Вы находитесь на странице: 1из 63

1.

Campo elettrico

Il campo elettrico è un’entità vettoriale che può essere



- tempo-variante: e ( x , y, z , t )

- tempo-invariante: E ( x , y, z )
Prendiamo due cariche puntiformi q1 (posta all’origine di un sistema di riferimento scelto
a piacere) e q2 (ad una certa distanza r dalla prima): possiamo esprimere così la forza
attraente (se le cariche sono di segno opposto) o respingente (se le cariche hanno lo stesso
segno) che q1 esercita su q2 :
 qq
F = 2 1 2 ir
r 4πε 0
Dove:
- ir è il versore che indica la cosiddetta direzione radiale;
- ε 0 è la costante dielettrica (detta anche permettività elettrica) del vuoto:
ε 0 = 8,854 ⋅10−12 F
m
- r è la distanza fra le due cariche.

Se invece prendo una carica sola (chiamiamola Q), posso caratterizzare il campo elettrico
che essa genera nelle vicinanze in questo modo:
 Q 
e (P ) = ir
4πε 0r 2 1
(NOTA: il campo elettrico è funzione del punto in cui ci si pone ad “osservarlo”)
Le grandezze coinvolte sono quelle di prima, ma questa volta r è la distanza dalla carica Q
al punto P.
Una carica q che passasse vicino a Q sentirebbe una forza di attrazione/repulsione
(dipende sempre dai segni), detta forza di Coulomb, pari a
 
F = qe
Se ora elaboro la relazione trovata poco fa ottengo:
 Q
ε0 e = =d
4π r2

superficie
della sfera

La quantità d è chiamata (vettore di) induzione elettrica. Si noti che:


Q = d ⋅ 4π r 2
e ciò significa che all’aumentare di Q aumenta l’induzione elettrica (così come
quest’ultima cala se aumentiamo r, cioè il raggio della sfera che ha come centro Q e uguale
d sulla sua superficie).

1Esiste un modo alternativo per definire il campo elettrico, precisamente come grandezza che rappresenta la rapidità di
variazione della tensione. Tale grandezza è misurabile in V/m ed è proporzionale alla derivata dV/dl della tensione lungo
una certa linea l.  el = − dV
dl
E se invece di una sfera prendiamo una superficie qualsiasi? La cosa è un pelo più difficile
(non abbiamo più la regolarissima e comoda sfera): tuttavia, se prendiamo un pezzettino
infinitesimo di tale superficie dS e chiamiamo i il versore ad esso normale possiamo
n

tranquillamente esprimere il flusso attraverso questa superficie facendo un bel prodotto


scalare

d ⋅ dS in
Se poi integriamo su tutta la superficie S, quel che otteniamo è proprio la carica Q

∫∫
 d ⋅ dS i = Q n
S

(integrale del flusso di d attraverso la superficie chiusa S)

2. Campo magnetico

Prendiamo un filo percorso da corrente, come in figura: se ci


mettiamo nella circonferenza, che in figura è tratteggiata e passa
per il punto P, sentiamo una forza (magnetica), pari a
 i 
h (P ) = iϕ
2π r
dove:
- r è la distanza dal filo;
- i è la corrente che scorre nel filo;
- iϕ è il versore tangente alla circonferenza e diretto secondo la
regola della mano destra.

Se agiamo come prima e elaboriamo l’espressione della forza


magnetica otteniamo:

2
πr h(P ) = i
lunghezza
circonferenza

Ecco un’importante differenza: mentre prima ragionavamo con un flusso (prodotto da un


vettore attraverso una superficie), ora ragioniamo con una circuitazione (prodotta da un
vettore lungo una linea chiusa). Come prima, tuttavia, generalizziamo il discorso e
prendiamo, invece che una circonferenza, una linea chiusa qualsiasi. Se chiamiamo:
- dl un infinitesimo trattino di questa linea;
- iɵ il versore tangente a dl, sempre conforme alla regola della mano destra;
l

possiamo fare un’integrale di linea (integrale di circuitazione)



h ⋅ dl iɵ = i
∫ l
l

Il campo magnetico e quello elettrico sono intimamente legati; in particolare, il campo


magnetico è generato dalle cariche che si spostano (e la corrente altro non è se non un

movimento di cariche): prendiamo ad esempio una carica q che si sposta con velocità v
nelle vicinanze del filo di cui sopra. Su di essa si imprimerà una certa forza (forza di
Lorentz) pari a
   
F = q  v × µ0 h 
   
 =b 

in questa relazione:
 
- µ0 h = b è il vettore di induzione magnetica e µ0 la permeabilità magnetica nel vuoto
µ0 = 4π ⋅10 −7 H
m

3. Densità di carica e densità di corrente

Ignoriamo per ora la natura corpuscolare delle cariche e interpretiamo correnti e cariche
come quantità distribuite e uniformi. La densità di carica volumetrica si esprime in questo
modo:
dq  C 
ρɶ ( P ) =
dV  m3 
dove dq è la quantità infinitesima di carica presente all’interno del volumetto dV .
È ovvio che tale quantità non rappresenta un campo vettoriale (dove sta il verso? E la
direzione che c’entra?) e che si tratta, bensì, di campo scalare. Si parla di campo vettoriale
se invece queste cariche hanno una velocità v(P) [ = velocità della carica nel punto P] e si
definisce, di conseguenza, la densità di corrente come:
 
j ( P ) = ρɶ ( P ) v ( P )
Prendiamo ora una superficie infinitesima dS e uno “sciame” di cariche che attraversano
queste superficie (poniamo, per semplicità, che in tale primo caso attraversino la superficie

con una velocità v perpendicolare a quest’ultima). La quantità dq di carica che
attraverserà dS nel tempo dt sarà:
dq = j dtdS

(il segno di vettore, in questo caso, si può omettere visto che v ⊥ dS )
Volendo, manteniamo esplicitato il termine densità di corrente:

dq = ρ
ɶ v dtdS

j

E dividiamo da entrambe le parti per dt:


dq 
ρɶ v dS
= di = 
dt j

Anche qui compare il concetto di flusso: la corrente è infatti il flusso del vettore densità di
corrente attraverso una certa superficie S.
Possiamo generalizzare questa relazione:

- prima “complicazione”: v ⊥ dS . In tal caso non cambia più di tanto, basta inserire
un simpatico prodotto scalare
dq 
ρɶ v ⋅ iˆn dS
= di = 
dt j

( in è il versore normale a dS)


- seconda “complicazione”: la superficie S è qualsiasi e non più infinitesima.
Dobbiamo ricorrere alla notazione differenziale:

j ⋅ iˆ dS = i
∫∫  FLUSSO
n
S

In questo caso i è la corrente che attraversa tutta la superficie S (NB: è una superficie
aperta!)

