e quella del vitreo (osservabile meglio con una lente di
+2). Le opacità che compaiono nella cortex del cristallino spesso sono radiali; esse provocano bagliore,
ma hanno scarso effetto sull’acutezza visiva. Cataratte nucleari causano bagliore, ma anche esse hanno
poco effetto sull’acutezza visiva. Comunque, le opacità nella regione centrale della corteccia appena sotto
la capsula posteriore del cristallino (opacità posteriore sottocapsulare del cristallino) tendono a disperdere
la luce in misura maggiore, specialmente nei soggetti con pupille piccole. Questa condizione si verifica
perché queste opacità sono più vicine al punto focale del cristallino attraverso cui ogni luce deve passare
sulla retina. Sebbene queste opacità, alla fine, possano aumentare in grandezza o densità e interferire con
il visus (cataratte posteriori sottocapsulari), le loro manifestazioni precoci sono la dispersione della luce e
il maggiore bagliore, specie alla luce brillante. Gli occhiali da sole aiutano a ridurre il fenomeno del
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bagliore. Gocce midriatiche possono anche fornire sollievo, provocando lieve dilatazione della pupilla,
che consente al paziente di vedere attorno all’opacità. Le opacità nucleari precoci, in realtà, possono
migliorare la visione da vicino nell’anziano, un fenomeno noto come seconda vista, che si risolve poiché
l’occhio diventa più miope e meno presbiopico. Questi pazienti devono sapere che la loro vista, alla fine,
potrà peggiorare quando la loro cataratta aumenta di densità o di dimensioni.
Le opacità alla periferia del cristallino, sebbene non interferiscano direttamente con la vista, possono
aumentare anche la dispersione della luce che passa attraverso il cristallino, specie di notte o quando c’è
luce fioca quando la pupilla è leggermente dilatata. Quindi, non è inusuale per i pazienti anziani
lamentarsi del bagliore di fari anteriori che sopraggiungono mentre guidano di notte. Finché è possibile un
visus normale, il paziente deve essere invitato a evitare di guardare direttamente i fari che sopraggiungono
e a ridurre la guida notturna. La chirurgia della cataratta è elettiva e la decisione di fare un intervento deve
essere basata su due fattori: i desideri del paziente per una vista migliore e una ragionevole probabilità
che la vista migliorerà nella fase postchirugica.
Nebbiosità, scintillii e mosche volanti
I cambiamenti nell’umor vitreo correlati all’età possono creare importanti e noiose modificazioni per la
vista, compresa la nebbiosità. Sebbene queste modificazioni non siano gravi, esse possono dar fastidio al
paziente. Di solito, la terapia consiste nel rassicurare il paziente sul fatto che tali modificazioni non
minacciano la vista.
Possono verificarsi anche scintillii orientati verticalmente, poiché le modificazioni legate all’età cambiano
nell’umore vitreo. Contrariamente all’aura che si ha nell’emicrania, questi scintillii si verificano
solamente in un occhio alla volta. Se non sono accompagnati da una diminuzione del visus o da altre
modificazioni nella funzione visiva, di solito, essi non richiedono alcuna valutazione particolare.
Comunque, se persistono e se si è manifestato un senso di velo sceso sull’occhio o una diminuizione del
campo visivo, il paziente deve essere immediatamente mandato da uno specialista per un esame
oftalmologico, al fine di escludere il distacco di retina.
Nei pazienti con miopia (vista da vicino) o uveite (infezione oculare generalizzata) e in molti altri pazienti
nella loro tarda 50ina e precoce 60ina, compaiono delle opacità come linee, macchie o gruppi di macchie
che si muovono lentamente attraverso il campo visivo. Di solito, si muovono più rapidamente con i
movimenti oculari e diventano stazionari quando l’occhio non è in movimento. Queste opacità
rappresentano pezzi di umor vitreo che si sono fusi e fluttuano liberamente nella cavità vitrea (corpi
fluttuanti). Sebbene tali corpi fluttuanti siano fastidiosi, di solito, non hanno importanza clinica. Se
all’esame oftalmoscopico non si osserva distacco di retina, il paziente deve essere rassicurato e
incoraggiato a ignorarli, in quanto gradualmente diventeranno meno evidenti. Comunque, una cascata di
opacità, spesso accompagnata da scintillii periferici del campo visivo, richiede un rapido invio allo
specialista, per escludere un distacco di retina.
Visione dei colori
La discriminazione dei colori diminuisce con l’età. Tre classi di coni (lunghezza d’onda breve [blu],
lunghezza d’onda media [verde] e lunghezza d’onda lunga [rosso]) sono responsabili della normale
visione dei colori. Con l’età, tutte e tre le classi riducono la loro sensibilità, fatto che si traduce in una
riduzione della discriminazione della luminosità. I colori appaiono meno luminosi e i contrasti tra i colori
sono meno avvertibili per le persone anziane rispetto ai giovani che offrono assistenza, fatto che, forse,
risulta in una differenza di opinione circa le combinazioni appropriate dei colori dell’abbigliamento. In
aggiunta, il cristallino diventa giallo con l’età, riducendo così la sua trasparenza per le lunghezze d’onda
brevi, più di quelle medie e lunghe. Nelle persone con > 60 anni, questo cambiamento correlato all’età
sfocia in una riduzione della discriminazione degli oggetti blu, che, spesso, sembrano grigi. Questa
condizione può essere confermata con l’uso di tavole di colore durante un esame oculare di routine. Le
persone che usano la discriminazione dei colori nella loro professione (p. es., artisti, cucitrici, elettricisti)
devono essere attente a queste modificazioni e devono evitare di usare l’inchiostro blu sopra sfondi di
luce blu o grigia.
Adattamento al buio
Le persone anziane invariabilmente notano che loro capacità di agire con sicurezza in ambienti
scarsamente illuminati è ridotta. Con l’età, l’adattamento al buio diminuisce. Questo declino nella
sensibilità è dovuto, quasi completamente, a una modificazione della pupilla e all’aumento dell’opacità
del cristallino. La perdita di luce che ne risulta e che raggiunge la retina, a causa della riduzione della
trasmittanza oculare e della miosi pupillare, rende conto di quasi tutta la riduzione totale dell’adattabilità
al buio correlata all’età. La quantità di luce ambientale necessaria per la lettura, in persone di circa 60
anni, è tre volte quella necessaria per le persone di 20. Perciò, aumentando la quantità di luce ambientale
in tutte le stanze della casa, migliorano la sicurezza e la produttività.

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Campi visivi
La dimensione di un normale campo visivo diminuisce circa di 1-3o per decennio. Quindi, per le persone
di 70 o 80 anni, si può avere una perdita massiva di campo visivo di 20-30o. Questa riduzione è stata
implicata recentemente come principale agente responsabile degli incidenti automobilistici che
interessano i guidatori anziani. Poiché la retina periferica ha meno neuroni della retina centrale, perdite
uguali nelle due aree hanno un effetto maggiore nella riduzione del visus nella periferia. Per seguire le
modificazioni del campo visivo nel tempo per ogni paziente, l’esaminatore deve eseguire test del campo
visivo precocemente durante il giorno, prima che il paziente si stanchi; test successivi devono essere
eseguiti allo stesso momento del giorno per ridurre la variabilità nei risultati.
Sensazione di corpo estraneo
Una falsa sensazione di corpo estraneo può essere correlata a una condizione di occhio secco, entropion,
affaticamento cronico dei muscoli dell’occhio da mancanza di sonno, scarsa salute, sbilanciamento del
muscolo latente dell’occhio, eccessiva visione da vicino o uso prolungato del computer. Tutte queste voci
possono portare ad ammiccamento incompleto delle palpebre e a una riduzione del numero dei battiti
palpebrali per min, causando così una secchezza del globo oculare e una sensazione di corpo estraneo.
Consigliare il paziente riguardo a queste possibilità, generalmente porta ad aumento dell’ammiccamento,
che migliora il comfort visivo e la performance e, quindi, alla risoluzione della sensazione di corpo
estraneo. Comunque, un vero corpo estraneo deve essere escluso.
Cefalea
Nel paziente anziano, la cefalea può essere dovuta alla funzione oculare. Una distorsione della funzione
oculare può produrre cefalea tensiva o dolore muscolare diretto sull’occhio. La cefalea, nei pazienti con
glaucoma acuto, è una vera emergenza oculare e richiede attenzione immediata.

UDITO
Negli USA, circa il 10% della popolazione (da 24 a 29 milioni di persone) ha perdita dell’udito; metà di
esse ha ³ 65 anni. Approssimativamente 1 persona anziana su 3 dai 65 ai 75 anni e 1 su 2 > 75 anni ha
perdita dell’udito, fatto che rende la perdita dell’udito l’invalidità più comune nell’anziano. Il costo totale
della perdita dell’udito, compresa la perdita di produttività, l’assistenza medica e l’educazione speciale
correlata, è stimato intorno ai 56 miliardi di dollari l’anno.
La perdita dell’udito impedisce alle persone di avere una comunicazione efficace e può isolarle
socialmente dai membri della propria famiglia e dagli amici. La perdita dell’udito contribuisce ai
problemi psicosociali; può causare o aggravare la depressione, l’ansia e i sentimenti di inadeguatezza, che
concorrono a una ridotta capacità funzionale.
Eziologia e classificazione
La perdita dell’udito, generalmente, è correlata all’invecchiamento (che porta a una presbiacusia), ma può
essere causata da molte altre condizioni. La perdita dell’udito può essere classificata come
neurosensoriale, di conduzione, mista, centrale o retrococleare.
La sordità neurosensoriale, il tipo più comune di perdita dell’udito negli adulti, è dovuta a una perdita di
sensibilità nell’orecchio interno (coclea) o 8o nervo cranico. Questo tipo include la presbiacusia, la perdita
dell’udito dovuta all’esposizione ai rumori (che è considerata la causa di metà di tutti i casi di perdita
dell’udito negli USA) e la perdita dell’udito dovuta all’uso di farmaci ototossici (p. es., salicilati,
cisplatino, streptomicina, gentamicina, chinino, aspirina). La presbiacusia è stata classificata come
sensitiva, neuronale, metabolica o meccanica, ma questi termini non sono usati abitualmente nella pratica
clinica.
La perdita dell’udito per conduzione è dovuta a un blocco meccanico o fisico del suono, p. es., da
cerume, da occlusione del canale uditivo esterno, da perforazione della membrana timpanica, da
discontinuità ossiculare, da otite media con versamento, da otosclerosi (otospongiosi) o anche da un corpo
estraneo nel condotto uditivo.
La perdita dell’udito mista include la presenza sia di perdita neurosensoriale che di conduzione. Esempi
di perdita mista dell’udito includono una perdita dell’udito indotta dal rumore con tappo di cerume
incuneato, presbiacusia con otite media e presbiacusia con otosclerosi.
La perdita centrale dell’udito si verifica quando i centri più alti del cervello non percepiscono
normalmente il rumore. La perdita centrale dell’udito si può manifestare nelle persone con processi
patologici dell’udito centrali, ridotte capacità recettive di linguaggio dopo un ictus (afasia recettiva) o
varie forme di demenza.
La perdita dell’udito retrococleare è causata da una lesione tra il cervello e la coclea (p. es., neurinoma
dell’acustico [schwannoma vestibolare], meningioma, altre lesioni del tronco cerebrale extra-assiali).

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Sintomi e segni
La perdita dell’udito può interessare la soglia dell’udito (il volume a cui un paziente può udire il suono,
espressa in decibel [dB]), la discriminazione (abilità a differenziare tra i vari suoni vocali) o entrambe.
Frequenze di suono differenti (espresse in hertz) possono essere interessate. La perdita dell’udito può
interessare un orecchio o entrambe le orecchie. Può colpire le orecchie in modo uguale (simmetrica) o in
modo diseguale (asimmetrica). Il tinnito spesso accompagna la perdita dell’udito.
I pazienti con presbiacusia più comunemente riferiscono che essi possono ascoltare, ma non
comprendere. Essi possono riferire che tutti borbottano. Il coniuge o il partner del paziente può riferire
che il paziente alza il volume della televisione molto alto e chiede che gli vengano ripetute le parole. I
pazienti possono evitare situazioni sociali (p. es., cocktail party), cerimonie religiose e cinema.
I pazienti con presbiacusia hanno difficoltà a comprendere il linguaggio, poiché il loro udito è scarsissimo
ad alta frequenza. In inglese le consonanti, che sono ad alta frequenza intorno a 3000 e 4000 Hz,
forniscono la maggiore chiarezza del linguaggio. I suoni consonantici (p. es., “s”, “sh”, “f”, “p”, “t”) sono
i suoni più importanti per il riconoscimento del linguaggio. Per esempio, quando “shoe”, “blue”, “true”,
“too” o “new” vengono pronunciati, molti pazienti con presbiacusia possono udire il suono “oo”, ma la
maggior parte ha difficoltà a riconoscere quale parola è stata pronunciata, perché non può distinguere le
consonanti.
Diagnosi
Lo screening per la perdita dell’udito è caldamente raccomandato per tutte le persone anziane, poiché
esse, spesso, nascondono la loro perdita dell’udito, in quanto sono imbarazzate da essa e l’attribuiscono
all’età. Inoltre, quelli che hanno poche interazioni sociali possono non essere consapevoli della lieve
perdita dell’udito e ciò li espone al rischio di danno e a un ulteriore isolamento sociale.
Quando si sospetta la perdita dell’udito, si deve ottenere l’anamnesi ed effettuare un esame otoscopico. Il
test al diapason può essere utile. Il test della voce sussurrata e il test del ticchettio sono misure grossolane
e, perciò non sono utili da un punto di vista diagnostico. Quando si sospetta la perdita dell’udito, deve
essere eseguita una valutazione completa da un audiologo.
Anamnesi: il paziente è interrogato circa i sintomi (p. es., dolore e tinnito dell’orecchio, drenaggio
auricolare, lipotimia episodica o vertigini), che sono le possibili cause della perdita dell’udito (p. es.,
significativa esposizione al rumore, precedente intervento all’orecchio, uso corrente o precedente di
farmaci ototossici), uso di apparecchi acustici e anamnesi familiare di sordità o di uso di presidi acustici.
Il paziente verrà interrogato anche su quando è stata notata la prima volta la perdita dell’udito, se è
peggiorata con il tempo e se l’udito è più o meno lo stesso in entrambe le orecchie.
Alcuni sintomi suggeriscono una diagnosi diversa dalla presbiacusia (che è una diagnosi di esclusione) e
richiedono un’ulteriore valutazione medica. Essi comprendono la perdita dell’udito unilaterale, il tinnito
unilaterale, la recente o improvvisa modificazione nell’udito, la fluttuazione della perdita dell’udito e il
dolore auricolare.
Esame otoscopico: questo esame può mostrare risultati che suggeriscono una diagnosi diversa dalla
presbiacusia. Essi comprendono evidenza di una perdita dell’udito di conduzione o mista, il drenaggio da
un orecchio, l’occlusione da cerume, le anomalie del canale uditivo o della membrana timpanica (p. es.,
una perforazione, timpanosclerosi, una membrana timpanica rossa protrudente, un menisco, liquido
ambra, bolle), sangue nell’orecchio, crescite inusuali o lesioni della pinna o del canale uditivo (p. es.,
tumore glomico), otite esterna e segni o anormalità anatomiche che suggeriscono una perdita dell’udito
dovuta a una sindrome ereditaria o a una storia di perdita dell’udito correggibile con terapia medica.
L’85-95% dei pazienti osservati dall’audiologo non presenta questi reperti.
Test al diapason: la capacità del paziente di udire può essere stimata approssimativamente
nell’ambulatorio medico; si può usare un test al diapason (più comunemente test di Rinne o di Weber). Le
informazioni basate sul test al diapason sono limitate. Poiché i diapason non sono calibrati, essi hanno
ampiezze differenti quando vibrano, portando potenzialmente a risultati erronei.
Il test di Rinne confronta la conduzione aerea dell’udito (la via normale di trasmissione del suono
attraverso il canale uditivo, la membrana timpanica e gli ossicini) con la conduzione ossea. Il dente
centrale (manico) di un diapason vibrante è posto contro il processo mastoideo del paziente (per la
conduzione ossea). Poi, il diapason vibrante è mantenuto a circa 2,5 cm di distanza di fronte alla pinna
(per la conduzione aerea). Viene chiesto al paziente quale sia il suono più forte. Se la presentazione
mastoidea è più forte, si deve sospettare una perdita di conduzione o mista. Se, invece, è più forte la
presentazione al padiglione, l’udito può essere normale o può essere presente una perdita dell’udito
neurosensoriale o retrococleare.
Il test di Weber valuta l’udito solo per la conduzione ossea. Un diapason vibrante è posto sui denti
frontali, sul dorso del naso o al centro della fronte. Viene chiesto al paziente se il suono sia più forte
sull’orecchio destro o sinistro o se il tono si trovi al centro. Se il tono è più forte nell’orecchio sinistro, il
paziente può avere una perdita dell’udito di conduzione nell’orecchio sinistro, un orecchio destro non

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funzionale da un punto di vista neurologico o una significativa sordità neurosensoriale in entrambe le
orecchie, con udito migliore all’orecchio sinistro rispetto al destro. Se il tono è riferito al centro, l’udito è
normale o l’alterazione è più o meno la stessa in entrambe le orecchie.
Audiometria: l’audiogramma è uno strumento standardizzato per registrare la soglia uditiva a frequenze
differenti. Esso elenca le frequenze (altezza del suono) da sinistra (basse frequenze) a destra (alte
frequenze) attraverso l’asse x. Sebbene gli esseri umani possano percepire frequenze da circa 20 a 20 000
Hz, l’audiogramma registra le parti dello spettro più importanti per il linguaggio (da 250 a 8000 Hz, in
ottave). Le ampiezze (volume) del suono sono rappresentate dal massimo (leggero) al basso (forte) lungo
l’asse y. L’audiogramma registra, di solito, le ampiezze da -10 a 110 dB.
Solitamente, il grado di perdita dell’udito è determinato facendo la media delle soglie di udito del tono
puro (in decibel) per 500, 1000 e 2000 Hz. Il numero che ne risulta, il tono puro medio, viene utilizzato
per definire il grado di perdita dell’udito.
Un tono puro medio di £ 25 dB attraverso le frequenze del linguaggio indica essenzialmente un udito
normale negli adulti. Un puro tono medio da 26 a 40 dB indica una perdita dell’udito lieve; da 41 a 70 dB
indica perdita dell’udito moderata; da 71 a 90 dB indica perdita dell’udito grave; ³ 91 dB indica perdita
dell’udito profonda.
Audiometria vocale: sebbene sia importante determinare le soglie del tono puro, i pazienti non ascoltano
toni puri nella loro vita di ogni giorno e la maggior parte dei pazienti si presenta con problemi di
percezione del linguaggio, che il test del tono puro non valuta direttamente. L’audiometria vocale valuta
quanto bene un paziente percepisce i suoni vocali. Le due misure standard di percezione del linguaggio
sono la soglia di ricezione del linguaggio e il punteggio di riconoscimento delle parole.
La soglia di ricezione del linguaggio è il livello più basso (in decibel) a cui il paziente può ripetere
accuratamente il 50% di una serie di bisillabi, parole bilanciate (spondaiche, cioè di due sillabe lunghe).
La soglia di ricezione del linguaggio, di solito, è entro i 5 dB del tono puro medio. Perciò la soglia di
ricezione del linguaggio e il tono puro medio potranno essere usati come controlli l’uno per l’altro,
convalidando anche le risposte di soglia.
Il punteggio di riconoscimento delle parole rappresenta le capacità del paziente di comprendere al
massimo (p. es., discriminare, udire chiaramente, riconoscere) i suoni vocali. Esso viene misurato
presentando parole monosillabiche foneticamente bilanciate (solitamente, un elenco di 25) a un livello di
volume confortevole per il paziente. Le parole vengono presentate nel contesto di una frase (p. es., “mi
dica la parola «barca»”, “mi dica la parola «andato»”). Il compito del paziente sarà quello di ripetere la
parola finale. Il punteggio finale è dato dalla percentuale di parole ripetute correttamente. Comunque, un
punteggio di 100% non preclude necessariamente la necessità di protesi acustiche. Per esempio, se il
punteggio è 100% a un livello di presentazione di 85 dB (che è più forte di quello del linguaggio di una
conversazione media), il paziente, quasi certamente, avrà bisogno e trarrà beneficio dalle protesi
acustiche.
Generalmente la soglia di riconoscimento del linguaggio e i test di riconoscimento della parola sono
eseguiti utilizzando cassette o CD preregistrati per assicurare l’affidabilità tra un test e l’altro e per
sottoporre ciascun paziente allo stesso tipo di test. Quando vengono usati test a viva voce, una variazione
nel rumore del test di segnale, nell’accento, nel momento in cui il test è eseguito e altri fattori possono
contaminare i risultati del test a un livello non noto. Nondimeno, i test viva voce, talvolta, sono necessari,
p. es., per i pazienti con morbo di Alzheimer e per quelli che hanno difficoltà a completare un compito.
Per i pazienti con presbiacusia, il risultato tipico del test audiometrico è una sordità bilaterale medio-
moderata per le alte frequenze. L’udito, di solito, è migliore alle basse frequenze e peggiore alle alte
frequenze. Di solito, la soglia di ricezione del linguaggio è appropriata (entro 5 dB del tono puro medio) e
il punteggio di riconoscimento delle parole è > 80%.
I pazienti con problemi di elaborazione degli stimoli uditivi o cocleari o con sordità neuronale possono
avere un punteggio basso nel riconoscimento delle parole (p. es., il loro sistema uditivo non riproduce
fedelmente la chiarezza del linguaggio, nonostante il volume). I pazienti con un punteggio all’incirca
sotto il 70% hanno difficoltà di comprensione del linguaggio di conversazione senza ausili visivi,
nonostante la loro capacità di percepire il suono.
Trattamento
Sebbene i medici diagnostichino i problemi di udito e trattino i pazienti idonei con terapia medica e
chirurgica, la maggior parte dei pazienti con sordità è gestita dagli audiologi. Essi consigliano e
forniscono raccomandazioni riguardo la perdita dell’udito, raccomandano e adattano protesi acustiche,
aiutano a gestire il tinnito, raccomandano le modalità per evitare i problemi legati al rumore e
raccomandano e forniscono supporti di assitenza dell’udito per i pazienti che lo richiedono. Gli audiologi,
inoltre, possono provvedere a servizi di riabilitazione dell’eloquio-lettura e dell’udito.

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Apparecchi acustici: il trattamento primario per i pazienti con perdita dell’udito è rappresentato dagli
apparecchi acustici. Nel 1998, circa 2 milioni di apparecchi acustici sono stati venduti negli USA. Nel
1997, il 78% degli apparecchi acustici è stato venduto tra i pazienti di età compresa tra i 65 e gli 84 anni.
Ci sono molti tipi di apparecchi acustici e i pazienti devono scegliere un modello che potranno indossare
senza imbarazzo. L’aspetto estetico non può essere ignorato nell’adattamento degli apparecchi acustici.
I pazienti con perdita dell’udito binaurale, generalmente, hanno bisogno di apparecchi acustici binaurali.
Circa il 60% di coloro che indossano apparecchi acustici ne usa due. L’amplificazione binaurale permette
al cervello di confrontare e contrapporre i suoni provenienti da entrambe le orecchie e di percepire gli
stimoli di ampiezza, spettrali e fasici, che migliorano notevolmente il riconoscimento del linguaggio nelle
situazioni calme e rumorose.
Se i pazienti con perdita dell’udito binaurale indossano solo un presidio acustico, essi non possono dire da
dove arrivi il suono e, nelle situazioni difficili (p. es., quelle rumorose), non possono udire chiaramente il
discorso. In maniera addizionale è richiesta più amplificazione con una unità monoaurale che con una
unità binaurale. Un presidio monoaurale viene usato solo se il paziente ha restrizioni di tipo economico,
solo se un orecchio richiede amplificazione (il secondo orecchio non necessita di presidio o è normale) o
in caso di interferenza binaurale (rara).
Le aspettative realistiche sono le chiavi per un trattamento con gli apparecchi acustici. Anche i migliori
apparecchi acustici non permettono al paziente di udire chiaramente nelle situazioni di ascolto avverse,
come quelle caratterizzate da una cattiva acustica (conseguenti all’elevato riverbero del suono), una scarsa
frequenza segnale-rumore (l’intensità del segnale competente o del rumore di sottofondo), eccessivo
rumore di sottofondo o scarso contatto visivo tra chi parla e chi ascolta (p. es., per scarsa illuminazione).
Anche con apparecchi acustici ben posizionati, i pazienti, di solito, hanno bisogno di numerosi e
abbondanti ausili uditivi e visivi durante il discorso normale per aumentare al massimo la percezione del
linguaggio.
Gli apparecchi acustici sono disponibili in tre forme tecnologiche: analogica (con circuiti tradizionali),
programmabili in modo digitale (un’unità analogica con parametri controllabili in modo digitale) e 100%
digitale (che ha microfoni analogici e ricevitori, nonostante il suo nome). I dispositivi programmabili in
modo digitale e gli apparecchi acustici di aiuto vengono usati da circa il 30-40% di coloro che indossano
gli apparecchi acustici.
Unità analogiche, il tipo più comune e meno costoso, rende il suono più forte, ma fornisce la quantità
minima di suono trasmissibile. Quindi, essi possono essere preferiti dai pazienti che hanno bisogno di
amplificazione basica al minore prezzo possibile. Unità analogiche sono disponibili in tutte le misure:
retroauricolari, nell’orecchio, nel canale uditivo e completamente nel canale. Essi possono essere prodotti
con controlli multipli a vite (potenziometri) per adattare i rapporti di compressione e la soglia di
compressione (livello a cui la compressione viene iniziata), il guadagno a bassa e ad alta frequenza
(potere di amplificazione), la resa massima e altri parametri.
Unità programmabili in maniera digitale (unità analogiche controllate digitalmente) sono ibridi che
permettono all’audiologo di controllare le caratteristiche degli apparecchi con accuratezza digitale
(usando un computer) mentre il suono viene trasportato attraverso una tecnologia analogica. Il controllo
del circuito è migliorato enormemente e queste unità possono essere sintonizzate in base alle preferenze
del paziente. Tali apparecchi sono disponibili in tutte le misure. Essi variano nel prezzo, ma generalmente
sono più costosi di quelli con unità analogica.
Le unità digitali (unità d’elaborazione digitale del segnale) sono le più avanzate tecnologicamente.
Possono avere un potere di calcolo maggiore rispetto alla maggior parte dei personal computer, eppure
hanno le dimensioni di una gomma da cancellare e si adattano all’interno del condotto uditivo. Queste
unità possono stimolare il linguaggio a elaborare > 100 milioni di calcoli al secondo e possono usare
feedback, direzionalità, riduzione del rumore e molte strategie di elaborazione per mantenere un livello di
ascolto confortevole per tutti i suoni, da quelli molto flebili a quelli molto forti. Essi sono disponibili in
tutte le taglie e sono i più costosi.
Gli apparecchi acustici retroauricolari sono le unità più potenti a livello uditivo (v. Fig. 128-2). Poiché
il ricevitore e il microfono sono separati, il guadagno può essere aumentato con meno probabilità di
feedback acustico (fischio). Poiché questo aiuto è relativamente grande, esso può accogliere molte
opzioni di circuito (p. es., bobine telefoniche, ingresso audio diretto, programmi multipli, microfoni
direzionali, interruttori manuali). Gli ausili retroauricolari sono usati abitualmente per i pazienti con
perdita dell’udito moderata, grave o gravissima.
Gli apparecchi acustici intrauricolari sono i più visibili e gli ausili meno costosi e più grandi, portati
all’interno dell’orecchio. Per definizione, gli apparecchi posti nel canale e quelli posti completamente nel
canale sono anche “intrauricolari”, ma, per convenzione, solo le unità che occupano completamente la
conca vengono definite come apparecchi intrauricolari. Gli apparecchi intrauricolari sono ideali per molti
pazienti, in quanto essi non entrano profondamente nel condotto uditivo. Talvolta, essi sono raccomandati
in quanto sono apparecchi più grandi di quelli intrauricolari e sono posti completamente nel canale e,
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forse, sono più facili da inserire e rimuovere. Gli apparecchi intrauricolari sono usati solitamente per i
pazienti con perdita dell’udito lieve, moderata o, occasionalmente, per quelli con perdita grave.
Gli apparecchi acustici posti nel canale solitamente sono più costosi di quelli intrauricolari. Essi sono
facili da inserire e da rimuovere. Gli apparecchi posti nel canale sono usati abitualmente per i pazienti con
perdita dell’udito lieve o moderata.
Gli apparecchi acustici posti completamente nel canale sono quelli più piccoli. Un apparecchio ben
posizionato in un canale uditivo normalmente conformato è difficilmente visibile. Questi apparecchi si
inseriscono così in profondità nel condotto uditivo che richiedono uno strumento sottile per rimuoverli.
Poiché essi vengono posti così in prossimità della membrana timpanica, richiedono meno pressione
acustica rispetto agli apparecchi acustici tradizionali per ottenere un risultato analogo. La forma di questi
apparecchi aumenta naturalmente la risposta alle alte frequenze (consonanti) ed è più utile intorno a 3000
Hz. Essi rappresentano spesso la scelta migliore per i pazienti con perdita dell’udito lieve o moderata.
Gli apparecchi acustici incorporati agli occhiali non sono usati in maniera diffusa. Se l’otofono
funziona male, i pazienti devono muoversi senza i loro occhiali. Se gli occhiali sono mal posti, lo è anche
l’apparecchio acustico. Inoltre, i modelli per questi apparecchi sono limitati.
Gli apparecchi acustici da portare indosso assomigliano a stereo portatili. L’unità principale, che ha
circa le dimensioni di un mazzo di carte, viene portata in tasca o su una bretella. Il ricevitore, di solito, è
un dispositivo a forma di orecchio di plastica chiara, fatto su misura, inserito nel condotto uditivo e
collegato all’unità principale da un filo metallico. Gli apparecchi acustici a corpo sono utili per i pazienti
con perdita dell’udito gravissima, poiché essi possono fornire un’amplificazione di 85 o 90 dB, spesso
senza feedback acustico. Comunque, gli apparecchi acustici a corpo non sono accettabili esteticamente.
Gli apparecchi acustici di conduzione ossea sono eccellenti per i pazienti con perdita massima
dell’udito di conduzione o mista. Essi possono essere appropriati per i pazienti con orecchio atresico,
perdita dell’udito dovuta a una sindrome ereditaria o due orecchie per le quali il trattamento chirurgico
non è più possibile (orecchio postoperatorio). Gli otofoni a conduzione ossea consistono solitamente in
una scatola (simile agli apparecchi indossati a corpo) e fili metallici che conducono al ricevitore, che è
rappresentato da un oscillatore a conduzione ossea legato con una cinghia alla testa. (L’oscillatore è molto
simile a quello usato per il test di conduzione ossea.) Gli apparecchi acustici a conduzione ossea fanno
vibrare il cranio e, in rare eccezioni, non vi è feedback acustico. Perciò, questi apparecchi possono
superare la parte conduttiva nella perdita di udito mista. Comunque, la scatola e l’oscillatore osseo non
sono accettabili esteticamente.
Impianti cocleari: gli impianti cocleari sono appropriati per i pazienti con sordità neurosensoriale
bilaterale gravissima, che trova scarso aiuto negli apparecchi acustici. È impossibile fare una predizione
accurata se il paziente trarrà beneficio dall’impianto. Comunque, i pazienti con perdita dell’udito
postlinguale si muovono molto meglio di quelli con perdita dell’udito prelinguale e i risultati riguardo la
plasticità neuronale e l’interpretazione efficace dei suoni trasmessi da un impianto cocleare sono
aumentati al massimo quando il procedimento è effettuato il prima possibile dopo che si è verificata la
perdita dell’udito.
Gli impianti cocleari sono inseriti chirurgicamente nell’orecchio interno in cui stimolano elettricamente il
tessuto nervoso dell’orecchio interno e dell’8o nervo cranico. Gli impianti offrono una sensazione uditiva
al paziente, ma, probabilmente, la sensazione in realtà non è simile a quella del discorso. La percentuale
di successo è < 1% e alcuni pazienti hanno risultati eccellenti, compreso il riconoscimento del linguaggio
quando usano il telefono. Nondimeno, è importante una valutazione preoperatoria completa riguardo alle
aspettative realistiche e al bisogno di una riabilitazione auricolare per lungo tempo. I pazienti devono
frequentare regolarmente le lezioni di riabilitazione.
Dispositivi di ascolto sussidiari: vari dispositivi possono essere usati per amplificare un segnale uditivo
e per migliorare il rapporto segnale-rumore. I dispositivi d’ascolto sussidiari sono disponibili per ogni tipo
e grado di perdita dell’udito. Essi sono utili nelle conversazioni a due o al cinema, nelle sale dei concerti,
nei luoghi di attrazione turistica e in molti altri luoghi di ritrovo.
Sin dal 1991, sono obbligatori nuovi telefoni che siano compatibili con gli apparecchi acustici personali.
Gli apparecchi acustici con una telebobina possono essere programmati su “T” per ricevere (attraverso
un’induzione magnetica) il segnale dalla bobina magnetica all’interno del telefono. Quando la telebobina
viene attivata, il microfono, di solito, è inattivo; perciò, gli apparecchi acustici principali attualmente non
amplificano i suoni di sottofondo della stanza in cui la persona sta parlando.
Molti telefoni hanno un regolatore del volume basso-alto; altri hanno ricevitori intercambiabili dotati di
spinotti modulari, che facilitano la conversione tra la ricezione regolare e quella amplificata.
Amplificatori del telefono portatile possono essere attaccati facilmente e allontanati immediatamente
dalla cornetta telefonica della maggior parte dei telefoni. Questi dispositivi sono utili per le persone con
perdita dell’udito che hanno bisogno di più di un telefono (casa, ambulatorio o telefono cellulare) e per
quelli che viaggiano frequentemente.

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Dispositivi di telecomunicazione per sordi (DTS) permettono ai soggetti con perdita dell’udito di
chiamare altre persone che utilizzano DTS e di digitare i loro messaggi usando una tastiera attaccata al
telefono. Questo sistema è simile ai messaggi istantanei inviati tramite computer. Il messaggio digitato
compare sul video del ricevente dotato di DTS o stampato su un rotolo di carta accessorio. La maggior
parte degli stati americani ha un servizio di trasmissione gratuito attraverso il quale le persone con udito
normale, che desiderano mettersi in contatto con una persona sorda, possono chiamare un operatore
fornito di DTS.
Alcuni apparecchi acustici retroauricolari hanno un input audio diretto, che permette all’ausilio uditivo di
essere associato direttamente al telefono (televisione, radio o ad altri mezzi di trasmissione) con speciali
attacchi e fili audio.
Decoder chiusi di ricezione sono necessari sui nuovi televisori con schermo di ³ 13 pollici. La ricezione
chiusa fornisce una trascrizione scritta del dialogo e degli effetti sonori per molti spettacoli televisivi.
Nei sistemi a infrarossi, un trasmettitore invia segnali dalla fonte del suono (p. es., televisione, radio) a
un ricevitore a infrarossi in una cuffia indossata da soggetti con una perdita dell’udito, che possono
correggere il volume della cuffia a un livello confortevole. I ricevitori a infrarossi sono portatili e si
possono usare in ogni teatro pubblico che sia fornito di un trasmettitore a infrarossi. Comunque, i sistemi
a infrarossi non hanno effetti sulla luce diretta del sole (alcuni teatri all’aria aperta) e non funzionano se la
trasmissione della luce al ricevitore è bloccata fisicamente.
Nei sistemi FM, un microfono all’origine del suono invia segnali a un trasmettitore, che diffonde il
segnale attraverso onde radio FM a un ricevitore indossato da soggetti con perdita dell’udito. I sistemi FM
sono portatili, possono essere usati all’interno e all’aperto e da persone con un’ampia gamma di perdita
dell’udito. Sistemi FM con ricevitore attenuato sono utilizzati sempre di più da persone con udito normale
e disturbi di trasmissione centrale dell’udito.
I dispositivi di ascolto sussidiari possono essere usati come sistemi d’avviso per i segnali uditivi in casa e
in comunità (p. es., telefono, campanello della porta, bussare alla porta, allarme della sveglia, rivelatore di
fumo, sirene, segnale di accensione in macchina). La maggior parte dei dispositivi utilizza un segnale
visivo (p. es., luce stroboscopica) o un segnale tattile per rappresentare il segnale uditivo. Per esempio, un
dispositivo agganciato al campanello della porta può accendere una luce che lampeggia in cucina. Un
dispositivo può essere programmato con un flash per un colpo alla porta, doppio flash per il telefono e un
flash lungo seguito da uno breve per l’allarme antincendio.
Dispositivi comuni, come p. es. i pager portatili e le e-mail, permettono alle persone con perdita dell’udito
di comunicare facilmente, accuratamente e istantaneamente con gli altri.
Riabilitazione uditiva
La maggior parte dei pazienti perde il proprio udito gradualmente e, perciò, è impreparata a una
reintroduzione improvvisa dei suoni che si ha con gli apparecchi acustici. I pazienti possono essere
distratti dall’amplificazione di suoni comuni, come quello del mormorio di un frigorifero, il fruscio del
voltare le pagine del giornale e il suono dei passi sulle mattonelle della cucina. Quasi tutti i pazienti
notano che la loro voce assume tonalità differenti quando indossano gli apparecchi acustici.
La maggior parte dei pazienti trae beneficio dalla riabilitazione uditiva. Solitamente un piccolo gruppo di
coppie di varie età si incontra settimanalmente per le istruzioni e la pratica supervisionata, al fine di
ottimizzare la comunicazione. I pazienti aiutano a stabilire gli scopi della comunicazione e ricevono
istruzioni, suggerimenti e intuizioni che riguardano il dare senso ai suoni che non hanno udito per lungo
tempo. Sono necessari tempo e pazienza, ma lavorare con professionisti esperti nell’aumentare al
massimo la comunicazione, rende il processo più semplice e meno frustrante.
Le lezioni quasi sempre comprendono l’addestramento nella lettura del linguaggio. Viene insegnato ai
pazienti quali suoni sono riconoscibili sulle labbra, sui denti e sulla lingua e quali non lo sono. La
necessità di notare le espressioni facciali e i gesti viene sottolineata e si ricorda ai pazienti che il contesto,
la ridondanza linguistica e la familiarità con gli idiomi contribuiscono alla comprensione delle
conversazioni anche quando i pazienti non ascoltano ogni singola parola.
L’addestramento comprende l’insegnare ai pazienti a difendere le loro proprie necessità. Insegnare ad
anticipare le situazioni difficili della comunicazione e a modificarle, o addirittura a evitarle, fornisce al
paziente un senso di controllo sull’ambiente di ascolto. Per esempio, i pazienti possono visitare un
ristorante fuori dalle ore di punta, quando la situazione è più calma. Essi possono chiedere di sedere in
una cabina o in un posto riparato, che blocchi altri suoni estranei. Possono chiedere che le specialità del
giorno siano scritte piuttosto che enunciate. All’inizio di una conversazione telefonica, il farsi identificare
come persone con difetti dell’udito può rendere più semplice l’ottenimento di informazioni al telefono. In
conversazioni dirette, aiuterà molto chiedere a chi parla di guardare diritto in faccia.