4. Forza generalizzata di Lorentz2



Prendiamo un volume V, all’interno del quale abbiamo un campo elettrico e e un campo

magnetico h generici. Immaginiamo che un filo, lungo il quale scorre una carica q, passi

attraverso questo volume e chiamiamo v la velocità che la carica ha all’interno del filo.
La forza totale che subirà questa particella sarà:
( )
   
F = q e + v × µ0 h
(forza generalizzata di Lorentz)
  
In questa espressione si tiene conto di e e di h , della velocità v , etc… Insomma, è tutto
ben contemplato! Ora portiamo questa formula nella dimensione del molto (ma molto)
piccolo e differenziamo, ottenendo:

dq  
( )
dF 
= e + v × µ0 h
dV dV
Otteniamo così la densità della forza generalizzata di Lorentz:
( )
         
f = ρɶ e + v × µ0 h = ρɶ e + vρɶ × µ0 h = ρɶ e + j × b 3
Tale forza provoca uno spostamento di cariche e, di conseguenza, una certa densità di
corrente. Si ha infatti che:
   
j ∝ f ⇒ j ∝ e (a regime)
 
j ∝ e è detta equazione del trasporto e si esprime in questa maniera:
 
jC ∝ σ e
In tale espressione:

- jC è la densità di corrente di conduzione, così chiamata per distinguerla da altre
correnti generate per diversa via (ad es. tramite fenomeni elettrochimici);
- σ è la conducibilità elettrica del mezzo, e si misura in S  .
 m

5. Elettromagnetismo macroscopico: equazioni di Maxwell integro-differenziali

L’elettromagnetismo macroscopico riguarda i fenomeni di tipo elettromagnetico che


“possiamo vedere”, ignorando le proprietà corpuscolari della materia e semplificando lo
scenario con l’uso di grandezze continue. Esso si fonda su alcuni importanti postulati:

2 NOTA: Da qui in avanti potremo trovare queste forme alternative per i campi elettrici e magnetici (introdotte solo per
   
comodità di notazione): b = µ0 h , d = ε 0 e
   
3
Spesso, nei casi di interesse, il termine j × b è trascurabile e dunque f ∼ ρɶ e
dq  C 
- esiste una densità di carica ρɶ ( P ,t ) = in modo che valga la seguente
dV  m3 
relazione:
Q = ∫∫∫ ρɶ ( P ,t ) dV
V

- esiste una densità di forza di Lorentz, che è un campo vettoriale:


   
f ( P ,t ) = ρɶ ( P ,t ) e ( P ,t ) + j ( P ,t ) × b ( P ,t )
- vale il principio della conservazione della carica (elettrica): in un sistema isolato è
infatti costante la carica elettrica;
- valgono le equazioni integro-differenziali di Maxwell. Tramite queste ultime e
importantissime leggi le grandezze elettromagnetiche sono tutte legate fra loro.

Esaminiamo in maniera approfondita l’ultimo punto (equazioni di Maxwell):


- prima equazione: prendiamo una superficie chiusa S, con versore ad essa normale
 
in , e – al suo interno – densità di carica ρɶ , campo elettrico e e campo magnetico h
   
(generici). Ricordando che b = µ0 h e d = ε 0 e , si ha che

d ⋅ i dS = Q =
∫∫
 n ρɶ dV ∫∫∫
S V

- seconda equazione: essa esprime l’inesistenza delle cariche magnetiche visto il fatto
che le linee del campo magnetico sono sempre chiuse su sé stesse.

b ⋅ i dS = 0
∫∫
 n
S

(NOTA: il risultato di prima, col campo elettrico, era invece pari a Q ed –


effettivamente – le cariche elettriche esistono)
- terza equazione: la terza equazione riguarda la circuitazione del campo
magnetico. Prendiamo una superficie S, con versore ad essa normale i , e una linea n

chiusa l ad essa concatenata (“un suo bordo”, tanto per intenderci) la quale ha a sua
volta versore tangente iɵ . Allora si ha che:
l
  
ˆ dl = d d ⋅ iˆ dS + j ⋅ iˆ dS
∫l h ⋅ il
dt ∫∫
S
n ∫∫S n
  
Si noti che, in questa equazione, j = jC + jI dove:
  
- jC è la densità di corrente di conduzione. Si esprime così: jC = σ e ;

- jI è la densità di corrente impressa.
- quarta equazione: la quarta equazione di Maxwell è fatta così:
 
ɵ dl = − d b ⋅ i dS
∫l l
e ⋅ i
dt ∫∫
S
n

Il risolvere il sistema fatto di queste quattro equazioni costituisce un problema di Maxwell.


Tuttavia, ai fini del calcolo, queste equazioni sono molto scomode, riferendosi a varietà n-
dimensionali nello spazio. Troviamo quindi le equazioni di Maxwell nella forma
differenziale, facendo in modo che valgano punto per punto (e siano comode per i calcoli).
6. Equazioni di Maxwell in forma differenziale

Per illustrare queste equazioni è necessario introdurre due importanti teoremi:


- teorema di Gauss (o della divergenza): prendiamo un volume V (versore normale
in ) racchiuso da una superficie chiusa S. Allora:
 
∫∫∫ ∇ A
V
d V = ∫∫ A ⋅ in dS
 S

(volume  superficie)
- teorema di Stokes (o del rotore): prendiamo una superficie aperta S e una linea l
ad essa concatenata (ad esempio: la superficie è un vaso e la linea è il bordo
dell’imboccatura). in è il versore normale ad S e iɵl il versore tangente ad l. Allora:
( )
 
 dS = A ⋅ iɵ dl
∫∫ S
∇ × A ⋅ in ∫ l l

(superficie  linea)

Fatte quindi le opportune premesse teoriche, passiamo alle equazioni di Maxwell:


- prima equazione: prendo la (quarta) equazione di prima
 
ɵ dl = − d b ⋅ i dS
∫l e ⋅ il
dt ∫∫
S
n

e faccio collassare la linea l e la superficie S in un punto P che mi interessa, allora


ottengo:

( )
 Stokes  d 
∫ e ⋅ iɵl dl = ∫∫

l
∇ × e ⋅ in dS = − ∫∫ b ⋅ in dS
S dt
S *
*

(∇ × e ) ⋅ i dS = − ddt b ⋅ i dS
 
n n

 ∂ 
∇×e = − b
∂t
- seconda equazione: ripeto il ragionamento fatto, questa volta con la terza
equazione di prima:
  
ˆ dl = d d ⋅ iˆ dS + j ⋅ iˆ dS
∫l lh ⋅ i
dt S∫
n ∫ n
S

( )
     
ˆ dS = d d ⋅ iˆ dS + j ⋅ iˆ dS =  d d + j  ⋅ iˆ dS
Stokes
ˆ dl =
∫l l
h ⋅ i ∫∫S ∇ × h ⋅ i n
dt ∫∫
S
n ∫∫S n ∫∫S  dt  n


 ∂d 
∇×h = +j
∂t
- terza equazione: prendo la (prima) equazione in forma integro-differenziale…

∫∫
 d ⋅ i dS = Q =
n ρɶ dV ∫∫∫
S V

… applico il teorema di Gauss …


 Gauss 
∫∫ n
 d ⋅
S
ˆ dS =
i ∫∫∫ dV = ∫∫∫ ρɶ dV
∇ d
V V
… e faccio collassare la superficie S in un punto P che mi interessa (così gli integrali
scompaiono), allora ottengo:

∇d dV = ρɶ dV

∇d = ρɶ
- quarta equazione: si attua un procedimento analogo alla terza equazione,
applicandolo alla seconda equazione integro-differenziale

b ⋅ i dS = 0
∫∫
 n
S
 Gauss 
 dS =
∫∫

S
b ⋅ in
V
∫∫∫ dV = 0
∇ b

∇b = 0

7. Risoluzione di un problema di Maxwell

Supponiamo di voler risolvere un problema di Maxwell all’interno di un volume V racchiuso


da una superficie S.
Prendiamo la terza equazione di Maxwell in forma puntuale:

∇d = ρɶ
Deriviamo!
∂  ∂ ∂  ∂
∇d = ρɶ ⇒ ∇d − ρɶ = 0
∂t ∂t ∂t ∂t
Poi tiriamo in causa la seconda equazione (sempre in forma puntuale):

 ∂d 
∇×h = +j
∂t
∂  ∂
Applichiamo il gradiente ambo le parti e sostituiamo il risultato trovato qui ∇d = ρɶ
∂t ∂t
nell’ultima relazione scritta:

( )
∂
  ∂ 
∇ ∇ × h = ∇  ρɶ + j  = ∇ρɶ + ∇ j = 0

 ∂t  ∂t
= 0 per definizione

∂ 
L’equazione ∇ρɶ + ∇ j = 0 è detta di continuità, in quanto esprime il fatto che, ad una
∂t
certa quantità di corrente uscente, corrisponde un calo di carica.