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VIII. ULCERE DA DECUBITO
Danno ischemico e la conseguente necrosi dei tessuti risulta dalla pressione intensa o prolungata.
Le ulcere da pressione si verificano più spesso tra i pazienti anziani, che sono allettati, costretti sulla sedia
a rotelle o incapaci di cambiare posizione da soli. Le ulcere da pressione si verificano al di sotto del punto
vita, sebbene possano svilupparsi ovunque sul corpo (p. es., nelle narici o agli angoli della bocca, nei
pazienti con sondini nasogastrici o tubi endotracheali; tra le dita, nei pazienti con artrite reumatoide).
Gli anziani hanno meno grasso e massa muscolare con cui disperdere la pressione. Una riduzione
correlata all’età dei livelli di acido ascorbico può aumentare la fragilità dei vasi e del tessuto connettivo e
abbassare la soglia del danno indotto dalla pressione. Una riduzione del numero di vasi sanguigni dermici
si può verificare nelle persone anziane a rischio di lesioni ischemiche causate dalla pressione e da forze di
taglio. Tutti gli stadi di guarigione della ferita sono influenzati dall’invecchiamento: il grado di
riparazione nell’anziano si riduce, come rivelato dalla misurazione della proliferazione cellulare, dallo
sviluppo di forza tensile della ferita, dalla deposizione del collageno, dalla contrazione della ferita e dalla
guarigione delle bolle.
Epidemiologia
La stima della prevalenza tra pazienti in ospedale per un problema acuto varia dal 3,5 al 29,5%, ma è più
elevata nei quadriplegici (60%), negli anziani dopo frattura dell’anca (66%) e nei pazienti in terapia
intensiva (41%). La stima della prevalenza tra residenti nelle case di cura è pari al 23%; mentre, nei
pazienti che ricevono assistenza domiciliare è pari al 12,9%. Complicanze come sepsi, infezioni croniche,
cellulite e osteomielite prolungano l’ospedalizzazione e la riabilitazione. Inoltre, le ulcere da pressione
aumentano la percentuale di mortalità nei pazienti anziani.
Eziologia e classificazione
I fattori di rischio che possono portare allo sviluppo di ulcere da pressione possono essere classificati
come estrinseci o intrinseci. Pazienti con determinate condizioni cliniche (p. es., diabete mellito, malattia
vascolare periferica) sono predisposti a sviluppare ulcere da pressione e, quindi, sono considerati ad alto
rischio. Anche le persone anziane scarsamente nutrite o affette da patologie croniche sono ad alto rischio.
È più probabile che le persone, che sono deliranti, dementi, parzialmente o completamente paralizzate o
allettate, sviluppino ulcere da pressione.
La pressione è la causa esterna principale del danno ischemico e della necrosi tissutale. La pressione
sanguigna capillare normale all’estremità arteriolare del letto vascolare è in media di 32 mm Hg. Quando
i tessuti sono compressi esternamente, comunque, la pressione arteriosa può superare i 300 mm Hg e
riduce l’apporto ematico e il drenaggio linfatico dalle zone interessate. I punti di pressione comuni si
trovano sulle prominenze ossee.
La frizione si verifica quando la cute sfrega contro altre superfici (p. es., quando un paziente scivola nel
letto o viene tirato su nel letto senza un lenzuolo di scorrimento), cosa che porta alla perdita di cellule
epidermiche. Lo strappo si verifica quando i due strati della cute scivolano l’uno sull’altro, in un
movimento in direzioni opposte e che produce danno nel tessuto sottostante. Si ha anche quando la cute si
appiccica a una superficie e poi la trazione ne provoca lo stiramento (p. es., quando un paziente è seduto
in alto nel letto e scivola in basso con la cute del dorso mantenuta sul lenzuolo dal sudore). La
macerazione è causata dall’umidità, come si verifica con la traspirazione, l’incontinenza urinaria o fecale
o le ferite essudanti. L’umidità eccessiva ammorbidisce la cute e può causare modificazioni degenerative
e disgregazione del tessuto.
Dati di laboratorio
I dati di laboratorio che possono permettere di identificare i pazienti a rischio di ulcere da pressione
comprendono l’Hb < 12 g/dl, la conta linfocitaria totale < 1200 ml, l’albumina serica £ 3,5 g/dl e i livelli
di transferrina < 170 mg/dl. La coltivazione di routine di frammenti provenienti da ulcere in assenza di
sintomi clinici e segni di infezione è di valore discutibile, poiché tutte le ulcere da pressione sono
colonizzate. La crescita di un patogeno comune (p. es., Staphilococcus aureus, Escherichia coli, Proteus
mirabilis) in tali colture non indica necessariamente un’infezione che richieda una terapia antibiotica. Una
coltura dalla ferita e test di sensibilità, ottenuti mediante aspirazione con siringa o biopsia di tessuto
dell’ulcera, sono indicati se si sospetta batteriemia o infezione sistemica (p. es., temperatura elevata,
margini della ferita infiammata, essudato maleodorante) o se l’ulcera da pressione non guarisce. Conte
batteriche ³ 100 000/g di tessuto suggeriscono che l’ulcera da pressione non potrà guarire senza antibiotici
sistemici.
Profilassi
La prevenzione è il fattore più importante nel trattamento delle ulcere da pressione. L’identificazione dei
fattori di rischio e l’esame dalla cute del soggetto, specialmente sulle prominenze ossee, almeno una volta
al giorno, sono essenziali per la prevenzione delle ulcere da pressione. In aggiunta, uno strumento
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convalidato come la Scala di Norton oppure di Braden permette la valutazione del rischio. Si deve
iniziare, quindi, uno schema preventivo che preveda i principi di riduzione della pressione, riduzione
dell’umidità e supporto nutrizionale.
Riduzione della pressione: uno schema per il riposizionamento dei pazienti dev’essere formulato in base
al grado di rischio di sviluppare ulteriori ulcere da pressione e sulla risposta dei tessuti alla pressione. Di
solito, i pazienti con mobilità limitata al letto devono essere girati almeno ogni 2 h. Deve essere
sviluppato uno schema scritto di riposizionamento. I pazienti ad alto rischio devono essere girati dalla
posizione supina verso destra o sinistra di 30o in posizione obliqua, per alleviare la pressione sui punti di
maggiore pressione. I pazienti non devono essere posti in posizione laterale a 90o, poiché questa posizione
sottopone a una pressione maggiore il trocantere maggiore e il malleolo laterale. I pazienti che hanno già
soluzioni di continuo della pelle non devono essere posizionati sulle ulcere da decubito.
La testa del letto non deve essere sollevata a 30o (eccetto quando il paziente mangia), in modo che le forze
di strappo siano ridotte. Un lenzuolo di sollevamento aiuta a posizionare i pazienti in alto nel letto. I
calcagni sono mantenuti fuori del letto con l’uso di guanciali o cuscinetti di schiuma posti sotto le gambe
da metà polpaccio alla caviglia. I pazienti non devono sedere su un sedia per oltre 2 h, poiché la posizione
seduta crea una pressione intensa sulle tuberosità ischiatiche. I pazienti seduti su una sedia devono essere
riposizionati almeno ogni ora. Una sedia che non permetta al paziente di scivolare in basso evita la
frizione e le forze di strappo. Un cuscino da sedia di schiuma ad alta densità o di plastica o con
imbottitura in gel siliconato riduce la pressione contro le prominenze ossee. Comunque, nessun cuscinetto
distribuisce uniformemente e riduce completamente la pressione. (Attenzione: cuscini e anelli di plastica
[ciambelle] non devono essere usati poiché possono provocare compressione, quindi diminuire
l’irrorazione dell’area.) I pazienti devono essere istruiti, se possibile, a spostare il loro peso ogni 15 min
per aiutare a ridistribuire il peso corporeo e promuovere il flusso ematico ai tessuti. I pazienti sono
incoraggiati a eseguire esercizi con un certo grado di movimento e a camminare almeno ogni 8 h, se
possibile, per aiutare a prevenire le contratture, migliorare la circolazione e mantenere l’integrità delle
articolazioni, la mobilità e la massa muscolare. La superficie di supporto appropriata viene scelta sulla
base della formazione delle ulcere da pressione, i costi, la facilità di uso, il mantenimento e le preferenze
del paziente. Nessuna superficie di supporto è efficace da sola in tutte le situazioni. Le superfici di
supporto statiche sono appropriate per i pazienti che possono cambiare la loro posizione senza portatore il
peso sull’ulcera da pressione e senza “raggiungere livelli bassi” alla superficie al di sotto. Le superfici di
supporto dinamiche sono appropriate per i pazienti che non possono cambiare posizione senza portare il
peso sulle ulcere da decubito, che raggiungono livelli bassi sulle superfici statiche di supporto, o la cui
ulcera non guarisce. Dispositivi aggiuntivi appropriati, come un tappetino di pelle di pecora, protezioni
del calcagno e del gomito e trapezi, possono aiutare. La copertina di pelle di pecora non è abbastanza
spessa o abbastanza densa per ridurre la pressione, ma può ridurre la frizione. Una copertina di pelle di
pecora posta ai piedi del letto, p. es., può ridurre la frizione contro i calcagni dei pazienti con patologie
vascolari. Allo stesso modo, le protezioni del gomito (cuscinetti fatti di pelle di pecora o un equivalente
sintetico) diminuiscono la frizione e possono ridurre anche la pressione. I trapezi consentono ai pazienti
con funzione motoria della parte superiore del corpo di muoversi o spostare il loro peso nel letto.
Riduzione dell’umidità: la cute deve essere tenuta pulita e secca. Ogni area umida o irritata viene lavata
con cura con acqua semplice. Si può usare una piccola quantità di sapone leggero, sebbene il sapone
rimuova gli olii naturali protettivi della cute e rimuovere il sapone residuo può significare massaggiare
tessuti già danneggiati. Successivamente, un sottile strato di lozione idratante viene massaggiata
dolcemente intorno, piuttosto che sopra l’area arrossata o la prominenza ossea. Per proteggere il danno
causato dalle urine e dalle feci, viene applicato, quindi, un sottile strato di un prodotto a base di vaselina.
Sostanze più pesanti, come la pasta all’ossido di zinco o d’alluminio, non sono consigliate, perché sono
difficili da rimuovere. Cuscinetti per il letto fatti di carta plastificata possono essere ricoperti con un
lenzuolo di scorrimento o una federa, in modo da non toccare la cute del soggetto, e si deve usare il minor
numero possibile di cuscinetti. Un leggero spolveramento con talco per il corpo che non si impasta,
applicato alle pieghe corporee, aiuta a ridurre la frizione e lo strappo e ad assorbire l’umidità.
L’incontinenza deve essere valutata e trattata. Pannolini assorbenti per l’incontinenza, cateteri vescicali
permanenti o cateteri profilattici possono essere indicati per alcuni pazienti, ma non sono sostitutivi degli
sforzi atti ad aiutare il paziente a riacquistare la continenza attraverso un programma terapeutico
dell’intestino o della vescica.
Supporto nutrizionale: i pazienti che sono a rischio di sviluppare ulcere da pressione o che hanno già
soluzioni di continuo della pelle devono essere valutati per deficit nutrizionali. Clinicamente, una
malnutrizione significativa è un fattore di rischio per la formazione dell’ulcera da pressione ed è
diagnosticata se l’albumina sierica è < 3,5 mg/dl, la conta linfocitaria totale è < 1800/ml o il peso
corporeo è diminuito di più del 15%. Durante la valutazione sono studiati anche i segni di deficit di
vitamine e minerali.

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Nei pazienti malnutriti si dà inizio a un’alimentazione orale ad alto contenuto proteico ipercalorica e con
supplementi orali. Supplementi giornalieri di vitamina C e zinco vengono somministrati ai pazienti con
deficit vitaminici e minerali. Le invalidità funzionali che colpiscono l’apporto nutrizionale (p. es., scarsa
dentatura, dentiere mal adattate al cavo orale, visione ridotta) devono essere identificate e modificate,
quando possibile.
Trattamento
Il trattamento di un’ulcera da pressione si basa sul suo stadio.
Stadio Caratteristiche Trattamento Commenti/Prognosi
Eritema della cute intatta che non si
sbianca, che preannuncia L’area interessata deve essere pulita solo con
Questo stadio è reversibile.
un’ulcerazione della cute. In soluzione salina normale. Un liquido barriera,
Sintomi e segni non devono essere
1 soggetti con cute più scura, la una medicazione che funga da film o una
confusi con quelli di iperemia
depigmentazione cutanea, il calore, medicazione con idrocolloide possono essere
reattiva
l’edema, l’indurimento o la durezza usati, a seconda della localizzazione dell’ulcera
possono essere indicatori
L’ulcera dovrebbe essere pulita solo con
soluzione salina normale. I detergenti cutanei e
gli agenti antisettici non vanno usati, perché
La perdita di spessore parziale di possono essere citotossici. Una medicazione
cute interessa l’epidermide e/o il che faccia da film, una medicazione
derma. L’ulcera è superficiale e si all’idrocolloide o idrogel, possono essere usate.
2 Questo stadio è reversibile
presenta clinicamente come Si possono usare anche garze imbevute di
un’abrasione, una vescicola o un soluzione salina normale, sebbene esse
cratere superficiale richiedano di essere cambiate piuttosto di
frequente e, per questo, possono essere tollerate
meno dal paziente. Medicazioni sterili asciutte
non sono consigliate
L’ulcera deve essere libera da infezione e
tessuto necrotico. Se sono presenti segni di
infezione, devono essere eseguiti studi colturali
e di sensibilità per mezzo di aspirazione di
La perdita di cute a tutto spessore,
materiale o tessuto bioptico. Finché non sono
che comporta danno o necrosi del Questo stadio può essere
noti i risultati, devono essere prese precauzioni
tessuto sottocutaneo, che può potenzialmente letale. Sebbene le
per la ferita e la cute. Il tessuto necrotico può
estendersi verso, ma non attraverso, ulcere trattate guariscano
essere rimosso con una pulizia meccanica,
3 la fascia sottostante. L’ulcera si lentamente per seconda intenzione,
chirurgica o sbrigliamento enzimatico, per
presenta clinicamente come un spesso, è necessaria la chiusura
ottenere una base pulita dell’ulcera.
cratere profondo con o senza chirurgica per accorciare il
Un’eccezione è rappresentata dall’ulcera
interessamento del tessuto ricovero e la riabilitazione
stabile del tallone con escara secca e senza
adiacente
edema, eritema, liquido fluttuante o secrezione,
per la quale l’escara fornisce una copertura
protettiva naturale che dovrebbe essere rimossa
solo se si verificano complicanze
Dovrebbe essere eseguita un’irrigazione come
descritto per lo stadio 3. Se sono presenti tratti
fistolizzati, un catetere attaccato a una siringa
di irrigazione può essere utilizzato per dirigere
il liquido di irrigazione. Tutto l’essudato e il
tessuto necrotico devono essere rimossi dai
solchi stretti. L’ulcera, che presenta fessure e
anfrattuosità dovrebbe essere medicata in modo
La perdita cutanea a tutto spessore lasso. La garza, se viene impiegata, dovrebbe
con distruzione estesa, necrosi essere mantenuta in un unico pezzo, per
tissutale o danno muscolare, osseo facilitare la rimozione e per assicurare che non
o delle strutture di sostegno (p. es., rimanga materiale della medicazione
4 e può essere fatale
tendine o capsula articolare). Tratti nell’ulcera. Se è necessario più di un rotolo di
fistolizzati e sottominati possono garza, i rotoli dovrebbero essere uniti insieme.
anche essere presenti L’osso esposto deve essere coperto con una
medicazione imbevuta di soluzione salina
normale, che deve essere cambiata ogni 4 ore
per evitare l’essiccamento e mantenere la
vitalità dell’osso. Una medicazione più esterna
deve essere applicata come per le ulcere di
stadio 3. Lo sbrigliamento chirurgico, per
escindere il tessuto infetto o necrotico, di
solito, è seguito dalla riparazione chirurgica

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Indipendentemente dallo stadio, un trattamento immediato è essenziale, poiché un’ulcera da pressione non
trattata può peggiorare e portare a cellulite, infezioni croniche o osteomielite. La pressione, la frizione, lo
strappo e la macerazione devono sempre essere ridotti. È essenziale una buona nutrizione. L’apporto
calorico totale deve essere almeno di 30-35 calorie/kg/die e l’assunzione proteica deve essere da 1,25 a
1,5 g/kg/die. Tutti i pazienti con ulcere da pressione devono ricevere vitamina C alla dose di ³ 120 mg/die
e zinco da 12 a 15 mg/die, sebbene il dosaggio migliore di zinco sia sconosciuto. Di solito, è
raccomandato un supplemento individuale giornaliero ad alto contenuto di vitamine e minerali.
Il trattamento efficace delle ulcere da pressione comprende la detersione della ferita, inizialmente, e,
quindi, ad ogni cambiamento della medicazione; prevenzione, diagnosi e trattamento dell’infezione; uso
di una medicazione appropriata con applicazione di gel, microfilm, enzimi fibrinolitici e preparati
antisettici.
Pulizia: la pulizia da fibrina si può effettuare chirurgicamente, meccanicamente, con autolisi o
enzimaticamente. Il metodo di pulizia viene selezionato in base alle condizioni del paziente e agli
obiettivi. Lo sbrigliamento chirurgico è indicato quando c’è un bisogno urgente di pulizia (p. es., cellulite
che peggiora, sepsi). La pulizia meccanica, autolitica o enzimatica o la combinazione di questi metodi
possono essere usati quando non è urgente la necessità di drenaggio o la rimozione del tessuto morto. Essi
possono essere usati anche per pazienti che non possono stimolare lo sbrigliamento chirurgico.
Per lo sbrigliamento chirurgico, un bisturi, le forbici o un altro strumento affilato vengono utilizzati per
rimuovere il tessuto necrotico denso e le escare aderenti. Nonostante sia il metodo più veloce e più
efficace per questo tipo di rimozione, lo sbrigliamento chirurgico aumenta il rischio di emorragia,
infezione e allargamento della ferita e, di solito, è più doloroso dello sbrigliamento meccanico. Gli
analgesici devono essere somministrati quando necessario e appropriato.
La pulizia meccanica è scarsamente efficace sull’escara. Viene utilizzata la soluzione salina normale per
irrigare la ferita, pulendola dal drenaggio purulento o dai detriti necrotici. La tecnica asettica è seguita
dall’uso di una siringa che termina a un’estremità con un catetere o un dispositivo ad alta pressione per
l’irrigazione dentale. Quest’ultimo dispositivo fornisce un flusso pulsante che aiuta sia lo sbrigliamento
sia a stimolare la circolazione. Una medicazione da bagnata ad asciutta, costituita da garze semplici
tessute lassamente senza riempimento di cotone, bagnate con soluzione salina normale, è, quindi,
dolcemente appoggiata sulla ferita e verrà estesa anche alla cute intatta. La ferita non dovrà essere fasciata
in modo troppo stretto, poiché ciò inibisce la capacità assorbente della medicazione e applica invece
pressione sull’area. La medicazione deve essere in grado di seccarsi in modo che il tessuto necrotico
liberato e il drenaggio della ferita siano assorbiti nella medicazione e rimossi ad ogni cambiamento della
medicazione (di solito ogni 4-6 h).
Una medicazione più esterna di taglia appropriata e, quindi, applicata sulla ferita medicata previene la
contaminazione. Questa medicazione sterile asciutta può essere fissata con un cerotto ipoallergenico, con
strisce di Montgomery, garze elastiche o altri materiali. La cute circostante, intatta, deve essere protetta
con una barriera liquida o una pellicola trasparente.
La pulizia autolitica include l’uso di medicazioni sintetiche occlusive o semi-occlusive per coprire una
ferita e permettere agli enzimi propri del corpo e all’umidità di reidratare e ammorbidire il tessuto
devitalizzato. Enzimi normalmente trovati nei fluidi della ferita sono quindi in grado di digerire meglio il
tessuto. La pulizia autolitica è controindicata se la ferita è infetta.
Per la pulizia enzimatica, vengono usati enzimi topici di pulizia (proteolitici e agenti fibrinolitici).
Questo metodo può essere impiegato nei pazienti che non sono candidati allo sbrigliamento chirurgico e
per quelli che hanno ferite pulite e risiedono in centri di assistenza per lungo degenti o che ricevono
assistenza a casa. La pulizia enzimatica è più efficace quando è associata alla pulizia meccanica o
chirurgica.
Sebbene la pulizia, spesso, sia essenziale, alla fine deve essere interrotta in modo che il tessuto di
granulazione possa crescere e la ferita possa guarire. Dopo ogni tipo di pulizia, deve essere mantenuto un
ambiente umido per facilitare la granulazione e la cicatrizzazione delle ferite. Si possono usare o una
medicazione bagnata con soluzione salina normale (cambiata ogni 6-8 h) o un idrogel assorbente o una
medicazione con calcio alginato.
Riparazione chirurgica: sono effettuate frequentemente procedure che impiegano lembi muscolocutanei,
perché il muscolo è una barriera affidabile nei confronti delle infezioni e migliora la vascolarizzazione.
Comunque, tra i pazienti seguiti ambulatorialmente, questi benefici devono essere valutati contro la
perdita funzionale del muscolo dal sito donatore. Ulcere da pressione estese possono richiedere più di un
lembo muscolocutaneo per ottenerne la chiusura.
L’assistenza postoperatoria comprende il monitoraggio dei pazienti per l’insorgenza d’infezione e
l’allontanamento della pressione dalla sede del lembo. I pazienti nei quali sono stati innestati lembi
cutanei devono essere posti su un letto a flusso d’aria o a bassa pressione per 2 sett. e gradualmente
bisogna aumentare il tempo delle sedute o il tempo di applicazione sul lembo per aumentare la sua
tollerabilità alla pressione. I tassi di recidiva per le ulcere da pressione dopo riparazione chirurgica sono
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stimati tra il 13 e il 56%. Perciò bisogna insegnare ai pazienti e a coloro che forniscono assistenza come
ridurre i fattori di rischio, come valutare la cute quotidianamente e come mantenere una dieta sana.
Problemi dei paziente e degli assistenti
L’équipe interdisciplinare, generalmente costituita dal medico, dagli infermieri, da un dietista e da
specialisti della riabilitazione, deve essere coinvolta nell’insegnamento della prevenzione e del
trattamento della cute lesionata ai pazienti ad alto rischio e ai loro assistenti. Queste istruzioni si possono
avere nell’assistenza acuta o a lungo termine o durante l’assistenza domiciliare. I punti principali
dell’insegnamento nel piano di assistenza sono tre: allontanare la pressione delle aree lesionate, pulire e
medicare la ferita e mantenere una buona nutrizione.
I pazienti e gli assistenti devono imparare a esaminare la cute quotidianamente e a notare ogni area di
rossore sulle prominenze ossee. Un’infermiera può aiutare gli assistenti a scegliere il letto appropriato e le
superfici di supporto delle sedie. Bisogna insegnare agli assistenti a girare e a posizionare i pazienti
allettati ogni 2 h, aiutati dall’uso o di uno schema scritto di rotazione formulato su misura per il paziente o
con un timer da cucina. Bisogna, inoltre, mostrare agli assistenti come sostenere i pazienti usando
guanciali e cuscinetti di schiuma.
Bisognerebbe insegnare agli assistenti e, talvolta anche ai pazienti, come pulire e medicare le ulcere da
pressione. Una tecnica di pulizia è preferibile per i pazienti curati in sede domiciliare. Si può insegnare
agli assistenti come rimuovere e disfarsi adeguatamente di medicazioni sporche sistemandole in una borsa
di plastica usa e getta su di una mano, rimuovendo la medicazione e invertendo poi la posizione della
borsa sull’altra mano. La soluzione salina, che viene utilizzata per pulire e irrigare la ferita, può essere
acquistata in un negozio o può essere preparata in casa. Una persona che provvede all’assistenza sanitaria
dovrà mostrare come pulire e irrigare la ferita. Il medico del paziente o l’infermiera consiglieranno il tipo
di medicazione da usare per il paziente in base alla fase dell’ulcera, alla facilità di uso e ai costi.
Bisognerebbe insegnare agli assistenti a riconoscere e a riferire i segni e i sintomi d’infezione.
I pazienti vengono istruiti a pesarsi regolarmente e a riferire ogni aumento o perdita di peso non
programmata di ³ 5 kg che si verifica in un periodo di 6 mesi. Un dietista riesaminerà lo stato nutrizionale
del paziente e raccomanderà una dieta che mantenga un bilancio azotato positivo. È meglio assumere
quotidianamente supplementi vitaminici e minerali.

IX. OSTEOPOROSI
A partire dall’età di circa 50 anni, la densità ossea (massa ossea per unità di volume) si riduce
progressivamente in entrambi i sessi, ma in modo più rapido nelle donne. Questo processo, insieme al
deterioramento della microarchitettura dello scheletro, porta a un aumento della fragilità ossea e a un
incremento del rischio di fratture, una condizione nota come osteoporosi. Per convenzione, si pone
diagnosi di osteoporosi quando la densità ossea ha un valore di almeno 2,5 DS al di sotto di quello medio
osservato nei giovani adulti; quando la densità ossea ha un valore compreso tra 1 e 2,5 DS al di sotto di
quello medio dei giovani adulti, si parla invece di osteopenia.
Alla riduzione della densità ossea contribuiscono sia il declino degli ormoni sessuali, sia l’invecchiamento
di per sé. Negli uomini, la produzione di testosterone diminuisce in maniera graduale, pertanto la perdita
ossea ha un andamento lento e lineare. Nelle donne, invece, si osserva una fase rapida di perdita ossea che
si verifica nel corso dei primi 5-10 anni successivi alla menopausa, e che è dovuta al calo improvviso
degli estrogeni (perdita ossea menopausale). Oltre a questa perdita rapida che ha luogo durante le fasi
precoci della menopausa, le donne, negli anni dell’accrescimento e in particolare nel corso della pubertà,
accumulano una massa scheletrica inferiore a quella degli uomini, il che dà origine a ossa più piccole, più
esili, più fragili e dotate di una corticale più sottile. Nell’età avanzata, pertanto, le conseguenze della
perdita ossea sono più marcate nelle donne che negli uomini, e l’incidenza delle fratture è da due a tre
volte più elevata.
In entrambi i sessi, la riduzione della massa ossea può essere accentuata dalla presenza di alti livelli
circolanti di glucocorticoidi e di tiroxina di origine endogena o esogena, dall’alcolismo,
dall’immobilizzazione prolungata, dalla gastrectomia e da altre malattie gastrointestinali,
dall’ipercalciuria, da alcuni tipi di tumori maligni e dal fumo di sigaretta.
La perdita progressiva di massa ossea che si osserva con l’invecchiamento interessa sia lo scheletro
assiale (prevalentemente di tipo spugnoso [trabecolare]) sia quello appendicolare (prevalentemente di tipo
corticale), con conseguenze visibili come la perdita di altezza (incurvamento) e la cifosi dorsale (gobba
della vedova). L’osso corticale va incontro a due modificazioni fondamentali: la riduzione di spessore e
l’aumento di porosità. Le donne possiedono una corticale più sottile di quella degli uomini, pertanto in
esse il suo assottigliamento ha un effetto più pronunciato. Anche l’osso spugnoso ha due modificazioni
principali: l’assottigliamento delle trabecole normali e la distruzione di trabecole in toto.

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Rigenerazione dell’osso normale
Lo scheletro è periodicamente sottoposto a un rimodellamento (cioè, alla sostituzione del tessuto osseo
più vecchio con osso di nuova formazione) ed è rigenerato completamente ogni 10 anni. Il
rimodellamento inizia dalla superficie interna delle ossa e avviene ad opera di una squadra cellulare di
osteoclasti e di osteoblasti giustapposti (i primi in avanti e i secondi indietro), che nel loro insieme
costituiscono l’unità multicellulare di base (Basic Multicellular Unit, BMU).
Nell’osso corticale, le BMU si spostano attraverso l’osso, formando una galleria; nell’osso spugnoso si
spostano lungo la superficie trabecolare, formando una trincea. Lungo il fronte di progressione della
BMU, gli osteoclasti aderiscono all’osso e successivamente lo rimuovono con un meccanismo di
acidificazione e di digestione proteolitica. Essi lasciano quindi la sede del riassorbimento, dove si portano
a loro volta gli osteoblasti che secernono la matrice osteoide, la quale viene infine mineralizzata per dare
luogo all’osso neoformato. Negli individui adulti sani, ogni anno vengono attivate da 3 a 4 milioni di
BMU, e in ogni momento ne opera circa 1 milione. Benché milioni di piccoli “pacchetti” ossei vengano
continuamente rimodellati, la massa ossea complessiva è conservata mantenendo un bilancio rigoroso tra
il riassorbimento e la formazione.
Origine degli osteoclasti e degli osteoblasti: gli osteoclasti e gli osteoblasti derivano da precursori che
originano nel midollo osseo. I precursori degli osteoclasti sono cellule emopoietiche appartenenti alla
linea dei monociti/macrofagi; i precursori degli osteoblasti sono cellule staminali mesenchimali
pluripotenti, che danno origine anche alle cellule stromali del midollo osseo, ai condrociti, alle cellule
muscolari e agli adipociti. Lo sviluppo degli osteoclasti e degli osteoblasti è controllato da citochine e
fattori di crescita prodotti all’interno del midollo osseo, da ormoni sistemici e probabilmente da segnali di
tipo meccanico.
Destino degli osteoclasti e degli osteoblasti: la durata media della vita degli osteoclasti e degli
osteoblasti che costituiscono la BMU è molto più breve di quella della BMU stessa. Dopo che gli
osteoclasti, erodendo il tessuto osseo, hanno percorso una certa distanza, allontanandosi dall’asse centrale
dell’osso corticale o procedendo fino a una determinata profondità dalla superficie dell’osso spugnoso,
muoiono per apoptosi e scompaiono. Anche una percentuale variabile tra il 50 e il 70% degli osteoblasti
muore per apoptosi, una volta concluso il compito di neoformazione dell’osso. Gli osteoblasti rimanenti si
trasformano in cellule quiescenti di forma allungata che ricoprono la superficie dell’osso appena
sintetizzato o rimangono intrappolati all’interno della matrice ossea mineralizzata e si trasformano in
osteociti. Questi ultimi sono cellule di forma stellata che ricordano la rete dendritica del SNC e
costituiscono circa il 90% delle cellule nell’osso. Si ritiene che gli osteociti si comportino come sensori,
riuscendo a individuare la necessità di riparazione o di rimodellamento osseo a livello locale.
Patogenesi della perdita ossea
La perdita ossea che si verifica come parte del normale processo di invecchiamento può essere suddivisa
in due fasi: una fase rapida, che colpisce le donne dopo la menopausa (perdita ossea menopausale), e una
fase lenta, che interessa sia le donne sia gli uomini a partire dall’età di 50 anni (perdita ossea senile). Tali
fasi possiedono caratteristiche cliniche e istologiche differenti. Nelle donne, i due momenti finiscono per
sovrapporsi, diventando difficili da distinguere. La perdita ossea senile inoltre può coesistere con un
iperparatiroidismo secondario, che può essere la conseguenza della riduzione della capacità di
assorbimento del calcio da parte dell’intestino senescente. A prescindere da queste considerazioni, in
molte persone anziane l’eterogeneità delle condizioni patologiche sottostanti può contribuire in maniera
indipendente al deterioramento dell’apparato scheletrico, modificando così il quadro clinico e i reperti
istologici.
Perdita ossea menopausale: prima della menopausa, gli ormoni sessuali preservano l’osso, almeno in
parte, regolando lo sviluppo e la morte (apoptosi) di osteoclasti e osteoblasti; tale regolazione avviene con
modificazioni a carico della produzione di citochine e della sensibilità delle cellule progenitrici del
midollo osseo alle citochine stesse. Per esempio, la produzione di interleuchina-6 (IL-6) da parte degli
osteoblasti viene inibita dagli estrogeni e dagli androgeni.
Dopo la menopausa (o in seguito alla castrazione negli uomini), la perdita ossea aumenta di 10 volte, in
gran parte a causa dell’iperproduzione di IL-6. L’aumento della produzione di IL-6 sembra svolgere un
ruolo analogo in diverse condizioni patologiche in cui si verifica un aumento del riassorbimento osseo, tra
le quali mieloma multiplo, malattia di Paget, artrite reumatoide, malattia di Gorham-Stout od osteolisi
progressiva, ipertiroidismo, iperparatiroidismo primario e secondario e sindrome di McCune-Albright.
Il deficit di estrogeni sembra ritardare l’apoptosi degli osteoclasti, promuovendo allo stesso tempo quella
degli osteoblasti: ne deriva uno squilibrio tra il riassorbimento e la neoformazione dell’osso. In aggiunta,
il ritardo dell’apoptosi degli osteoclasti potrebbe essere responsabile di un aumento della profondità delle
cavità di riassorbimento e, di conseguenza, della perforazione trabecolare derivante dal deficit
estrogenico.
Caratteristiche della perdita ossea menopausale sono le fratture vertebrali e quelle di Colles.

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Perdita ossea senile: in entrambi i sessi, la quantità di osso che viene sintetizzata nel corso del processo
di rimodellamento diminuisce con l’avanzare degli anni, come testimonia la corrispondente riduzione
dello spessore delle pareti ossee, osservata particolarmente nell’osso trabecolare. Con l’invecchiamento,
si riduce la formazione di osteoblasti, aumenta la formazione di adipociti all’interno del midollo osseo,
diminuisce la velocità di formazione dell’osso e si riduce la densità minerale ossea. Queste modificazioni
potrebbero spiegare la riduzione della formazione ossea, con la conseguente osteopenia e iperadiposità
midollare, che si verifica durante il processo di invecchiamento.
Tipiche della perdita ossea senile sono le fratture vertebrali e quelle dell’anca.
L’osteoporosi è una malattia caratterizzata dalla riduzione della massa ossea e dal deterioramento della
microarchitettura del tessuto osseo, che portano a un aumento della fragilità dell’osso e al conseguente
incremento del rischio di fratture.
La perdita ossea che si osserva nell’anziano può essere di tre tipi: normale, nella quale la densità ossea
non si discosta più di 1 DS dal valore medio dei giovani adulti; osteopenica, nella quale la densità ossea è
compresa tra 1 e 2,5 DS al di sotto di tale valore; osteoporotica, nella quale la densità ossea ha un valore >
2,5 DS al di sotto della media osservata nei giovani adulti.
Negli USA, si calcola che la prevalenza di casi di osteopenia sia pari a 15 milioni tra le donne e a 3
milioni tra gli uomini. La prevalenza stimata dell’osteoporosi è invece di 8 milioni di casi tra le donne e di
2 milioni tra gli uomini. L’osteopenia e l’osteoporosi sono problemi cruciali di salute pubblica, essendo
causa di una morbilità ragguardevole e di costi sanitari > 14 miliardi di dollari l’anno.
Classificazione ed eziologia
L’osteoporosi primaria dell’anziano può essere classificata come di tipo I o di tipo II. L’osteoporosi di
tipo I (menopausale) insorge prevalentemente nelle persone di età compresa tra i 51 e i 75 anni, è sei volte
più frequente nelle donne e si associa alla comparsa di fratture vertebrali e di Colles. L’osteoporosi di
tipo II (senile) insorge negli individui di età > 60 anni, è due volte più frequente nelle donne e si associa
alla comparsa di fratture vertebrali e dell’anca. Tra il tipo I e il tipo II vi è una sovrapposizione notevole,
pertanto questa classificazione ha un impiego clinico piuttosto limitato. L’osteoporosi primaria che
insorge nelle donne prima della menopausa e negli uomini in età più giovanile, eventualità peraltro rara,
viene classificata come idiopatica.
Si ritiene che l’osteoporosi primaria sia una conseguenza delle modificazioni ormonali che si verificano
con l’invecchiamento, particolarmente della diminuzione dei livelli degli ormoni sessuali (estrogeni nelle
donne, testosterone negli uomini). È probabile, comunque, che vi contribuiscano diversi altri fattori.
L’osteoporosi secondaria è responsabile solo di una piccola parte dei casi di osteoporosi osservati tra gli
anziani, nei quali la malattia primaria e quella secondaria spesso sono presenti entrambe. È invece alla
base di una percentuale di casi molto maggiore tra le donne in premenopausa e gli uomini di età più
giovane.
L’osteoporosi secondaria può essere dovuta a molte cause, tra le quali iperparatiroidismo, ipertiroidismo,
neoplasie maligne, immobilizzazione, malattie gastrointestinali, alterazioni renali (p. es., ipercalciuria
idiopatica) e assunzione di farmaci che provocano rarefazione ossea (p. es., antiepilettici). Il deficit da
lieve a moderato di vitamina D, condizione frequente nelle persone anziane, può dare origine a
osteoporosi anziché a osteomalacia. L’osteoporosi indotta dai glucocorticoidi è particolarmente
preoccupante negli anziani, i quali possono avere un deficit preesistente di calcio e una compromissione
della neoformazione dell’osso, situazioni che vengono entrambe aggravate dalla somministrazione di
questi farmaci. Nei pazienti di qualunque età, è importante che venga eseguito lo screening per
l’osteoporosi secondaria, poiché molte delle cause di quest’ultima sono suscettibili di trattamento o hanno
conseguenze importanti sulla prognosi.
Patogenesi e fattori di rischio
La riduzione della massa ossea può essere la conseguenza del mancato raggiungimento di un picco
ottimale di massa ossea nelle prime fasi dell’età adulta, di un aumento del riassorbimento osseo, o della
riduzione della sintesi di osso neoformato dopo che è stato raggiunto il picco di massa ossea. Nella
maggioranza degli anziani è probabile che abbiano un ruolo tutti e tre questi fattori. La massa ossea
ridotta, la perdita ossea rapida e l’aumento del rischio di fratture sono correlati con l’alta velocità del
ricambio osseo (cioè, riassorbimento e neoformazione). Nell’osteoporosi, presumibilmente, il tasso di
formazione dell’osso non è sufficiente a compensare il tasso di riassorbimento e a mantenere l’integrità
strutturale dello scheletro.
I principali fattori di rischio per l’osteoporosi sono: età avanzata, sesso femminile, razza bianca o asiatica,
familiarità per osteoporosi e corporatura esile. Altri fattori di rischio comprendono: riduzione
dell’esposizione agli estrogeni nel corso della vita, basso apporto di calcio, stile di vita sedentario e fumo
di sigaretta.

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Età: l’effetto dell’età sullo scheletro è complesso. Il tasso di riassorbimento osseo sembra mantenersi
costante, o addirittura aumentare, con gli anni; il tasso di formazione, invece, tende a diminuire. La
perdita dello stampo osseo, dovuta al riassorbimento completo degli elementi trabecolari o alla rimozione
endostale dell’osso corticale, causa una perdita ossea irreversibile. Anche le microlesioni e la morte degli
osteociti, legate all’età, possono aumentare la fragilità dello scheletro. Tuttavia, l’osteoporosi non è una
conseguenza inevitabile dell’invecchiamento; molte persone continuano a mantenere buoni livelli di
massa ossea e di integrità strutturale anche dopo gli 80 e i 90 anni.
Sesso: la frequenza più elevata delle fratture osteoporotiche nelle donne ha un’origine multifattoriale.
Esse hanno un picco di massa ossea e una massa muscolare inferiori, rispetto agli uomini. Al momento
della menopausa, la loro perdita ossea subisce un’accelerazione e può verificarsi una perdita anche
durante l’età riproduttiva, particolarmente nel corso di un allattamento di lunga durata. Anche il minor
diametro periostale delle ossa femminili contribuisce ad aumentare la fragilità dello scheletro. Un’altra
ragione per la prevalenza dell’osteoporosi nel sesso femminile è il fatto che le donne vivono più a lungo
degli uomini.
Razza: sebbene sia indubbio che la prevalenza dell’osteoporosi sia maggiore tra gli individui di razza
bianca e asiatica che tra quelli di razza nera, i motivi di questo fenomeno non sono ben compresi; la
prevalenza varia anche tra i diversi gruppi etnici. I bianchi hanno un picco di massa ossea inferiore
rispetto ai neri, ma le differenze osservate nel rischio di fratture sembrano essere indipendenti dalle
differenze di densità ossea. È possibile che vi abbiano un ruolo le differenze di composizione corporea, di
struttura scheletrica e di ricambio osseo.
Ereditarietà: circa il 50-80% del picco di massa ossea è predeterminato geneticamente e la presenza di
una familiarità per osteoporosi aumenta il rischio di fratture, indipendentemente dalla densità ossea. Studi
genetici, nei quali sono stati messi a confronto pazienti osteoporotici e soggetti sani, hanno mostrato una
serie di differenze a carico di geni specifici per il collagene, i recettori ormonali e alcuni fattori locali.
Probabilmente, i geni coinvolti sono numerosi.
Corporatura: l’aumento del rischio di fratture associato con la corporatura esile è probabilmente di
natura multifattoriale. Le donne magre producono meno estrogeni a partire dagli androgeni (questa
conversione avviene nel tessuto adiposo), specialmente dopo la menopausa. L’obesità può essere
associata a un aumento della massa muscolare, a un maggiore impatto del carico sullo scheletro e a una
maggiore protezione di quest’ultimo, particolarmente dell’anca, da parte del tessuto adiposo sottocutaneo.
Ormoni sistemici: le modificazioni dei livelli estrogenici legate all’invecchiamento aumentano il rischio
di fratture. In aggiunta, l’aumento dei livelli di ormone paratiroideo, insieme alla riduzione di attività del
sistema costituito dall’ormone della crescita e dal fattore di crescita insulino-simile I, sembra ridurre la
massa ossea e aumentare il rischio di fratture. Sebbene l’eccesso di glucocorticoidi e di ormone tiroideo
possa contribuire allo sviluppo dell’osteoporosi secondaria, non è stato dimostrato che questi ormoni
abbiano un ruolo nell’osteoporosi primaria.
Fattori locali: gli studi sugli animali suggeriscono che l’interazione tra ormoni sistemici e fattori
regolatori locali del rimodellamento osseo, tra i quali le citochine e le prostaglandine, svolga un ruolo
centrale nell’aumento del riassorbimento osseo e nella riduzione relativa della neoformazione ossea che si
verificano in seguito all’ovariectomia. Tuttavia, le prove sperimentali a favore del coinvolgimento di
questi fattori locali nell’osteoporosi umana sono piuttosto scarse. L’attività dell’IL-1 può essere
aumentata nell’osteoporosi; anche se l’attività dell’IL-6 sembra aumentare con l’età, non è stata
dimostrata alcuna correlazione con l’osteoporosi. L’inibizione della sintesi prostaglandinica da parte dei
FANS ha come risultato un piccolo incremento della massa ossea.
Sintomi e segni
L’osteoporosi è stata definita una malattia silente perché, finché non si verifica una frattura, il paziente
non ha sintomi.
Una diminuzione di altezza può indicare che è avvenuta una frattura vertebrale da compressione, che in
molti pazienti si verifica in assenza di traumi o di altri fattori precipitanti acuti. In seguito a fratture da
compressione multiple, può comparire una cifosi dorsale con accentuazione della lordosi (gobba della
vedova). In alcuni pazienti con fratture, il dolore può essere acuto e intenso, per poi recedere lentamente
nel volgere di diverse settimane. Nell’anziano, un dolore cronico alla schiena può essere dovuto alla
compressione vertebrale legata all’osteoporosi, ma è altrettanto probabile che esso sia causato da
un’artropatia o da una discopatia.
Le fratture osteoporotiche interessano frequentemente l’anca, perché gli anziani tendono a cadere
lateralmente o all’indietro, atterrando su questa articolazione. Le persone più giovani e più agili, invece,
tendono a cadere in avanti, atterrando con il polso proteso e procurandosi così una frattura della porzione
distale del radio. All’osteoporosi sono associate anche altre fratture delle estremità e della pelvi e le
fratture vertebrali, ma non le fratture della testa e del volto.

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Diagnosi
L’anamnesi deve essere incentrata sui fattori di rischio primari e sulle cause secondarie di osteoporosi.
Nelle donne, è necessario raccogliere un’anamnesi dettagliata sulla funzione mestruale, le gravidanze e
gli allattamenti, mentre negli uomini si devono ottenere informazioni sulla funzione sessuale, dal
momento che un calo della libido e una disfunzione erettile possono essere la conseguenza di una
riduzione dei livelli di testosterone. Vanno presi in esame gli eventuali deficit neurologici e l’assunzione
di farmaci che potrebbero aumentare il rischio di cadute. L’anamnesi familiare deve comprendere notizie
sulle fratture e sulla presenza di endocrinopatie o di calcoli renali. Uno dei più importanti fattori predittivi
delle fratture osteoporotiche è l’anamnesi positiva per una frattura avvenuta dopo i 40 anni, a causa di un
trauma minimo o modesto. In queste persone, il rischio di fratture può essere aumentato di diverse volte.
L’esame obiettivo spesso è poco significativo. È bene ricercare la deformità e la dolorabilità vertebrale in
corrispondenza della porzione lombare della colonna.
I reperti radiografici sono generalmente insufficienti per porre la diagnosi di osteoporosi primaria; le
radiografie possono individuare un’osteopenia soltanto quando la perdita ossea è > 30%. Le fratture
vertebrali da compressione si possono vedere ai raggi X, ma l’aspetto a cuneo della parte anteriore del
corpo vertebrale potrebbe essere stato presente fin dall’adolescenza (malattia di Scheuermann) e un certo
grado di deformazione a cuneo, legato all’invecchiamento, può avvenire anche in assenza di una perdita
ossea marcata. Le immagini radiografiche possono suggerire la presenza di altre cause di osteopatia
metabolica, come avviene con le lesioni litiche del mieloma multiplo e con le pseudofratture
caratteristiche dell’osteomalacia.
La densitometria ossea è l’unica metodica con la quale si può diagnosticare o confermare la presenza di
osteoporosi, in assenza di fratture. La National Osteoporosis Foundation raccomanda che la densitometria
venga eseguita di routine in tutte le donne con > 65 anni, particolarmente se hanno uno o più fattori di
rischio. Tuttavia, un approccio routinario di questo genere è costoso. L’esame può essere utilizzato anche
per il monitoraggio della risposta alla terapia.
Le apparecchiature densitometriche oggi disponibili nascondono una serie di insidie interpretative. La
relazione tra densità ossea e rischio di fratture è continua e graduale; con la densitometria, i cutoff
diagnostici vengono stabiliti in maniera arbitraria e devono essere considerati alla luce di altri fattori di
rischio. In generale, uno scostamento di 1 DS dal valore medio osservato nei giovani adulti equivale a una
differenza di densità ossea variabile tra il 10 e il 12%. Per una riduzione della densità ossea del collo
femorale pari a 1 DS rispetto alla media dei giovani adulti, si osserva un aumento di 2,7 volte del rischio
relativo di frattura dell’anca; questo aumento è un po’ meno pronunciato (circa 1,5-2,0 volte per 1 DS di
riduzione) quando la densità viene misurata in regioni ossee diverse dal collo femorale. Nelle donne con >
75 anni, anche 1 sola DS al di sotto dei valori normali standardizzati per l’età è altamente predittiva
dell’insorgenza di fratture.
Inoltre, è possibile che le determinazioni densitometriche periferiche non siano un buon indice delle
misurazioni centrali, oltre a essere soggette ad artefatti. Spesso, nell’anziano, la misurazione a livello
della colonna lombare è resa più complessa dalle alterazioni osteoartrosiche, dalle discopatie e dalle
calcificazioni aortiche sottostanti. Un altro limite della densitometria è rappresentato dal fatto che i criteri
diagnostici attuali si basano su dati riferiti a donne in post-menopausa di razza bianca e che non sono stati
ancora stabiliti criteri appropriati per porre diagnosi in altre popolazioni di pazienti. Inoltre, i valori della
densità ossea variano a seconda della tecnica utilizzata e della posizione assunta dal paziente.
L’assorbimetria a raggi X in doppia energia (Dual Energy X-ray Absorptiometry, DEXA) può essere
utilizzata per misurare la densità minerale ossea a livello della colonna vertebrale, dell’anca, del polso o
dello scheletro in toto. L’esposizione alle radiazioni è minima e la procedura è di rapida esecuzione.
Tuttavia, le apparecchiature standard sono costose e non sono trasportabili. I macchinari DEXA di piccole
dimensioni, che sono in grado di eseguire misurazioni dell’avambraccio, delle dita o del tallone, sono
meno costosi ed esistono in versione portatile. In aggiunta, la DEXA misura la densità in rapporto alla
superficie (cioè, g/cm2), piuttosto che la densità volumetrica reale.
La TC quantitativa misura la densità volumetrica effettiva e può essere limitata alle regioni di interesse
(p. es., osso trabecolare della colonna vertebrale); tuttavia, le apparecchiature sono costose e l’esposizione
alle radiazioni è alquanto superiore a quella della DEXA.
Con la densitometria a ultrasuoni si può valutare la densità e la struttura dello scheletro e la metodica
sembra in grado di prevedere il rischio di fratture nell’anziano. L’apparecchiatura è relativamente poco
costosa, è portatile e non fa uso di radiazioni, ma può essere impiegata esclusivamente per le regioni
periferiche (p. es., il tallone), dove l’osso è abbastanza superficiale.
L’assorbimetria a raggi X può essere utilizzata per misurare la densità ossea della mano in rapporto alla
densità di un cuneo metallico standardizzato. Il suo valore per determinare il rischio di fratture non si è
ancora stabilito con esattezza.
Diagnosi differenziale: per confermare la diagnosi di osteoporosi primaria bisogna escludere:
osteoporosi secondaria, osteomalacia e neoplasie maligne.
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In un paziente anziano, la probabilità di trovarsi di fronte a un’osteoporosi secondaria, con o senza le
tipiche fratture osteoporotiche, è bassa; ma è bene procedere a una valutazione diagnostica di massima,
particolarmente se la calcemia e la calciuria sono alterate. Poiché il deficit di vitamina D risponde
solitamente ai supplementi abituali, che rientrano nel quadro della terapia di routine dei pazienti
osteoporotici, il dosaggio della 25-idrossivitamina D3 può essere indicato solo in presenza di un
malassorbimento. L’impiego dei marker biochimici del ricambio osseo non è stato convalidato per la
valutazione dell’osteoporosi, poiché, sebbene un ricambio elevato si associ a un aumento della perdita
ossea e del rischio di fratture, le variazioni individuali sono notevoli. Ciò nonostante, marker come il
numero dei legami crociati del collagene e il livello della fosfatasi alcalina ossea si possono utilizzare per
valutare la risposta alla terapia.
Prognosi e terapia
L’osteoporosi non causa direttamente la morte. Tuttavia, nei pazienti con osteoporosi accertata,
particolarmente quelli con frattura dell’anca, si osserva un eccesso di mortalità del 10-20%.
La prevenzione delle fratture osteoporotiche è di importanza cruciale per evitare un fenomeno epidemico
molto dispendioso e ubiquitario. È necessario sviluppare programmi di prevenzione destinati ai pazienti a
rischio e a quelli con osteoporosi già diagnosticata. Gli approcci terapeutici comprendono l’apporto
adeguato di calcio e di vitamina D, l’esecuzione regolare di esercizi fisici sotto carico e di altri
provvedimenti volti a ridurre al minimo il rischio di cadute, l’astensione dal fumo e il mantenimento di un
buono stato di nutrizione generale.
Calcio e vitamina D: la dieta tipica degli anziani americani garantisce soltanto un apporto di circa
600 mg/die di calcio e < 200 UI di vitamina D. I supplementi di calcio e di vitamina D sono in grado di
ridurre il rischio di fratture del 30% nelle persone anziane che hanno un apporto dietetico relativamente
basso e un’esposizione al sole limitata, particolarmente in coloro che sono ospiti delle residenze
assistenziali durante i mesi invernali. Questa integrazione si può ottenere mediante l’aumento del
consumo di prodotti caseari e di altri alimenti ricchi di calcio e di vitamina D oppure ricorrendo alle
terapie suppletive. Alcuni supplementi di calcio e la maggior parte dei preparati multivitaminici
contengono anche vitamina D. L’apporto raccomandato per gli anziani americani è ³ 1200 mg/die di
calcio elementare e ³ 400 UI/die di vitamina D; un apporto un po’ superiore può essere di giovamento ed è
generalmente considerato sicuro. Tuttavia, se l’introduzione di vitamina D è ³ 50 000 UI/sett., possono
comparire i segni dell’intossicazione. Nell’anziano i supplementi di calcio sono generalmente ben
tollerati, ma i disturbi GI, e in particolare la stipsi, sono di comune riscontro. In queste persone, spesso
risultano efficaci i tentativi di aumentare l’apporto di calcio con la dieta e l’impiego di sali di calcio
alternativi (p. es., calcio citrato). Una dieta equilibrata deve contenere un quantitativo adeguato di
vitamina K, perché il deficit di questa vitamina è associato a un aumento del rischio di fratture. Può essere
utile anche limitare l’apporto di sodio, perché all’aumento dell’introduzione del sodio può conseguire
l’aumento delle perdite urinarie di calcio.
Esercizio fisico: gli effetti degli esercizi di carico e di rafforzamento muscolare sulla densità ossea sono
relativamente modesti. Tuttavia, il miglioramento dell’equilibrio e della forza muscolare riduce la
probabilità di cadute e migliora le condizioni cardiovascolari.
Inibitori del riassorbimento: per le persone con massa ossea ridotta e fattori di rischio multipli,
particolarmente quelle che hanno già avuto una frattura osteoporotica, devono essere presi in
considerazione gli inibitori del riassorbimento osseo. Questi farmaci comprendono gli estrogeni, i
bifosfonati, i modulatori recettoriali estrogenici selettivi e la calcitonina.
Gli estrogeni sono in grado di prevenire la perdita ossea menopausale nella maggior parte delle donne. La
terapia estrogenica sostitutiva (Estrogen Replacement Therapy, ERT) costituisce il trattamento di elezione
per le donne in post-menopausa, specialmente quelle che hanno avuto una menopausa precoce, e per le
donne precedentemente sottoposte a isterectomia. La ERT è particolarmente efficace durante i primi anni
successivi alla menopausa, quando la perdita ossea è più rapida. La terapia ormonale sostitutiva
(Hormone Replacement Therapy, HRT), che si basa sull’associazione di un estrogeno e di un
progestinico, ha lo scopo di prevenire l’iperplasia endometriale ed evitare l’aumento del rischio di
neoplasie maligne uterine nelle donne cui non è stato asportato l’utero. Tra gli altri benefici potenziali
della ERT e della HRT vi è la diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari e di morbo di
Alzheimer, ma questo effetto positivo non è stato ancora definito con chiarezza. Molte donne cominciano
la ERT o la HRT nel corso della menopausa, perché gli ormoni alleviano abbastanza prontamente la
sintomatologia menopausale. Spesso queste donne sospendono la terapia dopo pochi anni, il che conduce
a una ripresa della perdita ossea rapida. La decisione di interrompere o meno le terapie ormonali deve
essere presa in base all’esito della densitometria. Una volta interrotte, la ERT o la HRT possono essere
nuovamente riprese a qualsiasi età. Gli estrogeni diminuiscono il riassorbimento osseo e aumentano la
massa ossea nelle donne di età compresa tra i 75 e i 90 anni. In queste pazienti, dosi inferiori di estrogeni
possono essere ugualmente efficaci e provocare un minor numero di effetti sfavorevoli.

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Gli studi epidemiologici e i pochi trial clinici prospettici eseguiti sugli estrogeni suggeriscono che la ERT
o la HRT riducono il rischio di fratture osteoporotiche del 30-50%. Poiché altri inibitori del
riassorbimento, se somministrati in concomitanza con gli estrogeni, possono avere un effetto additivo,
nelle pazienti con densità ossea molto ridotta, con perdita ossea progressiva o che incorrono in una
frattura nonostante la ERT o la HRT, si considera la terapia di associazione.
I bifosfonati sono potenti inibitori del riassorbimento osseo, che bloccano direttamente l’attività
osteoclastica. Per le donne che non tollerano gli estrogeni o che presentano controindicazioni alla loro
assunzione (p. es., pregresso carcinoma mammario, fattori di rischio per carcinoma mammario), i
bifosfonati sono considerati i farmaci di seconda scelta; queste sostanze aumentano la massa ossea e
riducono il rischio di fratture, particolarmente nelle pazienti che assumono glucocorticoidi. In ampie
coorti di donne in post-menopausa, i bifosfonati, e in particolare l’alendronato, hanno anche ridotto di una
percentuale ³ 50% l’incidenza delle fratture vertebrali e non vertebrali.
L’alendronato si utilizza sia per prevenire l’osteoporosi (5 mg/die) sia per trattarla (10 mg/die). Il
pamidronato è disponibile in preparazioni EV per l’ipercalcemia neoplastica e per la malattia di Paget, ma
si usa anche nell’osteoporosi.
Un problema importante, con la somministrazione orale dei bifosfonati, è la scarsità del loro
assorbimento. Di solito, viene assorbito meno dell’1% del farmaco; per ottenere un assorbimento
ottimale, i pazienti devono assumere i bifosfonati lontano dai pasti o dall’assunzione di altri farmaci. I
principali effetti sfavorevoli della somministrazione orale sono a carico dell’apparato digerente e il più
marcato è l’irritazione esofagea. La somministrazione EV può causare iperpiressia transitoria, che di
solito non è di grave entità. Per gli effetti GI, spesso i bifosfonati si evitano in pazienti con malattia da
reflusso gastroesofageo, ma un cauto tentativo con questi farmaci può essere ugualmente giustificato.
I modulatori recettoriali estrogenici selettivi (Selective Estrogen Receptor Modulators, SERM) sono
stati sviluppati in modo da avere effetti antiestrogenici sugli organi bersaglio classici (p. es., mammella,
utero), ma effetti di inibizione del riassorbimento sull’osseo. L’uso del raloxifene è stato approvato per
prevenire la perdita ossea postmenopausale. Questo farmaco è un po’ meno efficace degli estrogeni o dei
bifosfonati come inibitore del riassorbimento, ma è in grado di prevenire la perdita ossea e di ridurre
l’incidenza delle fratture vertebrali.
I SERM hanno effetti sfavorevoli relativamente modesti. Tuttavia, analogamente agli estrogeni,
aumentano il rischio di tromboembolie. Uno dei possibili vantaggi dei SERM è la loro apparente capacità
di ridurre il rischio di carcinoma della mammella.
La calcitonina è stata utilizzata per molti anni per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi. Negli
USA, la calcitonina di salmone è disponibile come spray nasale o in formulazione iniettiva sottocutanea.
La calcitonina per via nasale, 200 UI/die, riduce l’incidenza delle fratture vertebrali, anche se l’entità del
suo effetto è minore di quella degli estrogeni, dei bifosfonati o dei SERM. In genere, questa preparazione
è sicura; l’effetto sfavorevole principale è l’irritazione locale.
Altre terapie: le terapie anaboliche sono ancora in via di sperimentazione; nessuna di esse è stata
approvata per l’osteoporosi. Le iniezioni intermittenti di ormone paratiroideo e di fluoruri stimolano la
sintesi di osso neoformato e inibiscono il riassorbimento osseo, ma la loro sicurezza ed efficacia sono
ancora da stabilire. Le tiazidi possono ridurre l’escrezione urinaria di calcio e rallentare la perdita ossea.
Esse possono essere particolarmente utili nei pazienti affetti da ipercalciuria e osteoporosi (p. es., quelli
con ipercalciuria idiopatica).

X. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE

ARTERITE GIGANTOCELLULARE (TEMPORALE) E POLIMIALGIA REUMATICA


Arterite gigantocellulare (temporale): processo infiammatorio cronico che interessa le arterie
extracraniche.
Polimialgia reumatica: sindrome caratterizzata da dolore e rigidità a carico dei muscoli del cingolo
scapolare e di quello pelvico.
Queste patologie insorgono quasi esclusivamente negli anziani. Sebbene l’arterite gigantocellulare e la
polimialgia reumatica possano presentarsi separatamente, dal 40 al 60% dei pazienti con arterite
gigantocellulare ha anche segni clinici di polimialgia reumatica e dal 10 al 25% di quelli con polimialgia
reumatica ha anche segni clinici e anatomopatologici di arterite gigantocellulare.
L’incidenza annuale, che varia ampiamente tra i diversi studi, oscilla tra 0,5 e 4/1000 nelle persone con >
60 anni. L’incidenza aumenta in maniera notevole con l’età: l’arterite gigantocellulare e la polimialgia
reumatica sono 10 volte più frequenti nei pazienti di età > 80 anni che in quelli di età compresa tra i 50 e i
59 anni. In entrambe le malattie si osserva un certo grado di familiarità, ed entrambe sono associate con
l’HLA-DR4. Esse sono due volte più frequenti nelle donne che negli uomini e sono più comuni nei
soggetti di razza bianca che in quelli di razza nera.
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Eziologia e anatomia patologica
Nell’arterite gigantocellulare è caratteristica l’infiltrazione dell’intima e della parte interna della media
da parte di cellule rotondeggianti. Vi predominano gli istiociti, i linfociti e i monociti, ma la presenza di
cellule giganti multinucleate di tipo Langhans è più importante per la diagnosi. Molti dei linfociti sono
cellule T helper. Questa caratteristica, insieme alla rarità dei depositi di immunoglobuline intorno alle
fibre di elastina, suggerisce che le lesioni arteriose siano la conseguenza dell’immunità cellulare, più che
di quella umorale. Vi sono prove che indicano che citochine prodotte dalle cellule T e dai macrofagi sono
presenti nelle regioni non colpite delle arterie temporali dei pazienti con arterite gigantocellulare e
polimialgia reumatica, il che probabilmente suggerisce che le due malattie hanno una patogenesi comune.
Il processo infiammatorio è limitato a brevi segmenti del decorso dell’arteria ed è solitamente
circonferenziale. I segmenti normali della parete arteriosa, che appaiono lisci e spesso dilatati, si
assottigliano sfumando nei segmenti colpiti, che si presentano lisci e simmetricamente stenosati od
occlusi. Sebbene l’arteria temporale superficiale sia quella più frequentemente sottoposta a biopsia a
causa della sua maggiore accessibilità, spesso sono contemporaneamente coinvolte anche le arterie
vertebrali, oftalmiche e ciliari posteriori. L’interessamento della carotide interna ed esterna e delle arterie
centrali della retina è meno frequente, e quello delle arterie intracerebrali è raro.
Nella polimialgia reumatica, i muscoli scheletrici sono istologicamente normali. Sono frequenti invece
le sinoviti caratterizzate da infiltrazione di cellule rotondeggianti e proliferazione sinoviale, anche se esse
sono meno gravi che nell’artrite reumatoide. Di solito, la malattia colpisce le anche e le spalle, ma può
esservi anche un interessamento delle ginocchia e delle articolazioni sternoclaveari.
Sintomi, segni e diagnosi
In entrambe le malattie si osservano spesso astenia, calo ponderale e febbre. Talvolta la perdita di peso o
la febbre sono gli unici segni presenti. Nei pazienti affetti da polimialgia reumatica, bisogna ricercare la
presenza di segni o sintomi di arterite gigantocellulare; se ve ne sono, le complicanze possono essere
improvvise e gravi, pertanto la dose iniziale di corticosteroidi utilizzata per il trattamento sarà più elevata.
Nell’arterite gigantocellulare, il tipico sintomo di esordio è una cefalea temporale continua e pulsante.
L’ischemia dei muscoli masseteri, della lingua e del faringe provoca dolore durante la masticazione,
l’articolazione della parola o la deglutizione (claudicatio mandibolare). La stenosi dell’arteria oftalmica e
dei suoi rami può causare dolore oculare od orbitale, cecità transitoria (amaurosi fugace), difetti del
campo visivo, offuscamento della vista o cecità improvvisa e permanente. L’ischemia della muscolatura
orbitale può determinare diplopia.
L’esame obiettivo può rivelare la presenza caratteristica di arterie temporali tortuose, dilatate, arrossate e
dolenti, il cui polso è di ampiezza ridotta. Meno comunemente, sono ridotti o assenti i polsi
corrispondenti ad altre arterie della testa e del collo. L’interessamento dell’arteria oftalmica generalmente
provoca la comparsa di uno scotoma centrale o la cecità totale; i difetti periferici a chiazze del campo
visivo sono meno comuni. Il coinvolgimento di questo vaso può determinarne l’ostruzione, che
inizialmente dà luogo all’impallidimento e al rigonfiamento del disco ottico, il quale appare circondato da
emorragie pericapillari; successivamente, il disco si atrofizza. Con minor frequenza, si osservano aree
irregolari di infarto retinico. I pazienti con interessamento della muscolatura orbitale presentano vari gradi
di oftalmoplegia o ptosi.
Nella polimialgia reumatica, i reperti clinici più comuni sono il dolore e la rigidità bilaterale delle spalle
e delle cosce; questi sintomi sono spesso gravi e conducono all’immobilità e ad altri deficit funzionali
(p. es., incapacità a lavarsi o vestirsi). Il dolore ha la sua massima intensità al mattino, ma è frequente
anche il dolore notturno che disturba il sonno. Di solito, sono presenti rigidità da inattività e rigidità
mattutina che si protrae per > 1 ora.
All’esame obiettivo è possibile rilevare una certa dolorabilità in corrispondenza dei muscoli interessati e
una limitazione dolorosa dei movimenti dell’anca e della spalla, ma la dolorabilità è lieve in rapporto alla
gravità dei sintomi. I polsi, le ginocchia e le dita possono essere gonfi e dolenti.
Test di laboratorio: il più utile tra i test di laboratorio è la VES, che di solito è > 40 mm/h e spesso è >
100 mm/h. Sebbene sia molto sensibile, essa occasionalmente risulta normale, particolarmente nella
polimialgia reumatica. Anche i livelli di proteina C reattiva e di interleuchina 6 sono generalmente elevati
in entrambe le malattie; tuttavia, nessuna delle due si è dimostrata più specifica o più sensibile della VES.
I titoli anticorpali (p. es., fattore reumatoide e anticorpi antinucleari) non sono elevati. In un terzo dei
pazienti, vi è un lieve innalzamento degli enzimi epatici. Spesso è presente un’anemia normocromica
normocitica.
Biopsia dell’arteria temporale: la biopsia dell’arteria temporale è l’esame più specifico per l’arterite
gigantocellulare e deve essere eseguita in tutti pazienti che mostrano i segni clinici di questa affezione. La
terapia corticosteroidea può essere iniziata fino a 1 sett. prima della biopsia, senza inficiarne i risultati.
Bisogna evitare che l’esecuzione della biopsia faccia ritardare l’inizio del trattamento. Deve essere
prelevato un segmento di arteria lungo 5 cm; il prelievo di un segmento più corto può far mancare la
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lesione. La diagnosi viene confermata dalla dimostrazione di un infiltrato della media costituito da cellule
rotondeggianti e cellule giganti di tipo Langhans; se la biopsia risulta negativa, esiste un 5-10% di
probabilità che la diagnosi sia stata mancata. In casi eccezionali, può essere giustificata l’esecuzione di
una biopsia dell’arteria controlaterale.
Il ruolo della biopsia dell’arteria temporale nei pazienti che hanno esclusivamente segni di polimialgia
reumatica è controverso. Un approccio ragionevole è quello di rinunciare alla biopsia e di tenere sotto
controllo la sintomatologia clinica, la VES e la risposta al trattamento del paziente.
Terapia
Sia per l’arterite gigantocellulare, sia per la polimialgia reumatica, il trattamento di elezione è costituito
dai corticosteroidi; questi farmaci producono una risposta notevole. Un paziente con i movimenti
gravemente impediti può riacquistare la mobilità e la piena indipendenza entro la prima settimana di
terapia.
Il dosaggio iniziale per l’arterite gigantocellulare deve essere equivalente a 60 mg/die di prednisone; per
la polimialgia reumatica, deve essere di 15 mg/die. I dosaggi iniziali vanno mantenuti per ³ 2 mesi.
Qualora si sospetti un’arterite gigantocellulare, ancora prima che la diagnosi venga confermata con la
biopsia dell’arteria temporale, il medico deve istituire la terapia con 60 mg/die di prednisone in modo da
prevenire le complicanze oculari.
L’efficacia del trattamento deve essere verificata mediante i controlli seriati della VES e la valutazione
della risposta clinica. Il dosaggio dei corticosteroidi può essere ridotto gradualmente (di solito fino a 5-
15 mg/die di prednisone o a un suo equivalente) sulla base della VES e del quadro clinico.
La terapia di mantenimento va proseguita per 1 o 2 anni. La dose di corticosteroidi deve essere la più
bassa possibile, compatibilmente con il controllo della sintomatologia. Dopo la sospensione della terapia
corticosteroidea, il paziente va tenuto in osservazione per un periodo ³ 6 mesi. Se la malattia recidiva, è
necessario riprendere il trattamento.
Nei pazienti anziani, con l’inizio del trattamento steroideo, possono comparire molti effetti indesiderati,
tra i quali la ritenzione idrica, l’aumento dell’appetito e la confusione mentale. È necessario tenere sotto
controllo i valori glicemici, per evitare che si stabilisca un’iperglicemia. Mediante l’anamnesi e gli
opportuni test cutanei, bisogna escludere la presenza di una TBC in fase di quiescenza. Va istituita una
terapia adeguata per la prevenzione dell’osteoporosi. Nel caso si verificasse un altro evento di natura
medica, è necessario somministrare dosi aggiuntive di corticosteroidi.
I FANS sono stati utilizzati per la polimialgia reumatica di grado lieve, ma non hanno un’efficacia
paragonabile a quella dei corticosteroidi.
In aggiunta alla terapia farmacologica, nei pazienti che presentano ipostenia muscolare o altri deficit
funzionali bisogna dare inizio alla fisioterapia. Il ripristino e il mantenimento di una buona funzionalità
muscolare sono la chiave per l’efficacia del trattamento nelle persone anziane.

MIASTENIA GRAVIS
Malattia autoimmune caratterizzata da ipostenia muscolare episodica, conseguente alla perdita o al
malfunzionamento dei recettori per l’acetilcolina a livello della placca motrice dei muscoli scheletrici.
La miastenia gravis può insorgere a qualunque età, ma ha un picco di incidenza nelle donne nel 3o e 4o
decennio di vita e negli uomini nel 6o e 7o decennio. Nella popolazione anziana, la malattia è più
frequente tra i maschi.
Questo deficit recettoriale è causato dalla presenza di anticorpi circolanti anti-recettore acetilcolinico, che
bloccano i siti di legame per l’a-bungarotossina del recettore stesso, accelerando il suo turnover (cioè, la
fagocitosi e la successiva distruzione). Il ruolo che ha il timo in questo processo è sconosciuto, ma circa il
65% dei pazienti ha un’iperplasia timica e il 10-15% ha un timoma.
Sintomi e segni
Caratteristiche della malattia sono l’ipostenia muscolare e l’affaticabilità. L’andamento della
sintomatologia è tipicamente fluttuante; essa è più pronunciata la sera e migliora con il riposo. I sintomi
iniziali comprendono: ptosi, diplopia od offuscamento della vista in > 50% dei pazienti; ipostenia e
astenia generalizzate in circa il 10%; disfagia, ipostenia dei muscoli facciali o rinolalia in circa il 5%.
Nell’anziano, solitamente, i sintomi più marcati sono a carico della muscolatura extraoculare e bulbare.
La sintomatologia rimane limitata ai muscoli extraoculari in circa il 15% dei pazienti e diviene
generalizzata nell’85%, di solito entro il primo anno. La gravità del quadro clinico raggiunge il suo
massimo durante il primo anno nel 50% dei pazienti, ed entro 5 anni in quasi tutti pazienti.
La crisi miastenica è caratterizzata da un’insufficienza respiratoria a esordio acuto, spesso con difficoltà
di deglutizione e di articolazione della parola, e da un aggravamento dell’ipostenia agli arti superiori e
inferiori. Le infezioni, i traumi o l’uso di aminoglicosidi, farmaci cardiaci, antistaminici o ansiolitici, sono
tutti fattori che possono far precipitare la crisi.

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Diagnosi
Di solito, la diagnosi si basa sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. Il test diagnostico più sensibile e
accurato è il dosaggio quantitativo degli anticorpi anti-recettore acetilcolinico. Questi anticorpi sono
aumentati nell’85-90% dei pazienti con miastenia gravis generalizzata e nel 50-70% di quelli con
miastenia oculare. Il titolo anticorpale è aumentato anche in > 90% dei pazienti con timoma.
Nei soggetti in cui il test per gli anticorpi anti-recettore acetilcolinico risulta negativo, è utile il dosaggio
degli anticorpi che modulano il recettore stesso. I pazienti affetti da timoma hanno spesso anche un
aumento dei livelli anticorpali anti-muscolo striato, come si osserva in circa il 55% dei pazienti di età
> 60 anni affetti da miastenia gravis da sola. La diagnosi di timoma si avvale della TC o della RMN;
quest’ultima fornisce più informazioni riguardo ai tessuti molli e all’apporto vascolare.
L’ipostenia muscolare dei pazienti miastenici può essere fatta regredire temporaneamente con un test
anticolinesterasi. Viene somministrato edrofonio (un anticolinesterasico a breve durata d’azione) in una
singola dose iniziale di 2 mg EV, che viene poi confrontata in doppio cieco con un placebo mentre il
paziente è sotto monitoraggio ECG; a causa del rischio di aritmie cardiache, particolarmente nelle persone
anziane, durante il test devono essere disponibili atropina EV e l’attrezzatura per la rianimazione.
Con il test di stimolazione ripetitiva si può identificare una diminuzione patologica della risposta elettrica
agli impulsi nervosi ripetitivi inviati a un muscolo specifico. Spesso si osserva una risposta decrementale
da 1 a 2 min dopo l’esecuzione di una contrazione massimale del muscolo testato. Nel 50-60% dei
pazienti con miastenia nota si osservano risultati positivi, quando si sottopongono al test due o tre
muscoli.
Terapia
La terapia di prima linea è spesso rappresentata da un farmaco anticolinesterasico, come la piridostigmina
bromuro a una dose iniziale di 30-60 mg PO tid o qid. Alcuni pazienti necessitano di una
somministrazione ogni 2 o 3 h. Il dosaggio deve essere accuratamente regolato in base alle richieste
individuali, e una lieve esacerbazione della sintomatologia può richiederne l’aumento. La
somministrazione di efedrina, 25 mg bid o tid, congiuntamente alla piridostigmina può avere un effetto
sinergico (l’esatto meccanismo con cui l’efedrina influisce sulla contrazione della muscolatura scheletrica
è sconosciuto).
Di solito, oltre a questi farmaci di primo impiego, gli anziani necessitano di una terapia aggiuntiva, perché
in essi la sintomatologia extraoculare e bulbare è particolarmente resistente al trattamento
anticolinesterasico. Gli immunosoppressori (p. es., azatioprina) e i corticosteroidi (p. es., prednisone)
sono i cardini della terapia a lungo termine. Per le crisi miasteniche o gli episodi di riacutizzazione grave,
sono utili la plasmaferesi e le immunoglobuline EV.
La timectomia non viene raccomandata tipicamente per il trattamento della miastenia insorta dopo i 60
anni di età, perché questo approccio non ha dimostrato di essere più efficace degli immunosoppressori.
Ciò nonostante, i timomi devono essere ricercati e rimossi, dato il loro potenziale di malignità.
L’intervento chirurgico ha un rischio iniziale più elevato, e spesso sono necessari da 2 a 3 anni perché si
manifesti il massimo dei suoi benefici sulla miastenia. Nei pazienti anziani, i rischi a lungo termine degli
immunosoppressori (p. es., linfomi, leucemie) sono minori, dal momento che spesso l’aspettativa di vita è
inferiore al tempo necessario perché insorgano tumori maligni.
Raramente, a causa del trattamento insorge una crisi colinergica, caratterizzata dall’aumento
dell’ipostenia muscolare e dall’accentuazione degli effetti colinergici. In tali circostanze, la terapia
prevede la sospensione dei farmaci, l’intubazione del paziente e la ventilazione assistita.

MIOPATIA IPOKALIEMICA
Negli anziani, è la causa più frequente di miopatia dovuta a squilibrio elettrolitico. In questo gruppo di
età, una causa comune di ipokaliemia è l’assunzione prolungata di diuretici. Tra le altre condizioni che
causano ipokaliemia vi sono i deficit alimentari, la miopatia alcolica, la perdita intestinale di potassio, la
sindrome di Bartter, l’iperaldosteronismo e l’intossicazione da liquirizia. La paralisi ipokaliemica acuta
può insorgere in seguito al trattamento con amfotericina B e in corso di chetoacidosi diabetica, acidosi
tubulare renale, diarrea cronica e nella maggior parte delle condizioni che provocano ipokaliemia cronica.
Anche l’ipocalcemia e l’ipomagnesiemia possono causare la comparsa di una sintomatologia
neuromuscolare accentuata, compresi la tetania, l’eccitabilità, il mioclono e il tremore, ma esse non
provocano caratteristicamente ipostenia muscolare.
Sintomi e segni
Di solito, l’ipostenia muscolare si sviluppa lentamente nel corso di giorni o settimane. Ne vengono
interessati principalmente gli arti inferiori ma, nei casi gravi, essa coinvolge le braccia, il tronco, il collo
e, occasionalmente, i muscoli toracici e il diaframma; i muscoli oculari e bulbari vengono risparmiati. In
genere, la miopatia ipokaliemica cronica produce un’ipostenia maggiore a carico dei muscoli prossimali,
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rispetto a quelli distali. Nei pazienti con acidosi diabetica (nei quali i livelli sierici di potassio si riducono
rapidamente nel giro di poche ore) l’ipostenia dei muscoli respiratori può essere il sintomo di esordio, e la
braccia possono divenire iposteniche prima delle gambe.
I riflessi tendinei diventano dapprima ipoattivi e poi scompaiono. Il paziente non lamenta dolore, né altri
disturbi sensitivi. Nei casi gravi, può svilupparsi una necrosi delle fibre muscolari con comparsa di
mioglobinuria e di dolore, dolorabilità e tumefazione dei muscoli.
Diagnosi e terapia
Il livello sierico del potassio è solitamente < 3 mEq/l; quello della CK può essere normale o aumentato.
Le velocità di conduzione nervosa sono normali.
La miopatia cronica si risolve solitamente dopo 1-4 sett. di terapia potassica sostitutiva. Se sono insorte
mioglobinuria e rabdomiolisi, il trattamento deve comprendere un’energica reidratazione e
alcalinizzazione delle urine, in modo da evitare la necrosi tubulare renale e l’insufficienza renale. A
seconda della causa di ipokaliemia, può essere necessaria un terapia sostitutiva con potassio a lungo
termine. In alcune circostanze, quando l’ipokaliemia è grave, sintomatica o non risponde alla terapia
orale, il potassio deve essere somministrato per via parenterale.

OSTEOARTROSI
Malattia della cartilagine ialina e dell’osso subcondrale, che colpisce prevalentemente le articolazioni
della mano, la colonna vertebrale e le articolazioni dell’estremità inferiore.
L’osteoartrosi è la malattia articolare più frequente ed è una delle cause principali di invalidità nelle
persone con > 65 anni. Probabilmente, non è una malattia unica, ma un insieme di diverse malattie con
caratteristiche cliniche e anatomopatologiche simili. Per tale motivo, le alterazioni tipiche di questa
affezione (p. es., deterioramento cartilagineo, rimodellamento osseo) possono manifestarsi in diverse
articolazioni diartrodiali, ma le loro cause possono essere differenti.
L’osteoartrosi primaria (idiopatica) interessa le articolazioni interfalangee prossimali e distali, la prima
articolazione carpometacarpale, i tratti cervicale e lombare della colonna vertebrale, le anche, le ginocchia
e le dita dei piedi. Le articolazioni metacarpofalangee, i polsi, i gomiti, le spalle e le caviglie solitamente
vengono risparmiati. L’osteoartrosi secondaria colpisce invece qualunque articolazione che sia stata
danneggiata in seguito ad eventi traumatici o infiammatori.
L’invecchiamento in sé e per sé non causa l’osteoartrosi, anche se le alterazioni delle cellule o della
matrice cartilaginea che compaiono con l’età probabilmente predispongono le persone anziane
all’insorgenza della malattia. Tra gli altri possibili fattori predisponenti vi sono l’obesità, i traumi, le
anomalie congenite (p. es., la displasia dell’anca) e le malattie articolari primitive (p. es., l’artrite
infiammatoria).
Sintomi, segni e diagnosi
L’osteoartrosi è caratterizzata da un dolore articolare continuo o intermittente a volte accompagnato da
limitazione dei movimenti, ipertrofia ossea e deformità articolari. Il dolore viene alleviato dal riposo ed
esacerbato dal movimento e dal carico; inoltre, non si associa alla presenza di segni infiammatori come
l’arrossamento e la tumefazione. La malattia di solito progredisce lentamente.
A livello delle mani, può essere presente un’iperproduzione ossea delle articolazioni interfalangee distali
(noduli di Heberden) e delle articolazioni interfalangee prossimali (nodi o noduli di Bouchard)
La diagnosi si fonda sull’esame combinato dei reperti clinici e radiografici. I segni radiografici
caratteristici comprendono gli osteofiti, la sclerosi e le cisti subcondrali e la riduzione asimmetrica dello
spazio articolare (che sta ad indicare la degenerazione della cartilagine). Tuttavia, le rx convenzionali non
hanno una grande sensibilità per l’identificazione dell’osteoartrosi precoce, dal momento che non
riescono a individuare le alterazioni patologiche della cartilagine. In aggiunta, è possibile che siano
presenti alterazioni radiografiche in assenza di sintomatologia. La RMN è più sensibile delle rx standard,
ma non va impiegata di routine per la diagnosi di osteoartrosi. La VES e la conta dei GB sono normali e
non sono presenti autoanticorpi. L’esame del liquido sinoviale mostra soltanto una modesta leucocitosi
(conta GB < 2000/ml).
Terapia
Tutto il trattamento della malattia prevede l’uso bilanciato di misure cognitivo-comportamentali, fisiche,
farmacologiche e chirurgiche. Gli obiettivi della terapia sono l’alleviamento del dolore e la riduzione al
minimo delle limitazioni funzionali. Nel trattamento, si devono tenere in considerazione i deficit
funzionali del paziente e le sue preferenze. Egli deve essere informato della natura cronica della sua
malattia; aspettative terapeutiche non aderenti alla realtà possono provocare frustrazione e depressione e
compromettere il rapporto medico-paziente. L’osteoartrosi asintomatica, diagnosticata esclusivamente in
base ai reperti radiografici, non richiede alcun trattamento.