Non è sempre necessario risolvere completamente il problema di Maxwell: si può


circoscrivere la ricerca ad alcuni casi particolari o ad alcune sezioni. Prendiamo ad
esempio la formulazione della densità di forza di Lorentz:
       
f ( P ,t ) = ρɶ ( P ,t ) e ( P ,t ) + j ( P ,t ) × b ( P ,t ) = ρɶ  e + v × µ0 h 
  
 b 

La forza di Lorentz è dovuta ad uno spostamento di cariche (velocità v , densità di carica
ρɶ ); essa compie il lavoro dL e quindi genera una potenza. Proviamo a calcolare la quantità
infinitesima di lavoro compiuto in una sezione di spazio V e in un periodo di tempo dt.
     
          
dL = P dt = ∫∫∫  f ⋅ v dV  dt = ∫∫∫  ρɶ  e + v × µ0 h  ⋅ v dV  dt = ∫∫∫ ρɶve + ρɶ v × b ⋅ v dV dt =
V  prodotto      
 scalare 
V
  b   V

 
= ∫∫∫ j ⋅ e dV dt
V

Se quindi divido per dt da entrambe le parti ottengo:


 
dL ∫∫∫
j ⋅ e dV dt
 
= V
⇒ P = ∫∫∫ j ⋅ e dV
dt dt V

Abbiamo fra le mani la potenza istantanea legata alla forza di Lorentz o, se vogliamo, alla

densità di corrente. Ora scomponiamo la densità di corrente j nelle sue due parti
caratteristiche:
  
j = jC + jI

( ) ( )
           
P = ∫∫∫ j ⋅ e dV = ∫∫∫ jC + jI ⋅ e dV = ∫∫∫ σ e + jI ⋅ e dV = ∫∫∫ σ e ⋅ e dV + ∫∫∫ jI ⋅ e dV
V V V V 2 V


e


termine legato alle
termine legato alla correnti impresse
conduzione (es. forze elettrochimiche)

Notiamo, come si vede in calce:


- che c’è un primo termine legato alla conduzione;
- che c’è un secondo termine legato alle correnti impresse, che è quella parte di
potenza che l’esterno fornisce al sistema elettromagnetico in questione (potenza
negativa [entrante], in contrasto con la potenza positiva [uscente] che il sistema e.m.
fornisce all’ambiente circostante).

Supponiamo ora che il volume V in cui abbiamo fatto le nostre considerazioni sia
contornato da una superficie S, e proviamo ad estendere S (e dunque anche V) all’infinito.
A quanto è pari il valor medio della potenza impressa?
 
Potenza impressa  Pi = ∫∫∫ jI ⋅ e dV
V

1    
lim Pi =
T →∞ T ∫  ∫∫∫ I

T  V∞
j ⋅ e d V  dt

(V →∞ ) 

Si può dimostrare che (per ragioni legate alla termodinamica) la quantità posta sotto il
segno di limite è sempre inferiore di zero e, cioè, che
1    
lim Pi = − ∫  ∫∫∫ jI ⋅ e dV  dt ≥ 0 sempre
T →∞ T T  V∞ 

Ciò vuol dire che nel nostro sistema c’è sempre della potenza “negativa”, e ciò significa
che c’è per forza della potenza impressa (e quindi entrante). Ma non solo: se manteniamo
le ipotesi di sistema infinitamente esteso, ammettendo che è necessario che la potenza
complessiva sia positiva per mantenere il campo, allora possiamo dire che
2  
∫∫∫ σ e d V + ∫∫∫ jI ⋅ e dV > 0
V V
2  
∫∫∫ σ e
V
dV > − ∫∫∫ jI ⋅ e dV
V



questo termine è certamente se questo è sicuramente
maggiore di zero maggiore o uguale a zero

Il primo elemento di questa equazione rappresenta potenza che il sistema fornisce


all’esterno (ad esempio irraggiamento di calore per effetto Joule).

Tornando alla densità di corrente impressa, è generalmente possibile scrivere:


  ( s )  (u )
ji = ji + ji
In questa formula:
s
• ji( ) corrente impressa dovuta alle sorgenti del sistema (definita sempre minore
di zero e quindi veramente entrante);
u
• ji( ) corrente impressa dovuta all’utilizzatore del sistema (definita sempre
uscente e quindi positiva).

La densità di corrente di cui fin’ora abbiamo fatto uso ha come dimensione  A 2  : infatti,
 m 
ˆ
se prendiamo una superficie qualunque dS [versore normale in ] attraverso la quale
 
passano con velocità v (orientata come j ) alcune cariche che formano la corrente i, allora
si definisce
 A 
di = j ⋅ iˆn dS (flusso)  [ A ] =  2  ⋅ m2 
m 
Risulta però possibile definire altri tipi di densità di carica e di densità di corrente.

8. Densità di carica / di corrente superficiale e la densità di carica lineare

Oltre alla densità di carica e di corrente nello spazio tridimensionale esistono:


- densità di carica superficiale: la densità di carica superficiale ha come simbolo ρɶ S e si
C 
misura in  2  . Possiamo immaginarla sforzandoci di visualizzare una superficie
m 
S sulla quale le cariche possono muoversi (senza lasciarla). Se le cariche sulla

superficie si spostano con una velocità v , allora possiamo definire la…

- densità di corrente superficiale: la densità di carica superficiale ha come simbolo jS e
A
si misura in   . Per capire come mai si abbia questo risultato, bisogna fare un
m 
ragionamento analogo a quello del paragrafo 7: se immaginiamo di avere una linea
qualunque dl [versore normale iˆn ], giacente sulla superficie dS, attraverso la quale
 
passano con velocità v (orientata come j ) alcune cariche che formano la corrente i,
allora si definisce
 A
di = jS ⋅ iˆn dl (flusso “bidimensionale”)  [ A ] =   ⋅ [m ]
m 
- densità di carica lineare: la densità di carica lineare ha come simbolo ρɶ L e si misura
C
in   . Possiamo immaginarla sforzandoci di visualizzare una linea l (ad es. un
m 
cavo) sul quale scorrono, senza lasciarlo, delle cariche.
NOTA: non ha senso definire la densità di corrente lineare, perché non esiste. Essa è
semplicemente una corrente.
1. Continuità dei campi su una superficie di interfaccia: componenti normali

Prendiamo due regioni adiacenti di spazio,


separate fra loro da una superficie di interfaccia
(per esempio piatta, come in figura, e con versore
normale iˆ ). Immaginiamo di intersecare a
n

questa superficie un cilindretto alto dl con le due


basi (entrambe aventi area pari a ∆ε ) parallele
alla superficie di interfaccia. Sia dV il volume del
cilindretto, dS la sua superficie laterale e ρS la densità di carica (superficiale) sulla
superficie di interfaccia. Dato questo problema, che relazioni fra i campi impongono le
relazioni di Maxwell?

Facciamo tendere l’altezza dl del cilindretto a zero, così che le sue due facce vadano
(quasi) a coincidere con la superficie di interfaccia, ma facendo in modo che la faccia
superiore senta ancora il campo elettrico presente nel semispazio superiore (semispazio 2)
e la faccia inferiore quello del semispazio sottostante (semispazio 1).
Allora l’integrale di flusso che si potrebbe scrivere nei confronti di tale superficie degenera
in un prodotto scalare:
- la parte riguardante la superficie laterale non la consideriamo neanche, in quanto
la carica superficiale depositata sulla superficie d’interfaccia genererà linee di forza
parallele a dS;
- è invece presente un duplice contributo offerto dalle basi (versore normale alla
base superiore = iˆ , lo stesso, cioè, della superficie di interfaccia; versore normale
n

alla base inferiore = −iˆn ).