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Misure non farmacologiche: i provvedimenti non farmacologici sono il cardine della terapia e vanno
utilizzati in tutti i pazienti. La terapia cognitivo-comportamentale, rivolta al coping e all’autoefficacia
(confidenza nell’esecuzione delle diverse attività in condizioni di sicurezza), è molto efficace per il
miglioramento della funzionalità.
Un regime fisioterapico comprendente esercizi di mobilizzazione, rafforzamento e resistenza è importante
per il sollievo del dolore e il ripristino della funzione articolare. Per il ripristino funzionale e il
miglioramento dell’autosufficienza può essere indicato l’impiego di tutori adattabili (p. es., busti, bastoni,
dispositivi per aumentare la funzione della mano). Nei pazienti obesi, è importante la riduzione del peso
corporeo.
Terapia farmacologica: i farmaci si devono utilizzare quando le misure non farmacologiche non bastano
ad alleviare il dolore e a far recuperare una buona funzionalità. Nell’anziano, le sostanze impiegate più
spesso sono il paracetamolo e i FANS. Il paracetamolo è il farmaco di prima scelta per il trattamento del
dolore, perché è più sicuro dei FANS e ha una buona efficacia. Nella maggior parte dei pazienti, può
essere prescritto in dosi crescenti fino a 1 g qid (senza superare i 4 g/die). È un farmaco che va usato con
cautela nei pazienti epatopatici e in quelli che consumano > 2 bicchieri di alcolici al giorno, poiché
aumenta il rischio di epatotossicità.
Per i pazienti che non rispondono in maniera adeguata al paracetamolo, bisogna prendere in
considerazione un FANS oppure, come raccomandato dalle nuove linnee guida ACR, i nuovi inibitori
della COX-2, che hanno mostrato di avere effetti analgesici e antiinfiammatori simili ai FANS con il
vantaggio di causare una minore tossicità (v. oltre). Tutti i FANS sembrano avere la stessa efficacia, ma la
risposta dei pazienti è variabile, pertanto è possibile che si debbano provare diversi farmaci prima di
riuscire ad alleviare il dolore. Gli effetti terapeutici dei FANS sono dovuti all’inibizione della
ciclossigenasi (COX), un enzima necessario per la sintesi delle prostaglandine.
Esistono 2 isoforme della COX: la COX-1 viene espressa dalla maggior parte dei tessuti, compresa la
mucosa gastrica, mentre l’espressione della COX-2 è indotta nelle cellule flogistiche e nella sinovia nei
processi infiammatori. La COX-2 è presente anche nel rene, ma non nelle piastrine. La maggior parte dei
FANS inibisce sia la COX-1 sia la COX-2, ma i più recenti inibitori selettivi della COX-2 (p. es.,
celecoxib, rofecoxib) agiscono solo su quest’ultima e inducono un minor grado di irritazione e di
ulcerazione gastrica, oltre a non inibire le piastrine.
I principali effetti sfavorevoli dei FANS meno recenti sono simili, sebbene la loro incidenza sia variabile
tra un farmaco e l’altro e tra i diversi gruppi di pazienti. I più frequenti sono le turbe gastrointestinali, che
spesso insorgono in assenza di un’ulcerazione o un sanguinamento evidenti e possono richiedere la
sospensione del farmaco. Tuttavia, tutti i FANS non selettivi possono provocare ulcerazione e
sanguinamento GI; questi effetti sono correlati con la dose e la frequenza di somministrazione, ma non
con la sintomatologia, tanto che il sanguinamento può avvenire senza alcun sintomo di avvertimento. Per
le persone con > 65 anni, il rischio relativo è da tre a quattro volte superiore a quello delle persone di
media età. L’assunzione dei FANS non selettivi a stomaco pieno può contribuire a ridurre al minimo la
sintomatologia GI e l’impiego contemporaneo di farmaci citoprotettivi, come la prostaglandina
misoprostolo o gli inibitori della pompa protonica, può ridurre l’incidenza delle ulcere nei pazienti ad alto
rischio.
Sia i FANS meno recenti sia i nuovi inibitori della COX-2 possono compromettere la funzione renale e
causare ritenzione di sodio e di acqua; essi devono essere utilizzati con cautela negli anziani,
particolarmente in quelli già affetti da nefropatie, scompenso cardiaco, ipovolemia o epatopatie.
Nell’anziano, tra gli effetti tossici rari vi sono i disturbi cognitivi e le turbe della personalità.
In generale, l’indometacina non deve essere utilizzata come terapia di prima linea poiché, rispetto ad altri
FANS, ha una maggiore tossicità e un più alto tasso di progressione della riduzione degli spazi articolari,
come è stato dimostrato radiograficamente. Essa, inoltre, produce un maggior numero di effetti
sfavorevoli a carico del sistema nervoso centrale. I salicilati non acetilati possono avere una minore
tossicità renale e meno effetti antipiastrinici rispetto agli altri FANS, ma generalmente sono meno
efficaci.
Qualora ve ne fosse la necessità, è possibile ricorrere agli analgesici oppioidi, se sono in grado di
migliorare la funzionalità articolare e la qualità della vita. Tuttavia, considerata la natura cronica
dell’osteoartrosi, l’uso prolungato di analgesici oppioidi provoca spesso problemi di dipendenza fisica.
Con questi farmaci, la sedazione e la nausea sono solitamente effetti transitori; la stipsi può essere trattata
con stimolanti o lassativi osmotici.
La somministrazione intra-articolare di corticosteroidi è indicata per l’osteoartrosi sintomatica delle
grandi articolazioni, qualora non rispondesse ai trattamenti abituali. Non si deve infiltrare la stessa
articolazione per più di due volte in un periodo di 2 sett. Si raccomanda l’uso del triamcinolone, mentre è
bene evitare i corticosteroidi per via sistemica.

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Le iniezioni settimanali di acido ialuronico, eseguite per 3-5 sett., migliorano la sintomatologia
dell’osteoartrosi del ginocchio. I pazienti con > 60 anni affetti da una malattia di grado moderato o severo
hanno le maggiori probabilità di trarre beneficio da questo tipo di trattamento.
L’applicazione topica di creme (p. es., la capsaicina o un FANS) può essere utile sia come monoterapia,
sia in associazione con gli analgesici PO, specialmente nei pazienti con osteoartrosi delle mani o delle
ginocchia.
Negli USA è disponibile, come preparato per l’integrazione dietetica, un’associazione di glucosamina
solfato e condroitin solfato. Diversi studi hanno dimostrato che la sua somministrazione, al dosaggio di
500 mg tid, è più efficace del placebo per l’attenuazione del dolore, ma saranno i trial clinici attualmente
in corso a chiarire il ruolo della glucosamina nel trattamento dell’osteoartrosi. Questo preparato ha pochi
effetti sfavorevoli.
Chirurgia: la protesizzazione totale è molto efficace per il trattamento dell’osteoartrosi dell’anca e del
ginocchio, e l’età non costituisce di per sé una controindicazione alla sua esecuzione. Tuttavia, è
necessario definire con chiarezza gli obiettivi del trattamento (p. es., risoluzione del dolore,
miglioramento della funzionalità fisica) e stabilire quali siano le necessità e le capacità del paziente.
L’artroscopia con lavaggio è utile per l’osteoartrosi del ginocchio nei pazienti che non rispondono alla
terapia farmacologica; tuttavia, i suoi benefici a lungo termine non sono conosciuti. L’artroscopia può
essere utilizzata anche per la diagnosi e il trattamento delle lesioni intra-articolari, come le lacerazioni
meniscali.

XI. DIABETE MELLITO


Sindrome caratterizzata da iperglicemia con presenza ripetuta di una glicemia a digiuno > 125 mg/dl
(> 6,9 mmol/l) o di qualsiasi livello glicemico postprandiale > 200 mg/dl (> 11,1 mmol/l), conseguente
alla riduzione assoluta o relativa della secrezione di insulina e/o dell’attività insulinica.
Negli anziani, il diabete mellito (DM) di tipo II è molto più frequente di quello di tipo I. Generalmente, il
tipo I può essere differenziato dal tipo II grazie al suo esordio precoce e alla dipendenza dalla terapia
insulinica. Questo capitolo si occupa principalmente del DM di tipo II.
La prevalenza del DM di tipo II aumenta con l’età (da circa il 3-5% nelle persone tra il 4° e il 5° decennio
di vita a circa il 10-20% nelle persone tra il 7° e l’8° decennio). Spesso, questo tipo di DM viene
diagnosticato in occasione di un controllo medico di routine.
Eziologia e patogenesi
Il DM di tipo II comprende un gruppo eterogeneo di patologie, nelle quali l’iperglicemia origina da una
compromissione della risposta secretoria insulinica al glucoso e da una riduzione dell’efficienza
dell’insulina sia nella stimolazione della captazione del glucoso da parte della muscolatura scheletrica, sia
nell’inibizione della produzione epatica di glucoso (insulino-resistenza). La resistenza all’insulina,
tuttavia, è un fenomeno frequente e la maggior parte dei pazienti con tale resistenza non sviluppa un DM
di tipo II perché l’organismo la compensa in maniera adeguata aumentando la secrezione dell’ormone.
Sebbene l’insulino-resistenza che si osserva nel DM di tipo II non sia la conseguenza di alterazioni
genetiche del recettore insulinico o del carrier del glucoso, è probabile che vi abbiano un ruolo alcuni
difetti postrecettoriali intracellulari determinati geneticamente. L’iperinsulinemia che ne deriva può
portare allo sviluppo della sindrome da insulino-resistenza, che è caratterizzata da obesità
viscerale/addominale, ipertensione, iperlipidemia e malattia coronarica.
Il DM di tipo II frequentemente è associato con l’obesità, specialmente quella del tronco
(viscerale/addominale) e, spesso, esordisce dopo un periodo di crescita ponderale. Sebbene il peso del
paziente possa essere normale, il rapporto vita-fianchi è aumentato (> 1). I pazienti con DM di tipo II e
obesità del tronco possono tornare ad avere una glicemia normale dopo aver perso peso.
I fattori genetici sembra siano i principali fattori determinanti per lo sviluppo del DM di tipo II (il tasso di
concordanza per questo tipo di diabete nei gemelli monozigoti è > 90%), ma ciò nonostante è stata
dimostrata solo un’associazione poco significativa tra il DM di tipo II e i fenotipi specifici degli HLA
(Human Leukocyte Antigen, HLA) o tra esso e gli anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari.
Un’eccezione è costituita da un sottogruppo di adulti non obesi con livelli dimostrabili di anticorpi
citoplasmatici anti-insulari, che sono portatori di uno dei fenotipi HLA e con il tempo possono sviluppare
un DM di tipo I. Un’altra sottopopolazione di persone anziane non obese (che non hanno insulino-
resistenza) mostra una riduzione della capacità di secernere quantità adeguate di insulina, anche se non ha
anticorpi anti-insulari né fenotipi HLA caratteristici.
Nel DM di tipo II, le insule pancreatiche conservano una quantità di cellule b (secernenti insulina) non
sensibilmente alterata rispetto alle cellule a (che secernono glucagone) e la maggior parte dei pazienti
sembra mantenere una massa cellulare a e b normale. In molti pazienti con DM di tipo II, all’autopsia si

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rileva la presenza di amiloide nelle insule pancreatiche, derivante dalla deposizione di amilina, ma la sua
relazione con la patogenesi DM di tipo II, è sconosciuta.
Prima che compaia il diabete, in genere i pazienti perdono la risposta secretoria insulinica precoce al
glucoso e possono secernere quantità relativamente abbondanti di proinsulina. Nel diabete manifesto,
anche se nei pazienti con DM di tipo II l’insulinemia a digiuno può essere normale o addirittura
aumentata, la secrezione insulinica stimolata dal glucoso è ridotta. La diminuzione dei livelli insulinici
riduce la captazione del glucoso mediata dall’insulina e non è in grado di inibire la produzione epatica
dello zucchero.
L’iperglicemia può essere non solo un effetto, ma anche una causa dell’ulteriore compromissione della
tolleranza al glucoso nel paziente diabetico (tossicità da glucoso), perché essa riduce la sensibilità
all’insulina e aumenta la produzione epatica di glucoso. Una volta che il controllo metabolico del paziente
migliora, in genere si può ridurre la dose di insulina o di farmaci ipoglicemizzanti.
Il diabete instabile è caratterizzato da oscillazioni rapide e frequenti della glicemia, senza una causa
evidente. Esso si presenta con la massima frequenza nei pazienti che hanno una bassa capacità secretoria
insulinica residua e in quelli affetti da neuropatia autonomica con alterazione dello svuotamento gastrico.
In questi pazienti può essere presente un’iperglicemia prolungata, che compromette ulteriormente lo
svuotamento dello stomaco.
La pancreatite cronica, in particolare negli alcolisti, esita spesso nel diabete. Questi pazienti perdono sia le
cellule insulari secernenti insulina sia quelle secernenti glucagone. Pertanto, essi possono avere
un’iperglicemia di lieve entità, non tendono a sviluppare chetoacidosi diabetica (Diabetic KetoAcidosis,
DKA) e, solitamente, sono sensibili a basse dosi di insulina. Data la mancanza di un antagonismo efficace
(l’insulina esogena non viene contrastata dal glucagone), essi vanno frequentemente incontro
all’ipoglicemia improvvisa.
All’origine del diabete possono esserci altre malattie endocrine (p. es., sindrome di Cushing, acromegalia,
feocromocitoma, glucagonoma, iperaldosteronismo primitivo, somatostatinoma). La maggior parte di
queste patologie è associata con una resistenza insulinica a livello periferico o epatico. Molti pazienti
diventano diabetici nel momento in cui diminuisce anche la secrezione di insulina. La prevalenza del DM
di tipo I è aumentata nei pazienti affetti da alcune patologie endocrine autoimmuni (p. es., morbo di
Graves, malattia di Hashimoto, morbo di Addison idiopatico).
Sintomi e segni
Il DM ha diverse modalità di esordio. Il DM di tipo I esordisce spesso con iperglicemia sintomatica o
DKA, mentre il DM di tipo II può esordire con iperglicemia sintomatica, coma iperglicemico-
iperosmolare non chetosico (NonKetotic Hyperglycemic-Hyperosmolar Coma, NKHHC) o con una delle
manifestazioni cliniche di una complicanza tardiva del diabete.
L’iperglicemia asintomatica si associa generalmente a un aumento dei livelli glicemici <200 mg/dl
(<11,1 mmol/l). Tali livelli danno origine raramente a una glicosuria e a un catabolismo significativi e
sono molto più facili da trattare rispetto ai livelli più elevati.
Nell’iperglicemia sintomatica (generalmente > 200 mg/dl [> 11,1 mmol/l]), quando l’aumento dei livelli
glicemici causa glicosuria marcata e diuresi osmotica, compare poliuria seguita da polidipsia e perdita di
peso e il paziente si disidrata. Tuttavia, poiché spesso la capacità renale di riassorbire il glucoso filtrato
aumenta con l’età, i pazienti anziani possono avere un’iperglicemia significativa anche senza poliuria.
L’iperglicemia può causare anche offuscamento visivo, astenia e nausea e può favorire le infezioni
fungine e batteriche. Nel DM di tipo II, l’iperglicemia sintomatica può persistere per giorni o settimane,
prima che il paziente giunga all’attenzione di un medico; nelle donne, il DM di tipo II con iperglicemia
sintomatica si associa spesso alla presenza di prurito perineale dovuto a candidosi vaginale.
Complicanze
Sebbene l’iperglicemia quintuplichi il rischio di malattia macrovascolare (p. es., ATEROSCLEROSI),
altri fattori (p. es., ipertensione, fumo di sigaretta) lo aumentano di 10 o 20 volte. Un altro fattore
favorente è la dislipidemia tipica del DM di tipo II, caratterizzata dall’aumento dei trigliceridi e dalla
riduzione delle lipoproteie ad alta densità (High-Density Lipoprotein, HDL). Sebbene i livelli delle
lipoproteine a bassa densità (Low-Density Lipoprotein, LDL) non siano particolarmente differenti da
quelli dei soggetti non diabetici, in tali lipoproteine sono contenute in quantità preponderante particelle
LDL più piccole, più dense e più aterogene. La macroangiopatia può portare all’ictus, alla malattia
coronarica sintomatica, alla claudicatio, alla distrofia cutanea e alle infezioni. L’aspirina aiuta a prevenire
le complicanze macrovascolari nei pazienti diabetici. Tuttavia, per poter ottenere un effetto positivo,
bisogna somministrare dosi più elevate di quelle che risultano efficaci per la prevenzione dell’ictus e
dell’infarto nei soggetti non diabetici. Si è dimostrato che il trattamento dei fattori di rischio concomitanti,
come l’ipertensione (particolarmente con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina) e/o la
dislipidemia (particolarmente con le statine), riduce ulteriormente la morbilità e la mortalità nei pazienti

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diabetici anziani. La necessità di amputare un’estremità inferiore a causa di una vasculopatia periferica
grave o di una gangrena è, tuttavia, un evento frequente.
Le complicanze microvascolari (p. es., retinopatia, nefropatia, neuropatie periferiche e autonomiche)
insorgono generalmente dopo diversi anni di iperglicemia scarsamente controllata. Tuttavia, molti
pazienti con DM di tipo II presentano alcune di queste complicanze al momento della diagnosi. La
maggior parte delle complicanze microvascolari può essere prevenuta, ritardata o addirittura fatta
regredire, mediante il controllo rigoroso della glicemia.
La retinopatia di fondo (alterazioni retiniche iniziali visibili all’esame oftalmoscopico o con le fotografie
della retina) non compromette la vista in maniera significativa, ma può progredire fino all’edema
maculare o alla retinopatia proliferativa con distacco o emorragia retinica, che causano cecità. Con il
tempo, circa l’85% di tutti i pazienti diabetici sviluppa un certo grado di retinopatia, la quale ha inizio
almeno 7 anni prima che venga posta la diagnosi di DM di tipo II. Alcuni dati depongono a favore
dell’utilizzo della pentoxifillina PO.
La nefropatia diabetica si sviluppa in circa un terzo dei pazienti con DM di tipo I e in una percentuale
più piccola dei pazienti con DM di tipo II. Inizialmente, in presenza di iperglicemia, la velocità di
filtrazione glomerulare può essere aumentata. Un’albuminuria dimostrabile clinicamente (³ 300 mg/l), che
non può essere spiegata con altre patologie delle vie urinarie, può svilupparsi dopo circa 5 anni di diabete.
L’albuminuria è quasi 2,5 volte più elevata nei pazienti diabetici con PA diastolica > 90 mm Hg, che in
quelli con PA diastolica, 70 mm Hg. Quindi, sia l’iperglicemia sia l’ipertensione accelerano la
progressione verso lo stadio terminale della nefropatia. Generalmente, la nefropatia diabetica rimane
asintomatica fino a quando non si instaura un’insufficienza renale terminale, ma può anche causare una
sindrome nefrosica. L’albuminuria e la nefropatia possono essere prevenute o ritardate con il captopril, un
inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina.
La neuropatia diabetica si presenta solitamente come una polineuropatia distale e simmetrica
prevalentemente sensitiva, la quale causa deficit della sensibilità che cominciano con una distribuzione a
calza o a guanto, che in seguito rimane di solito la loro caratteristica fondamentale. La polineuropatia
diabetica può causare intorpidimento, formicolii e parestesie delle estremità e, con minore frequenza,
dolore e iperestesie debilitanti, gravi e profonde. I riflessi achillei sono generalmente ridotti o assenti. Le
neuropatie acute dolorose che colpiscono il 3°, il 4° o il 6° paio di nervi cranici, così come altri nervi,
come il femorale, possono migliorare spontaneamente nel giro di settimane o mesi, compaiono più spesso
nei pazienti anziani e vengono attribuibite a infarti dei nervi corrispondenti. La neuropatia autonomica
insorge principalmente nei pazienti con polineuropatia e può causare ipotensione posturale, alterazioni
della sudorazione, impotenza ed eiaculazione retrograda negli uomini, alterazioni della funzione
vescicale, ritardo dello svuotamento gastrico (talvolta con dumping syndrome), disfunzione esofagea,
stipsi o diarrea e diarrea notturna. La riduzione della risposta bradicardica alla manovra di Valsalva o
all’ortostatismo e lo scarso rallentamento della frequenza cardiaca con l’inspirazione profonda sono tutti
segni di neuropatia autonomica.
Le ulcere dei piedi e i problemi articolari sono cause importanti di morbilità nei pazienti diabetici. Il
principale fattore predisponente è la polineuropatia diabetica. La denervazione sensitiva compromette la
percezione dei traumi derivanti da cause banali come le calzature inadatte o sassolini nelle scarpe. Le
alterazioni della sensibilità propriocettiva portano all’assunzione di posture anomale sotto carico e talora
provocano lo sviluppo di articolazioni di Charcot.
Il rischio di infezioni fungine e batteriche è aumentato sia a causa della riduzione dell’immunità cellulare
provocata dall’iperglicemia acuta, sia a causa dei deficit circolatori provocati dall’iperglicemia cronica.
Le più frequenti sono le infezioni periferiche della cute e la candidosi orale e vaginale. Un’infezione
fungina può provocare la comparsa di lesioni umide interdigitali, spaccature, fissurazioni e ulcerazioni
che favoriscono le sovrapposizioni batteriche secondarie. Spesso i pazienti con ulcere infette dei piedi non
sentono dolore a causa della neuropatia e non accusano alcuna sintomatologia sistemica fino alle fasi più
tardive di un decorso che sia stato trascurato. È essenziale procedere alla pulizia chirurgica precoce, ma,
talvolta, bisogna ricorrere all’amputazione.
I pazienti diabetici anziani possono avere un aumento del rischio di disfunzioni cognitive e depressione.
Da uno studio retrospettivo è emerso che questi avevano una funzione cognitiva simile a quella dei
pazienti non diabetici, ma una probabilità doppia di mostrare sintomi di depressione. Altri studi indicano
che il buon controllo della glicemia può ridurre la probabilità e la gravità della disfunzione cognitiva.
Altri studi hanno dimostrato che il diabete e il declino delle funzioni superiori sono fattori di rischio per
l’aumento della mortalità.
Diagnosi
Nei pazienti asintomatici, il riscontro di una glicemia a digiuno >126 mg/dl (>7,0 mmol/l) è considerato
diagnostico di DM di tipo I e di tipo II. Questi criteri sono basati sull’evidenza che le complicanze
insorgono a tali livelli e che, nella maggior parte dei pazienti, essi sono seguiti da un DM più grave.

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Sebbene nell’anziano l’iperglicemia sia causata in genere dal DM di tipo II, vanno considerate anche altre
cause (p. es., patologie del pancreas esocrino, endocrinopatie, cause dovute a farmaci o sostanze
chimiche).
L’esecuzione routinaria di un test di tolleranza al carico orale di glucoso (Oral Glucose Tolerance Test,
OGTT; con 75 g di glucoso anidro disciolti in acqua) non è necessaria, ma può facilitare la diagnosi di
DM di tipo II nei pazienti la cui glicemia a digiuno è compresa tra 110 e 126 mg/dl (tra 6,1 e 7,0 mmol/l).
Questi valori sono frequenti nei pazienti anziani magri che sviluppano iperglicemia dopo i pasti. Il test è
positivo se la glicemia a 2 h è >200 mg/dl (> 11,1 mmol/l).
Il dosaggio dell’Hb glicosilata (Hb A1c) non è specifico per la diagnosi di diabete; tuttavia, il riscontro di
una Hb A1c elevata indica spesso la presenza della malattia. La determinazione della Hb A1c deve essere
eseguita ogni 1-3 mesi, per verificare che la glicemia sia ben controllata. Nei pazienti diabetici
scarsamente controllati, il suo valore oscilla tra il 9 e il 12%; l’obiettivo è quello di mantenere un livello
< 8%. Il dosaggio della fruttosamina è un altro indicatore indiretto del controllo glicemico. La
fruttosamina viene sintetizzata nel corso di una reazione chimica tra il glucoso e le proteine plasmatiche, e
fornisce indicazioni sul controllo della glicemia nelle precedenti 1-3 sett. Pertanto, questo test può
mostrare un’alterazione di tale controllo prima di quanto non faccia la Hb A1c, risultando spesso utile per
i pazienti sottoposti a trattamento intensivo e per i trial clinici a breve termine.
Prognosi e terapia
In occasione di tutte le visite mediche, nel paziente diabetico deve essere ricercata la presenza di sintomi
o segni di complicanze, eseguendo tra l’altro il controllo dei piedi, dei polsi arteriosi e della sensibilità dei
piedi e delle gambe e si deve effettuare un’analisi delle urine per verificare se c’è albuminuria. Gli esami
di laboratorio da eseguire annualmente comprendono la determinazione del profilo lipidico, dell’azotemia
e della creatininemia, l’ECG e una visita oculistica completa.
In termini di controllo glicemico, gli anziani devono essere trattati con il grado di aggressività consentito
dalle loro condizioni generali. L’iperglicemia è responsabile della maggior parte delle complicanze
microvascolari a lungo termine del diabete. Tra il livello della Hb A1c e la frequenza con cui si sviluppano
le complicanze esiste una relazione lineare; un valore di Hb A1c < 8% costituisce una soglia al di sotto
della quale sembra possibile prevenire la maggior parte delle complicanze. Pertanto, nel DM di tipo I, con
la terapia si deve cercare allo stesso tempo di intensificare il controllo metabolico, in modo da ridurre la
Hb A1c e di evitare gli episodi ipoglicemici. La terapia intensiva con i farmaci ipoglicemizzanti orali o con
l’insulina offre gli stessi benefici anche nel DM di tipo II. Tuttavia, nell’anziano, il trattamento può essere
difficile.
Il controllo del peso corporeo è importante. Nei pazienti diabetici sovrappeso, generalmente, l’obiettivo
terapeutico è proprio il calo ponderale. La sensibilità all’insulina aumenta quando i pazienti obesi
raggiungono un bilancio calorico negativo, il che si verifica entro alcune settimane dall’inizio di una dieta
dimagrante (cioè, molto tempo prima che si perda gran parte del peso corporeo in eccesso). Insieme alla
riduzione dell’iperglicemia, può migliorare anche la tossicità da glucoso e si può avere, così, un controllo
metabolico migliore. Per la percentuale significativa di diabetici più anziani di corporatura magra,
l’obiettivo da perseguire può essere il mantenimento del peso corporeo o addirittura la crescita ponderale.
Poiché questi pazienti hanno un deficit relativo di insulina, la terapia insulinica può far aumentare
l’appetito e facilitare il controllo del peso.
Il controllo dell’alimentazione è anch’esso importante e, spesso, si riesce a gestire meglio con la
collaborazione di un dietologo; frequentemente è necessario coordinare gli interventi con diverse figure
professionali sanitarie. Nei diabetici in terapia insulinica, il controllo dell’alimentazione ha lo scopo di
ridurre le variazioni di orario, di proporzione o di composizione dei pasti, che potrebbero rendere
inadeguato il regime insulinico prescritto e sfociare in un’ipoglicemia o in un’iperglicemia postprandiale
marcata. Tutti i pazienti in terapia insulinica necessitano di un controllo dettagliato dell’alimentazione,
che deve comprendere la prescrizione del loro apporto calorico totale quotidiano, le indicazioni per la
quota di carboidrati, lipidi e proteine nella dieta e le istruzioni per la distribuzione delle calorie tra i
diversi pasti e spuntini. Un dietologo potrà regolare il piano alimentare per venire incontro alle esigenze
del paziente; quanto più il piano è flessibile, tanto maggiori saranno le sue motivazioni.
L’attività fisica regolare è utile, specialmente per far bruciare calorie ai pazienti obesi. Inoltre,
l’esercizio fisico aumenta la sensibilità all’insulina (in altre parole, i pazienti rispondono meglio alle
iniezioni di insulina o all’insulina endogena). Tuttavia, perché questo effetto si verifichi, l’esercizio deve
essere di entità sufficiente a ridurre la frequenza cardiaca a riposo. Sebbene alcuni pazienti anziani non
siano in grado di intraprendere un programma di attività fisica intensa, tutti i diabetici devono essere
incoraggiati a fare movimento nella maggior misura possibile, dedicandosi specialmente alle passeggiate,
al nuoto e ad altre attività aerobiche. Va però tenuto presente che, nei pazienti in terapia insulinica,
l’esercizio fisico moderato o vigoroso può portare all’ipoglicemia, principalmente per l’aumento
dell’assorbimento del farmaco dalla sede dell’iniezione.

67
Terapia farmacologica: i farmaci antidiabetici orali vengono usati esclusivamente per il DM di tipo II.
La monoterapia o la terapia di associazione con tali farmaci è spesso efficace per avere un buon controllo
metabolico per molti anni. I farmaci antidiabetici orali comprendono gli antiiperglicemici (biguanidi,
inibitori dell’a-glucosidasi e tiazolidindioni) e gli ipoglicemizzanti (sulfaniluree e un analogo della
meglitinide). Contrariamente agli ipoglicemizzanti, gli antiiperglicemici causano raramente ipoglicemia e
devono essere utilizzati per i pazienti nei quali il diabete è stato diagnosticato precocemente.
La metformina (una biguanide) riduce la produzione di glucoso epatico e può aumentare la sensibilità
all’insulina. Essa deve essere considerata il farmaco di elezione per il trattamento dei pazienti obesi con
DM di tipo II diagnosticato di recente. Tuttavia, la metformina è controindicata nei pazienti nefropatici
(creatininemia ³ 1,4 mg/dl [³ 120 µmol/l]), nei pazienti di età ³ 80 anni (perché la loro funzione renale è
difficile da valutare) e nei pazienti epatopatici, alcolisti o in acidosi lattica; nella maggior parte dei
pazienti, essa non va utilizzata in occasione dei ricoveri ospedalieri per malattie acute. Come
monoterapia, il farmaco ha la stessa efficacia di una sulfanilurea (anche se, quando viene utilizzato da
solo, causa raramente ipoglicemia), mentre nella terapia di associazione con le sulfaniluree la sua azione è
sinergica. La metformina favorisce la perdita di peso e abbassa i livelli plasmatici dei lipidi. Essa riduce
di circa il 30-40% le complicanze legate al diabete (p. es., infarto miocardico) e i decessi dovuti alla
malattia. Gli effetti sfavorevoli GI sono frequenti, ma spesso sono transitori e possono essere prevenuti
sia assumendo il farmaco in corrispondenza dei pasti, sia aumentando gradualmente la dose (a intervalli
settimanali, di 500-850 mg/die, fino a 2,55 g/die).
La repaglinide, che attiva i segnali partenti dal recettore per le sulfaniluree, ha un’emivita e un’azione
biologica brevi, quindi la secrezione insulinica diminuisce dopo i pasti. Il farmaco ha lo stesso margine di
sicurezza delle sulfaniluree.
L’acarboso (un inibitore dell’a-glucosidasi) può essere ideale per i pazienti anziani con iperglicemia di
lieve entità (livelli glicemici a digiuno compresi tra 100 e 150 mg/dl [tra 5,6 e 8,3 mmol/l]) o con
iperglicemia postprandiale. Il farmaco inibisce competitivamente l’idrolisi degli oligosaccaridi e dei
monosaccaridi, ritardando la digestione dei carboidrati nell’intestino tenue e il loro successivo
assorbimento; ciò porta a un aumento meno marcato della glicemia postprandiale. Come monoterapia,
l’acarboso ha un effetto antiiperglicemico più debole della metformina e delle sulfaniluree. Nell’anziano
gli effetti sfavorevoli GI sono frequenti, ma spesso transitori. Il farmaco va assunto tre volte al giorno, in
corrispondenza dei pasti principali (con il primo boccone) e il dosaggio va aumentato gradualmente da
25 mg fino a 50-100 mg con ciascun pasto.
Il miglito [non disponibile in Italia, N.d.T.] (un altro inibitore dell’a-glucosidasi) ha efficacia ed effetti
sfavorevoli simili a quelli dell’acarboso.
I tiazolidindioni (p. es., pioglitazone, rosiglitazone, troglitazone [non più disponibile negli USA] [non
disponibili in Italia, N.d.T.]) sono farmaci che si sono aggiunti di recente alle opzioni terapeutiche per il
DM di tipo II. Queste sostanze aumentano la sensibilità all’insulina nel muscolo scheletrico e sopprimono
la secrezione epatica di glucoso. I tiazolidindioni hanno un effetto antiiperglicemico più debole della
metformina o delle sulfaniluree e più che altro trovano indicazione come farmaci di riserva per il
controllo della glicemia nei pazienti già in terapia con altri farmaci orali o con insulina. Il rosiglitazone e
il pioglitazone sono utili nei pazienti anziani con ridotta funzionalità renale, nei quali la metformina e le
sulfaniluree sono controindicate. Questi farmaci provocano un aumento del peso corporeo e possono
indurre piccole modificazioni dei livelli del colesterolo totale, di quello delle lipoproteine a bassa densità
(Low-Density Lipoprotein, LDL) e di quello delle lipoproteine ad alta densità (High-Density Lipoprotein,
HDL). Il troglitazone non è più in vendita negli USA, perché un preoccupante numero di pazienti che
assumevano il farmaco ha sviluppato un’epatopatia idiosincrasica; in alcuni è insorta un’insufficienza
epatica, che li ha portati al trapianto di fegato o alla morte. Anche il rosiglitazone può causare
epatotossicità, mentre il pioglitazone non sembra avere questo effetto.
Le sulfaniluree riducono la glicemia principalmente stimolando la secrezione insulinica, ma migliorano
anche la sensibilità all’insulina a livello periferico ed epatico. Differiscono le une dalle altre per la
potenza e la durata d’azione. Con tali farmaci, le reazioni allergiche e altri effetti sfavorevoli (p. es., ittero
colestatico) sono relativamente rari. Le sulfaniluree di 2 a generazione (p. es., glipizide, gliburide [non
disponibile in Italia, N.d.T.], glimepiride) sono circa 100 volte più potenti di quelle di 1 a generazione e si
assorbono rapidamente.
Tra le sulfaniluree di 1a generazione, l’acetoexamide [non disponibile in Italia, N.d.T.] può essere
utilizzata nei pazienti che sono allergici a questa categoria di farmaci. La clorpropamide non va utilizzata
nei pazienti anziani, perché ha un’emivita prolungata e può potenziare l’azione dell’ormone antidiuretico,
provocando spesso iponatriemia e compromissione delle condizioni mentali.
Per il trattamento iniziale, molti esperti preferiscono le sulfaniluree a durata d’azione più breve e la
maggior parte non raccomanda l’uso di un’associazione tra sulfaniluree diverse. La terapia comincia con
un dosaggio basso, che viene regolato dopo diversi giorni fino all’ottenimento di una risposta
soddisfacente o al raggiungimento della dose massima consigliata. Circa il 10-20% dei pazienti non
68
risponde alla terapia e i pazienti che non rispondono a una sulfanilurea, spesso, non rispondono neppure
alle altre. Di coloro che inizialmente rispondono, il 5-10% ogni anno va incontro a un successivo
fallimento. In questi casi, al trattamento con sulfaniluree si può aggiungere dell’insulina.
L’ipoglicemia, che è la complicanza più importante della terapia con sulfaniluree nell’anziano, si verifica
più spesso con i farmaci a lunga durata d’azione (p. es., gliburide, clorpropamide). L’ipoglicemia da
sulfaniluree può essere grave e dura per giorni dopo la sospensione del trattamento o recidiva. Pertanto,
tutti i pazienti in terapia con questi farmaci nei quali insorge un’ipoglicemia devono essere controllati
strettamente in ambito ospedaliero per 2 o 3 giorni.
La terapia di associazione spesso è utile, quando si impiegano contemporaneamente farmaci
antidiabetici orali con meccanismi d’azione differenti. Per esempio, è probabile che l’associazione di
metformina e gliburide riduca la Hb A1c in misura superiore del 2% circa alla gliburide da sola. Quando
vengono associati all’insulina, la metformina e i tiazolidindioni permettono di ridurre il dosaggio
dell’ormone, oltre a migliorare il controllo metabolico. Sebbene l’incidenza dell’ipoglicemia sia bassa
quando questi farmaci vengono associati all’insulina, ai pazienti bisogna insegnare a ridurre del 10-20% il
dosaggio giornaliero dell’ormone, quando la glicemia scende a valori tra 8 e 11 mmol/l.
Terapia insulinica: la maggior parte dei pazienti affetti da DM di tipo II non necessita di insulina. In
genere, una terapia con farmaci orali andrebbe provata prima adeguatamente. Spesso si preferisce
l’insulina umana, perché è meno antigenica di quelle animali. Ciò nonostante, livelli dosabili di anticorpi
anti-insulina, di solito molto bassi, si sviluppano nella maggior parte dei pazienti in terapia insulinica,
compresi quelli che utilizzano preparazioni di insulina umana.
L’insulina viene iniettata SC per mezzo di siringhe monouso. I pazienti che abitualmente assumono dosi
<50 U preferiscono in genere le siringhe da 1/2 ml, perché rendono più semplice la misura accurata delle
dosi insuliniche più piccole. Un dispositivo per l’iniezione di dosi multiple di insulina (p. es., NovolinPen
[non disponibile in Italia, N.d.T.]), comunemente denominato penna da insulina, fa uso di una cartuccia
che contiene il dosaggio corrispondente a diversi giorni di terapia. La precisione e la semplicità di questo
metodo possono risultare utili per i pazienti anziani. L’insulina deve essere conservata a bassa
temperatura, ma non deve mai essere congelata; in ogni modo, la maggior parte delle preparazioni
insuliniche è stabile a temperatura ambiente per mesi, il che semplifica il loro utilizzo negli ambienti di
lavoro e durante i viaggi. Alcuni pazienti anziani hanno difficoltà ad aspirare con precisione le dosi
dell’insulina. Questo compito può essere facilitato dalle lenti di ingrandimento e dalle guide per siringhe;
in alternativa, si possono far preparare le siringhe necessarie per tutta la settimana a un’infermiera al
domicilio del paziente.
Le preparazioni insuliniche possono essere ad azione rapida (o breve), ad azione intermedia o ad azione
prolungata. I valori abituali del tempo d’inizio, del tempo di picco e della durata dell’azione delle
preparazioni più comuni sono elencati nella tabella:
Inizio Picco Durata
Preparazione insulinica
dell’azione † dell’azione (h) dell’azione (h)
1
Ad azione rapida Lispro 0-15 min /2-11/2 4
Ad azione rapida regolare 15-30 min 2-4 6-8
Ad azione rapida semilenta (sospensione di zinco-insulina pronta) 1-2 h 4-9 10-16
Ad azione intermedia (NPH e lenta) 1-3 h 6-12 18-26
Ad azione prolungata (ultralenta e PZI) 4-8 h 14-24 28-36
* Gli ampi intervalli indicati dipendono dall’estrema variabilità esistente tra i pazienti.
† Iniezione sottocutanea.
NPH = protamina neutra di Hagedorn; PZI = insulina zinco-protamina.