Il flusso è dunque pari a:
( ) ( )
   
d2 ⋅ iˆn ∆ε + d1 ⋅ −iˆn ∆ε = d2 − d1 ⋅ iˆn ∆ε
 
(NOTA: d2 è il campo elettrico percepito nel semispazio 2, d1 è il campo elettrico
percepito nel semispazio 1)
Ora prendiamo la seguente legge (terza di Maxwell in forma differenziale):
 Gauss 
∫∫ n
flusso   d ⋅ ˆ dS =
i
S
∫∫∫ dV = ∫∫∫ ρɶ dV
∇ d
V V

Se, come abbiamo detto primo, facciamo degenerare l’altezza dl del cilindro a zero,
otteniamo che
∫∫∫ ρɶ dV = ρɶ d
l ∆ε  passaggio al limite  lim ρɶ d
 l ∆ε = ρɶS ∆ε
dl →0
V dV del dV del
cilindretto cilindretto

Dunque eguagliamo il flusso trovato con il prodotto scalare e quello ricavato con le
equazioni di Maxwell:
( ) ( )
   
ρɶS ∆ε = d2 − d1 ⋅ iˆn ∆ε  ρɶS = d2 − d1 ⋅ iˆn
n n
Se chiamiamo d e d 1 2 le componenti normali del vettore d’induzione elettrica sulla
superficie di interfaccia la relazione appena scritta diventa:
d2n = d1n + ρɶ S
Dunque, in assenza di carica superficiale, le componenti normali sono continue:
d2n = d1n
Si tenga presente che ciò non significa che il campo elettrico sia continuo attraverso la
superficie d’interfaccia: dalla relazione seguente
d1n = d2n ⇒ ε1e1n = ε 2e2n
 
d1n d2n

si capisce che solo se i due materiali presenti nei due sottospazi sono uguali (cioè se hanno
lo stesso coefficiente ε = ε1 = ε 2 ) allora pure il campo elettrico e ha componenti normali
continue.
Un analogo ragionamento può essere fatto per i campi magnetici: con un procedimento
simile si ottiene la continuità del vettore di induzione magnetica nelle sue componenti
normali, peculiarità espressa nella forma
b2n = b1n
Anche questo non significa che i campi magnetici, nelle loro componenti normali, siano
continui:
b1n = b2n ⇒ µ1h1n = µ2h2n
 
b1n b2n

ciò avviene, infatti, solo se µ1 e µ2 sono uguali (e cioè se il materiale è lo stesso).


NOTA: se, avendo la componente normale del campo, voglio trovare quella tangente,
posso fare così

(
e t = iˆ × e × iˆ n ) n

Tale equazione, nel semplice caso bidimensionale, diventa: e t = e sin ϑ

2. Continuità dei campi su una superficie di interfaccia: componenti tangenti

Il caso è simile ma non coincide con quello


precedente. Abbiamo questa volta una
piccolissima superficie ∆Σ (aperta e
praticamente piatta), alta ∆l e larga ∆a (è
evidente che si ha allora: ∆Σ = ∆l∆a ) la quale si
interseca perpendicolarmente con la superficie
di interfaccia. Definiamo alcuni versori notevoli:
- iˆ = versore normale alla superficie di
n

interfaccia (e parallelo alla superficie ∆Σ );


- iˆ = versore tangente alla linea
t

d’intersezione fra le superfici;


- iˆ = versore normale alla ∆Σ , formante
b

una terna ortogonale con iˆn e iˆt .


iˆn = iˆt × iˆb
Ricordiamoci ora di un’altra equazione di Maxwell (prima in forma differenziale).
ɵ dl = − ∂ b ⋅ i dS
 
∫l l
e ⋅ i
∂t ∫∫
S
n

(circuitazione  derivata temporale di un flusso)

Anche questa volta distinguiamo fra il semispazio superiore


(numero 2) e inferiore (numero 1) e facciamo tendere ∆l a zero:
possiamo dunque scrivere che, al limite, l’equazione di Maxwell scritta sopra diventa
∂   
∆a ( e2 − e1 ) iˆt = − lim ∫∫ b ⋅ ib dΣ 
∂t  ∆l → 0
∆Σ 
(NOTA: in questo caso il vettore normale alla linea l, ovvero l’ in delle equazioni di
Maxwell è i . Non si faccia confusione!)
b

Il primo dei due termini di questa equazione


∆a ( e2 − e1 ) iˆt
è la circuitazione concatenata (circuitazione calcolata sulla linea ∆a in cui si intersecano le
due superfici): il segno meno davanti a e1 indica il fatto che nel mezzo 1 c’è un verso di
calcolo opposto rispetto a quello del mezzo 2 (il segno della circuitazione dipende dal
verso, ce lo ricordiamo, vero?).
Il secondo termine, quello più simile alla formulazione originale di Maxwell, diventa
invece:
∂    ∂ 
− lim ∫∫ b ⋅ ib dΣ  = − lim b ⋅ ib ∆l ∆a  = 0
∂t  ∆l→0 ∆Σ  ∂t  ∆l →0 
Quindi significa che
∆a ( e2 − e1 ) iˆt = 0
Ricordiamoci ora della terza equazione di Maxwell in forma integro-differenziale (ma
ignoriamo per ora la presenza di correnti superficiali). In pratica, ripetiamo il
ragionamento per il campo magnetico:
  
ˆ dl = d d ⋅ iˆ dS + J ⋅ iˆ dS
∫l l
h ⋅ i
dt ∫∫
S
n ∫∫S n
(NOTA: anche in questo caso il vettore normale alla linea l,
ovvero l’ i delle equazioni di Maxwell, è i )
n b

ˆ dl = ∂ d dΣ
 
∫l l
h ⋅ i
∂t ∫∫
∆Σ
b


(NOTA: db è la componente del vettore di induzione elettrica lungo la direzione di iˆb . In
questo modo possiamo “abbreviare” la notazione del prodotto scalare)

( ) ∂
( )
   
∆a h2 − h1 iˆt = lim db ∆l ∆a = lim jb ∆l ∆a = 0
∂t ∆l →0 ∆l →0

(NOTA: jb è la componente del vettore densità di corrente lungo la direzione di iˆb )
Quindi è nulla sia la circuitazione concatenata del campo elettrico che quella del campo
magnetico. Considerando invece la presenza di correnti superficiali, il termine riguardante
il campo magnetico non va banalmente a zero, come abbiamo appena dimostrato. Infatti:
ˆ dl = ∂ d ⋅ iˆ dΣ + J ⋅ iˆ dΣ
  
∫l l
h ⋅ i ∫ b b
∂t ∆Σ ∫ b
∆Σ

 ∂  
( )
  
∆a h2 − h1 iˆt = lim  ∫ db dΣ + ∫ jb dΣ 
∆l →0 ∂t
 ∆Σ ∆Σ 

( ) ∂
( )
    
∆a h2 − h1 iˆt = lim db ∆l ∆a + lim jb ∆l ∆a = jSb ∆a
∂t ∆l →


∆l →0 
superf.
= 0

Per la continuità delle componenti tangenti dei campi abbiamo quindi ottenuto due
equazioni importanti:
∆a ( e2 − e1 ) iˆt = 0