Questi dati hanno un valore puramente indicativo, perché esiste una variabilità considerevole sia tra i
pazienti sia tra le diverse dosi della stessa preparazione nello stesso paziente. Spesso si somministrano
con un’unica iniezione miscele di preparazioni insuliniche aventi inizio e durata d’azione diversi,
aspirando dosi prefissate di due preparazioni nella stessa siringa, subito prima dell’uso. Il fattore decisivo
che determina l’inizio e la durata d’azione è la velocità di assorbimento dell’insulina dalla sede
dell’iniezione.
Il trattamento deve cominciare con la somministrazione di insulina neutra protamina di Hagedorn al
momento di coricarsi (Neutral Protamine Hagerdon, NPH). I pazienti affetti da DM di tipo II, che hanno
praticamente tutti un’insulino-resistenza significativa, generalmente hanno bisogno di più insulina rispetto
ai pazienti con DM di tipo I. In seguito, la dose giornaliera totale iniziale può essere suddivisa in modo da
somministrarne la metà prima di colazione, un quarto prima di cena e un quarto al momento di coricarsi.
Le eventuali variazioni del dosaggio, della preparazione e del tempo di somministrazione vengono
stabilite sulla base delle determinazioni della glicemia. Il dosaggio dell’insulina viene regolato in modo
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da mantenere la glicemia preprandiale tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra 4,4 e 8,3 mmol/l). Gli aumenti di
dosaggio, generalmente, non superano il 10% per volta e i loro effetti vengono valutati per circa 3 giorni
prima di procedere a qualunque ulteriore incremento. Se esiste un grave rischio di ipoglicemia, sono
indicate variazioni più rapide dell’insulina regolare.
Molti pazienti con diabete instabile migliorano passando a una terapia più intensiva o trattatando
efficacemente la loro disfunzione GI, spesso con la metoclopramide. Lo scopo non è quello di ottenere
una glicemia pressoché normale, ma di stabilizzarne le fluttuazioni mantenendole entro limiti che mettano
al riparo dall’insorgenza di un’iperglicemia e di un’ipoglicemia sintomatiche.
Complicanze della terapia insulinica: l’ipoglicemia può verificarsi a causa di un errore nel dosaggio
dell’insulina, di un pasto troppo piccolo o saltato, di uno sforzo fisico non programmato (ai pazienti
generalmente viene insegnato a ridurre il dosaggio dell’insulina o ad aumentare l’apporto di carboidrati
prima di un’attività fisica programmata) oppure senza alcuna causa evidente. I pazienti devono essere
istruiti al riconoscimento dei sintomi di ipoglicemia. Tuttavia, i pazienti in buon controllo metabolico
devono essere avvisati che potrebbero non avere mai sintomi adrenergici e che potrebbero perdere la
capacità di riconoscere un’ipoglicemia, anche se continueranno a essere esposti alla disfunzione del SNC
e potranno peggiorare rapidamente fino al coma. Tutti i pazienti diabetici devono portare con sé
caramelle, zollette di zucchero o compresse di glucoso. In circostanze di emergenza, sono di aiuto un
cartellino, un braccialetto o una collana di identificazione, sui quali sia specificato che il paziente è un
diabetico in terapia insulinica. I familiari devono essere istruiti alla somministrazione di glucagone per
mezzo di un dispositivo iniettivo di facile utilizzo.
Il fenomeno dell’alba si riferisce alla normale tendenza della glicemia ad aumentare nelle prime ore del
mattino, prima della colazione, caratteristica spesso accentuata nei pazienti con DM di tipo I e in alcuni
con DM di tipo II. La glicemia a digiuno aumenta per l’incremento della produzione epatica di glucoso,
che può essere secondaria al picco notturno dell’ormone della crescita. In alcuni diabetici, un notevole
aumento della glicemia a digiuno può seguire l’ipoglicemia notturna , con aumento dei chetoni plasmatici
(fenomeno di Somogyi).
Le reazioni allergiche locali nella sede delle iniezioni insuliniche sono meno frequenti con le insuline di
maiale purificate e con quelle umane. Queste reazioni possono produrre dolore e bruciore immediati,
seguiti alcune ore dopo da eritema, prurito e infiltrazioni locali; queste ultime, talvolta, persistono per
giorni. La maggior parte delle reazioni scompare spontaneamente dopo alcune settimane di iniezioni
insuliniche ripetute e non richiede alcun trattamento specifico, anche se talvolta vengono utilizzati gli
antiistaminici.
L’atrofia locale del tessuto adiposo o l’ipertrofia nella sede delle iniezioni sono relativamente rare e, di
solito, si riducono con l’insulina umana iniettata direttamente nella zona interessata. Per l’ipertrofia del
tessuto adiposo non è necessario alcun trattamento specifico, ma bisogna alternare le sedi delle iniezioni.
L’allergia all’insulina generalizzata (che solitamente è rivolta contro la molecola insulinica) è rara, ma
può comparire quando il trattamento viene sospeso e poi ripreso dopo un intervallo di mesi o anni.
Generalmente, la sintomatologia esordisce poco dopo l’iniezione e può comprendere orticaria,
angioedema, prurito, broncospasmo e, in alcuni casi, collasso circolatorio. Il trattamento antiistaminico
può essere di aiuto, ma è possibile che si debbano somministrare adrenalina e glucocorticoidi EV. Se, una
volta che le condizioni del paziente si siano stabilizzate, è necessario proseguire la terapia insulinica, un
medico di provata esperienza deve eseguire i test cutanei con una serie di preparazioni insuliniche
purificate e procedere alla desensibilizzazione.
La resistenza all’insulina consiste in un aumento del fabbisogno insulinico fino a 200 U/die e si associa
a un notevole incremento della capacità insulino-legante del plasma. La maggior parte dei pazienti trattati
con insulina per 6 mesi sviluppa anticorpi contro l’ormone. Nei pazienti con insulino-resistenza, il
fabbisogno può diminuire con il passaggio all’insulina di maiale purificata o a quella umana. Sono
possibili le remissioni spontanee. Il prednisone può ridurre il fabbisogno insulinico entro 2 sett.;
solitamente il trattamento comincia con circa 30 mg PO bid e viene scalato via via che il fabbisogno
diminuisce.
Terapia dei pazienti diabetici durante le malattie intercorrenti: molto spesso i pazienti diabetici sono
affetti da patologie concomitanti che aggravano l’iperglicemia (p. es., infezioni, malattia coronarica).
Anche il riposo a letto e una dieta regolare possono aggravare l’iperglicemia. Invece, se il paziente è
anoressico o vomita o se l’apporto alimentare è ridotto, la prosecuzione della terapia può provocare
un’ipoglicemia. Negli ospedali, viene comunemente utilizzata una scala variabile per la somministrazione
di insulina; tuttavia, tale scala non può essere l’unico intervento, perché è di tipo reattivo più che
propositivo.
I farmaci ipoglicemizzanti possono essere sospesi durante una patologia acuta associata alla riduzione
dell’apporto alimentare o in una con tendenza a provocare ipoglicemia (p. es., insufficienza renale). Se la
glicemia rimane elevata, si può aggiungere insulina. Tuttavia, i pazienti ospedalizzati con DM di tipo II
spesso stanno bene senza alcuna modificazione della loro terapia antidiabetica.
70
Poiché i pazienti con DM hanno un aumento del rischio di insufficienza renale acuta, le indagini
radiografiche che richiedono l’iniezione EV di mezzi di contrasto devono essere eseguite esclusivamente
in caso di assoluta necessità e solo quando il paziente è ben idratato.
Terapia dei pazienti diabetici durante gli interventi chirurgici: nei diabetici, gli effetti degli interventi
chirurgici (compresi lo stress emotivo precedente, gli effetti dell’anestesia generale e il trauma legato alla
procedura) possono aumentare notevolmente i livelli glicemici e causare la comparsa di una DKA nei
pazienti con DM di tipo I. La somministrazione di sulfaniluree va sospesa da 2 a 4 gg prima
dell’intervento ed è necessario misurare la glicemia subito prima e subito dopo l’intervento e ogni 6 h
durante la terapia infusiva EV. Dopo l’intervento, la somministrazione di metformina non va ripresa fino
a quando non viene confermato che la funzione cardiovascolare e quella renale sono normali. Nei
diabetici che, prima dell’intervento, mantengono una glicemia soddisfacente con la sola dieta o con la
terapia di associazione, l’insulina non è necessaria.
Aspetti riguardanti il paziente e la sua assistenza
A causa dell’evoluzione della tecnologia della terapia diabetica, del regime farmacologico multifattoriale
e delle inevitabili modificazioni dello stile di vita per il paziente, i diabetici, spesso, sono inviati a un
centro diabetologico. Il primo appuntamento deve seguire immediatamente la diagnosi iniziale e le altre
visite possono essere programmate su una base individuale, a seconda del successo o dell’insuccesso della
terapia istituita dal medico di base. Nell’educazione del diabetico anziano, vanno tenute in conto le sue
esperienze precedenti e scelti metodi e materiali di insegnamento che lo coinvolgano attivamente (p. es.,
opuscoli facilmente leggibili, tempo aggiuntivo per acquisire le giuste manualità).
L’educazione di gruppo può offrire il sostegno e la possibilità di socializzazione di cui gli anziani hanno
bisogno, è più economica rispetto alle sedute individuali e spesso incoraggia i pazienti anziani a
partecipare. Tra i fattori che possono influenzare l’apprendimento vi sono il processo di invecchiamento,
lo stato emotivo del paziente, le altre condizioni patologiche e la terapia farmacologica. Molti diabetici
anziani sono discenti entusiasti e motivati e si sentono coinvolti attivamente in tutti gli aspetti del loro
trattamento. Quando i pazienti anziani sono educati in maniera appropriata, riescono a controllare da soli
la loro glicemia con la stessa accuratezza dei pazienti più giovani. Il coinvolgimento dei familiari nel
processo di valutazione e di educazione del paziente è essenziale.
Ai pazienti bisogna fornire gli strumenti più appropriati per ovviare ad alcune delle loro limitazioni
(p. es., vista debole, manualità ridotta). Gli apparecchi glucometrici devono essere facili da usare, devono
avere un ampio display e una buona capacità di memoria e non devono richiedere alcuna pulizia.
I pazienti devono essere in grado di riconoscere le indicazioni alla richiesta immediata di un intervento
medico e praticare la cura dei piedi in maniera appropriata. I dietologi clinici hanno un ruolo importante
nell’educazione al controllo del peso corporeo e dell’alimentazione.
Ai pazienti in terapia insulinica bisogna insegnare a regolare le loro dosi di insulina sulla base
dell’automisurazione della glicemia, test che può essere eseguito con analizzatori domestici di facile
impiego, utilizzando una goccia di sangue prelevata dal polpastrello. Per ottenere quest’ultima è
consigliabile l’uso di una lancetta a scatto. La frequenza con cui eseguire l’automisurazione viene stabilita
individualmente. Idealmente, i pazienti in terapia insulinica devono dosare la loro glicemia tutti i giorni
prima dei pasti, 2 o 3 h dopo i pasti e al momento di coricarsi. Tuttavia, nella pratica, è possibile eseguire
da due a quattro misurazioni al giorno in orari differenti, in modo da poter fare una valutazione
complessiva dopo circa una settimana di trattamento.

XII. CURE PALLIATIVE, MORTE E ACCANIMENTO TERAPEUTICO


Dolore
Circa la metà dei pazienti terminali per cancro ha dolori gravi. Di questi pazienti, solo la metà ottiene
sollievo adeguato. Il dolore grave è meno frequente tra i pazienti con altre malattie terminali. Spesso, il
dolore persiste non perché non può essere controllato, ma perché i pazienti e i loro medici hanno giudizi
erronei circa il dolore e i farmaci utilizzati per controllarlo. L’approccio principale al controllo del dolore
è lo stesso, senza badare a quanto la malattia sia terminale.
Il trattamento deve essere individualizzato perché i pazienti percepiscono il dolore in maniera differente,
in rapporto in parte ad alcuni fattori quali astenia, insonnia, ansia, depressione e nausea. Un ambiente di
supporto può aiutare a controllare il dolore.
Deve essere scelto l’analgesico più disponibile e appropriato e deve essere somministrato mediante la via
meno invasiva possibile. La scelta di un analgesico dipende largamente dall’intensità del dolore. Gli
analgesici vanno somministrati regolarmente piuttosto che al bisogno; controllare il dolore dopo la sua
comparsa è più difficile che prevenirlo, in parte perché il dolore genera ansia. Formulazioni sostenute o a
rilascio continuo rendono più semplice la somministrazione regolare. Negli ospizi, gli infermieri, i
pazienti e i familiari diventano competenti nel fornire la dose adeguata o stabilire gli aggiustamenti.
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Le tecniche di modificazione del dolore come l’ipnosi, l’immaginazione mentale guidata, il counseling
per lo stress e l’ansia e metodi di rilassamento sono utilizzati per ridurre il dolore. In uno studio, i pazienti
con benessere spirituale e religioso percepivano il dolore come meno intenso.
Nei casi di dolore grave, persistente, la capacità di sentire il dolore, se si verifica, può essere eliminata
mediante tecniche neurochirurgiche o anestetici.
Dispnea
Per i pazienti morenti, la dispnea è uno dei sintomi più temuti e sconfortanti. La sua causa deve essere
trattata, se si può individuare, cioè, antibiotici per la polmonite o toracentesi per un’effusione pleurica. La
dispnea nei pazienti in stadio terminale deve essere soppressa quando la sua origine fisiologica può essere
individuata. L’ossigeno può essere confortante per il paziente e per i familiari anche quando non è
fisiologicamente benefico.
Quando si verifica affanno, può essere utilizzato un oppiaceo per rallentare la respirazione e alleviare
sintomi cronici lievi, permettendo al paziente di dormire più confortevolmente. La ritenzione di anidride
carbonica o la riduzione nei livelli di ossigeno spesso producono la dispnea, anche quando i livelli di
ossigeno sono ancora fisiologicamente adeguati. In tali casi, ridurre la risposta midollare può eliminate i
sintomi senza produrre effetti collaterali. 2,5 mg di morfina somministrati EV ogni 2-4 h o in infusione
continua possono essere una valida alternativa se la via orale non è disponibile o è troppo lenta. Le
benzodiazepine possono essere utilizzate per alleviare l’ansia.
Utili misure non farmacologiche comprendono ventilazione da una finestra aperta o con un ventaglio al
letto, tecniche di rilassamento e massaggio. Chi si occupa del paziente con la sua presenza calma può
aiutare a rasserenarlo.
Anoressia
L’anoressia, frequente tra i pazienti terminali, è, di solito, più sconfortante per i familiari che per il
paziente. Può essere necessario il counseling per aiutare i familiari ad accettare l’anoressia e considerare
l’inutilità della nutrizione enterale o parenterale.
Alcuni passi possono essere fatti per incrementare l’ingestione di cibo da parte del paziente. Per esempio,
se ingerire un vassoio di cibo completo è impossibile, sono raccomandate piccole porzioni, specialmente
di cibi preparati, e una scheda variabile per i pasti. Una piccola quantità di una delle bevande alcoliche
preferite dal paziente, servita 30 min prima dei pasti, può aiutare. Cibi con sapori o odori forti, talvolta,
stimolano l’appetito.
Basse dosi di corticosteroidi (p. es., desametasone 1 mg per bocca qid, prednisone 5 mg per bocca tid),
megestrolo acetato o antidepressivi triciclici possono anche migliorare l’appetito e il gusto. La
metoclopramide può aiutare, perché favorisce lo svuotamento gastrico. Comunque, possono non produrre
il massimo effetto terapeutico per 1 o 2 sett. e avere un effetto troppo lento per i pazienti terminali e
indurre discinesia tardiva. Il metilfenidato può migliorare l’appetito, ma, poiché può causare agitazione
disforica, la dose iniziale deve essere bassa e gli incrementi successivi devono essere effettuati
gradualmente e i pazienti devono essere controllati attentamente.
Solo raramente i pazienti terminali ricevono nutrizione enterale o parenterale. Prima di iniziare entrambe,
il medico deve discutere le indicazioni per la loro sospensione con il paziente e i familiari. L’interruzione
può essere difficile da accettare, perché spesso il cibo e l’acqua simbolizzano l’assistenza e l’affetto.
Comunque, il paziente e i familiari devono essere informati che i pazienti terminali possono sentirsi
meglio senza la somministrazione artificiale di cibo e acqua. Sorsi di acqua o cibi semplici da deglutire
(p. es., sorbetti, gelatina) possono essere più appropriati.
Dopo aver preso la decisione di interrompere la somministrazione artificiale di cibo e acqua, l’assistenza
di supporto è d’obbligo. Tale assistenza comprende fornire una buona igiene orale (spazzolare i denti,
sciacquare il cavo orale, applicare protezioni per le labbra e fornire ghiaccio per la bocca secca). L’igiene
orale è un servizio fisiologicamente e fisicamente confortante che i familiari possono eseguire per il
proprio caro.
Nausea e vomito
Molti pazienti terminali sperimentano nausea, spesso senza vomito. Nausea e vomito possono essere
causati da stipsi, ridotto svuotamento gastrico, ostruzione intestinale, effetti centrali degli oppiacei,
aumento della pressione intracranica, gastrite, ulcera peptica, ipercalcemia, uremia o tossicità
farmacologica. Trattamenti specifici possono essere giustificati se la causa è facile da trattare (come per
l’ipercalcemia o la stipsi), specialmente se il trattamento fa sentire meglio il paziente. Come gli analgesici
per il controllo del dolore, gli antiemetici devono essere somministrati regolarmente (non “al bisogno”
quando i sintomi sono gravi) per prevenire la nausea e migliorare il benessere del paziente.
Trattamenti non specifici (p. es., con fenotiazine come proclorperazina) sono indicati quasi sempre. Le
fenotiazine sono più efficaci perché agiscono sul recettore chimico midollare. Comunque, possono avere
effetti anticolinergici. La proclorperazina somministrata al dosaggio di 5-10 mg PO da tre a cinque volte

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al giorno può essere somministrata profilatticamente. Se il vomito preclude la somministrazione orale, il
farmaco può essere somministrato per via rettale (25 mg bid) o parenterale IM (5-10 mg ogni 3-4 h; dose
massima, 40 mg/die).
La metoclopramide (10-20 mg PO ogni 6-8 h o 1-2 mg/h in infusione continua SC) può essere usata
quando nausea e vomito sono provocati dalla riduzione della peristalsi, poiché il farmaco aumenta la
peristalsi e rilascia lo sfintere pilorico. Altri antiemetici utili includono corticosteroidi (p. es.,
desametasone 4 mg PO ogni 8 h o prednisone 5 mg PO bid) e antiistaminici (p. es., idrossizina a 10-25
mg IM tid o dimenidrinato a 50 mg PO ogni 4-6 h). L’aggiunta di lorazepam a 0,5-2 mg sublinguali è
utilizzata per alleviare la nausea dovuta a cause non specifiche o multiple.
L’ondansetron (4-8 mg endovena o PO ogni 6-12 h) può controllare la nausea e il vomito dovuti alla
chemioterapia o a interventi chirurgici. Comunque, questo farmaco è molto più costoso degli altri
antiemetici. I cannabinoidi, principali sostanze psicoattive contenute nella marijuana, sono usati
principalmente per il trattamento della nausea e del vomito dovuti a chemioterapia. Questi farmaci
producono un’alterazione dello stato mentale non ben tollerata da molte persone anziane.
Se si verifica vomito da ostruzione intestinale in un paziente terminale, si raccomanda il trattamento
conservativo senza risoluzione dell’ostruzione. Talvolta, rallentare la peristalsi o l’intestino con la
morfina e gestire la secchezza della bocca con ghiaccio è preferibile che effettuare l’aspirazione gastrica o
chirurgica continua. L’aspirazione nasogastrica, eccetto che come misura a breve termine, è difficile da
realizzare in pazienti particolarmente sensibili. L’octreotide a 150 mg IM bid o a 300 mg/die in infusione
continua SC combinata con un oppiaceo (con adattamento della dose basato sulla risposta del paziente) è
un efficace presidio non chirurgico per l’ostruzione intestinale. Questa combinazione può bloccare le
secrezioni, ridurre la distensione intestinale e alleviare i crampi.
Stipsi
I medici spesso sottostimano l’importanza della regolarità dei movimenti intestinali per confortare il
paziente terminale. La stipsi è frequente tra i pazienti terminali poiché essi sono inattivi, consumano
poche fibre alimentari, sono disidratati o ricevono oppiacei o farmaci anticolinergici. I lassativi devono
essere somministrati profilatticamente per prevenire la formazione di fecalomi. Un ammorbidente per le
feci (fibre solubili o insolubili o sodio docusato) generalmente viene somministrato prima. Comunque,
molti pazienti in terapia con oppiacei richiedono anche un lassativo (p. es., casantranolo, senna, cascara
sagrada, bisacodile).
Se il paziente non presenta defecazione entro 48 h dall’inizio della terapia, si può fare uso di un lassativo
osmotico (p. es., lattuloso, sali di magnesio, clistere di fosfato). I lassativi osmotici stimolano la funzione
gastrointestinale indirettamente, incrementando la componente liquida delle feci. Il lattuloso, un
disaccaride semisintetico non idrolizzato da enzimi intestinali, è efficace specialmente come lassativo
osmotico per molti pazienti allettati; comunque, è costoso. Il sorbitolo, di solito, è efficace allo stesso
modo ed è molto meno costoso.
Se un paziente non ha presentato defecazione entro 3 giorni e si constata la presenza di feci
all’esplorazione rettale, si somministra una supposta di glicerina o di bisacodile. Se non si verifica
defecazione, si effettua un clistere di soluzione salina.
Diarrea
Se si verifica diarrea, si effettua un esame addominale per escludere la presenza di fecalomi. Tutti i
lassativi, compresi gli emollienti delle feci, vengono sospesi. Se la diarrea è grave, al paziente devono
essere somministrati liquidi chiari e carboidrati blandi. Altri cibi possono essere aggiunti, se i sintomi lo
permettono. Per i pazienti gravemente disidratati, si possono somministrare elettroliti per bocca, EV o SC
per confortare più rapidamente il paziente.
Spesso, la diarrea va eliminata con trattamenti non specifici: gli oppiacei, la loperamide inizialmente a 4
mg PO, poi a 2 mg per evacuazione diarroica (fino a 16 mg/die) o 2 tavolette di atropina difeossilato (5
mg [2,5 mg ognuna come difenossilato]) PO dopo ogni evacuazione diarroica, fino a qid. Comunque,
possono essere necessari trattamenti più specifici: per tumori carcinoidi o per la sindrome
postgastrectomia, l’octreotide a 150-300 mg SC bid o a 300 mg in infusione continua EV/24 h; per micosi
dovute a immunosoppressione, clotrimazolo a 10-20 mg PO tid o fluconazolo (la prima dose è di 200 mg
PO, poi 100 mg PO una volta/die per ³ 14 gg); per insufficienza pancreatica, 1-2 tavolette al pasto di
enzimi pancreatici come pancreatina e metà dose a ogni spuntino. L’ossido di zinco aiuta ad alleviare
l’irritazione attorno all’ano e creme cortisoniche (per 1-2 gg) aiutano ad alleviare la macerazione o
l’infiammazione.
Ulcere da decubito
Molti pazienti terminali sono immobili, scarsamente nutriti e cachettici; perciò, sono a grande rischio di
sviluppare ulcere da decubito. La più importante misura preventiva è ruotare il paziente ogni 2 h, usando

73
materassi speciali o un letto gonfiabile ad aria. L’uso di un catetere urinario è giustificato solo quando il
paziente lamenta dolore con i cambiamenti di posizione a letto o quando i familiari lo richiedono.
Confusione
La confusione è frequente durante lo stadio terminale della malattia. Le cause includono terapia
farmacologica, ipossia, disturbi metabolici e disturbi intrinseci del sistema nervoso centrale. La
confusione è trattata se la causa può essere determinata e se il trattamento consente al paziente di
comunicare in maniera più cosciente con familiari e amici. Se il paziente è tranquillo e meno consapevole
di ciò che lo circonda, negare il trattamento può essere preferibile. I sedativi (p. es, benzodiazepine)
possono aiutare i pazienti agitati e basse dosi di aloperidolo (0,25-0,5 mg PO o 2,5 mg IM ogni 4-8 h alla
sera) possono aiutare i pazienti che hanno sogni irrequieti o allucinazioni spaventose. Nuovi antipsicotici,
come risperidone (0,5 mg PO alla sera o bid) o olanzapine (2,5 mg PO alla sera) possono avere effetti
collaterali minori dell’aloperidolo.
Tristezza e depressione
Molti pazienti terminali presentano tristezza. La tristezza può essere dovuta a rammarico circa la vita o
preoccupazione per problemi legali, sociali o economici. Fornire supporto psicologico e permettere a un
paziente di esprimere preoccupazioni e sentimenti è il protocollo migliore e più semplice di
comportamento. Aiutando un paziente e i familiari nel fronteggiare problemi non risolti si può ridurre
l’ansia. Un assistente sociale esperto, un medico, un’infermiera o un cappellano possono aiutare con i
conflitti che separano un paziente da familiari, amici, chiesa o Dio. Devono essere valutati segni
vegetativi, inclusi i disturbi del sonno; può essere giustificata la farmacoterapia.
Gli antidepressivi sono riservati a quei pochi pazienti che presentano depressione persistente e
clinicamente significativa. Tali pazienti possono trarre beneficio da una bassa dose di un antidepressivo
(p. es., paroxetina 10 mg PO) dati una volta al giorno al mattino o alla sera. Ai pazienti con depressione e
agitazione sono somministrati abitualmente antidepressivi triciclici (p. es., amitriptilina 10-25 mg PO alla
sera), con l’aggiunta di un altro sedativo, quando necessario. Durante le ultime settimane di vita, un
antidepressivo, talvolta, garantisce un sonno tranquillo, mentre allevia la depressione. Per i pazienti
terminali, i dubbi principali riguardanti i possibili effetti cardiaci e neurologici non sono importanti.
Ai pazienti con depressione e insonnia importanti si possono somministrare trazodone a 25-50 mg PO/die
alla sera, aumentati di 25-50-mg/die ogni 3 gg per i pazienti ricoverati e settimanalmente per i pazienti
ambulatoriali, se ben tollerati, fino a un massimo di 300 mg/die. Gli effetti collaterali comprendono
sedazione diurna eccessiva. Gli antidepressivi triciclici (p. es., amitriptilina, doxepina) sono alternative
efficaci per il trattamento dell’insonnia; comunque, fastidiosi effetti anticolinergici si verificano spesso.
Inibitori selettivi del reuptake della serotonina, che hanno effetti collaterali minori, sono appropriati
quando la depressione non è associata a insonnia. La paroxetina a 10 mg PO, la fluoxetina a 10 mg PO e
la sertralina a 25 mg PO, tutti dati una volta/die al mattino, e la venlafaxine a 25 mg PO bid o tid, sono
usati più comunemente.
Per i pazienti poco socievoli o con segni vegetativi, il metilfenidato, inizialmente a 2,5 mg una volta/die
alla mattina (con dosi aggiustate sulla risposta individuale), può aiutare. Questo farmaco ha un inizio di
azione rapido e effetti collaterali minori rispetto alla maggior parte degli antidepressivi, ma può causare
agitazione.
Ansia e agitazione
L’ansia e l’agitazione possono essere conseguenti a situazioni gestibili quali il dolore, il distress
respiratorio, la deprivazione del sonno, l’eccessivo riempimento vescicale, i fecalomi e la nausea o la
terapia farmacologica (p. es., corticosteroidi, oppiacei).
La terapia di supporto, compreso ascoltare e parlare con i pazienti, deve precedere e supportare la terapia
farmacologica. Talvolta, i sintomi di ansia e agitazione possono essere trattati con la semplice
rassicurazione. La meditazione, la preghiera, la musi-terapia e il massaggio spesso sono utili.
Se è indicato il trattamento farmacologico, le benzodiazepine sono i farmaci di scelta. Il lorazepam a 0,5
mg PO, SC o sublinguale ogni 4 h è efficace. La dose e l’intervallo tra le dosi sono regolati, quando
necessario. Per la psicosi o l’agitazione grave, possono essere utilizzati l’aloperidolo a 0,25 mg PO o EV
ogni 4-6 h o la clorpromazina a 10 mg EV o 25 mg PO o rettale ogni 6-8 h per i casi acuti e aumentando
la dose, quando necessario. Per la dose di mantenimento di un antipsicotico, l’olanzapine (2,5 mg PO alla
sera) o risperidone (0,5 mg PO alla sera) possono avere effetti collaterali minori dell’aloperidolo. Se
inizia una crisi e non è disponibile alcun accesso venoso, una iniezione di lorazepam 1-2 mg IM o
diazepam 2-5 IM può calmare il paziente, mentre il medico stabilisce la terapia più adeguata per il
trattamento a lungo termine. Se le terapie di prima linea non controllano l’agitazione associata a una
malattia terminale, un bolo di midazolam 5 mg SC, seguito da 1 mg/h in infusione continua, è efficace,
ma costoso. La dose è aumentata o ridotta in base al livello di coscienza del paziente e alla recidiva dei
sintomi.

74
Insonnia
L’insonnia è un sintomo, non una diagnosi. La depressione e l’ansia sono le cause principali
dell’insonnia; altre cause includono un ambiente rumoroso, il dolore, la mancanza di attività, disturbi
metabolici e farmaci. Cause sottostanti e ambientali devono essere determinate e trattate o modificate, se
possibile. La terapia farmacologica è utile. Il trazodone a 25-50 mg PO alla sera o un ipnotico (p. es.,
zolpidem a 5 mg PO alla sera) possono essere utili. Terapie di rilassamento, come la meditazione, il
rilassamento muscolare progressivo, esercizi di respirazione profonda e ascoltare registrazioni di
rilassamento, possono essere utili.
Stress
All’avvicinarsi della morte, i pazienti possono sentire stress dovuto alla paura dell’abbandono e della
separazione, ansia, sentimenti di perdita della speranza o perdita di autostima, poiché la loro immagine
corporea è alterata. I familiari che assistono il paziente a casa possono presentare stress fisico ed emotivo.
Lo stress è maggiore quando la morte è inaspettata o quando conflitti interpersonali impediscono ai
pazienti e ai familiari di condividere i loro ultimi momenti insieme. Tali conflitti possono causare
angoscia per i pazienti e portare a eccessivo senso di colpa.
Quando muore un coniuge o un partner, la sopravvivenza può essere soggiogata dalla prospettiva di
prendere decisioni legali o finanziarie o di gestire faccende domestiche. La morte di un coniuge o di un
partner può rivelare alterazione cognitiva o altri deficit nel sopravvissuto, per il quale la persona
scomparsa era motivo di compenso. Lo stress è anche più alto nel sopravvissuto se gli amici o i familiari
non lo aiutano. I medici e il rimanente personale sanitario devono identificare queste situazioni ad alto
rischio in modo da mobilizzare le risorse necessarie a prevenire sofferenze e disfunzioni.
Di solito, il trattamento migliore per i pazienti terminali e i familiari con stress è la compassione,
l’informazione, il counseling, e, occasionalmente, la psicoterapia per qualche tempo. Oltre a un medico,
gli altri operatori sanitari, come l’assistente sociale, gli infermieri e i cappellani, possono offrire tale aiuto.
I sedativi vanno usati poco e solo brevemente.
L’approccio del gruppo di assistenza aiuta a prevenire e alleviare lo stress; nessun assistente può essere
disponibile 24 h al giorno e abilità e prospettive fornite da diverse discipline si rendono necessarie per
trattare i differenti aspetti dell’assistenza. Assistenza palliativa o gruppi organizzati per la palliazione
devono anticipare il potenziale problema e rendere gli interventi appropriati, come ottenere i supporti o gli
oppioidi in emergenza. Quando la morte è imminente, un membro del gruppo esperto può confortare i
familiari e può prevenire una chiamata inappropriata ai servizi di emergenza dovuta al panico.
I membri del gruppo possono sentire stress e sofferenza insieme al paziente o ai familiari, se troppo
coinvolti. Questo coinvolgimento può essere mitigato da un ambiente di lavoro accogliente e da un
personale di supporto che condivide abitualmente la sofferenza del paziente e dei familiari.
Sofferenza
Soffrire è un processo normale che, di solito, comincia prima di una morte prematura. Per i pazienti,
spesso, inizia con il rifiuto causato dalla paura circa la perdita di controllo, la separazione dai cari,
l’incertezza sul futuro e la sofferenza. I membri del personale possono aiutare i pazienti ad accettare la
prognosi ascoltando le loro preoccupazioni, aiutandoli a capire che non necessariamente perderanno il
controllo, spiegando loro cosa probabilmente li aspetta e assicurandoli che il dolore e gli altri sintomi
saranno controllati.
I familiari possono richiedere supporto nell’esprimere e nel gestire il proprio dolore. Qualsiasi membro
del personale che conosce il paziente e la famiglia può aiutarli in questo processo e indirizzarli, se
necessario, verso servizi professionali specifici. I medici e gli altri membri del personale, compresi i
cappellani, devono sviluppare procedure regolari che assicurano il follow-up del dolore dei familiari.

75
6-7. LA VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE
Processo multidimensionale elaborato per valutare la capacità funzionale, la salute fisica, cognitiva e la
salute mentale e la situazione socio-ambientale dell’anziano.
La valutazione geriatrica globale differisce dalla valutazione medica standard in quanto include domini
non medici, che pongono attenzione alla capacità funzionale e alla qualità di vita e che, spesso, si basano
sul lavoro di gruppi interdisciplinari. Questa valutazione aiuta nella diagnosi dei problemi legati alla
salute, nello sviluppo di piani di trattamento e follow-up, nella coordinazione dell’assistenza, nella
determinazione della necessità di assistenza a lungo termine e della sua eventuale sede e nell’uso ottimale
delle risorse sanitarie. La valutazione geriatrica globale del paziente fragile o cronico può migliorare la
sua assistenza e i risultati clinici. I possibili benefici includono maggiore accuratezza diagnostica,
miglioramento dello stato funzionale e mentale, ridotta mortalità, riduzione dei ricoveri in case per
anziani e ospedali e maggiore soddisfazione per l’assistenza ricevuta. Comunque, i costi dei programmi
della valutazione geriatrica globale ne hanno limitato l’uso. Sebbene alcune valutazioni costo-efficacia
suggeriscano che questi programmi possono far risparmiare denaro, pochi programmi operano in sistemi
integrati che possono portare tali vantaggi. L’uso più ampio della valutazione geriatrica globale, pertanto,
ha uno sviluppo lento. Un approccio alternativo è quello di effettuare valutazioni meno estese negli uffici
di assistenza o nei reparti di emergenza.
Uno strumento di valutazione progettato per aiutare il medico di base, gli infermieri e il rimanente
personale sanitario al fine di eseguire una pratica, efficiente valutazione, è descritto nella tabella sotto.
Competenza Aspetti da valutare
Abilità funzionale Grado di difficoltà a mangiare, a vestirsi, a lavarsi, a spostarsi dal letto e dalla sedia, a usare la toilette, a
giornaliera controllare vescica e intestino
Grado di difficoltà a preparare i pasti, a effettuare i lavori di casa, a assumere i farmaci, a fare delle
commissioni (p. es., la spesa), a gestire i soldi, a far uso del telefono
Dispositivi di Uso di dispositivi personali (p. es., bastone, deambulatore, sedia a rotelle, ossigeno)
assistenza Uso di dispositivi ambientali (p. es., barre di appoggio, sedile da doccia, letto di tipo ospedaliero)
Personale di
Uso di personale retribuito (p. es., infermieri, aiuti domiciliari)
assistenza
Uso di personale non retribuito (p. es., familiari, amici, volontari)
Farmaci Nome del farmaco usato sotto prescrizione
Nome del farmaco usato senza prescrizione
Stato di
Altezza, peso e stabilità del peso (il paziente ha perso 4,54 kg negli ultimi 6 mesi senza volerlo?)
nutrizione
Regolarità della misurazione della pressione arteriosa, test del guaiaco per sangue occulto nelle feci,
Misure preventive sigmoidoscopia, vaccinazioni (influenza, pneumococco, tetano), determinazione dell’ormone tireo-stimolante,
e cure dentali; assunzione di calcio e vitamina D; regolarità dell’esercizio fisico; uso di rilevatori di fumo
Per le donne, regolarità del Pap-test e mammografia
Cognizione Abilità a ricordare tre oggetti dopo 1 min
Stato emotivo Sentimenti di tristezza, depressione, o disperazione
Mancanza di interesse o piacere nell’eseguire le cose
Ultime volontà Volontà di vivere
Disposizione di un procuratore con poteri a lunga durata per l’assistenza sanitaria
Uso di alcol determinato dal questionario CAGE
Sostanze di abuso
Uso di sigarette
Andatura,
Numero di cadute negli ultimi 6 mesi
equilibrio
Tempo necessario per alzarsi da una sedia, camminare 3,05 m, girarsi, ritornare e sedersi
Massima estensione in avanti per raggiungere un oggetto dalla posizione eretta
Capacità
Abilità a ripetere 3 numeri sussurrati 60 cm dietro la testa
sensoriali
Abilità a leggere un pannello di Snellen a 20/40 o più (con lenti correttive, se necessario)
Estremità
Abilità a riunire le mani dietro la testa e la schiena
superiori

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DOMINI DI VALUTAZIONE
La valutazione geriatrica globale è più efficace quando condotta da un gruppo interdisciplinare di
geriatria, che include in genere un geriatra, un’infermiera, un assistente sociale e un farmacista. Per la
maggior parte dei pazienti anziani, l’ambulatorio è un contesto sufficiente e relativamente costoso per la
valutazione; la valutazione geriatrica globale non richiede in genere la tecnologia o il monitoraggio
intensivo disponibile in sede di emergenza. Comunque, i pazienti con disturbi fisici o mentali possono
avere difficoltà nel prendere appuntamenti e i malati cronici che necessitano di riposo durante la
valutazione richiedono il ricovero per la valutazione stessa.
I domini principali valutati in tutti i tipi di valutazione geriatrica sono rappresentati dalla capacità
funzionale, dalla salute fisica, cognitiva e dalla salute mentale e dalla situazione socioambientale.
Strumenti standardizzati rendono la valutazione di questi domini più affidabile ed efficiente. Inoltre, essi
facilitano la comunicazione di informazioni cliniche tra il personale sanitario e il monitoraggio delle
modificazioni delle condizioni del paziente nel tempo.
Capacità funzionale: la valutazione geriatrica globale inizia con una revisione delle principali categorie
della capacità funzionale: le attività quotidiane non strumentali (ADL) e strumentali (IADL). Le ADL
sono le attività autonome che una persona deve eseguire ogni giorno (p. es., mangiare, vestirsi, lavarsi,
spostarsi dal letto alla sedia, utilizzare il bagno, controllare lo sfintere vescicale e anale). I pazienti
incapaci di eseguire queste attività e di nutrirsi adeguatamente, di solito, richiedono un supporto per 12-
24 h al giorno. Le IADL sono attività che consentono a una persona di vivere indipendentemente in una
casa o un appartamento (p. es., prepare i pasti, effettuare lavori domestici, assumere farmaci, andare in
giro, gestirsi economicamente, utilizzare un telefono). Strumenti affidabili per misurare la capacità del
paziente a eseguire le ADL e le IADL e per determinare il tipo di assistenza richiesta comprendono la
Scala ADL di Kats e la Scala IADL di Lawton. I deficit nelle ADL e nelle IADL indicano la necessità di
ulteriori informazioni circa la situazione socio-ambientale del paziente. Quando le persone anziane
richiedono aiuto per effettuare queste attività, il rischio di diventare più dipendenti aumenta.

Scala di KATZ per le attività quotidiane


Attività Osservazioni Punteggio
Mangiare Mangia senza assistenza 2
Necessita di assistenza solo per tagliare la carne o spalmare il burro sul pane 1
Necessita di aiuto per mangiare o è alimentato endovena 0
Vestirsi Si veste senza assistenza 2
Necessita di assistenza solo per allacciarsi le scarpe 1
Necessita di aiuto per vestirsi o rimane parzialmente vestito 0
Bagno Fa il bagno senza assistenza 2
Necessita di assistenza solo per lavare una parte del corpo (p. es.,la schiena) 1
Necessita di aiuto per lavarsi più di una parte del corpo o non si lava 0
Si muove dentro e fuori del letto e della sedia senza assistenza (può usare un bastone o
Spostamenti 2
deambulatore)
Necessita di aiuto per spostarsi dentro e fuori del letto o della sedia 1
Confinato a letto 0
Uso delle Va al bagno, usa le toilette, si pulisce da solo, si sistema i vestiti, e ritorna senza assistenza (può
2
toilette usare un bastone o un deambulatore come supporto e può usare la padella o un orinatoio di notte)
Necessita di aiuto per andare in bagno, usare le toilette, pulirsi, sistemarsi i vestiti o per ritornare 1
Non va in bagno per la minzione o la defecazione 0
Continenza Controlla vescica e intestino completamente (senza incidenti occasionali) 2
Occasionalmente perde il controllo di vescica e intestino 1
Necessita di supervisione per controllare vescica o intestino, richiede l’uso di un catetere, o è
0
incontinente
Modificata da Katz S, Downs TD, Cash HR, et al: “Progress in the development of the index of ADL.” Gerontologist 10:20-30,
1970. Copyright © The Gerontological Society of America.

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Scala di LAWTON per le attività strumentali della vita quotidiana*
Attività Punteggio
Potete preparare il vostro pasto senza aiuto, 2
con un po’ di aiuto, o 1
siete completamente incapaci a preparare qualunque cibo? 0
Potete fare i vostri lavori di casa o un
senza aiuto, 2
lavoro manuale
con un po’ di aiuto, o 1
siete completamente incapaci di fare qualunque lavoro di casa? 0
Potete farvi il vostro bucato senza aiuto, 2
con qualche aiuto, o 1
siete completamente incapaci di fare qualsiasi bucato? 0
Sapete o potete prendere i farmaci
senza aiuto (cioè, la dose giusta al momento giusto), 2
prescritti
con qualche aiuto (cioè, qualcuno prepara il farmaco e/o vi ricorda di 1
prenderlo), o
siete completamente incapaci di prendere i farmaci prescritti senza aiuto? 0
Vi potete spostare per lunghe distanze senza aiuto, 2
con qualche aiuto, o 1
siete completamente incapaci di viaggiare senza che siano presi degli
0
accorgimenti speciali?
Potete andare a fare degli acquisti al
senza aiuto, 2
mercato alimentare
con qualche aiuto, o 1
siete completamente incapaci di fare qualunque tipo di acquisti? 0
Potete gestire i vostri soldi senza aiuto, 2
con qualche aiuto, o 1
siete completamente incapaci di gestire il denaro? 0
Potete servirvi del telefono senza aiuto, 2
con qualche aiuto, o 1
siete completamente incapaci di utilizzare il telefono? 0
*Alcune domande possono essere specifiche per un determinato sesso e possono essere modificate dall’ intervistatore.
† Il massimo punteggio è 16, sebbene i punteggi abbiano un significato solo per un particolare paziente (p. es., la diminuzione del
punteggio nel tempo rivela deterioramento).
Adattato con autorizzazione da M Powell Lawton, PhD, Director of Research, Philadelphia Geriatric Center, Philadelphia.

Salute fisica: l’approccio all’anamnesi e all’esame obiettivo deve essere specifico per la geriatria. In
particolare, vanno indagati la vista, l’udito, la continenza, l’andatura e l’equilibrio. Uno strumento di
valutazione valido è rappresentato dalla valutazione dell’andatura e dell’equilibrio di Tinetti (Tinetti
Balance and Gait Evaluation).
Salute cognitiva e mentale: sono stati testati e validati diversi test di screening per le disfunzioni
cognitive; il Mini-Mental State Examination è diffuso perché testa in maniera efficiente la maggior parte
degli aspetti della funzione cognitiva. Dei diversi strumenti di screening validati per la depressione, la
Scala Geriatrica di Depressione e la Scala di Depressione di Hamilton sono le più facili da utilizzare e le
più largamente adottate. Comunque, uno strumento di screening a due domande (“Durante gli ultimi mesi
è stato colpito da sentimenti di tristezza, depressione o perdita di speranza? È colpito spesso da mancanza
di interesse o di piacere nel fare le cose?“) ha la stessa efficacia di queste lunghe scale. Sintomi
psichiatrici specifici (p. es., paranoia, delusione, anomalie comportamentali) sono testati nella valutazione
psicologica, ma sono meno facilmente quantificabili e raramente sono compresi nei test comuni.

78
FIG. 38-1. Schema del Mini-Mental State
Examination. Nota: Un punteggio <26 può
indicare la necessità di un’ulteriore
valutazione. Tuttavia, le prestazioni
cognitive misurate con questo test sono
funzione dell’età del paziente e del suo
livello di istruzione, come descritto da Crum
RM, et al: “Population-based norms for the
Mini-Mental State Examination by age and
educational level.” Journal of the American
Medical Association 269:2386-2391, 1993.
(Adattato da Mini-Mental State Examination,
copyright 1975 e 1998 Mini Mental LLC.)

Geriatric depression scale (forma breve)


1. È fondamentalmente soddisfatto della sua vita? Sì No
2. Ha abbandonato molte delle sue attività e dei suoi interessi? Sì No
3. Sente che la sua vita è vuota? Sì No
4. Si annoia spesso? Sì No
5. È di buon umore la maggior parte del tempo? Sì No
6. Ha paura che qualcosa di brutto stia per succederle? Sì No
7. Si sente più felice nella maggior parte del tempo? Sì No
8. Si sente spesso impotente? Sì No
9. Preferisce restare a casa piuttosto che uscire e fare cose nuove? Sì No
10. Ritiene di avere più problemi con la memoria della maggior parte delle persone? Sì No
11. Pensa che la vita sia meravigliosa? Sì No
12. Si sente piuttosto inutile così com’è? Sì No
13. Si sente pieno di energie? Sì No
14. Ha l’impressione che la sua situazione sia disperata? Sì No
15. Pensa che la maggior parte delle persone sia migliore di lei? Sì No
Normale 3±2
Punteggio: ___/15
Lievemente 7±3
Un punto per “No” alle domande 1, 5, 7, 11, 13
depresso
Un punto per “Sì” alle altre domande
Molto depresso 12 ± 2

Adattata da Sheikh JI, Yesavage JA: “Geriatric depression scale (GDS): Recent evidence and development of a shorter version,”
in Clinical Gerontology: A Guide to Assessment and Intervention, edited by TL Brink. Binghamton, NY, Haworth Press, 1986,
pp. 165-173. © By The Haworth Press, Inc. Tutti i diritti riservati. Riproduzione autorizzata.

79
HAMILTON DEPRESSION RATING SCALE*
Manifestazione † Punti di ancoraggio
0 Assente
1 Indica questi sentimenti solo su richiesta
Umore depresso
2 Riferisce spontaneamente questi sentimenti
(tristezza, impotenza,
3 Comunica questi sentimenti in modo non verbale (cioè, attraverso l’espressione del volto,
disperazione, inutilità)
l’atteggiamento, la voce e una tendenza a piangere)
4 Riferisce quasi esclusivamente questi sentimenti nella comunicazione spontanea verbale e non verbale
0 Assente
1 Mostra segni di auto-rimprovero; ha l’impressione di aver deluso gli altri
2 Ha idee di colpa o rimugina su errori passati o azioni deplorevoli
Sensi di colpa
3 Considera la malattia attuale come una punizione; ha deliri di colpa
4 Sente voci di accusa o di denuncia, manifesta allucinazioni visive minacciose o presenta tutti e due i
tipi di percezioni
0 Assenti
1 Ha l’impressione che non vale la pena vivere
Idee di suicidio 2 Desidera essere morto o pensa a una possibile morte
3 Esprime idee di suicidio o compie gesti di suicidio
4 Tentativi di suicidio (ogni tentativo serio totalizza 4)
0 Non ha difficoltà ad addormentarsi
Insonnia precoce 1 Accusa occasionale difficoltà ad addormentarsi (cioè, impiega > 30 min)
2 Accusa difficoltà ad addormentarsi la sera
0 Non ha difficoltà
Insonnia centrale 1 Si lamenta di essere irrequieto e agitato durante la notte
2 Si sveglia durante la notte (ogni volta che si alza, eccetto che per urinare, totalizza 2)
0 Non ha difficoltà
Insonnia terminale 1 Si sveglia alle prime ore del mattino, ma torna a dormire
2 Non riesce a riaddormentarsi dopo essersi alzato
0 Nessuna difficoltà
1 Pensieri e senso di incapacità, fatica o debolezza in relazione al lavoro o alle attività del tempo libero
2 Perdita di interesse nelle attività del tempo libero o nel lavoro, riferite direttamente dal paziente o
indicate indirettamente da indifferenza o titubanza (ha l’impressione di dover far forza su se stesso per
lavorare o svolgere delle attività)
Lavoro e attività
3 Diminuzione del tempo dedicato alle attività o della produttività (p. es., in ospedale, un paziente che
non trascorra almeno 3 ore in attività, cioè, lavori o svaghi, a eccezione di lavoretti di reparto, totalizza 3)
4 Interruzione del lavoro a causa della malattia attuale (p. es., in ospedale, un paziente che non svolge
alcuna attività eccetto quelle di reparto o che non riesce a eseguire neanche quelle senza assistenza
totalizza 4)
Rallentamento
(lentezza
0 Eloquio e ideazione normali
dell’ideazione
1 Lieve rallentamento nel colloquio
e dell’eloquio,
2 Rallentamento evidente nel colloquio
difficoltà
3 Colloquio difficile
di concentrazione,
4 Completamente stuporoso
diminuzione
dell’attività motoria)
0 Assente
Agitazione 1 “Giocherella” con le mani, i capelli, ecc.
2 Si torce le mani, si morde le unghie o le labbra, si tira i capelli
(manifesta i correlati neurovegetativi dell’ansia, come secchezza delle fauci, flatulenza, dispepsia,
diarrea, crampi, eruttazioni, palpitazioni, cefalee, iperventilazione, sospiri, frequenza urinaria, diaforesi)

0 Assente
Ansia–psichica
1 Lieve
2 Moderata
3 Grave
4 Invalidante
0 Assenti
Sintomi 1 Inappetenza, ma alimentazione autonoma senza esortazioni dal personale; sensazione di pesantezza
somatici– addominale
gastrointestinali 2 Difficoltà ad alimentarsi senza sollecitazioni dal personale; richieste o necessità di lassativi o farmaci
intestinali o di farmaci per i sintomi gastrointestinali
0 Assenti
Sintomi somatici- 1 Pesantezza agli arti, alla schiena o alla testa; mal di schiena, cefalea, mialgie; perdita di energia e
generali affaticabilità
2 Qualsiasi sintomo ben definito
0 Assente
Perdita della libido
1 Lieve
80
2 Grave
0 Assente
1 Attenzione concentrata sul proprio corpo
Ipocondria 2 Preoccupazione per la propria salute
3 Espressione frequente di lamentele e richieste di aiuto
4 Deliri ipocondriaci
0 Assente
Perdita di peso 1 Probabile perdita di peso associata alla malattia in atto
2 Perdita di peso certa (secondo il paziente)
Consapevolezza 0 Consapevolezza di essere depresso e malato
(punteggio 0 se 1 Consapevolezza di malattia, ma attribuzione della causa al cibo cattivo, al clima, al troppo lavoro, a
il paziente non è virus, a bisogno di riposo, ecc.
depresso) 2 Negazione della malattia
*La validità dei punteggi dipende interamente dall’abilità e dall’esperienza del valutatore. Le domande vanno riferite alla
condizione del paziente negli ultimi giorni o settimane.
† Per ogni manifestazione, scegliere il suggerimento che descrive meglio il paziente e dare il punteggio corrispondente.
Un punteggio ³16 indica la presenza di sintomi depressivi significativi. Una riduzione del punteggio pari al 50% indica una
risposta significativa alla terapia.
Adattata da Hamilton M: “Development of a rating scale for primary depressive illness.” British Journal of Social and Clinical
Psychology 6:278-296, 1967; riproduzione autorizzata.

Situazione socio-ambientale: i fattori che interessano la situazione socio-ambientale del paziente sono
complessi e difficili da quantificare. Comprendono la rete di interazione sociale, disponibilità di risorse
sociali di supporto, speciali necessità e sicurezza e convenienza ambientale, che influenzano l’approccio
di trattamento utilizzato. Tali informazioni possono essere ottenute prontamente da un’infermiera esperta
o da un’assistente sociale. Una checklist può essere utilizzata per valutare la sicurezza in casa.

ANAMNESI
Spesso i medici necessitano di più tempo per colloquiare e valutare i pazienti più anziani rispetto ai più
giovani. I pazienti anziani manifestano molti sintomi aspecifici, che rendono difficile focalizzare il
colloquio. Deficit sensitivi (p. es., ipoacusia o riduzione del visus), comuni nell’anziano, possono anche
interferire con il colloquio. I pazienti anziani possono sottovalutare e non riferire sintomi (p. es., dispnea,
ipoacusia o riduzione del visus, amnesia, incontinenza, disturbi dell’andatura, stipsi, vertigini, cadute),
che considerano parte del normale invecchiamento. Comunque, nessun sintomo deve essere attribuito al
normale invecchiamento.
Nei pazienti anziani, gli aspetti clinici delle malattie possono differire da quelli dei pazienti più giovani.
Per esempio, le malattie possono manifestarsi esclusivamente come declino funzionale. In tali casi, le
domande standard non sono utili (p. es., un paziente con artrite e malattia coronarica, la cui motilità è
limitata gravemente dall’artrite, può non riferire dispnea o dolore toracico durante l’esercizio, anche se
grave). Domande relative alla durata del declino funzionale possono aggiungere informazioni utili (p. es.,
“Per quanto tempo non è stato in grado di fare la spesa da solo?”).
A causa delle disfunzioni cognitive, i pazienti anziani possono avere difficoltà a ricordare tutte le malattie
passate, i ricoveri ospedalieri, gli interventi e l’uso di farmaci; il medico può essere costretto a ottenere
queste informazioni da una fonte alternativa (p. es., membro familiare, casa per anziani, cartelle cliniche).
Comunque, il disturbo principale riferito dal paziente può differire da quello che il familiare vede come il
problema principale.
Approccio al colloquio: la conoscenza da parte del medico della quotidianità, delle circostanze sociali e
della psicologia degli anziani aiuta a orientare e guidare il colloquio. Tradizionalmente, i medici
utilizzano il disturbo principale come il punto focale del colloquio. Comunque, questo approccio
altamente strutturato può essere troppo limitante per i pazienti anziani. Invece, facendo descrivere al
paziente una giornata tipo fornisce informazioni circa la qualità della vita, la vivacità del pensiero e
l’indipendenza fisica. Questo approccio è molto utile durante il primo incontro, sia che questo si verifichi
in un pronto soccorso, in un ospedale o in una casa per anziani. Permettere al paziente di parlare con
orgoglio della sua lunga vita, lo gratifica, e i fatti di personale importanza portano a stringere il rapporto
medico-paziente. Una buona relazione con il paziente aiuta il medico a parlare con i familiari o a ottenere
il consenso alla terapia.
Spesso, la malattia può essere rivelata da prove verbali e non verbali (p. es., dal modo in cui la storia
viene riportata, dal tempo del discorso, dal tono della voce, dal contatto visivo). Una persona anziana può
omettere o nascondere sintomi di ansia o depressione, mostrandoli, tuttavia, attraverso il tono dimesso,
l’entusiasmo ridotto o perfino le lacrime. I commenti del paziente circa il sonno e l’appetito possono
fornire informazioni circa la salute fisica e mentale. Una variazione nella taglia del vestiario o
dell’apparecchio per i denti può indicare perdita o incremento ponderale. Importanti sono anche l’igiene
81
personale e il vestiario del paziente, la persona che accompagna il paziente e il gradimento del paziente
circa gli interventi dell’accompagnatore durante il colloquio.
Il paziente deve essere completamente vestito durante il colloquio. Un paziente che porta la dentiera, gli
occhiali o un apparecchio acustico deve indossarli per facilitare la comunicazione. Per superare i problemi
di comunicazione dovuti all’ipoacusia o alla riduzione del visus del paziente, l’intervistatore deve
avvicinarsi al paziente, guardarlo direttamente in faccia e parlare chiaramente e lentamente per permettere
la lettura sulle labbra. Gridare al paziente non aiuta, a causa dell’indurimento della membrana timpanica e
dell’aumento della rigidità della catena ossiculare dell’orecchio, legati all’età, che alterano il suono. Usare
uno stetoscopio alla rovescia (parlando nello stetoscopio come in un microfono mentre il paziente indossa
l’auricolare) può essere utile. Un esame dello stato mentale può essere necessario all’inizio del colloquio
per determinare l’affidabilità dell’anamnesi; questo esame è condotto con tatto in modo che il paziente
non si imbarazzi, si offenda o si difenda, specialmente se è presente un parente. A meno che non gli siano
dirette dal medico stesso, l’accompagnatore del paziente non deve rispondere alle domande.
Alcuni pazienti preferiscono avere un parente presente al colloquio; comunque, a meno che lo stato
mentale non sia compromesso, il paziente deve essere intervistato da solo per incoraggiarlo a discutere di
questioni personali. Il medico non deve invitare un parente a essere presente al colloquio senza chiedere il
permesso al paziente, in quanto questo suppone che il paziente è incapace di fornire un’anamnesi
completa. Chiedere al paziente di aspettare fuori mentre vengono intervistati un parente o un amico può
danneggiare il rapporto medico-paziente.
Anamnesi patologica remota: nel rivedere la storia medica pregressa, il medico chiede al paziente
informazioni circa le malattie più frequenti (p. es., febbre reumatica, poliomielite) e circa le terapie
pregresse (p. es., pneumotorace terapeutico per la tubercolosi, mercurio per la sifilide). Vanno indagate
anche la storia vaccinale (p. es., tetano, influenza, pneumococco), le reazioni postvaccinali e il risultato
dell’intradermoreazione di Mantoux. Se il paziente ricorda di avere subito interventi chirurgici, ma non
ricorda la procedura o il loro scopo, vanno ricercati i dati chirurgici.
Altre malattie internistiche e complicanze vanno riviste sistematicamente.
Anamnesi farmacologica: il medico deve registrare la storia farmacologica, spesso è utile un foglio di
riferimento per i farmaci, e fornire una copia al paziente o a chi se ne occupa. La storia farmacologica
prevede di individuare quali farmaci sono stati utilizzati, a quale posologia, chi li ha prescritti e per quale
ragione. Devono essere inclusi anche o farmaci ad uso topico; p. es., gocce oftalmiche utilizzate nel
trattamento del glaucoma vengono assorbite a livello sistemico, producendo effetti cardiovascolari,
polmonari o sul sistema nervoso centrale, comparabili alla somministrazione endovenosa. Inoltre, i
farmaci da banco devono essere inclusi, poiché il loro abuso può avere conseguenze gravi (p. es., stipsi da
uso di lassativi, salicilismo da uso di aspirina). La natura precisa di ogni farmaco antiallergico deve essere
determinata.
Talvolta, è preferibile chiedere al paziente o ai familiari di portare tutti i medicinali, i preparati o i liquidi
contenuti nell’armadietto dei farmaci del paziente. Comunque, possedere la prescrizione dei farmaci non
garantisce che il paziente osservi il trattamento prescritto. Contare il numero di compresse in ogni blister
alla prima visita e in quelle successive può essere necessario. Se i farmaci vengono somministrati al
paziente da qualcun altro, allora deve essere interrogata quella persona.
I pazienti devono dimostrare la loro capacità a leggere le etichette (spesso scritte a caratteri piccoli) e ad
aprire le fiale (specialmente quelle con il tappo salvabambino). Devono dimostrare la loro capacità a
riconoscere farmaci, difficili da differenziare se mischiati in una fiala.
Anamnesi nutrizionale: vanno indagati il tipo, la quantità e la frequenza con cui il paziente mangia,
compreso il numero dei pasti caldi a settimana. Va annotata ogni dieta speciale (p. es., iposodica, a basso
contenuto di carboidrati) o autoprescritte. Va registrata l’assunzione di alcol, di fibre alimentari e di
vitamine prescritte o sovradosate. Problemi importanti sono la quantità di soldi che il paziente può
spendere per il cibo e l’accessibilità alle riserve di cibo. La mancanza di una cucina accogliente può
impedire al paziente di prepararsi i pasti.
Va valutata la capacità del paziente di mangiare (p. es., masticazione, deglutizione). Questa può essere
compromessa dall’aptialia (bocca secca), comune nell’anziano. La riduzione del gusto o dell’olfatto può
compromettere il piacere di mangiare, così il paziente mangia meno. I pazienti con riduzione del visus,
artrite, immobilità o tremori possono avere difficoltà a preparare i pasti e possono ferirsi o bruciarsi
durante la cottura. I pazienti preoccupati dell’incontinenza urinaria possono ridurre l’introduzione dei
liquidi, che può condurre, inoltre, a scarsa ingestione di cibo.
Anamnesi psichiatrica: i problemi psichiatrici possono non essere evidenziati così facilmente nei
pazienti anziani come in quelli giovani. Insonnia, modificazioni nei ritmi del sonno, stipsi, cognizione
ridotta, anoressia, perdita di peso, astenia, preoccupazione circa le funzioni corporee, aumentato consumo
di alcol e disturbi somatici sono sintomi frequenti. Il paziente deve essere interrogato circa deliri e
82
allucinazioni; precedente assistenza psichiatrica, compresa psicoterapia, istituzionalizzazione e terapia
elettroconvulsivante; uso di farmaci psicoattivi o antidepressivi
Tristezza, perdita di speranza, e episodi di pianto possono indicare depressione. Molte circostanze (p. es.,
perdita recente di un affetto, inclusi animali domestici; perdita dell’udito) possono contribuire alla
depressione. L’irritabilità può essere il sintomo principale o i pazienti possono presentare perdita delle
funzioni cognitive, spesso chiamata pseudodemenza.
Stato funzionale: valutare lo stato funzionale del paziente è un segno indicativo della buona assistenza
geriatrica. (Vedi: "DOMINI DI VALUTAZIONE" .)
Famiglia e anamnesi sociale: la storia familiare deve concentrarsi sulle malattie della tarda età, note per
avere basi ereditarie (p. es., morbo di Alzheimer, neoplasie, diabete). Va annotata l’età di insorgenza nei
membri familiari.
L’anamnesi sociale comprende la valutazione del modo in cui vive il paziente (numero di stanze;
disponibilità di ascensori, riscaldamento, aria condizionata), meglio valutata mediante una visita
domiciliare. Vanno individuate le caratteristiche della casa che possono determinare cadute (p. es., scarsa
illuminazione, tubature, tappeti) e consigliati rimedi.
Far descrivere al paziente una giornata tipo, incluse attività come leggere, vedere la televisione, lavoro,
esercizio, hobby e interazioni con gli altri, fornisce informazioni utili. Il paziente viene interrogato circa la
frequenza e la natura dei contatti sociali (p. es., amici, gruppi di cittadini anziani), delle visite dei
familiari, della partecipazione ad attività religiose o spirituali e la disponibilità di trasporto.
Vanno individuati gli assistenti e i servizi ausiliari (p. es., istituzioni religiose, gruppi di cittadini anziani)
disponibili per il paziente. Va valutata la capacità dei familiari (p. es., il loro impiego, la loro salute, il
tragitto per arrivare a casa del paziente) di aiutare il paziente. Altri sistemi organizzati di supporto (p. es.,
istituzioni religiose) possono assisterlo. Vanno valutati l’atteggiamento del paziente verso la famiglia e
l’atteggiamento della famiglia verso il paziente.
Si annota lo stato civile del paziente (single, sposato, vedovo, con una relazione fuori dal matrimonio).
L’indagine circa la vita sessuale e la soddisfazione sessuale deve essere effettuata con sensibilità e tatto,
ma deve essere accurata; va evidenziato il numero e il sesso dei partner e va valutato il rischio di malattie
sessualmente trasmesse.
Vanno discusse le difficoltà economiche dovute al ritiro dall’attività lavorativa, alla perdita di un reddito
fisso o la morte di un coniuge o di un partner che contribuiva al supporto finanziario. I problemi finanziari
o di salute possono provocare la perdita della casa, dello stato sociale o dell’indipendenza. Una relazione
di lunga data con un medico può essere stata persa, poiché il medico si è ritirato o è deceduto o perché il
paziente si è trasferito.
Vanno registrati l’uso di tabacco e di alcol; il rischio di addormentarsi mentre si sta fumando nel letto è
aumentato negli anziani, che, quindi, devono essere avvertiti circa il rischio di fumare a letto. Si deve
consigliare al paziente di smettere di fumare. Anche l’alcolismo è un problema grave, sottostimato
nell’anziano. I segni dell’alcolismo includono confusione, rabbia, ostilità, alito alcolico e tremori. Un
questionario di screening CAGE individua i pazienti con anamnesi positiva per alcolismo.
I desideri del paziente riguardo le misure preventive per prolungare la vita devono essere documentati. Si
chiede al paziente se ha dato disposizioni per un tutore in caso di incapacità.

ESAME OBIETTIVO
I pazienti anziani possono richiedere tempo aggiuntivo per spogliarsi e spostarsi sul lettino per l’esame
obiettivo; non va messa loro fretta. Camici per l’esame obiettivo devono essere lasciati sul lettino; i
camici troppo lunghi possono far inciampare il paziente. Il lettino per l’esame obiettivo viene regolato a
una altezza a cui il paziente può facilmente accedere; una pedana facilita la salita. Il paziente non deve
essere lasciato solo sul lettino. Parti dell’esame obiettivo possono essere più confortevoli, se il paziente
sta seduto. Il paziente può richiedere un parente o un aiuto nella sala durante l’esame.
La valutazione preliminare delle qualità del paziente può essere fatta osservandone l’igiene personale. Va
descritto l’aspetto generale del paziente (p. es., tranquillo, irrequieto, malnutrito, disattento, pallido,
dispnoico, cianotico). Se viene esaminato al letto, va annotato l’uso di un materasso ad acqua, di un vello,
di barriere (parziali o complete), di un catetere urinario o di un pannolino per adulti.
Segni vitali: durante la misurazione dell’altezza e del peso, i pazienti con problemi di equilibrio possono
necessitare di barre poste vicino o sulla bilancia.
Quando si registra la temperatura, può essere misconosciuta l’ipotermia se il termometro non misura
temperature basse. L’assenza di temperatura elevata non esclude le infezioni.
I polsi e la pressione arteriosa sono prese in entrambe le braccia. Il polso viene preso per ³ 30 secondi e
ogni irregolarità viene annotata. Poiché molti fattori possono alterare la PA, diverse misurazioni sono
prese in condizioni di riposo. La PA può essere sovrastimata nei pazienti più anziani a causa della rigidità

83
arteriosa. Questa pseudoipertensione va sospettata se un paziente ha PA sistolica e diastolica elevata ma
non danni d’organo. Nei pazienti con la pseudoipertensione, l’arteria brachiale e quella radiale sono
ancora palpabili dopo che il manicotto dello sfigmomanometro viene gonfiato a una pressione superiore a
quella della pressione sistolica (manovra di Osler).
L’ipotensione ortostatica è più comune fra le persone anziane non ipertese. Riguardo ad essa tutti i
pazienti vanno valutati. Dopo aver misurato la pressione arteriosa in posizione supina, il paziente viene
osservato per ³ 3 min in posizione eretta; si ha un risultato positivo quando la PA sistolica scende di
20 mm Hg o più. Si richiede cautela quando si valutano pazienti ipovolemici. Una caduta postprandiale
della PA con nessun incremento virtuale compensatorio della frequenza del polso è stata osservata nei
pazienti istituzionalizzati.
Una normale frequenza respiratoria nei pazienti anziani può giungere a 16-25 battiti/min. Una
frequenza di > 25 battiti/min può indicare un’infezione delle basse vie aeree, insufficienza cardiaca
congestizia o altri disturbi, prima che appaiano altri sintomi e segni.
Cute: l’esame della cute prevede la ricerca di eventuali lesioni premaligne e maligne e di ischemia
tissutale. Nelle ulcere da decubito, l’ulcerazione della superficie cutanea è più piccola della sottostante
lesione dei tessuti molli. Bruciature inspiegabili possono indicare abuso sull’anziano. Poiché il derma si
assottiglia con l’età, si possono formare facilmente ecchimosi sulla cute traumatizzata (p. es.,
sull’avambraccio). Tra gli anziani, un’ineguale colorazione della pelle può essere normale, a causa della
perdita progressiva della melanina.
Con l’età, creste longitudinali possono svilupparsi sulle unghie e l’aspetto a luna crescente può
scomparire. Il piatto ungueale diventa più sottile e può fratturarsi facilmente. Piccole emorragie in mezzo
o al terzo distale delle unghie sono dovute, più verosimilmente, a traumi che a batteriemia. In caso di
onicomicosi, un’infezione fungina, si determina ispessimento e ingiallimento delle unghie. Un’unghia
incarnita (onicocriptosi) presenta bordi che curvano verso dentro e verso il basso. Le unghie psoriasiche
sono biancastre, facilmente ridotte in scaglie e hanno una superficie butterata.
Volto: le normali modificazioni dovute all’età includono le seguenti: le ciglia possono finire sotto la rima
orbitaria superiore, il mento può scendere, l’angolo tra la linea sottomandibolare e il collo può essere
perso e la cute diventa rugosa e più secca. Spessi peli terminali si sviluppano sulle orecchie, sul naso, sul
labbro superiore e sul mento. Le arterie temporali vanno palpate per indagarne la dolorabilità e
l’ispessimento.

Naso: un normale cambiamento dovuto all’età è la discesa progressiva della punta del naso, che può
causare la divisione superiore e verso il basso della cartilagine nasale, allargando e allungando il naso.
Occhi: un normale cambiamento dovuto all’età è la perdita del grasso dell’orbita, che può dislocare
gradualmente l’occhio all’indietro (enoftalmo). Quindi, gli occhi infossati non sono necessariamente un
segno di disidratazione nell’anziano. L’enoftalmo è accompagnato da un approfondimento della plica
della palpebra superiore e da una lieve compromissione della visione periferica. Possono verificarsi la
pseudoptosi (riduzione delle dimensioni dell’apertura palpebrale), l’entropion (inversione del margine
inferiore della palpebra) o l’ectropion (eversione del margine superiore della palpebra). Il gerontoxon, un
anello bianco in corrispondenza del limbus, non ha significato patologico. La perdita dell’elasticità del
cristallino dovuta all’età riduce la capacità della lente di modificare la propria forma quando si concentra
la vista su oggetti stretti (presbiopia).
Un esame dell’occhio approfondito comprende il test di acuità visiva e lo screening per il glaucoma e la
cataratta. L’oftalmotonometria viene eseguita per controllare la pressione intraoculare, al fine di
individuare il glaucoma e testare la visione periferica. La cataratta viene diagnosticata meglio con una
lente positiva sull’oftalmoscopio. Malgrado la normale funzione mentale, alcune persone anziane con una
diminuita acuità visiva hanno allucinazioni visive, ben organizzate e chiaramente definite. Tali persone si
spaventano raramente; esse riconoscono rapidamente che le allucinazioni non sono reali, ma possono non
preoccuparsene sufficientemente.
Sebbene i segni di ipertensione o diabete possano essere evidenti durante l’esame del fundus, l’aspetto
della retina può non cambiare significativamente con l’età. A causa dell’atrofia corticale, l’ipertensione
endocranica può non essere accompagnata da papilledema. La degenerazione maculare è caratterizzata da
aree di pigmento nero o emorragie all’interno e intorno alla macula.
Orecchie: un normale reperto legato all’età è la presenza di tofi, che possono essere notati durante
l’ispezione del padiglione. Il condotto uditivo esterno viene esaminato per la presenza di cerume,
specialmente se è notato un problema di udito durante il colloquio. Se il paziente presenta un apparecchio
acustico, lo si rimuove e lo si esamina; tubi chirurgici possono essere tappati con cera. Se la batteria è
terminata, nessun fischio (feedback) viene udito quando il volume è troppo alto.

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Per la valutazione dell’udito, il medico, spostando il volto fuori dalla vista del paziente, sussurra una
domanda semplice in ciascun orecchio. Un paziente con presbiacusia (perdita dell’udito dovuta
all’invecchiamento, che colpisce le alte frequenze, è più probabile che abbia difficoltà a comprendere il
linguaggio parlato piuttosto che a udire. È raccomandata anche la valutazione con un audiometro
portatile, se disponibile.
Cavo orale: la bocca viene esaminata per sanguinamento o gengive edematose, denti mobili o rotti,
infezioni micotiche e segni di lesioni precancerose o neoplasie (p. es., leucoplachia, eritroplachia,
ulcerazione, massa tumorale). Nei pazienti con aptialia, la mucosa buccale e la lingua possono essere
fissurate e la punta della lingua può attaccarsi alla mucosa buccale. Con l’età, i denti possono scurirsi
come risultato di colorazioni estrinseche e dello smalto meno translucido. Gengive eritematose,
edematose, che sanguinano facilmente possono essere un segno di malattie gengivali o periodontopatia.
L’alitosi può indicare carie, periodontite o altre malattie orali.
Vanno esaminate la superficie dorsale e ventrale della lingua. Normali modificazioni legate all’età
includono varici sulla superficie ventrale, eritema migrante (lingua a carta geografica) e atrofia delle
papille ai lati della lingua. In un paziente edentulo, la lingua può allargarsi per facilitare la masticazione;
comunque, l’ingrandimento può essere anche un segno di amioloidosi o ipotiroidismo. Una lingua
morbida, dolente può essere indicativa di un deficit di vitamina B12.
Le dentiere vanno rimosse prima dell’ispezione del cavo orale. Le protesi dentarie sono a rischio di
candidosi orale e di riassorbimento delle creste alveolari. Apparecchi non adeguati possono causare
infiammazione della mucosa palatale e ulcerazioni delle creste alveolari.
Le persone edentule che non indossano dentiere hanno dolore, infiammazioni, lesioni fissurate alla
commissura labiale (cheilite angolare), di solito causate da infezioni micotiche. Un supporto inadeguato
della muscolatura facciale accentua la scanalatura della commissura labiale, creando una zona umida
protetta che conduce alla crescita dei funghi. Le lesioni rispondono prontamente alla terapia topica.
Articolazione temporomandibolare: un cambiamento frequente dovuto all’età è la degenerazione
dell’articolazione temporomandibolare (osteoartrosi), che si verifica quando i denti sono caduti e le forze
compressive sull’articolazione diventano eccessive. I crepitii articolari possono essere apprezzati in
corrispondenza della testa del condilo mandibolare, quando il paziente apre e chiude la mandibola. I
movimenti della mandibola possono essere dolorosi.

Collo: la ghiandola tiroide, localizzata più inferiormente nel collo delle persone anziane, spesso sotto lo
sterno, va esaminata per eventuali ingrossamenti e noduli. Nei pazienti anziani disidratati con parotite, la
parotide è edematosa, soffice e fissa; il pus può fuoriuscire dal dotto di Stenone.
Il significato dei soffi carotidei in pazienti asintomatici non è chiaro. I soffi arteriosi dovuti alla stenosi
dell’arteria carotide possono essere differenziati da quelli dovuti alla trasmissione di soffi cardiaci,
muovendo lo stetoscopio in alto fino al collo: un soffio cardiaco trasmesso si attenua, mentre il soffio
proprio dell’arteria carotide si accentua.
La resistenza alla flessione passiva del collo si verifica in pazienti con spondilosi cervicale o osteoartrosi.
Questa resistenza si verifica anche nei pazienti con meningite, ma il collo può essere ruotato passivamente
da un lato all’altro. La resistenza alla flessione, all’estensione e alla rotazione laterale del collo si verifica
in pazienti con malattie della colonna cervicale.
Torace e dorso: tutti i campi polmonari vanno esaminati mediante percussione e auscultazione. Rantoli
alle basi possono essere udibili anche nei polmoni di un paziente sano, ma devono scomparire dopo che il
paziente fa respiri profondi. Le escursioni respiratorie (cioè, lo spostamento del diaframma, l’abilità a
espandere il torace) vanno sempre valutate attentamente.
La schiena viene esaminata per un’eventuale scoliosi e dolorabilità. Fratture osteoporotiche spontanee del
sacro (caratterizzate da lombalgia grave, coxalgia e artralgia e marcata dolorabilità sacrale) si verificano
nei pazienti più anziani.
Le mammelle devono essere esaminate negli uomini e nelle donne per eventuali irregolarità o noduli.
L’esame annuale della mammella da parte di un medico e l’autoesame mensile sono raccomandati per le
donne anziane; anche lo screening mammografico è raccomandato, specialmente nelle donne con
familiarità positiva per cancro al seno. La retrazione dei capezzoli può essere evertita con la pressione
attorno al capezzolo, quando la retrazione è dovuta all’età, ma non è possibile quando è dovuta a crescita
tumorale sottostante.
Sistema cardiovascolare: le dimensioni del cuore abitualmente possono essere determinate con la
palpazione dell’apice; comunque, lo spostamento causato da cifoscoliosi può rendere difficile la
valutazione. Il più comune soffio sistolico nei pazienti più anziani è dovuto alla sclerosi valvolare aortica,
che può essere emodinamicamente non significativa. Anche l’insufficienza mitralica, la cardiomiopatia
ipertrofica ostruttiva e la stenosi valvolare aortica significativa producono soffi sistolici. Il soffio
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dell’insufficienza mitralica di solito è dolce e meglio udibile lungo il margine sternale di destra. Il soffio
della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva si intensifica quando il paziente effettua la manovra di
Valsalva. Il soffio della stenosi valvolare aortica presenta un picco tardivo e viene trasmesso alle arterie
carotidi, mentre il soffio della sclerosi valvolare aortica ha un picco precoce ed è udibile raramente nelle
arterie carotidi. Un soffio intenso (> 2° grado), un’alterazione del secondo tono e una piccola pressione
differenziale sono segni classici di stenosi valvolare aortica. Comunque, questi segni possono non essere
osservati nei pazienti più anziani, poiché, con l’età, il soffio può ridursi di intensità, il secondo tono
cardiaco è raramente udibile e piccole pressioni pulsatorie sono rare. Il flusso carotideo spesso non
rallenta nei pazienti più anziani con stenosi valvolare aortica, a causa della ridotta compliance vascolare.
Quarti toni cardiaci sono comuni negli anziani che non hanno evidenza di malattie cardiovascolari. Soffi
diastolici risultano anormali in persone di ogni età. Frequenze cardiache al di sotto dei 40 battiti/min
possono essere normali. La bradicardia sinusale inspiegata in persone apparentemente sane può non
influenzare negativamente la morbilità o la mortalità cardiovascolare a lungo termine; comunque, la
bradicardia sinusale può essere dovuta ad un difetto di conduzione atrioventricolare o intraventricolare.
I pazienti portatori di pacemaker che sviluppano nuovi sintomi neurologici o cardiovascolari vengono
esaminati per eventuale ipotensione, insufficienza cardiaca, toni o polsi cardiaci variabili. Questi sintomi
e segni possono essere dovuti alla perdita della sincronia atrioventricolare.
Sistema gastrointestinale: le persone anziane, spesso, hanno muscoli addominali deboli, che possono
provocare ernie. Sebbene la maggior parte degli aneurismi dell’aorta addominale siano palpabili, solo la
loro dimensione laterale può essere valutata durante l’esame obiettivo. Una massa localizzata davanti
all’aorta e che trasmette un polso non si espande lateralmente. Il fegato, la milza, i reni vanno palpati per
controllare eventuali tumefazioni. La frequenza e la qualità della peristalsi intestinale vanno testate e
l’area sovrapubica viene valutata mediante percussione per dolorabilità, fastidio e segni di ritenzione
urinaria.
L’area anorettale va esaminata per fissurazioni, emorroidi e stenosi. La sensazione viene rilevata e fistole
anali vanno evidenziate. Un’esplorazione rettale per individuare una massa o un fecaloma viene eseguita
sia negli uomini che nelle donne.
La prostata viene palpata per individuare eventuali noduli. La stima delle dimensioni della prostata,
effettuata mediante esplorazione rettale, è inaccurata e le dimensioni non correlano con l’ostruzione
uretrale; comunque, l’esplorazione rettale offre una valutazione qualitativa.
Sistema riproduttivo femminile: il regolare esame pelvico è raccomandato, mediante test di
Papanicolaou (Pap test) ogni 2-3 anni, fino all’età di 70 anni. Se una donna anziana non ha effettuato
regolarmente il Pap test, deve effettuare almeno due test, a distanza di 1 anno. Se i risultati di tre test
consecutivi effettuati nella stessa donna di > 60 anni sono normali, la donna può non effettuare altri test, a
meno che non sviluppi nuovi sintomi o segni di possibile malattia. Per le donne isterectomizzate, il Pap-
test è necessario solo se è rimasto tessuto cervicale.
Per l’esame pelvico, una paziente che manca di motilità dell’anca può giacere sul suo lato sinistro. La
riduzione postmenopausale del tasso di estrogeni porta all’atrofia della mucosa vaginale e uretrale, che
sembra secca e manca delle classiche rugosità. Le ovaie non si palpano; quando le ovaie si palpano si
deve pensare a masse tumorali. Si chiede alla paziente di tossire per testare l’eventuale perdita urinaria.
Sistema muscoloscheletrico: le articolazioni vengono esaminate per eventuale dolorabilità, tumefazione,
sublussazione, crepitii, calore e iperemia. I noduli di Heberden (formazioni ossee a carico delle
articolazioni interfalangee distali) o i noduli di Bouchard (formazioni ossee a carico delle articolazioni
interfalangee prossimali) possono aversi anche nei pazienti con osteoartrite. I pazienti con artrite
reumatoide cronica possono avere una sublussazione delle articolazioni metacarpofalangee con
deviazione ulnare delle dita. L’iperestensione della parte prossimale dell’articolazione interfalangea e la
flessione distale dell’articolazione interfalangea causano una deformità a collo di cigno; l’iperestensione
distale dell’articolazione interfalangea e la flessione della parte prossimale dell’articolazione interfalangea
causano una deformità a boutonnière. Queste deformità possono interferire con la funzionalità o le attività
usuali.
Va valutato il range attivo e passivo del movimento articolare. La presenza di contratture va sempre
valutata attentamente. Talvolta, con l’invecchiamento si verifica una resistenza variabile alla
manipolazione passiva degli arti (paratonia).
Piedi: la diagnosi e il trattamento dei problemi del piede, frequenti con l’età, aiutano gli anziani a
mantenere la loro indipendenza. Alterazioni comuni dovute all’età comprendono callosità, una
prominenza mediale della testa del primo metatarso con deviazione laterale (alluce valgo) e rotazione
dell’alluce e piccole callosità, una prominenza laterale della testa del quinto metatarso. L’iperflessione
dell’articolazione interfalangea prossimale causa l’alluce a martello. L’iperflessione delle articolazioni

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interfalangea prossimale e distale dell’alluce determina l’alluce ad artiglio. I pazienti con problemi a
carico del piede devono essere inviati da un podiatria per un’adeguata valutazione e trattamento.
Stato neurologico: l’esame obiettivo neurologico per un paziente anziano è simile a quello di ogni altro
adulto ed è volto a valutare i nervi cranici, la funzione motoria, la funzione sensitiva e lo stato mentale.
Comunque, malattie non neurologiche comuni tra gli anziani possono complicare la valutazione
neurologica. Per esempio, la diminuzione dell’acuità visiva e uditiva può impedire la valutazione dei
nervi cranici e la periartrite della spalla dovuta a emiplegia può interferire con la valutazione della
funzione motoria.
I segni riscontrati durante l’esame devono essere considerati alla luce dell’età del paziente, dell’anamnesi
e degli altri reperti. Segni simmetrici non accompagnati da compromissione funzionale, altri segni
neurologici ed eventuali complicanze possono derivare dall’invecchiamento. Il medico deve decidere se
questi dati giustificano una valutazione dettagliata per una eventuale lesione neurologica. I pazienti
devono essere rivalutati periodicamente per eventuali modificazioni funzionali, asimmetrie o nuove
complicanze.
La valutazione dei nervi cranici può essere complessa. Gli anziani spesso hanno pupille piccole; il loro
riflesso pupillare alla luce può essere torbido e la loro risposta pupillare miotica alla visione da vicino può
essere diminuita. La visione verso l’alto e, in misura minore, verso il basso sono lievemente limitate. I
movimenti oculari, alla manovra di inseguimento del dito dell’esaminatore durante la valutazione dei
campi visivi, possono apparire a scatto e irregolari. Il fenomeno di Bell (riflesso caratterizzato dallo
spostamento degli occhi verso l’alto alla chiusura delle palpebre), talvolta, è assente.
Gli anziani spesso hanno un ridotto senso dell’olfatto poiché essi hanno avuto numerose infezioni delle
vie aeree superiori e hanno un numero ridotto di neuroni olfattori, ma la perdita asimmetrica dell’olfatto
(cioè, perdita di olfatto in una sola narice) è anormale. Il gusto può essere alterato a causa della riduzione
dell’olfatto o a causa di farmaci, alcuni dei quali riducono la salivazione. La vista e l’udito possono essere
ridotte a causa delle alterazioni a carico degli organi vitali.
La valutazione della funzione motoria comprende forza, coordinazione, andatura e riflessi. Gli anziani,
spesso, appaiono deboli durante i test routinari; durante l’esame obiettivo, il medico può contrapporsi
facilmente alla contrazione sostenuta delle estremità. La debolezza simmetrica, che non dà fastidio al
paziente è verosimilmente di poca importanza. Il tono muscolare, misurato mediante flessione ed
estensione del gomito o del ginocchio, può essere aumentato; comunque, movimenti a scatto durante
l’esame e la rigidità a ruota dentata non sono reperti normali.
Una diminuzione nella massa muscolare è frequente e non è significativa, a meno che sia accompagnata
da una perdita della funzionalità. I muscoli della mano sono particolarmente compromessi; i muscoli
interossei e dell’eminenza tenar delle mani si atrofizzano con l’età. Un paziente che utilizzi la sedia a
rotelle può presentare estrema debolezza dei muscoli estensori del polso, delle dita e del pollice, dovuta
alla compressione della parte superiore del braccio contro gli appoggi per le braccia, che può determinare
danno del nervo radiale. Senza un regolare esercizio, la forza muscolare spesso si deteriora. La funzione
del braccio può essere testata facendo prendere in mano al paziente un utensile da cucina o facendogli
toccare la parte posteriore della testa con entrambe le mani.
Con l’età, è frequente un aumento del tempo di reazione motoria, in parte a causa del rallentamento della
conduzione dei segnali lungo i nervi periferici. La coordinazione motoria diminuisce a causa di
meccanismi centrali, ma generalmente questa diminuzione è di piccola entità e non determina disabilità.
Con l’età, i riflessi muscolari (p. es., i riflessi tendinei profondi), di solito, non mostrano modificazioni o
solo di piccola entità, sebbene in quasi la metà dei pazienti anziani, il riflesso achilleo sia diminuito o
assente, a causa della riduzione di elasticità del tendine e del rallentamento della conduzione nervosa
lungo l’arco riflesso tendineo. Questo riflesso può essere riscontrato con tecniche particolari nella
maggior parte dei pazienti. I riflessi achillei possono essere asimmetrici a causa della sciatica.
Con l’età, i riflessi posturali spesso sono ridotti, probabilmente contribuendo alle cadute. L’oscillazione
posturale (movimento lungo il piano anteroposteriore con il paziente fermo e in piedi), inoltre, può
aumentare. I riflessi da rilascio corticale (noti come riflessi patologici), cioè, grugnire, suzione e riflessi
palmomentali, si verificano a volte in assenza di disordini cerebrali definiti (p. es., demenza). La presenza
del riflesso di Babinski (risposta estensoria plantare) è anormale nell’anziano. Causa comune di questa
anomalia è la spondilosi cervicale con compressione midollare parziale.
La funzione sensoriale rimane inalterata con l’invecchiamento. Le persone anziane comunemente
sperimentano una perdita della sensazione vibratoria al di sotto delle ginocchia dovuta ad alterazioni a
carico dei piccoli vasi delle colonne posteriori del midollo spinale. Comunque, la propriocezione
(sensazione relativa alla posizione delle articolazioni), che si pensa utilizzi una via simile, non è
compromessa.
Le fibre dei nervi periferici, particolarmente le fibre di calibro maggiore, si assottigliano. Questo
cambiamento può essere responsabile della comune sensazione di intorpidimento, in particolare dei piedi.