   ˆ 
(
 h2 − h1 it = jSb )
Se non abbiamo a disposizione le componenti tangenti, posso usare il trucchetto del
prodotto vettoriale e sfruttare il fatto che iˆ , iˆ e iˆ formano una terna cartesiana
n t b

ortogonale:
iˆn = iˆt × iˆb  iˆt = iˆn × iˆb
Posso poi utilizzare la proprietà di circolazione (permutazione ciclica) del prodotto misto:
u⋅ v ×w = w⋅u× v = v ⋅w× u
Dunque nelle nostre due equazioni…
∆a ( e2 − e1 ) iˆt = 0

   ˆ 
(
 h2 − h1 it = jSb )
… sostituiamo iˆ = iˆ × iˆ …
t n b

∆a ( e2 − e1 ) ⋅ iˆn × iˆb = 0



   ˆ ˆ 
(
 h2 − h1 ⋅ in × ib = jSb)
… e infine applichiamo la permutazione ciclica alla seconda equazione:
∆a ( e2 − e1 ) ⋅ iˆn × iˆb = 0

 
( )
  
 jSb = iˆn × h2 − h1  ⋅ iˆb =  jS  ⋅ iˆb

Tutto questo significa che (semplificando iˆ nella seconda equazione):


b

∆a ( e2 − e1 ) ⋅ iˆn × iˆb = 0



ˆ
( )
  
in × h2 − h1 = jS
Altra regolina (già sfruttata nel paragrafo precedente): è possibile trovare la componente
tangente di un vettore utilizzando un doppio prodotto scalare con il vettore normale
a = iˆ × a × iˆ t n n

Quindi, se nella seconda equazione facciamo un ulteriore prodotto scalare con in :
( )
  
iˆn × h2 − h1 × iˆn = jS × iˆn
 
Distribuiamo il prodotto vettoriale e otteniamo le componenti tangenti di h2 e h1
  
iˆn × h2 × iˆn − iˆn × h1 × iˆn = jS × iˆn

h2t − h1t = jS × iˆn

ht = ht + j × iˆ
2 1 S n

Abbiamo ottenuto che le componenti tangenti del campo magnetico sono continue a meno
di un contributo di corrente superficiale.
Una volta giunti a questo importante risultato, possiamo applicare lo stesso identico
ragionamento con la prima equazione del sistema scritto poco fa.
Otteniamo che, per il campo elettrico
e2t = e1t
le componenti tangenti sono sempre continue.

2. Continuità su una superficie di interfaccia: densità di corrente

Prendiamo la solita superficie di interfaccia


che separa due semipiani (versori normali: iˆ n

[mezzo 2] e −iˆn [mezzo 1]); prendiamo una


carica Q e immaginiamola tutta localizzata
all’interno di un cilindretto intersecato con la
superficie di cui sopra (le basi del cilindretto
sono paralleli ad essa). Poniamo inoltre
l’altezza del cilindretto pari a ∆l .

Ricordiamoci ora della prima equazione di Maxwell in forma integro-differenziale:


 Gauss 
∫∫ n
S
d ⋅ ˆ dS =
i ∫∫∫ dV = ∫∫∫ ρɶ dV = Q
∇ d
V V

(NOTA: sfruttiamo la relazione ∇d = ρɶ . In questo caso – lo ricordiamo – la Q presente
nell’equazione è la carica dentro il cilindretto)
Dopodiché deriviamo da entrambe le parti:
∂  ∂
∫∫
 d ⋅ iˆn dS = ∫∫∫ ρɶ dV
∂t S ∂t V
 ∂
∫∫S j ⋅ iˆn dS = ∂t ∫∫∫ ρɶ dV
V

Ora portiamo l’altezza ∆l del cilindro verso lo zero (in questo modo vanno a zero anche il
volume e la superficie, così scompaiono gli integrali): la densità di carica ρɶ (volumica)

diventa ρɶ S (superficiale), così come superficiale ( jS ) diventa anche la densità di
corrente. Abbiamo così applicato un metodo simile per ricavare l’equazione di continuità
esaminata nel capitolo 1 (basta applicare la divergenza da entrambe le parti):
∂   ∂
∇ ⋅ ρɶ + ∇ ⋅ j = 0  ∇ ⋅ j = − ∇ ⋅ ρɶ
∂t ∂t
Quello che nel capitolo 1 non avevamo fatto è invece il contemplare la superficie di
interfaccia: quello che si ha in questo caso specifico è che, fatto collassare il cilindretto e
considerate quindi le sole componenti normali, otteniamo
 ∂ρɶ ∂ρɶ
jS = − S  j2n − j1n = − S
∂t ∂t
1. Il problema della dipendenza dal tempo e i fasori (vettori complessi rappresentativi)

Le equazioni che abbiamo visto fin’ora sono equazioni differenziali che collegano
variazioni temporali e spaziali delle varie quantità del campo in un punto dello spazio. Per
quanto riguarda la dipendenza dal tempo, è interessante notare che – nell’ambito delle
telecomunicazioni – spesso tali quantità variano (nel tempo, appunto), in maniera
sinusoidale. Come per i circuiti, dunque, anche nella teoria delle onde conviene
rappresentare le grandezze che variano in modo sinusoidale (campi elettrici, campi
magnetici, etc…) con delle quantità complesse.

L’artificio teorico che ci permette di effettuare la trasformazione


grandezze sinusoidali che variano nel tempo  numeri complessi
è la cosiddetta trasformata di Steinmetz.

Un qualunque numero complesso può essere scritto tramite una grandezza chiamata
modulo (che indica “quanto è lungo” il vettore identificato dal numero complesso sul piano
di Gauss) e una chiamata argomento, che identifica l’angolo che il vettore complesso forma
con l’asse positivo reale (sempre nel piano di Gauss). Se Z è un qualsiasi numero
complesso allora, sfruttando la ben nota identità di Eulero
e ± jα = cos α ± j sin α
possiamo sempre scrivere
j arg
 Z

Z= Z e argomento


modulo
Un fasore è un numero complesso fatto di vettori:

    Ar → parte reale
A = Ar + jAi  
 Ai → parte immaginaria
Interessante è osservare che, una volta che una quantità vettoriale tempo-variante è stata
trasformata in un numero complesso (fasore) grazie a Steinmetz, allora la dipendenza dal
punto permane, quella dal tempo scompare.

Passiamo ora al nostro caso di interesse. Come sappiamo, il campo elettrico può essere

espresso come funzione del raggio-vettore r (che indica la posizione del punto in cui
facciamo la rilevazione rispetto all’origine del sistema di riferimento scelto) e del tempo t
(se il campo è tempo-variante).
 
Campo elettrico  e r,t ( )
 
( )
Dividiamo ora un generico campo elettrico e r,t nelle sue componenti x, y e z…
    
( ) ( ) ( )
e r,t = ex r,t iˆx + e y r,t iˆy + ez r,t iˆz( )
… e immaginiamo che il campo elettrico varî in maniera sinusoidale:
  
ex ( r ,t ) ey ( r ,t ) ez ( r ,t )
             
( ) 
xn
 ˆ
x x

yn
 ˆ
y y

zn z
 ˆ
e r,t = E ( r ) cos (ωt + ϑ ( r ) ) i + E ( r ) cos (ωt + ϑ ( r ) ) i + E ( r ) cos (ωt + ϑ ( r ) ) i
z
Ora sfruttiamo la trigonometria:
cos ( a + b ) = cos a cos b − sin a sin b
E raccogliamo tutti i termini che fanno riferimento a cos ωt o a sin ωt
 
( )
e r,t =  Exn cos ϑx iˆx + E yn cos ϑyiˆy + Ezn cos ϑz iˆz  cos ωt −  Exn sin ϑx iˆx + E yn sin ϑyiˆy + Ezn sin ϑz iˆz  sin ωt
   