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Comunque, l’intorpidimento può essere causato anche da neuriti periferiche, che vanno ricercate. In molti
casi, non può essere riscontrata alcuna causa.
Il tremore può essere valutato alla stretta di mano o con altre semplici azioni. Se si riscontra tremore, ne
vanno valutati l’ampiezza, il ritmo, la distribuzione, la frequenza e il momento di comparsa (a riposo,
legato al movimento o intenzionale).
Stato mentale: un paziente che si risenta circa la valutazione dello stato mentale, una componente chiave
della valutazione neurologica, deve essere rassicurato sul fatto che si tratta di una valutazione routinaria.
L’esaminatore si deve assicurare che il paziente possa sentire; la pura sordità verbale (incapacità isolata a
comprendere il linguaggio) può essere confusa con disfunzioni cognitive. Determinare la stato mentale di
un paziente che presenta un disturbo del linguaggio (p. es., mutismo, disartria, aprassia verbale, afasia)
può essere difficile.
Le persone anziane elaborano le informazioni e le recuperano dalla memoria più lentamente; comunque,
anomalie dello stato di coscienza, orientamento, giudizio, calcolo, linguaggio, discorso o esecuzione di
movimento fine non possono essere attribuite esclusivamente all’età. Si devono porre al paziente
domande che possono individuare anomalie in queste aree; le domande riguardanti il solo orientamento,
in molti casi, non consentono di individuare la demenza. Se vengono notate alterazioni, ulteriori
valutazioni, incluso un test formale sullo stato mentale, sono necessarie.
Stato nutrizionale: molte comuni misurazioni dello stato nutrizionale sono irrealizzabili nei pazienti più
anziani. L’età può alterare l’altezza, il peso e la composizione corporea (massa magra e contenuto di
grassi). L’apertura delle braccia consente una stima affidabile dell’altezza originaria nel calcolo
dell’indice di massa corporea nell’anziano. La misurazione dello spessore della plica cutanea in varie sedi
può fornire una stima affidabile del contenuto di grasso corporeo più della sola misurazione a carico del
solo tricipite brachiale. La storia nutrizionale, compresi perdita di peso o eventuali deficit di nutrienti
essenziali, possono indurre a una valutazione più accurata e a misurazioni di laboratorio appropriate.

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8. FARMACOLOGIA
Guida per una prescrizione efficace
 Ottenere una completa anamnesi farmacologica. Chiedere ai pazienti di portare tutti i farmaci allo studio per revisione.
Indagare circa allergie; reazioni avverse; uso del tabacco, alcol, caffeina, e droghe ricreative; e altri sostegni sanitari.
 Non usare farmaci prima del tempo. Evitare di prescrivere quando non d è stata evidenziata una diagnosi, quando i sintomi
sono minori o aspecifiche, o quando il beneficio dei farmaci è discutibile.
 Non usare il farmaco per più del tempo necessario. Revisione della lista dei farmaci a ogni visita e aggiornamento.
Interrompere i farmaci che non sono più indicati. Monitorare l’uso dei farmaci da autoprescrizione e dei prodotti da banco.
 Conoscere i farmaci che si usano. Conoscere il profilo farmacologico dei farmaci prescritti e i potenziali effetti collaterali e
la tossicità. Monitorare i pazienti attentamente per evidenziare un peggioramento dei parametri funzionali che potrebbe
essere farmaco-correlato.
 Cominciare piano, andare piano. Usare sempre la dose minima necessaria per l’efficacia. Usare livelli plasmatici quando
disponibili ed appropriati.
 Trattare adeguatamente. Usare dosaggi sufficienti per giungere all’ obiettivo terapeutico, se tollerata. Non rifiutare terapie
per malattie curabili.
 Incoraggiare l’osservanza del trattamento. Comunicare chiaramente con i pazienti circa gli obiettivi terapeutici e i metodi
per raggiungerli. Dare istruzioni scritte leggibili. Considerare la complessità della posologia, il costo, e i potenziali effetti
collaterali quando si sceglie un farmaco.
 Usare i nuovi farmaci con particolare cautela. La maggior parte dei nuovi componenti non sono stati ben valutati
nell’anziano, e il rapporto rischio/beneficio è spesso sconosciuto.
Modificata da Cusack BJ, Parker BM: “Pharmacology and appropriate prescribing.” Geriatrics Review
Syllabus: A Core Curriculum in Geriatric Medicine, ed. 3, edited by DB Reuben, TT Yoshikawa, and RW
Besdine. New York, American Geriatrics Society, 1996, p. 35.
Gli anziani hanno molte malattie croniche e, conseguentemente, utilizzano molti più farmaci di ogni altro
gruppo di età. Le loro diminuite riserve fisiologiche possono essere deplete ulteriormente dagli effetti dei
farmaci e da una malattia cronica o acuta. L’invecchiamento altera la farmacocinetica e la
farmacodinamica, influenza la scelta, la dose e la frequenza di somministrazione di molti farmaci. La
farmacoterapia può essere complicata anche dall’incapacità dei pazienti anziani ad acquistare o assumere
i farmaci o a seguire il regime terapeutico.
Le persone di ³ 65 anni sono responsabili di circa un terzo di tutti i farmaci prescritti. Le donne utilizzano
più farmaci degli uomini, specialmente farmaci psicoattivi e per l’artrite. Gli anziani fragili usano molti
farmaci. L’abuso di farmaci è maggiore negli ospedali e nelle case per anziani rispetto alla comunità; in
genere, gli ospiti di una casa per anziani usano in media sette o otto farmaci.
Il tipo di farmaco usato più spesso per gli anziani varia in base al contesto. Gli anziani che vivono in
comunità usano analgesici, diuretici, farmaci cardiovascolari e, più spesso, sedativo-ipnotici, mentre gli
ospiti delle case per anziani usano più spesso antipsicotici e sedativo-ipnotici, seguiti da diuretici, anti-
ipertensivi, analgesici, farmaci cardiovascolari e antibiotici.
L’appropriatezza del farmaco (i benefici potenziali di un farmaco ne superano i rischi potenziali) deve
guidare la terapia. Determinare l’appropriatezza richiede una valutazione dei benefici e dei rischi
potenziali. Molti farmaci sono utili per gli anziani e alcuni possono salvare la vita, cioè, antibiotici e
trombolitici nella cura della malattia acuta. Farmaci ipoglicemizzanti orali possono migliorare
l’indipendenza e la qualità della vita mentre controllano il diabete. Farmaci antiipertensivi e vaccini
antinfluenzali possono aiutare a prevenire o a diminuire la morbilità. Gli analgesici e gli antidepressivi
possono controllare sintomi invalidanti. Comunque, gli effetti avversi di molti farmaci sono più comuni e
gravi nell’anziano.
Le terapie multifarmacologiche (uso contemporaneo di molti farmaci) da sole non rappresentano una
misura accurata dell’adeguatezza della terapia, poiché gli anziani hanno spesso molti disordini che
richiedono terapie specifiche; comunque, possono riflettere l’inappropriata prescrizione. Molti pazienti
anziani ricoverati in ospedale e in case per anziani ricevono routinariamente farmaci non essenziali (p. es.,
sedativo-ipnotici, analgesici, antiistaminici [H2], bloccanti, antibiotici, lassativi) e in grado di provocare
danno, direttamente o attraverso interazioni farmacologiche. Una revisione accurata dei farmaci spesso
può ridurre il numero dei farmaci utilizzati e, in base a dati limitati, migliorare i risultati.
Anche il sottodosaggio di alcuni farmaci è un problema significativo fra le persone anziane. Per esempio,
l’uso degli antidepressivi in case per anziani è basso in confronto all’alta prevalenza di depressione.
Anche la dose di antidepressivi spesso è troppo bassa e la durata della terapia troppo breve. Anche i
farmaci per l’incontinenza e i trattamenti preventivi (p. es., farmaci per il glaucoma, vaccini
antiinfluenzali e antipneumococco) sono poco utilizzati.
Paziente e problematiche assistenziali: sempre più, i pazienti anziani sono informati riguardo la loro
diagnosi e i farmaci utilizzati nel trattamento; comunque, molti devono essere incoraggiati a riportare i
problemi di salute e quelli potenzialmente legati ai farmaci all’attenzione del medico o di chi li assiste. In
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particolare, si deve chiedere ai pazienti di riferire l’uso di tutti i farmaci (p. es., vitamine, supplementi
nutrizionali) e di riferire ogni eventuale cambiamento a ogni visita. Periodicamente, va chiesto loro di
portare i farmaci in ambulatorio per rivederli e per confrontarli con quelli prescritti. Così facendo, il
medico può valutare l’aderenza al trattamento (compliance). Quando si evidenzia un deficit nella
compliance, ci si deve sforzare di semplificare la terapia e di suggerire ausili utili per aumentare
l’aderenza (p. es., calendario dei farmaci, dispensatore di farmaci). Il medico deve discutere anche su
come vanno presi i farmaci (p. es., a stomaco pieno o vuoto, via di somministrazione), sul loro
meccanismo di azione, su importanti effetti collaterali e sull’appropriata conservazione.

FARMACOCINETICA
Il tempo nel quale l’organismo assorbe, distribuisce, metabolizza ed elimina i farmaci.
Assorbimento: nonostante una riduzione correlata all’età dell’area di assorbimento dell’intestino tenue e
un aumento del pH gastrico, le modificazioni nell’assorbimento dei farmaci tendono a essere minime e
clinicamente irrilevanti.
Distribuzione: l’acqua corporea totale diminuisce del 10-15% fra i 20 e gli 80 anni. In contrasto, la
percentuale di grasso corporeo aumenta dal 18 al 36% negli uomini e dal 33 al 45% nelle donne. La
relativa diminuzione nell’acqua corporea totale e, quindi, nello spazio di sodio porta ad alte
concentrazioni ematiche (e, spesso, tissutali) di alcuni farmaci idrosolubili. L’aumento del grasso
corporeo aumenta il volume di distribuzione per i farmaci lipofili e può causare un aumento delle emivite
di eliminazione. Con l’età, i livelli sierici di albumina diminuiscono leggermente e i livelli di a 1
glicoproteina acida aumentano, ma gli effetti clinici di queste alterazioni sul legame sierico dei farmaci
non sono chiari. In un paziente con malattia acuta o malnutrizione, la diminuzione rapida dei livelli sierici
di albumina può aumentare gli effetti dei farmaci, dal momento che la concentrazione sierica del farmaco
libero aumenta fino a quando non si verifica un aumento compensatorio dell’escrezione.
Metabolismo epatico: con l’età, diminuiscono la massa epatica e il flusso ematico al fegato. La riduzione
del flusso ematico al fegato influenza significativamente l’escrezione epatica dei farmaci in rare
situazioni, cioè, quando un farmaco con un’elevata clearance, come la lidocaina, viene somministrato EV.
Sebbene l’espressione degli enzimi che metabolizzano i farmaci sul sistema del citocromo P-450 non
sembri diminuire con l’età, il metabolismo epatico globale di molti farmaci da parte di questi enzimi è
ridotto. Per i farmaci con un ridotto metabolismo epatico, solitamente la clearance diminuisce del 30-
40%. Teoricamente, le dosi di mantenimento dei farmaci devono essere ridotte della stessa percentuale;
comunque, il tasso del metabolismo epatico di alcuni farmaci può variare notevolmente da persona a
persona e la titolazione individuale è necessaria.
Nell’anziano, il metabolismo presistemico di alcuni farmaci somministrati PO (p. es., labetalolo,
propranololo, verapamil) è ridotto, aumentando la loro concentrazione sierica e la biodisponibilità.
Conseguentemente, le dosi iniziali di questi farmaci devono essere ridotte di circa il 30%. Comunque, il
metabolismo presistemico di altri farmaci metabolizzati (p. es., imipramina, amitriptilina, morfine,
meperidine) non è ridotto. La clearance epatica dei farmaci metabolizzati dal sistema del citocromo P-
450 (reazione di fase I), cioè, diazepam, amitriptilina, clordiazeposside, spesso è ridotta nell’anziano.
L’età si è dimostrata influenzare, con minore frequenza, la clearance dei farmaci metabolizzati per
coniugazione con glucuronato o solfato (reazioni di fase II o sintetiche), come lorazepam, desipramina e
oxazepam. Molti farmaci producono un metabolita attivo in concentrazioni clinicamente rilevanti.
Esempi sono alcune benzodiazepine (p. es., diazepam, clordiazepossido), amine terziarie ad effetto
antidepressivo (p. es., amitriptilina, imipramina), antipsicotici (p.es., clorpromazine, tioridazina,
risperidone) e analgesici oppiacei (p. es., morfine, meperidine, propossifene). L’accumulo di metaboliti
attivi (p. es., N-acetilprocainamide, morfina-6-glucuronide) aumenta il rischio di tossicità nell’anziano
dovuta alla riduzione della clearance renale particolarmente nei pazienti con nefropatie, a meno che le
dosi di mantenimento non vengano ridotte.
Escrezione renale: con l’età, la massa renale e il flusso ematico renale (principalmente nella corticale
renale) diminuiscono significativamente. Dopo i 30 anni, la clearance della creatinina diminuisce con una
media di 8 ml/min/1,73 m2 per decennio in circa due terzi delle persone, ma rimane la stessa per i
rimanenti. Comunque, i livelli di creatinina sierica possono rimanere nei limiti, poiché gli anziani hanno
una massa magra ridotta e producono meno creatinina. La funzione tubulare si riduce parallelamente a
quella glomerulare. Queste modificazioni fisiologiche diminuiscono l’eliminazione renale dei farmaci. Le
implicazioni cliniche dipendono dal contributo dell’eliminazione renale alla eliminazione sistemica del
farmaco e dall’indice terapeutico del farmaco (rapporto tra la dose massima tollerata e la minima dose
efficace). La creatinina clearance (misurata o calcolata
usando programmi computerizzati o la formula Cockcroft- (140 — età [aa]) (peso corporeo [kg])
Gault) viene utilizzata per guidare le dosi del farmaco. La Clcreat (ml/min) = (72) (creatinina sierica [mg/dl])
formula Cockcroft-Gault usa la concentrazione sierica di
creatinina per calcolare la creatinina clearance (Clcreat):
90
Per le donne, i valori calcolati vanno moltiplicati per 0,85.
Poiché la funzione renale è dinamica, le dosi di mantenimento dei farmaci devono essere aggiustate in
base alla malattia acuta o alla disidratazione del paziente o a un recente recupero dalla disidratazione.
Inoltre, dal momento che la funzionalità renale può continuare a diminuire con l’età, la dose dei farmaci
somministrati a lungo termine va rivista periodicamente.

FARMACI CON METABOLISMO O ELIMINAZIONE RIDOTTI NELL’ANZIANO


Classe Ridotto metabolismo epatico Ridotta eliminazione renale
Analgesici e farmaci Destropropoxifene —
antiinfiammatori Ibuprofene
Meperidina
Morfina
Naproxene
Antibiotici — Amikacina
Ciprofloxacina
Gentamicina
Nitrofurantoina
Streptomicina
Tobramicina
Farmaci cardiovascolari Amlodipina N-Acetilprocainamide
Diltiazem Captopril
Lidocaina† Digossina
Nifedipina Enalapril
Propranololo Lisinopril
Chinidina Procainamide
Teofillina Quinapril
Verapamil
Diuretici — Amiloride
Furosemide
Idroclorotiazide
Triamterene
Farmaci psicoattivi Alprazolam† Risperidone
Clordiazepossido
Citalopram
Desipramina†
Diazepam
Imipramina
Nortriptilina
Trazodone
Triazolam†
Altri Levodopa Amantadina
Clorpropamide
Cimetidina
Litio
Metotrexato
Ranitidina

FARMACODINAMICA
Il tempo e l’effetto dei farmaci sulla funzione cellulare e dell’organismo.
Nell’anziano, gli effetti di simili concentrazioni farmacologiche nei siti d’azione possono essere maggiori
o più piccoli rispetto ai giovani. La differenza potrebbe essere dovuta alle modificazioni dell’interazione
farmaco-recettore, a modificazioni postrecettoriali o a risposte adattative omeostatiche; tra i pazienti più
fragili, le differenze sono provocate di frequente dalla patologia d’organo.

91
L’aumentata sensibilità dovuta all’invecchiamento deve essere considerata quando vengono usati farmaci
che possono avere effetti collaterali gravi. Questi farmaci comprendono morfina, pentazocina, warfarin,
inibitori dell’enzima convertente l’angiotensina, diazepam (specialmente dati per via parenterale) e
levodopa. Alcuni farmaci i cui effetti sono ridotti con il normale invecchiamento (p. es., tolbutamide,
gliburide, b-bloccanti) devono essere usati con cautela nei pazienti anziani, dal momento che si possono
verificare gravi effetti tossici correlati alla dose e i segni di tossicità possono essere ritardati.
La stimolazione dei b-recettori aumenta la concentrazione intracellulare di adenosinmonofosfato ciclico
(cAMP). Questo attiva una protein chinasi, un enzima che fosforila le proteine, portando ad alterata
funzione cellulare. Nell’anziano, la risposta del cAMP ai b-agonisti è ridotta nei linfociti umani e nel
tessuto cardiaco, apparentemente in conseguenza della riduzione dell’affinità di legame dei b-agonisti per
il b-recettore e delle modificazioni della risposta postrecettoriale.
La desensibilizzazione non è responsabile. La up-regulation dei recettori nei linfociti e nel tessuto
cardiaco a seguito del b-blocco non si altera con l’invecchiamento. Queste modificazioni, comunque,
sono tessuto-specifiche e differiscono in altri tessuti (p. es., adipociti). Quindi, la risposta cronotropa alla
somministrazione in bolo del agonista isoproterenolo (isoprenalina) si attenua con l’età. Comunque, la
sensibilità all’isoproterenolo è ridotta sia nei giovani che negli anziani da b-bloccanti non selettivi (p. es.,
propranololo). L’effetto del propranololo può essere dovuto al blocco dei b-recettori nei vasi periferici o
nel cuore. Comunque, la variazione del ritmo cardiaco in risposta al bolo di isoproterenolo è largamente
dovuta alla mancata risposta dei barorecettori dei vagali e all’attivazione simpatica piuttosto che
all’effetto diretto dell’attivazione dei b-recettori. Quindi, l’aumento della risposta cronotropa nell’anziano
è largamente abolito dal blocco autonomico da atropina e clonidina, che bloccano la componente della
risposta cronotropa dovuta all’attivazione riflessa dei barorecettori, secondaria alla vasodilatazione
indotta dall’isoproterenolo. Questo effetto mostra che la valutazione della risposta farmacologica deve
considerare meccanismi controregolatori.
Con l’età, la sedazione del sistema nervoso centrale da benzodiazepine è aumentata. Questo aumento è
clinicamente importante. Per una sedazione efficace e sicura, la dose di midazolam deve essere diminuita
del 30% nei pazienti anziani, a causa delle modificazioni farmacocinetiche legate all’età. L’effetto della
somministrazione orale di triazolam, inoltre, è aumentato, ma questo aumento è dovuto all’aumento dei
livelli plasmatici piuttosto che all’aumento della sensibilità. Simili considerazioni farmacocinetiche e
farmacodinamiche si applicano a benzodiazepine a lunga azione come clordiazepossido, diazepam e
flurazepam, che subiscono tutte l’ossidazione a metaboliti attivi che si accumulano in caso di uso cronico
e hanno un effetto prolungato. La risposta renale alla furosemide o dopamina è ridotta. Comunque, mentre
la broncodilatazione in risposta all’albuterolo (un b2 agonista) si riduce con l’età in soggetti normali, le
risposte all’albuterolo o ipratropio (un antagonista muscarinico) non si alterano con l’età in pazienti con
asma o broncopneumopatia cronica ostruttiva.

REAZIONI AVVERSE AI FARMACI


Nelle persone anziane con > 60 anni di età circa un terzo dei ricoveri e la metà dei decessi si verifcano per
reazioni avverse ai farmaci. Gli anziani hanno un rischio aumentato di tossicità da farmaci, specialmente
benzodiazepine a lunga azione, antiinfiammatori non steroidei, warfarin, eparina, aminoglicosidi,
isoniazide, alte dosi di tiazidici, farmaci antineoplastici e la maggior parte degli antiaritmici. L’aumento
del rischio non è stato dimostrato per altri farmaci (p. es., b-bloccanti, antiipertensivi, lidocaina,
propafenone).
L’aumentata suscettibilità può essere causata dalle modificazioni associate all’età nella farmacocinetica o
farmacodinamica o da disordini aggravati da farmaci (p. es., prostatismo da farmaci anticolinergici,
ipotensione posturale da diuretici). Il rischio di una reazione avversa ai farmaci aumenta
esponenzialmente con il numero dei farmaci utilizzati, in parte dal momento che le terapie
multifarmacologiche riflettono la presenza di molte malattie e forniscono l’opportunità di interazioni
farmaco-malattia e tra farmaci.
Le interazioni farmaco-malattia (esacerbazioni della malattia da parte di un farmaco) possono aversi in
ogni gruppo di età, ma sono più importanti nell’anziano a causa dell’aumentata prevalenza della malattia
e della difficoltà di differenziare rapidamente reazioni avverse a farmaci dagli effetti della malattia. I
farmaci anticolinergici sono una causa comune di tali interazioni (p. es., con il glaucoma, l’iperplasia
prostatica benigna, il morbo di Alzheimer, la secchezza oculare o l’aptialia).
Le interazioni tra farmaci (l’alterata farmacocinetica o farmacodinamica di un farmaco quando assunto
contemporaneamente con uno o altri farmaci) sono numerose. Sono stati effettuati pochi studi prospettici
per valutare le interazioni tra farmaci nell’anziano. Uno studio ha documentato che il 40% dei pazienti
anziani gestiti ambulatorialmente era a rischio di interazioni tra farmaci; il 27% di queste interazioni era
potenzialmente grave (p. es., interazione chinidina-digossina). L’inibizione del metabolismo di un
farmaco da parte di un altro non si modifica con l’età; cioè, la cimetidina e la ciprofloxacina inibiscono il
tasso metabolico della teofillina di circa il 30% negli anziani e nei giovani sani. L’effetto
92
dell’invecchiamento sull’induzione del metabolismo dei farmaci varia; p. es., l’induzione del
metabolismo della teofillina dalla fenitoina è simile nelle persone anziane e giovani, mentre l’induzione
del metabolismo dei farmaci da dicloralfenazone, glutetimide e rifampicina può essere ridotta negli
anziani.
L’uso concomitante di farmaci con simili tossicità porta a gravi reazioni avverse nell’anziano. Per
esempio, l’uso concomitante di farmaci anticolinergici, come farmaci antiparkinsoniani (p. es.,
benztropina), antidepressivi triciclici (p. es., amitriptilina, imipramina), antipsicotici (p. es., tioridazina),
antiaritmici (p. es., disopiramide) e antistaminici (p. es., difenidramina, clorfeniramina) può causare o
peggiorare la sensazione di bocca secca, la visione offuscata, la stipsi, la ritenzione urinaria e il delirio.

INTERAZIONI TRA FARMACI CLINICAMENTE IMPORTANTI NELL’ANZIANO


Farmaco Farmaco interagente Meccanismo Effetto
Interazioni farmacocinetiche
Ciprofloxacina Sucralfato Ridotto assorbimento Ridotta risposta antibiotica
Amiodarone, diltiazem, chinidina, Ridotta clearance renale o non
Digossina Tossicità da digitale
verapamil renale
Ridotto effetto della
Antiacidi, colestiramina, colestipol Ridotto assorbimento
digossina
Penicilline, probenecid, salicilati, altri Ridotta secrezione tubulare renale
Metotrexato Tossicità da metotrexato
acidi organici attiva
La maggior parte Alterazione della velocità di Riduzione della velocità di
Farmaci anticolinergici
dei farmaci svuotamento gastrico assorbimento dei farmaci
Alterazione della velocità di Aumento della velocità di
Metoclopramide
svuotamento gastrico assorbimento dei farmaci
Induzione del metabolismo dei Perdita dell’effetto
Fenitoina Barbiturici, rifampicina
farmaci anticonvulsivo
Carbamazepina, fenitoina, rifampicina, Induzione del metabolismo dei
Teofillina Aumento della dispnea
fumo farmaci
Cimetidina, ciprofloxacina, disulfiram, Inibizione del metabolismo dei
Tossicità da teofillina
enoxacina, eritromicina, mexiletina farmaci
Spiazzamento dal sito di legame Possibile aumento
Warfarin Aspirina, furosamide
con le proteine plasmatiche dell’effetto anticoagulante
Induzione del metabolismo dei Ridotto potere
Barbiturici, carbamazepina, rifampicina
farmaci anticoagulante
Cimetidina, metronidazolo, omeprazolo, Aumento del potere
Inibizione del metabolismo dei
trimetoprim-sulfametoxazolo, anticoagulante,
farmaci
amiodarone sanguinamento
Interazioni farmacodinamiche
Blocco competitivo dei beta- Ridotta risposta
Albuterolo b-Bloccanti
recettori broncodilatatoria
Effetti sulla funzione piastrinica,
Sanguinamento
Aspirina Warfarin sulla coagulazione e sull’integrità
gastrointestinale
della mucosa
Altri anticolinergici (p. es., antistaminici, Effetto additivo sui recettori Confusione, ritenzione
Benztropina
antidepressivi triciclici, tioridazina) colinergici urinaria
b-Bloccanti Digossina, diltiazem, verapamil Effetti sulla conduzione cardiaca Bradicardia, blocco cardiaco
Digossina Diuretici Ipokaliemia Tossicità da digitale
ACE-inibitori, alfa-bloccanti, levodopa,
Diuretici fenotiazine, antidepressivi triciclici, Ipotensione ortostatica Cadute, astenia, sincope
vasodilatatori
Riduzione della funzionalità
FANS Ridotta perfusione renale
renale

Le problematiche cliniche principali comprendono l’efficacia e la sicurezza, il dosaggio, la complessità


del regime, i costi e la compliance del paziente.
L’efficacia e la sicurezza sono considerazioni importanti al momento della prescrizione dei farmaci.
Poiché il rapporto rischio/beneficio della terapia farmacologica può essere meno favorevole negli anziani
(cioè, è aumentato il rischio di effetti collaterali), è importante usare farmaci con efficacia documentata e
bassa tossicità. La scelta del farmaco è particolarmente importante per l’anziano con malattia cronica
(p. es., ipertensione, diabete di recente esordio), in cui gli esiti sono meno certi. Per esempio, il beneficio
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del trattamento dell’ipertensione nei pazienti con più di 80 anni non è così chiaro come in quelli di < 80
anni. Gli obiettivi terapeutici (p. es., la riduzione della pressione arteriosa o emoglobina glicosilata [Hb
A1c]) possono essere modificati per ridurre il rischio di effetti collaterali dose-dipendenti.
La dose spesso deve essere ridotta negli anziani, sebbene le richieste farmacologiche varino
considerevolmente (fino a cinque volte) da persona a persona. In generale, le dosi iniziali dei farmaci con
un basso indice terapeutico sono circa da un terzo alla metà delle dosi abituali dell’adulto. Se un paziente
ha un problema clinico che può essere esacerbato da un farmaco, la dose iniziale va ridotta di circa la
metà, specialmente se l’eliminazione del farmaco è ridotta con l’età.
La complessità dei regimi farmacologici (p. es., terapie multifarmacologiche, somministrazioni
frequenti, dosi variabili) aumenta il rischio di scarsa compliance. Se un paziente ha più di un disturbo
(p. es., ipertensione e angina), può essere possibile trattare entrambi i disturbi con un solo farmaco (p. es.,
un b-bloccante o un calcio-antagonista), riducendo così il numero dei farmaci prescritti. Farmaci che
richiedono una o due somministrazioni giornaliere (preparazioni a rilascio lungo e lento) determinano una
migliore compliance rispetto a quelli con somministrazioni più frequenti. Il regime farmacologico deve
essere discusso con il paziente in modo da creare una collaborazione e mantenere un regime semplice.
I costi dei farmaci possono comportare un peso economico maggiore, particolarmente nei pazienti anziani
che hanno solo entrate fisse. Il medico deve essere informato riguardo ai costi del farmaco e deve
discuterne con il paziente. Quando il costo è rilevante, si deve adottare per prima la terapia meno costosa
(p. es., diuretici tiazidici per l’ipertensione).
La compliance (aderenza alla terapia) è influenzata da molti fattori, ma probabilmente non dall’età di per
sé. Comunque, circa il 40% degli anziani non assume i farmaci come prescritto, di solito assume dosi
ridotte rispetto a quelle prescritte.
È più probabile che gli anziani siano compiacenti se hanno un buon rapporto con il loro medico, se
vengono coinvolti nel processo decisionale sulla terapia e se il medico mostra preoccupazione per la loro
compliance. Istruzioni chiare per l’uso e spiegazioni sulla necessità del trattamento sono necessarie e
sapere cosa ci si può aspettare (p. es., benefici ritardati, effetti collaterali generali) può aiutare ad
assicurare la compliance. La fiducia nel medico è cruciale.
Incoraggiare i pazienti a fare domande e a esprimere le loro preoccupazioni può aiutarli a venire a capo
della gravità della loro malattia e a considerare in maniera intelligente i vantaggi e gli svantaggi di un
trattamento. Discutere il meccanismo inconscio di rifiuto della malattia e come esso porta alla
“dimenticanza“ o altrimenti alla mancata assunzione dei farmaci può aiutare i pazienti a evitare tale
trappola. Essi devono essere consigliati a riportare ogni effetto indesiderato o inaspettato al medico prima
di aggiustare o interrompere la terapia per conto loro. Spesso, i pazienti hanno buone ragioni per non
seguire una terapia e il loro medico può modificare adeguatamente la terapia dopo una franca trattazione
del problema.
Farmacisti e infermieri possono individuare e risolvere problemi di compliance. Per esempio, il
farmacista può notare che il paziente non richiede la ricarica o che una prescrizione è illogica o errata. Nel
rivedere le prescrizioni con il paziente, un farmacista o un’infermiera possono scoprire mancata
comprensione o paura e alleviarle. È importante la comunicazione tra il personale sanitario nel fornire
assistenza al paziente.
Gruppi di supporto per pazienti con alcuni disordini spesso possono corroborare piani di trattamento e
fornire suggerimenti per fronteggiare i problemi.

CLASSI DI FARMACI DI INTERESSE GERIATRICO


Alcune classi di farmaci (p. es., diuretici, antiipertensivi, antiaritmici, farmaci antiparkinsoniani,
anticoagulanti, psicoattivi, ipoglicemizzanti e analgesici) pongono rischi speciali per gli anziani. Alcuni
singoli farmaci pongono rischi simili e spesso sono disponibili alternative più sicure.
Diuretici: dosi più basse di diuretici tiazidici (p. es., idroclorotiazide o clortalidone a 12,5-25 mg)
possono controllare l’ipertensione, con meno rischio di ipokaliemia e iperglicemia rispetto a dosi più alte.
Quindi, meno spesso possono essere necessarie somministrazioni supplementari di potassio o diuretici
risparmiatori di potassio. Dosi di > 25 mg/die sono state associate ad aumentata mortalità.
Antiipertensivi: il trattamento dell’ipertensione è efficace nei pazienti anziani; il trattamento di 18
pazienti anziani per 5 anni impedisce un evento cardiovascolare maggiore. Differenti classi di
antiipertensivi hanno un’efficacia comparabile negli anziani di razza bianca; comunque, negli anziani di
razza nera, i b-bloccanti e gli inibitori dell’enzima convertente l’angiotensina sono generalmente meno
efficaci, mentre diuretici e Ca antagonisti sono più efficaci. Determinare quale antiipertensivo è
preferibile, al fine di garantire la migliore qualità di vita nell’anziano, non è chiaro. Se tollerati, i diuretici
sono la prima scelta per i pazienti anziani, poiché questi farmaci riducono la morbilità cardiovascolare e i
tassi globali di mortalità cardiovascolare globale. Anche Ca antagonisti a lunga azione del tipo della
didropiridine (p. es., amlodipina, felodipina, nifedipina a rilascio sostenuto) appaiono ridurre eventi
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cardiovascolari nell’anziano. Didropiridine a breve azione (p. es., nifedipina) non vanno usati a causa di
un aumentato rischio di mortalità. I benefici dei b-bloccanti nell’ipertensione dell’anziano sono stati
discussi. Controindicazioni all’uso dei b-bloccanti comprendono broncopneumopatia cronica ostruttiva e
malattia vascolare periferica; la depressione per la clonidina; l’ipotensione ortostatica per i vasodilatatori
e gli a-bloccanti.
Antiaritmici: gli antiaritmici hanno la stessa indicazione ed efficacia negli anziani e nei pazienti più
giovani. Comunque, a causa della modificazione della farmacocinetica, la dose di alcuni (p. es.,
procainamide, chinidina, lidocaina) deve essere ridotta nell’anziano. In aggiunta, il rischio di reazioni
indesiderate significative da alcuni farmaci (p. es., mexiletina; classe di farmaci IC, come encainide e
flecainide) aumenta con l’età. La clearance della digossina diminuisce mediamente del 50% nei pazienti
anziani con normali livelli di creatinina sierica. Perciò, si deve iniziare con basse dosi di mantenimento
(0,125 mg/die) e regolarle a seconda della risposta e dei livelli di digossina.
Farmaci antiparkinsoniani: la clearance della levodopa è ridotta nei pazienti più anziani, che sono
anche più sensibili all’ipotensione posturale e alla confusione. Perciò, gli anziani devono ricevere basse
dosi di levodopa e devono essere controllati attentamente per eventuali effetti collaterali. Pazienti che
diventano confusi durante il trattamento con levodopa possono non tollerare bene i nuovi agonisti della
dopamina (p. es., bromocriptina, pergolide, pramipexolo, ropinirolo). Con il trattamento a lungo termine
con levodopa, si verificano complicanze motorie quali fluttuazioni on-off e discinesie. Se queste
complicanze siano dovute alla progressione della patologia o alla levodopa non è del tutto chiaro. Alcuni
neurologi propongono l’utilizzo precoce di agonisti della dopamina per ridurre l’esposizione alla
levodopa, evitando o ritardando, quindi, queste complicanze motorie. Se questa strategia abbia successo
non è stato dimostrato. Dal momento che i pazienti anziani con il parkinsonismo possono presentare
alterazioni cognitive, i farmaci anticolinergici devono essere evitati, quando ciò risulta possibile.
Anticoagulanti: l’invecchiamento non altera la farmacocinetica del warfarin, ma può aumentare la
sensibilità ai suoi effetti anticoagulanti (aumento del tempo di protrombina o dell’INR). I pazienti anziani
richiedono generalmente basse dosi di carico (< 7,5 mg) e mantenimento (di solito < 5 mg/die) di
warfarin. Se il farmaco deve essere sospeso (p. es., prima della chirurgia), il ritorno al normale stato di
coagulazione può essere più lento nei pazienti anziani rispetto ai giovani.
Farmaci psicoattivi: nei pazienti non psicotici affetti da demenza, con disturbi comportamentali, i
farmaci antipsicotici controllano i sintomi solo minimamente meglio rispetto al placebo. Sebbene gli
antipsicotici possano ridurre l’ansia, essi possono peggiorare la confusione. I pazienti anziani,
specialmente le donne, presentano un rischio aumentato di discinesia tardiva, spesso irreversibile.
Sedazione, ipotensione posturale, effetti anticolinergici e acatisia (insofferenza motoria soggettiva) si
presentano frequentemente nei pazienti anziani che usano un antipsicotico. Il parkinsonismo farmaco-
indotto può persistere fino a 9 mesi dopo la sospensione del farmaco.
Quando un antipsicotico viene usato nell’anziano, la dose iniziale deve essere circa un quarto della dose
abituale per l’adulto e poi incrementata gradualmente. Il rischio di disfunzioni extrapiramidali sembra
minore con i nuovi antipsicotici (p. es., olanzapina, chetiapina, risperidone), un potenziale vantaggio
nell’anziano. Comunque, l’esperienza con questi farmaci nell’anziano è limitata ed è necessaria la
riduzione della dose iniziale (p. es., risperidone a 2-4 mg/die). Nei pazienti fragili in casa per anziani, la
dose iniziale di 2 mg/die è appropriata. Gli anziani sembrano tollerare l’olanzapina piuttosto bene.
L’uso di ansiolitici e ipnotici è problematico. Differenti benzodiazepine sembrano ugualmente efficaci
nel ridurre l’ansia; la scelta dipende dalla farmacocinetica e farmacodinamica del farmaco. Le cause
trattabili di insonnia devono essere ricercate e trattate prima di usare gli ipnotici. In generale,
benzodiazepine ad azione media o breve con emivite di < 24 h (p. es., alprazolame, lorazepam, oxazepam,
temazepam) sono preferite per indurre sedazione o sonno. Benzodiazepine a lunga azione devono essere
evitate, poiché il rischio di accumulo e tossicità è aumentato, portando a secchezza della bocca, riduzione
della memoria e alterazione dell’equilibrio con cadute e fratture. La terapia farmacologica dell’ansia o
dell’insonnia deve essere limitata all’uso occasionale o a breve termine, se possibile, a causa del rischio di
sviluppare tolleranza e dipendenza; l’astinenza può portare al ritorno di insonnia come pure di ansia.
Il buspirone, un agonista parziale serotoninergico, ha la stessa efficacia delle benzodiazepine nel
trattamento del disturbo d’ansia generale; i pazienti anziani tollerano dosi fino a 30 mg/die. La lenta
azione di inizio del buspirone (fino a 2-3 sett.) può essere uno svantaggio nei casi che richiedono un
effetto rapido. Lo zolpidem è un ipnotico non benzodiazepinico che si lega principalmente a un sottotipo
recettoriale delle benzodiazepine; i pazienti anziani con insonnia sembrano tollerare dosi di 5-10 mg. I
vantaggi dello zolpidem rispetto alle benzodiazepine comprendono riduzione del disturbo del profilo del
sonno, minori effetti di rimbalzo e riduzione del rischio potenziale di dipendenza. Antiistaminici H 1
(p. es., difenidramina, idrossizina) non sono consigliati a causa dei loro effetti anticolinergici.