Quella che abbiamo ottenuto è la somma di due vettori reali (o, meglio, campi vettoriali
reali tempo-invarianti):
E xn co s ϑ x iˆx + E xn sin ϑ x iˆx +
E yn co s ϑ y iˆy + E yn sin ϑ y iˆy +
E zn cos ϑ z iˆz E zn s in ϑ z iˆz
  
 

( )
e r ,t = co s ω t −
Er s in ω t Ei
  
( )
Il fasore E associato al campo elettrico e r,t può essere espresso attraverso questi due
vettori (che dipendono solo dal punto):
     
()
E r = Er r + jEi r () ()
Oppure, se decidiamo di separare le varie componenti, in questo modo:
Ey
   Ex
      Ez

()
E r = E xn ( cos ϑx + j sin ϑx ) iˆx + E yn ( cos ϑy + j sin ϑy ) iˆy + E zn ( cos ϑz + j sin ϑz ) iˆz

E = E x iˆx + E yiˆy + E z iˆz
Ovverosia si ha che:
Exn e jϑx = Ex
 jϑy
E yn e = E y
 jϑz
Ezn e = Ez
(ricordiamoci che, per Eulero: e ± jα = cos α ± j sin α )

 
E se io volessi “tornare indietro”, da E ad e ? Si usa l’antitrasformata di Steinmetz:
   
( )
e r,t = Re E ( r ) ⋅ e jωt { }
(il campo elettrico tempo-variante è ovviamente reale)

Il campo elettrico non è la sola quantità che può essere tramite fasori: possiamo fare la
stessa cosa con la densità di carica (funzione del punto e del tempo, con andamento
sinusoidale)
ρɶ ( P ,t ) = ρn cos (ωt + ϑ )
ρ = ρn cos ϑ + j ρn sin ϑ = ρr + j ρi = ρn ( cos ϑ + j sin ϑ ) = ρn e jϑ







ρr ρi

(nota: c’è tempo invarianza. L’informazione sul tempo viene “inglobata”


nella natura di numero complesso)
Anche qui, se voglio tornare al caso tempo-variante:
ρɶ ( P ,t ) = Re ρ e jωt { }
2. Equazioni di Maxwell con i fasori

Ricordiamoci delle equazioni di Maxwell in forma puntuale (o differenziale):


 ∂    
- prima equazione: ∇ × e = − b  j = jC + jI
∂t  

 ∂d  b = µ h
- seconda equazione: ∇ × h = +j con   
 ∂t d = ε e
- terza equazione: ∇d = ρɶ   
  jC = σ e
- quarta equazione: ∇b = 0
Sfruttiamo l’antitrasformata di Steinmetz per esprimere con i fasori:
 
{
- il campo elettrico: e = Re E e jωt }
 
- il campo magnetico: h = Re H e jωt { }
 
- l’induzione elettrica: d = Re D e jωt { }
 
- l’induzione magnetica: b = Re B e jωt { }
 
- la densità di corrente: j = Re J e jωt { }
- la densità di carica ρɶ = Re ρ e jωt { }
E inseriamo il tutto nelle equazioni di Maxwell:
 
{ ∂
- prima equazione: ∇ × Re E e jωt = − Re B e jωt
∂t
} { }
 jωt  
- seconda equazione: ∇ × Re H e { ∂
}
= Re D e jωt + Re J e jωt
∂t
{ } { }
 jωt
- terza equazione: ∇ ⋅ Re D e{ }
= Re ρ e jωt { }

{
- quarta equazione: ∇ ⋅ Re B e jωt = 0 }

Ora portiamo dentro gli operatori ∇ e (NOTA: derivare, in questo caso, significa
∂t
moltiplicare per jω ).

{( }

)
- prima equazione: Re ∇ × E ⋅ e jωt = − Re jω B e jωt { }
{( }
  
)
- seconda equazione: Re ∇ × H ⋅ e jωt = Re jω D e jωt + Re J e jωt { } { }
{( ) } {

- terza equazione: Re ∇ ⋅ D ⋅ e jωt = Re ρ e jωt }
{( ) }

- quarta equazione: Re ∇ ⋅ B ⋅ e jωt = 0
Tutte le uguaglianze scritte devono valere per ogni istante t: dunque, valgono anche
nell’istante
T π
τ =t− =t− dato che T = 1 = 2π
4 2ω f ω
Perché scegliere proprio quest’istante? In realtà la scelta è furbissima; vediamo ad esempio
cosa accade con un generico fasore:
  
( )
Ae jωt = Ar + j Ai e jωt
Nell’istante τ si ha:
  jω (t −T )   jω (t −π )    
( )
Ar + j Ai e 4
(
= Ar + j Ai e) 2ω
( )
jω π
( jπ
= Ar + j Ai e jωt e 2ω = Ar + j Ai e jωt e2 =) =j
   
( )
= Ai − j Ar e jωt Re { Ae jωt } = Im { Ae jωτ }
Dunque la nuova parte reale è uguale alla vecchia parte immaginaria. Questo ci permette di
levare l’operatore di parte reale (che è superfluo, perché coincidono parti reali e
immaginarie): le equazioni diventano
 
- prima equazione: ∇ × E = − jω B
  
- seconda equazione: ∇ × H = jω D + J

- terza equazione: ∇ ⋅ D = ρ

- quarta equazione: ∇ ⋅ B = 0
Come si nota, è una formulazione molto più snella e sicuramente più elegante.

3. Conducibilità e materiali

Anche con i fasori (lettera maiuscola) si hanno le relazioni già viste per le quantità tempo-
varianti (lettera minuscola):
   
b = µ h B = µ H
     
d = ε e  D = ε E
     
 jC = σ e  J C = σ E
Posso ora andare più nello specifico e studiare il significato dei coefficienti di permettività
(elettrica  ε , magnetica  µ ):
 
 B = µ0 µr H
  
 D = ε 0ε r E
In queste due equazioni µ0 e ε 0 sono delle costanti sempre uguali a loro stesse (e cioè
“universali”), qualsiasi sia il mezzo in cui risolviamo le equazioni di Maxwell.
 C2 
ε 0 = 8,854 ⋅ 10−12  2 
m ⋅N 
H
µ0 = 4 ⋅ π ⋅10 −7  
m 
Per quanto riguarda µr (permettività magnetica relativa) e ε r (permettività elettrica
relativa), esse variano di volta in volta in base al materiale di cui è fatto il mezzo che ci
interessa. Precisamente, µr e ε r sono i fattori per i quali bisogna moltiplicare µ0 e ε 0 in
modo da ottenere la permettività magnetica ed elettrica specifica del caso che stiamo
esaminando. Si deve ovvero verificare che:
µ (del mezzo che ci interessa) = µr (relativa) ⋅ µ0 (assoluta)
ε (del mezzo che ci interessa) = ε r (relativa) ⋅ ε 0 (assoluta)

Detto questo, “spezziamo” il fasore D e l’espressione della densità di corrente
nell’equazione (terza di Maxwell per grandezze sinusoidali)
 
       D = ε E
∇ × H = jω D + J = jω D + J C + J I ⇐   
 J C = σ E

NOTA: per ora ignoriamo eventuali correnti impresse  J I = 0
     σ    σ 
∇ × H = jωε E + σ E = jω E  ε +  = jω E  ε − j  = jω Eε C
 jω   
 ω 
un concetto nuovo
di permettività
complessa

Abbiamo definito un nuovo parametro di permettività, che dipende sia delle


caratteristiche del materiale (c’è ε ) sia dalle frequenze di lavoro (c’è ω ). Questo parametro
è in realtà un numero complesso, la cui parte reale è legata alla corrente di spostamento
mentre la parte immaginaria si riferisce a quella di conduzione. Possiamo di conseguenza
introdurre una nuova induzione elettrica (induzione elettrica generalizzata), che tiene conto
della presenza del nuovo coefficiente ε C :
 
D′ = ε C E
Fatte queste considerazioni, possiamo classificare i materiali in base al comportamento che
hanno nei confronti della corrente di spostamento e di conduzione.
Se un materiale è un buon conduttore si ha che:
σ
≫ε Im ( ε C ) ≫ Re ( ε C )
ω
Se un materiale è un buon dielettrico si ha invece che:
σ
≪ε Im ( ε C ) ≪ Re ( ε C )
ω
In mezzo a conduttori e dielettrici abbiamo poi i semiconduttori, in cui la differenza fra
parte reale e parte immaginaria della permettività complessa non è così marcata come nei
casi estremi testé visti1.