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In generale, gli antidepressivi di scelta sono inibitori selettivi del reuptake della serotonina (Selective
Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI, cioè, fluoxetina, paroxetina, sertralina, citalopram). Gli SSRI
sembrano essere efficaci quanto gli antidepressivi triciclici, ma producono minore tossicità, specialmente
in caso di sovradosaggio. Un possibile svantaggio della fluoxetina è la sua lunga emivita di eliminazione,
specialmente del suo metabolita attivo. La paroxetina ha effetti sedativi maggiori, ha azione
anticolinergica e, similmente alla fluoxetina, può inibire l’attività enzimatica del citocromo P-450 2D6
epatica, con rischio di alterare il metabolismo di diversi farmaci (p. es., alcuni antipsicotici, antiaritmici e
antidepressivi triciclici). La sertralina è più attiva, ma la diarrea è un effetto avverso comune. Sia la
sertralina che il citalopram sembrano avere potenzialmente una ridotta interazione farmacologica. La
clearance epatica del citalopram è ridotta nei pazienti anziani. Le dosi iniziali di SSRI devono essere
ridotte fino al 50% nell’anziano.
Gli antidepressivi triciclici sono efficaci. Quelli con effetti collaterali minori sono meglio utilizzati
nell’anziano e quelli con effetti anticolinergici significativi (p. es., amitriptilina, imipramina),
antiistaminici (p. es., doxepina) e antidopaminergici (p. es., amoxapina) vanno evitati. Gli inibitori del
reuptake della norepinefrina nortriptilina e desipramina, iniziando la somministrazione alla dose di 10-25
mg/die, sono più adeguati. Entrambi hanno un basso potere anticolinergico, e la nortriptilina ha la minore
azione a-bloccante (effetto ipotensivo). Comunque, il sovradosaggio provoca tossicità cardiaca e
neurologica, precludendo l’uso di questi farmaci in pazienti a rischio di suicidio. Attualmente il trazodone
è usato principalmente per la sedazione in pazienti con depressione e insonnia. Il potere anticolonergico è
basso. Il trazodone è meno cardiotossico dei triciclici, ma può produrre ipotensione ortostatica e
priapismo. Il bupropione non è cardiotossico, ma, a dosi elevate, aumenta il rischio di convulsioni. Nuovi
farmaci (p. es., mirtazapina, nefazodone, venlafaxine) sono utili per i pazienti che non rispondono o sono
intolleranti ai SSRI. Il metilfenidato può essere utile nel trattamento di alcuni pazienti anziani con
depressione che hanno avuto un ictus o che abbiano una malattia medica snervante. L’inizio dell’azione
farmacologica è rapido. Gli inibitori delle monoaminoossidasi (p. es., tranilcipromina, fenelzina) devono
essere prescritti soltanto da psichiatri con esperienza nel trattamento del paziente anziano.
Ipoglicemizzanti: informazioni recenti indicano che la terapia del diabete mellito tipo II può migliorare
gli esiti, specialmente le complicanze microvascolari. I pazienti anziani diabetici con un’aspettativa di
vita ragionevole meritano un trattamento aggressivo e attento per ridurre l’Hb A1c a circa il 7%. Questa
riduzione può essere impossibile a causa dei rischi di ipoglicemia o di resistenza al trattamento. Gli
ipoglicemizzanti orali rimangono il trattamento principale del diabete tipo II. Le sulfoniluree aumentano
la secrezione di insulina. Sono efficaci e ben tollerate nei pazienti anziani. Comunque, l’incidenza di
ipoglicemia dovuta alle sulfoniluree può aumentare con l’età. La clorpropamide non è raccomandata in
quanto i pazienti anziani hanno un rischio aumentato di iponatriemia e perché l’azione prolungata del
farmaco è pericolosa se si verificano tossicità o ipoglicemia. L’invecchiamento può ridurre la clearance
insulinica, ma la dose di insulina è dipendente dal livello di resistenza all’insulina, che varia ampiamente
tra i pazienti con diabete tipo II.
La metformina, una biguanide escreta dai reni, aumenta la sensibilità periferica tissutale all’insulina e
può essere efficace da sola o in combinazione con le sulfoniluree. Comunque, l’efficacia a lungo termine
e la sicurezza nei pazienti anziani non sono ben stabilite. Il rischio di acidosi lattica, una rara, ma grave,
complicanza, aumenta con il grado dell’alterazione renale e l’età del paziente. La metformina è
controindicata nei pazienti con nefropatia o disfunzione renale (cioè, creatinina sierica ³ 1,5 mg/dl
[³ 130 mmol/l] negli uomini o ³ 1,4 mg/dl [³ 120 mmol/l] nelle donne) o in quelli con un’anormale
creatinina clearance.
I tiazolidinidioni (p. es., rosiglitazone, pioglitazone) migliorano il controllo della glicemia, aumentando
la sensibilità tissutale agli effetti dell’insulina. Essi sono più appropriati come farmaci di riserva per
controllare la glicemia in pazienti che prendono ipoglicemizzanti orali o insulina. Il monitoraggio regolare
della funzionalità epatica è consigliato per rilevare lo sviluppo di epatotossicità. L’insufficienza epatica
con l’uso di troglitazone ha portato alla rimozione di questo farmaco dal commercio negli Stati Uniti. Non
si sa se l’invecchiamento aumenti il rischio di epatotossicità. L’aumento ponderale da edema può anche
verificarsi e per questo motivo questi farmaci non vanno usati nei pazienti con insufficienza cardiaca
scarsamente controllata.
L’acarboso, somministrato con il cibo, riduce l’iperglicemia postprandiale e, in combinazione con altri
ipoglicemizzanti, può aiutare a controllare la glicemia in alcuni pazienti. Può verificarsi intolleranza
gastrointestinale.
Analgesici: i FANS sono i farmaci più largamente utilizzati e molti non sono disponibili senza
prescrizione. Alcuni dati indicano che la clearance del salicilato, ossaprozina e naprossene è ridotta nei
pazienti anziani. Il rischio di ulcera peptica e sanguinamenti del tratto GI superiore, che possono essere
gravi, è maggiore quando si inizia un FANS o se ne aumenta la dose. L’ibuprofene, il diclofenac e il
salsalato causano meno frequentemente il sanguinamento gastrointestinale. L’invecchiamento non sembra
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aumentare il rischio di effetti GI avversi indotti da FANS; comunque, queste complicanze, quando si
verificano, aumentano i tassi di morbilità e mortalità nei pazienti anziani. Il rischio di emorragia del tratto
GI superiore aumenta di più di 10 volte quando i FANS sono combinati al warfarin. Per gli anziani con un
alto rischio di complicanze gastroduodenali da FANS, il misoprostolo (un analogo sintetico della
prostaglandina E1), un potente inibitore dell’acidità gastrica (p. es., omeprazolo, lansoprazolo) o alte dosi
di antiistaminici H2 possono essere aggiunti. Tali farmaci possono ridurre il rischio di ulcera peptica. Il
rischio di compromissione renale da FANS può aumentare nei pazienti anziani. Il monitoraggio dei livelli
sierici di creatinina è ragionevole, specialmente in pazienti con altri fattori di rischio (p. es., insufficienza
cardiaca, compromissione renale, cirrosi con ascite, deplezione di volume, uso di diuretici). Dal momento
che le persone anziane hanno un rischio maggiore di prognosi grave dovuta a complicanze, i FANS
devono essere utilizzati solo quando analgesici meno tossici (p. es, acetaminofene) non hanno avuto
effetto. I FANS devono essere utilizzati alla dose più bassa possibile.
I FANS inibiscono in maniera non selettiva la cicloossigenasi (COX)-1 (portando a tossicità GI e renale)
e la COX-2 (portando a effetti antiinfiammatori). Inibitori selettivi della COX-2 (p. es., celecoxib,
rofecoxib) hanno dimostrato di avere proprietà antiinfiammatorie e analgesiche simili a quelle dei
convenzionali FANS, ma causano meno tossicità GI. Gli inibitori della COX-2 possono essere più sicuri
dei FANS per i pazienti anziani, particolarmente per i pazienti che presentano una storia di ulcera
gastroduodenale o sanguinamento. Il farmaco COX-2 più adatto per questo gruppo di età non è noto.

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9. SERVIZI TERRITORIALI
Introduzione
La moderna Geriatria nasce in Inghilterra negli anni cinquanta, quando per la prima volta la dott. Warren,
responsabile di un cronicario, si rende conto dei danni che il prolungato allettamento causa agli anziani
ospiti; comincia così ad alzarli dal letto e tenta, con successo, la riabilitazione anche di casi
apparentemente “senza speranza”. Da allora in tutto il mondo sono stati proposti e realizzati servizi socio-
assistenziali e sanitari per la tutela del benessere e della salute degli anziani.
Anche in Italia lo studio delle problematiche dell’invecchiamento e della vecchiaia ha avuto, negli ultimi
tre decenni, un notevole impulso; ma questo fiorire di studi e ricerche non è stato per lo più accompagnato
dalla realizzazione pratica di una rete di servizi sociali e sanitari rispondenti alle esigenze di una
popolazione in rapido invecchiamento. Le esperienze straniere, e anche quelle sviluppate in Italia (anche
se isolate e frammentarie), consentono comunque di delineare gli obiettivi, i principi e l’articolazione di
una rete di servizi socio-sanitari per gli anziani.
I presidi e i servizi
Prima di illustrare i singoli servizi che dovrebbero costituire un sistema ideale di sicurezza sociale e di
tutela della salute degli anziani, è utile fare una precisazione in merito alla terminologia normalmente
utilizzata in ambito socio-sanitario.
In Italia alla inadeguatezza delle realizzazioni pratiche ha sempre fatto riscontro una straordinaria
ricchezza delle denominazioni dei servizi: lo stesso tipo di servizio assume un nome diverso a seconda
delle diverse realtà regionali o locali, a seconda degli Enti gestori o con il variare negli anni dei piani e dei
programmi. Così per esempio, le Case di Riposo che accolgono persone non autosufficienti, un tempo
definite “cronicari”, sono di volta in volta “Strutture Protette”, “Residenze Protette”, “Strutture miste
sociali e sanitarie”, “Residenze Sanitarie e Assistenziali”, “Residenze Sanitarie Assistite” e così via.
Assistenza domiciliare
È un servizio fondamentale per aiutare persone con autonomia limitata, anziane e non, a rimanere il più a
lungo possibile al loro domicilio.
Interviene attraverso operatori di diversa professionalità (assistente sociale, assistente domiciliare
domestica, infermiere, fisioterapista, ecc.) e può offrire molteplici prestazioni quali:
 informazioni sui servizi sociali e sanitari (segretariato sociale);
 aiuto nella ricerca di soluzioni ai singoli problemi;
 supporto psicologico;
 aiuto nello svolgimento di pratiche burocratiche (mutualistiche, pensionistiche, ecc.);
 aiuto per il governo della casa (pulizia ambienti, preparazione pasti, lavaggio biancheria, ecc.);
 aiuto alla persona non del tutto autosufficiente nelle attività giornaliere (lavarsi, vestirsi,
camminare, ecc.);
 pasto a domicilio;
 servizio lavanderia e stireria a domicilio;
 prestazioni infermieristiche e controlli periodici dello stato di salute;
 interventi riabilitativi.
Le esperienze straniere hanno dimostrato che servizi di assistenza domiciliare ben organizzati e
capillarmente distribuiti possono ridurre significativamente i ricoveri degli anziani nelle case di riposo e
negli ospedali. La maggior parte delle Regioni italiane ha disposto per legge l’istituzione di Servizi di
assistenza domiciliare, anche se le realizzazioni concrete e efficaci, basate sull’impiego di un numero
adeguato di operatori e risorse, sono ancora limitate. L’organizzazione di questi servizi è compito, a
seconda delle diverse realtà regionali, dei Comuni o delle USSL o di entrambi gli enti
contemporaneamente (in questo caso al Comune spettano le prestazioni sociali, all’USSL quelle
sanitarie).
Centri diurni
Il termine “Centri diurni” viene per lo più utilizzato in Italia per indicare due diverse tipologie di servizi:
 Centri di ritrovo a disposizione degli anziani, con funzioni prevalentemente ricreativa, culturale e
di socializzazione.
 Servizi di ricovero solo diurno di persone con autosufficienza limitata.
I due tipi di Centri possono anche integrarsi e favorire il rapporto di persone non del tutto autonome con i
coetanei in buona salute (esistono anche in Italia esperienze in cui gli stessi anziani che autogestiscono il
Centro di Ritrovo organizzano un servizio di questo tipo per persone non autosufficienti); oppure possono
essere localizzati presso una Casa di riposo che mette a disposizione del Centro tutti i propri servizi (dalla
cucina al bar, dalla palestra di riabilitazione all’infermiere e al medico geriatra, ecc.).
Le Case di riposo
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Generalmente si distinguono:
 strutture per soli anziani autosufficienti (le “Case albergo”), che offrono sostanzialmente una
assistenza abitativa e la possibilità di utilizzare servizi comuni (ristorante, soggiorni, ecc.): si
tratta di strutture che fatalmente tendono a trasformarsi in Case di riposo o strutture protette man
mano che i ricoverati perdono la loro autosufficienza.
 Strutture per anziani parzialmente autosufficienti (“Case di riposo”) e totalmente dipendenti
(“Strutture protette”): oltre all’assistenza abitativa offrono interventi assistenziali (di aiuto nelle
attività quotidiane e di protezione) e sanitari (infermieristici, medici e riabilitativi).
Le Comunità alloggio
Una possibile alternativa alla Casa di riposo è la Comunità alloggio: un piccolo gruppo di persone anziane
che non riescono più a vivere autonomamente nella loro casa si riuniscono in un appartamento, dove
ognuno ha la propria stanza mentre cucina, sala da pranzo, soggiorno, guardaroba, ecc. sono in comune.
In una dimensione di tipo “familiare” ciascuno contribuisce alla gestione della casa e si sente più
stimolato a mantenere almeno in parte la sua autonomia. Soluzioni di questo tipo sono molto diffuse in
alcune realtà straniere e sono state sperimentate anche in Italia.
I servizi sanitari
Il Medico di base in Italia costituisce sicuramente il primo punto di riferimento anche per l’anziano.
Alcune recenti disposizioni di legge tendono a incentivare economicamente l’assistenza continuativa a
domicilio da parte del Medico di base a persone colpite da malattie croniche e da invalidità, come
alternativa al ricovero in Ospedale o in Istituto.
L’Infermiere a domicilio può svolgere un prezioso ruolo di raccordo tra l’anziano e il medico, di controllo
frequente delle sue condizioni di salute e delle sue abitudini di vita, di supporto alla sua limitata
autonomia, oltre a erogare tutte quelle prestazioni tecniche che non richiedono di per sé il ricovero
ospedaliero (prelievi, medicazioni, somministrazione di terapia, ecc.).
Oltre al Medico di base e all’Infermiere, un ruolo importante occupa anche il Fisioterapista domiciliare.
Certo la fase iniziale della riabilitazione richiede una struttura adeguata -una palestra con le necessarie
attrezzature e gli spazi sufficienti- e un periodo più o meno lungo di degenza. Ma dopo che questa prima
fase della riabilitazione è stata completata, un fisioterapista che si reca a casa dell’utente può svolgere
molteplici preziosi interventi.
Consultorio geriatrico
È un servizio geriatrico ambulatoriale decentrato in una realtà territoriale (corrispondente, per esempio, a
un distretto dell’USSL o a un piccolo Comune) strettamente integrato con il Servizio di Assistenza
Domiciliare e collegato con gli altri servizi, sanitari e socio-assistenziali, delle realtà circostanti.
Non si tratta soltanto di un ambulatorio medico geriatrico; il Consultorio Geriatrico affronta infatti i
problemi degli utenti avvalendosi, oltre che del medico, anche di altre figure professionali (assistente
sociale o sanitario, infermiere, fisioterapista, psicologo, ecc.) e programma la risposta più idonea ai
diversi bisogni della persona anziana.
Nelle varie realtà in cui tale servizio (spesso con denominazioni diverse) è in funzione, il Consultorio è di
volta in volta gestito direttamente dall’USSL, o dipende da una realtà ospedaliera o da una struttura
protetta, ed è collegato all’Ospedale diurno o al Centro diurno.
Il recente progetto di Piano Sanitario Nazionale ne prevede l’istituzione -sotto il nome di “Unità di
valutazione geriatrica”- nell’ambito della rete dei servizi sanitari per gli anziani, in rapporto diretto con la
Divisione Geriatrica Ospedaliera.
Divisione geriatrica ospedaliera
Secondo un recente decreto del Ministero della Sanità “le unità operative di Geriatria sono da riferire
esclusivamente ai degenti ultrasessantacinquenni ad alto rischio di invalidità” e svolgono anche compiti di
“unità valutativa per le strategie assistenziali agli anziani nelle attività extraospedaliere (residenziali,
attività a ciclo diurno territoriale, ambulatoriali, domiciliari)”.
In questa definizione sono presenti tre concetti fondamentali, derivati dall’esperienza di alcuni Paesi
stranieri (in particolare USA e Gran Bretagna):
1. la Divisione Geriatrica ospedaliera ha come utenti non, genericamente, tutte le persone al di sopra
di una certa età, ma una particolare fascia di soggetti anziani che per la presenza di particolari
malattie hanno una autonomia limitata o sono ad alto rischio di perdere la loro autosufficienza;
2. la Divisione Geriatrica ospedaliera non è, e non deve trasformarsi in un “cronicario”, ma cura
l’anziano ammalato nella fase acuta della malattia, e, se ne ha bisogno, durante il trattamento
riabilitativo, per poi rimandarlo al proprio domicilio o, qualora il recupero non sia completo,
affidarlo ad una Struttura Protetta;
3. la Divisione Geriatrica ospedaliera, per operare con piena efficacia, deve collegarsi saldamente
con tutti gli altri servizi e presidi per le persone anziane collocati al di fuori dell’Ospedale. La
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Divisione Geriatrica ospedaliera è in Italia insomma un reparto a forte impronta preventiva e
riabilitativa, il cui obiettivo, oltre alla cura della malattia acuta o della riacutizzazione di una
forma cronica, è quello di mantenere o recuperare il massimo grado di autonomia.
Ospedale diurno geriatrico
Conosciuto con il termine inglese di Day Hospital, è una struttura ospedaliera, parte integrante della
Divisione Geriatrica, che accoglie i pazienti solo durante la giornata.
Gli utenti accedono all’Ospedale diurno, solitamente con un apposito sistema di trasporto, il mattino, per
tornare a casa nel tardo pomeriggio. Durante le ore di permanenza in Ospedale ricevono tutti gli interventi
sanitari e assistenziali che normalmente vengono erogati in regime di degenza a tempo pieno.
Si tratta in sostanza di una modalità di funzionamento dell’Ospedale, che concentra gli interventi in
alcune ore della giornata, evitando di trattenere i pazienti, quando ciò non sia strettamente necessario, di
sera e di notte o al sabato e alla domenica.
Divisione di lungodegenza riabilitativa
È una soluzione che molte regioni italiane hanno preferito alla Divisione geriatrica: un reparto
specializzato nel trattamento, anche, ma non obbligatoriamente, prolungato, di persone anziane affette da
malattie invalidanti come paralisi, fratture di femore, insufficienza respiratoria cronica, ecc.
Accoglie solitamente malati provenienti dagli altri reparti ospedalieri per acuti dopo un periodo più o
meno lungo di degenza.

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10. PROBLEMATICHE MEDICO-LEGALI
ABUSO SULL’ANZIANO
I diversi tipi di maltrattamento sono: abuso propriamente fisico, abuso psicologico, incuria e abuso
economico. Ciascun tipo può essere intenzionale o non intenzionale. I responsabili sono abitualmente le
mogli o i figli, ma possono essere altri familiari o persone di supporto informale o definito.

L’abuso fisico è l’uso di forza che causa danno fisico o psicologico. Vi includiamo spingere, scuotere,
battere, trattenere e nutrire in maniera non appropriata. Può includere l’abuso sessuale (ogni forma di
intimità sessuale ottenuta senza consenso o con la forza o la minaccia).

L’abuso psicologico è l’uso di parole, gesti o altri mezzi che causano stress emotivi o ansia. Vi
includiamo fare minacce (p. es, di istituzionalizzazione), insulti e comandi gravi; rimanere in silenzio;
ignorare la persona. Questo tipo di abuso comprende l’infantilizzazione (una forma di abuso dell’anziano
in cui chi abusa tratta la vittima come un bambino), incoraggiando la vittima a diventare dipendente da
chi abusa di lei.

L’incuria consiste nel non fornire il cibo, le medicine, l’assistenza personale o le altre necessità.

L’abuso economico è lo sfruttamento o la disattenzione verso le proprietà o i beni di una persona. Vi


includiamo truffare, far pressione su una persona per distribuire i suoi beni e gestire con poca
responsabilità i beni di una persona.
Epidemiologia e fattori di rischio
Malgrado l’incidenza reale non sia chiara, l’abuso sugli anziani è un problema crescente di salute
pubblica negli stati Uniti. In un ampio studio urbano su persone con più di 65 anni, il 3,2% erano vittime
di maltrattamento fisico, psicologico o dell’incuria. Dal momento che certe forme di abuso (p. es.,
sfruttamento economico) non erano incluse, la reale incidenza di maltrattamento probabilmente era più
alta.
Diagnosi
L’abuso è difficile da rilevare, poiché molti dei segni sono sottili e spesso la vittima è poco propensa o
incapace a discutere dell’abuso. Le vittime possono nascondere l’abuso per la vergogna, la paura di
rappresaglie o il desiderio di proteggere chi abusa di loro. Talvolta, quando le vittime dell’abuso cercano
aiuto, ricevono spesso risposte inadeguate dal personale sanitario, che può, per esempio, considerare i
segni dell’abuso come confusione, ansia, o demenza.

Anamnesi: se si sospetta l’abuso, il paziente deve essere interrogato dapprima da solo, per lo meno per
parte del tempo. Le altre persone coinvolte possono essere intervistate anche separatamente. L’intervista
del paziente può iniziare con domande generali circa i sentimenti di sicurezza, ma deve anche includere
domande dirette circa possibili maltrattamenti (p. es., violenza fisica, restrizioni, incuria). Se l’abuso è
confermato, la natura, la frequenza e la gravità degli eventi devono essere individuati. L’abuso, di solito,
diventa più frequente e grave nel tempo. Anche le circostanze che precipitano l’abuso devono essere
ricercate (p. es., intossicazione alcolica).
Le risorse sociali ed economiche del paziente devono essere valutate, poiché influenzano le decisioni
relative al trattamento, p. es., sistemazione o assunzione di un supporto professionale. L’esaminatore deve
investigare circa i familiari o gli amici in grado e desiderosi di occuparsi del paziente, ascoltarlo e
assisterlo. Se le risorse economiche sono adeguate, ma le necessità di base non vengono raggiunte,
l’esaminatore deve capire il perché. Determinare queste risorse può anche aiutare a identificare i fattori di
rischio per l’abuso (p. es., stress finanziari, sfruttamento economico del paziente).
Il colloquio con i familiari deve evitare il confronto. L’intervistatore deve determinare se le responsabilità
di chi si occupa del paziente sono pesanti per i familiari e riconoscere il difficile ruolo di chi si occupa del
paziente, se necessario. Vengono poste domande circa eventi recenti stressanti (p. es., lutto, stress
finanziari), la malattia del paziente (p. es., necessità di assistenza, prognosi) e le cause riportate di
qualsiasi trauma recente.

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Esame obiettivo: segni che aiutano nella diagnosi di abuso sono elencati nella tabella:
Obiettivo Segno
Regressione del paziente, infantilization del paziente da parte dell’assistente, insistenza dell’assistente
Comportamento
a raccontare la storia
Aspetto generale Scarsa igiene (aspetto sciatto, sporcizia) vestiti inappropriati
Turgore cutaneo, altri segni di disidratazione, multiple lesioni cutanee a vari stadi di evoluzione, lividi,
Pelle/membrane
ulcere da decubito, scarsa cura lesioni cutanee stabilizzate
Testa e collo Alopecia traumatica (distinta dall’alopecia androide per la distribuzione)
Tronco Lividi, tracce (la forma può far pensare a degli oggetti, p. es. ferro o cintura)
Regione
Sanguinamento rettale, sanguinamento vaginale, ulcere da decubito, infestazione
genitourinaria
Lesioni su polso o caviglia che suggeriscono uso di strumenti
Arti
di costrizione o bruciature da immersione (p.es. distribuzione a calzino o a guanto)
Apparato
Frattura occulta, dolore, andatura disturbata
muscoloscheletrico
Salute mentale
Sintomi depressivi, ansia
ed emotiva

Il paziente deve essere esaminato con cura, preferibilmente alla prima visita. Il medico può cercare aiuto
da un familiare o un amico fidato del paziente, dai servizi di protezione per l’anziano o, occasionalmente,
agenzie legali per persuadere chi si occupa del paziente o il paziente ad acconsentire alla valutazione. Una
consulenza ai servizi di protezione dell’anziano è obbligatoria nella maggior parte degli stati.
Deve essere valutato lo stato cognitivo, p. es., usando il Mini-Mental State Examination. L’alterazione
cognitiva è un fattore di rischio per l’abuso sull’anziano e può interessare l’affidabilità dell’anamnesi e la
capacità del paziente di prendere decisioni relative al trattamento.
Devono essere valutati l’umore e lo stato emozionale. Se il paziente si sente depresso, pieno di vergogna,
colpevole, ansioso, impaurito o arrabbiato, allora si devono esplorare i fattori sottostanti a tali emozioni.
Se il paziente minimizza o razionalizza le tensioni o i conflitti familiari o è riluttante a discutere
dell’abuso, l’esaminatore deve determinare se queste attitudini stanno interferendo con il riscontro o
l’ammissione dell’abuso.
Deve essere valutato lo stato funzionale, compresa l’abilità a eseguire le attività quotidiane (ADL) e si
deve annotare qualsiasi limitazione dell’attività che altera l’autoprotezione. Se il paziente richiede aiuto
per le ADL, l’esaminatore deve determinare se l’aiuto attuale ha capacità emozionali, economiche e
intellettuali sufficienti per il compito. Altrimenti si deve individuare un altro aiuto.
Si devono individuare malattie contemporanee che sono causate o esacerbate dall’abuso.
Test di laboratorio: lo studio per immagini e altri esami clinici (p. es., elettroliti per stabilire
l’idratazione, albumina per stabilire lo stato nutrizionale, livelli plasmatici dei farmaci per documentare la
compliance con i regimi prescritti) vengono eseguite quando richiesto, sia per la diagnosi che per la
documentazione dell’abuso.
Documentazione: la relazione medica deve contenere un rapporto completo dell’abuso effettivo o
sospetto, preferibilmente con le parole proprie del paziente. Deve essere inclusa una descrizione
dettagliata di ogni trauma, documentata da fotografie, disegni, immagini radiologiche e altra
documentazione oggettiva (p. es., risultati di laboratorio che indicano i livelli farmacologici o di
elettroliti), quando possibile. Devono essere effettuati esempi specifici di come non siano state soddisfatte
le necessità del paziente, nonostante il piano di assistenza stabilito e l’adeguatezza delle risorse.
Prevenzione e prognosi
Un medico o un altro membro del personale sanitario possono essere le uniche persone con cui una
vittima di abuso è entrata in contatto oltre a chi abusa di lei e perciò devono vigilare sui fattori di rischio e
i segni di abuso. Riconoscere situazioni ad alto rischio può prevenire l’abuso sull’anziano (p. es., quando
una persona anziana delicata o con alterazioni cognitive viene curata da qualcuno con una storia di abuso
di sostanze, violenza, disturbi psichiatrici o stress eccessivo per l’assistenza [il grado di sforzo causata
dall’assistere qualcuno]). I medici devono fare particolare attenzione a quelle situazioni in cui una
persona anziana delicata (p. es., una persona con una recente storia di ictus o con una recente diagnosi di
malattia) è dimessa in un ambiente domestico precario. I medici, inoltre, devono tener presente che la
vittima e chi abusa possono non rispettare degli stereotipi.
Le persone anziane spesso sono d’accordo a condividere le loro case con i familiari che hanno problemi
farmacologici o con l’alcol o malattie psichiatriche gravi. Un familiare può essere stato dimesso da una
istituzione per malati mentali o da un’altra istituzione per ritornare a casa senza che siano stati valutati i

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fattori di rischio di abuso. I medici, perciò, devono consigliare ai pazienti anziani di considerare
sistemazioni di vita alternative, specialmente se in passato le relazioni familiari erano tese.
Le persone anziane che subiscono abuso sono a rischio di morte. In un grande studio longitudinale di 13
anni, la sopravvivenza è stata del 9% per le vittime di abuso in confronto al 40% dei controlli non soggetti
ad abuso. L’analisi multivariata volta a determinare l’effetto indipendente dell’abuso mostrava una
mortalità tre volte aumentata per i pazienti soggetti ad abuso nei 3 anni successivi all’abuso rispetto ai
controlli esaminati per un periodo simile.
Trattamento
È essenziale un approccio interdisciplinare (coinvolgente medici, infermieri, assistenti sociali, legali,
ufficiali legislativi, psichiatri e altri medici). Ogni precedente intervento (p. es., ordine del tribunale di
protezione) e la ragione del suo fallimento devono essere indagati per evitare di ripetere gli errori.
Intervento: se il paziente è in pericolo immediato, il medico, consultandosi con lui, deve considerare il
ricovero ospedaliero, l’intervento legislativo o il trasferimento in un ambiente sicuro. Il paziente deve
essere informato sui rischi e sulle conseguenze di ogni opzione. Se il paziente non è in pericolo
immediato, devono ancora essere presi in considerazione passi per ridurre il rischio, ma l’intervento non è
meno urgente. La scelta dell’intervento dipende dall’intento di chi abusa di provocare un danno. Per
esempio, se un familiare somministra un’eccessiva quantità di farmaco per la mancata comprensione delle
indicazioni mediche, il solo intervento necessario può essere quello di fornire istruzioni più chiare.
Comunque, un’overdose intenzionale richiede un intervento più intensivo.
In generale, gli interventi devono essere adattati a ciascuna situazione. Gli interventi devono comprendere
assistenza medica; educazione (p. es., spiegare alle vittime l’abuso e le opzioni disponibili, aiutarli a
progettare piani sicuri); supporto psicologico (p. es., psicoterapia, gruppi di supporto); interventi legali
(p. es., arresto di chi abusa, disposizioni di protezione, azioni legali [compresa la protezione dei beni]);
sistemazioni alternative (p. es., condividere un ricovero per anziani, ricovero in casa per anziani). Il
counseling con la vittima spesso richiede diverse sedute e i progressi possono essere lenti.
Se la vittima ha capacità decisionali, deve aiutare a determinare gli interventi specifici. Se la vittima non
ha capacità decisionali, il gruppo interdisciplinare, idealmente con un tutore o un osservatore oggettivo,
deve prendere varie decisioni. Le decisioni si basano sull’intensità della violenza subita, le scelte di vita
precedentemente fatte dal paziente e le implicazioni legali. Spesso, non esiste una singola decisione
corretta e ogni caso deve essere seguito attentamente.
Assistenza e problematiche assistenziali: come membri del gruppo interdisciplinare, le infermiere e gli
assistenti sociali possono giocare un ruolo importante nel prevenire l’abuso sull’anziano. Un’infermiera
e/o un’assistente sociale possono essere scelti come coordinatori per assicurare che i dati rilevanti
vengano registrati appropriatamente, che le parti in causa siano contattate e informate adeguatamente e
che l’assistenza necessaria sia disponibile 24 h al giorno. Servizi di educazione sull’abuso sull’anziano
devono essere offerti a tutte le infermiere e agli assistenti sociali ogni anno. In alcuni stati (p. es., lo stato
di New York), l’educazione sul maltrattamento dei minori (ma non ancora dell’anziano) è obbligatoria
per medici, infermieri e assistenti sociali.
Problematiche relative a chi fornisce l’assistenza: Le persone che si occupano degli anziani che hanno
problemi medici cronici o funzionali possono non realizzare che i loro comportamenti, talvolta, rischiano
di produrre abuso. Queste persone possono essere così coinvolte nel loro ruolo da divenire socialmente
isolate e perdere l’obiettività circa ciò che costituisce la normalità nel fornire l’assistenza. Gli effetti
deleteri di questo, compresi la depressione, un aumento di condizioni cliniche legate allo stress e una
retrazione della rete sociale, sono ben documentati. I medici devono far notare questi effetti a chi assiste il
paziente. I servizi per aiutare chi fornisce le cure al paziente includono servizi di assistenza quotidiana,
programmi di riposo, e assistenza sanitaria domiciliare.

TUTELA
Un sostituto è una persona designata dallo stato che prende le decisioni per l’assistenza sanitaria o una
persona individuata in via non formale, quale un familiare stretto o amico. Più informale è la scelta, meno
probabile sarà che il sostituto decisionale rifiuti il trattamento salva-vita, specialmente negli stati con
leggi molto restrittive. Se il paziente è incapace e non esistono le ultime volontà, un’altra persona o altre
persone devono fornire la direzione (sia una persona amata o lo staff medico).
La maggior parte degli ospedali e dei medici accetta il consenso a fornire assistenza da parte di un
coniuge, un figlio adulto, un amico intimo, un assistente spirituale o anche da parte di un parente distante
e non coinvolto, sebbene nella maggior parte degli stati, nessuna di queste persone sia autorizzata
legalmente a dare il suo consenso circa gli atti medici sul paziente senza essere designata da una corte.
Comunque, accettare il giudizio di un parente stretto o di un amico sopra quello di un parente distante o di
un totale sconosciuto ha un senso pratico ed etico. Quindi, una decisione presa dall’ospedale, dal medico

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e dalla famiglia, quasi sempre, costituisce la base per fornire assistenza, anche se può non essere
legalmente adeguata. I pazienti anziani senza famiglia o amici stretti possono ricevere un tutore
designato dalla corte, che spesso, è disinteressato. Alcune istituzioni e giurisdizioni stanno
sperimentando la designazione di guardiani pubblici e i vantaggi per il paziente, che possono dimostrarsi
appropriati e efficaci dal punto di vista del costo.
Quando i sostituti tentano di rifiutare il trattamento, decidendo gli interventi (una distinzione spesso
articolata tra alcune differenze sostanziali legali o etiche), i problemi legali aumentano a causa della
possibile morte. Le domande iniziali in queste circostanze sono (1) chi decide? (2) su che base è presa
questa decisione? e (3) che possibilità esistono per un eventuale appello o una revisione? In certe
circostanze, comunque, consentire la morte non è incompatibile con il migliore interesse del paziente né
con l’interesse abituale a conservare la vita.
A meno che non ci sia un potere duraturo di procuratore per l’assistenza sanitaria, la scelta di un sostituto
decisionale può essere non chiara. Una volta identificato, il sostituto basa una decisione su uno dei tre
standard, nella seguente gerarchia:
 direttive esplicite, cioè, istruzioni espresse dal paziente quando ancora capace;
 interferenze dei sostituti di giudizio, cioè, circa cosa il paziente vorrebbe probabilmente in questa
situazione in base a quanto si sa circa il suo precedente comportamento e le decisioni prese;
 migliore interesse, cioè, che cosa il sostituto decisionale e lo staff medico ritengono sia meglio
per il paziente.
Le direttive esplicite, il primo standard, di solito, sono determinate da documenti scritti (p. es., ultime
volontà), ma possono essere soddisfatte anche da discussioni con il paziente come riportate dal sostituto
decisionale o da altri, soprattutto dai familiari stretti. Le affermazioni del personale sanitario,
specialmente quando documentate in cartella, possono essere importanti anche nel determinare le
preferenze del paziente.
I giudizi sostitutivi, usati quando non esistono direttive esplicite, pongono varie domande per cercare di
discernere cosa il paziente avrebbe voluto. Che tipo di persona era questo paziente quando era ancora
capace? Quale era il suo stile di vita e il suo tipo di scelte? Che cosa riteneva importante o inaccettabile?
Come valutava la qualità di vita e come definiva un’esistenza significativa? Cosa provava riguardo alla
diminuzione della capacità, alla dipendenza e al confinamento?
Infine, il migliore interesse si utilizza quando la storia, i desideri, i valori del paziente non si conoscono.
Questo giudizio si basa sulle valutazioni cliniche del gruppo di operatori sanitari circa la prognosi e sul
probabile risultato del trattamento, su alcune nozioni riguardo cosa una persona ragionevole avrebbe
voluto nella situazione del paziente e da una valutazione dei benefici e delle difficoltà dell’assistenza
nell’aumentare al massimo il benessere e la funzione del paziente. Specialmente nel prendere le decisioni
basate sui giudizi sostitutivi e il migliore interesse, il sostituto decisionale non deve confondere la
prospettiva della qualità della vita del paziente con alcuni giudizi arbitrari circa il valore della vita del
paziente per gli altri.
Nel prendere le decisioni di vita o di morte per il paziente incapace, il sostituto decisionale può sentirsi
non appoggiato o anche abbandonato dal medico o dai familiari. Prendere le decisioni per gli altri,
specialmente sulla vita o sulla morte degli altri, può essere angosciante. Idealmente, la responsabilità del
medico di informare e sostenere il paziente andrebbe trasferita sul sostituto. Comunque, la relazione
medico-sostituto decisionale, talvolta, è filtrata, in parte per le nozioni del medico che i familiari causano
problemi dopo la morte del paziente, per la complessità e la frammentazione dell’assistenza e per il
fastidio del medico verso le decisioni che rifiutano la assistenza e permettono la morte. Anche quando un
membro della famiglia è scelto dal paziente per essere designato alle decisioni, le dinamiche familiari
hanno un’esistenza indipendente. Se un genitore ha scelto un figlio, quella persona deve relazionarsi
ancora con il resto della famiglia e il circolo di amici. Le dinamiche familiari tra fratelli e tra generazioni
possono venir fuori nel contesto di vecchi conflitti e creare paura e possono richiedere supporto per
risolvere i conflitti.
Tensione e disappunto tra medici, infermieri, sostituto e familiari possono essere gestiti e risolti attraverso
la mediazione portando al consenso. Il mediatore, un medico specializzato in bioetica o un membro del
comitato etico, informano il sostituto decisionale e i familiari circa le loro opzioni, danno il potere al
sostituto decisionale di chiedere il giudizio degli operatori sanitari e si assicurano che tutte le parti
abbiano compreso. Una volta raggiunto il consenso sul migliore piano di assistenza, specialmente se tale
consenso porta a rifiutare o negare l’assistenza, il mediatore si assicura che tutti siano tranquilli il più
possibile e che il piano venga eseguito in accordo con le decisioni prese. Alla fine, il mediatore segue il
caso per assicurarsi che la famiglia sia confortata dagli esiti e che il personale sanitario possa utilizzare
questa esperienza nel futuro. Nella mediazione delle dispute bioetiche, il processo è importante quanto la
decisione finale. Il modo in cui i problemi sono esplorati e il fatto che il gruppo di operatori sanitari e i
familiari raggiungano un consenso unanime sono di notevole utilità per tutti gli interessati. Alla
risoluzione del conflitto, il sostituto decisionale si sente più tranquillo della sua decisione.
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