In particolare si ha che:
- in un mezzo con perdite (per effetto Joule2) σ ≠ 0 ;
- in un mezzo senza perdite (sempre per effetto Joule) σ ∼ 0 .

Prendiamo ora un dielettrico perfetto, in cui ε C → +∞ , e facciamo l’ipotesi di trovarci in


una zona di spazio senza sorgenti al suo interno. Come diventano la prima e la seconda
equazione di Maxwell?
 
 Prima equazione di Maxwell: ∇ × E = − jω B

    ∇ × E 
Sostituendo B = µ H ottengo: ∇ × E = − jωµ H ⇒ − =H.
jωµ

1 Si noti l’allitterazione. Figo, eh?

∫∫∫ σ e
2
2 Infatti le perdite per effetto Joule sono così quantificate: dV
V
 
Si ha dunque che H è legato in maniera finita al rotore di E .
  
 Seconda equazione di Maxwell: ∇ × H = jω D + J (NOTA: continuiamo ad
ignorare le eventuali correnti impresse perché nello spazio che consideriamo,

abbiamo detto, non ci sono sorgenti. J I = 0 ).
 
Ci ricordiamo che avevamo ottenuto: ∇ × H = jω Eε C .

 ∇ × H
Si ha quindi che: E = . Ricordandoci dell’ipotesi per cui ε C → +∞ , possiamo
jωε C
dire che in un conduttore dielettrico perfetto il campo elettrico tende a zero. Di
conseguenza anche il campo magnetico subisce la stessa sorte, visto che – l’abbiamo

visto poco fa, nella prima equazione – il fasore H è legato in maniera finita al

rotore di E .

Alla luce di queste considerazioni abbiamo ottenuto che, nei dielettrici perfetti:
 
- il campo elettromagnetico è nullo ( E ∼ 0 e di conseguenza H ∼ 0 : è l’ennesima
prova dell’intimo legame fra grandezze elettriche e magnetiche evidenziato e
formalizzato dalle equazioni di Maxwell);
- la potenza dissipata per effetto Joule ∫∫∫ σ e 2 dV è trascurabile, proprio perché
V

come si è detto E ∼ 0 .

Terminiamo questo paragrafo con alcune elucubrazioni sulla continuità dei campi fra
vuoto e dielettrico. Prendiamo la trita e ritrita superficie di interfaccia piatta, la quale
separa il mezzo 1 (conduttore dielettrico perfetto, ε C → +∞ ) dal mezzo 2 (vuoto). Il
versore iˆn , normale alla superficie di interfaccia, “punta” verso il mezzo 2 (vuoto).
Ricordiamoci ora delle equazioni di continuità (capitolo 2), le quali sono tranquillamente
trasferibili al mondo dei fasori:

b2n = b1n h2t = h1t + jS × iˆn
d2n = d1n + ρɶ S e2t = e1t
∂ρɶ S
j2n − j1n = −
∂t

⇓ diventano ⇓

B2n = B1n H 2t = H1t + J S × iˆn
D2n = D1n + ρɶ S E2t = E1t
J 2n = J1n − jωρɶ S

∂ρɶ S ∂t


Tuttavia, nel mezzo 1 (dielettrico) abbiamo detto che E ∼ 0 e di conseguenza
 
H ∼ 0, B ∼ 0 . Ecco come diventano le nostre equazioni:

B2n = 0 H 2t = J S × iˆn
D2n = ρɶ S E2t = 0
J 2n = J1n − jωρɶS

Ne deduciamo che il dielettrico crea delle correnti superficiali per bilanciare un eventuale
campo esterno.

4. Potenza complessa

Supponiamo di avere un componente generico ai cui capi d’ingresso si misura una


corrente entrante i e una tensione v (entrambe definite nel dominio del tempo e con
andamento di tipo sinusoidale). A questa tensione e a questa corrente corrisponde una
potenza:
p = vi
(definita nel dominio del tempo)
e una potenza media su un periodo T
T
1
v ( t ) i ( t ) dt
T ∫0
pm =

(anche questa è definita nel dominio del tempo)


Ebbene, ai parametri indicati sopra corrisponde una controparte espressa tramite fasori,
un po’ come abbiamo visto che accade per le altre grandezze elettromagnetiche (le quali
hanno un andamento sinusoidale).
{ }
I  corrente complessa, tale per cui i = Re Ie jωt
V  tensione complessa, tale per cui v = Re {Ve } jωt

PC  potenza complessa
La potenza complessa è così definita:
1
PC = VI *
2
La parte reale della potenza complessa si chiama potenza attiva e si indica con P
P = Re {PC }
(NOTA: si può dimostrare – e lo faremo fra poco – che la potenza media sul periodo
T
1
coincide con la potenza attiva P  pm = ∫ v (t ) i (t ) dt = P )
T 0
La parte immaginaria della potenza complessa è invece la potenza reattiva, alla quale si
associa la lettera Q
Q = Im {PC }
Dunque:
PC = P + jQ
Ora applichiamo la proprietà per la quale
z + z*
Re {z} =
2
e riprendiamo in mano la relazione del valor medio temporale, sostituendo le parti tempo-
varianti con i fasori (dai quali dobbiamo estrarre le parti reali):
1 Ve jωt + V * e − jωt Ie jωt + I * e − jωt
T T T
1
T 0
1
pm = ∫ v (t ) i (t ) dt = ∫ Re Ve Re Ie
T0
jωt
{
jωt
dt = ∫
T 0
} { 2
} 2
dt =

=1 =1
T     T
1 jωt jωt * * − jωt − jωt * jωt − jωt jωt − jωt 1
= ∫ + + + = ∫ VI * + V * I dt =
*
VIe
 e  V

I e e VI e

 e V I e e dt
4T 0 questi termini, se integrati sul periodo, da qui, invece, il termine esponenziale 4T 0
hanno valor medio nullo e quindi scompare perché in entrambi i casi la
possiamo eliminarli moltiplicazione genera un fattore 1

VI * + V * I 1  VI * 
=
4
= Re VI * = Re 
2
{ } =P
 2 

4.1 Potenza complessa generata da correnti impresse

Si definiscono:
- densità di potenza3 istantanea pɶ (t ) :
 
pɶ (t ) = − jI ⋅ e
(NOTA: il meno è frutto di convenzioni)
- potenza istantanea Pɶ (t ) :
3

Pɶ (t ) = pɶ (t ) dV ∫∫∫V

- densità di potenza3 media su un periodo T:


1    
{ } { }
T T T
1 1
pɶ m = ∫ pɶ (t ) dt = − ∫ jI ⋅ e dt = − ∫ Re J I ⋅ e jωt ⋅ Re E ⋅ e jωt dt =
T 0 T 0 T 0
   
1 J I ⋅ e jωt + J I* ⋅ e − jωt E ⋅ e jωt + E * ⋅ e − jωt
T
=− ∫ dt =
T0 2 2
1
T  jωt
 * − jωt  jωt  * − jωt
   E ⋅ e + E ⋅ e  dt =
4T ∫ 
=− J I ⋅ e + J I ⋅e  
0
=1 =1
1
T  
jωt jωt
 *  * − jωt − jωt   *     
jωt − jωt
 
jωt − jωt

4T ∫0 
 

=− J Ee e + J E e e + J E e e + J *
E e e dt =
I I I I

questi termini, se integrati sul periodo, da qui, invece, il termine esponenziale
hanno valor medio nullo e quindi scompare perché in entrambi i casi la
possiamo eliminarli moltiplicazione genera un fattore 1
    * 
1  * *  J I E * + J I* E  J I E 
T

 = Re {PC }
4T ∫0
=− J I E + J I E dt = − = Re −
4  2 
- densità di potenza3 complessa:
 
J I* E
pC = p + jq = −
2
- potenza3 complessa:
 
 J I* E 
PC = P + jQ = ∫∫∫ pC dV = − ∫∫∫   dV
V V   2 

3 sottointeso: “generata da correnti impresse”


Se ci ricordiamo quello che abbiamo detto nel capitolo 1, paragrafo 7, la
potenza associata alle correnti impresse, se portiamo V all’infinito, è sempre
maggiore o uguale a zero. Si può quindi scrivere anche che:
se V → +∞ allora P ≥0

4.2 Potenza complessa generata da correnti di conduzione

Si definiscono:
- densità di potenza4 istantanea pɶ (t ) :
  2
pɶ (t ) = jC ⋅ e = σ e
- potenza4 istantanea Pɶ (t ) :
Pɶ (t ) = ∫∫∫ pɶ (t ) dV
V

- densità di potenza media su un periodo T:


4

(i calcoli e il risultato sono identici al caso del paragrafo 4.1, a parte un segno

diverso e il termine JC )
- densità di potenza4 complessa:
  2
J I* E σ E
pC = = = p + jq
2 2



è reale
è reale

- potenza4 totale:
 2
σ E
P = ∫∫∫ dV ≥ 0
V
2
(NOTA: è la potenza dissipata per effetto Joule)

5. Teorema di Poynting (bilancio di potenza in un sistema e.m.)

Si definisce vettore di Poynting (è un fasore) la seguente quantità


 
 E × H*
S≜
2
(NOTA: ha la dimensione di una potenza)
Nella versione dipendente dal tempo, tale vettore si esprime così:
  
s = e ×h
Calcoliamone la divergenza:
 1    
(
∇ ⋅S = H* ⋅∇× E − E ⋅∇× H*
2
)
     
( )
[REGOLINA: ∇ ⋅ A × B = B ⋅ ∇ × A − A ⋅ ∇ × B ]
Ricordiamoci ora delle due prime equazioni di Maxwell:
 
- prima equazione: ∇ × E = − jω B

4 sottointeso: “generata da correnti di conduzione”


     
- seconda equazione: ∇ × H = jω D + J = jω D + J C + J I
Prendiamo la seconda:
   
∇ × H = jω D + JC + J I
Coniughiamo entrambi i membri:
   
(∇ × H ) = ( jω D + J )
* *
C + JI

Moltiplichiamo per E ambo i membri:
  *    
( ) ( )
*
E ∇ × H = E jω D + J C + J I
Quindi prendiamo la prima equazione di Maxwell:
 
∇ × E = − jω B

Moltiplichiamo per H * da entrambe le parti:
   
(
H * ⋅ ∇ × E = H * ⋅ − jω B ) ( )
Ora sostituiamo:
   
(
H * ⋅ ∇ × E = H * ⋅ − jω B
 ) ( )
  *     *
( )
E ⋅ ∇ × H = E ⋅ jω D + J C + J I
 ( )
 1 *   
(
dentro ∇ ⋅ S = H ⋅ ∇ × E − E ⋅ ∇ × H * :
2
)
  *
 E ⋅( ∇×H ) 
 
H * ⋅( ∇×E )
   
 1       * 
( )
∇ ⋅ S =   H * ⋅ − jω B  −  E ⋅ jω D + J C + J I  
2    (  )

 
       
 jω H * B − jω ED * J C* E J I* E
∇ ⋅S = − − − − (NOTA: il meno è per via del coniugio)
2 2 2 2
Quindi integriamo su tutto il volume V in cui lavoriamo (e applichiamo il teorema di
Gauss):
teorema della
 divergenza
 (Gauss)
∫∫∫ ∇⋅S dV = ∫∫
S ⋅ iˆn dS
   
V
 S  *   *
 jω H B jω E D *
JC E J I* E
∫∫ S ⋅ iˆndS

S
= − ∫∫∫
V
2
dV + ∫∫∫
V
2
dV − ∫∫∫
V
2
dV − ∫∫∫
V
2
dV

Ora sostituiamo i risultati, ottenuti nei paragrafi 4.1 e 4.2, e raccogliamo:


 
JC* E
∫∫∫ 2
dV
 
V
   = PC
 *   * 2 


 H ⋅B −E⋅D σ E J E*

∫∫S S ⋅ iˆndS = − ∫∫∫


 jω dV − ∫∫∫ dV − ∫∫∫ I dV
V
2 V
2 V
2
 
 B = µ H
Ricordiamoci quindi che:   
 D = ε E
Se sostituiamo ci accorgiamo che andiamo incontro a una notevole semplificazione!
 
( )
 
( )
*
H*⋅ µH E⋅ ε E
 
2 2  2  
 µ H −ε E σ E J I* E
∫∫ ⋅ iˆndS + ∫∫∫ jω

S
S
V
2
dV + ∫∫∫
V
2
dV = − ∫∫∫
V
2
dV

Abbiamo ricavato una prima forma di bilancio di potenza:


2 2 2  
 µ H −ε E σ E J I* E
∫∫S S ⋅ iˆndS + 2∫∫∫
 jω dV + ∫∫∫ dV = − ∫∫∫ dV
2 ⋅ 2 2 2

V

  V

  V


e questo termine, che assomiglia molto potenza delle correnti potenza complessa associata
ad un "valor medio" di quelli visti fin'ora di conduzione alle correnti impresse
a cosa corrisponde?
 2 2
µ H −ε E
Concentriamoci ora su un termine in particolare: 2∫∫∫ jω dV .
V
2⋅2
Esso ha il significato di variazione (il termine jω ci fa pensare ad una derivata) del valor
medio dell’energia immagazzinata, magnetica ed elettrica.

Infine, rimane l’addendo S ⋅ iˆ dS : esso rappresenta il flusso del vettore di Poynting
∫∫
 n
S

attraverso la superficie che racchiude il volume, cioè il flusso della potenza trasportata dal
campo elettromagnetico che si propaga.

Se ora, onde evitare di scrivere decine di integrali, riscriviamo simbolicamente


l’equazione, ponendo:
 
J I* E
• Il termine ∫∫∫ dV pari a PC (potenza complessa). Possiamo scindere questo
V
2
termine in PC = P + jQ .
2
σ E
• Il termine ∫∫∫ dV pari a PJ (potenza legata all’effetto Joule).
V
2
2 2
µ H −ε E
• Il termine di valor medio 2∫∫∫ jω dV pari a 2 jω (Tm − U m ) , dove T ha
V
2⋅2
il significato di potenza magnetica media e U quello di potenza elettrica media.

• Il termine  ∫∫ ⋅ iˆndS pari a PCS , che sarebbe la potenza complessa associata al
S
S

vettore di Poynting. Possiamo scindere questo termine in PCS = PS + jQS .


Riscrivendo il tutto si ha:
PC = PJ + 2 jω (Tm − U m ) + PCS
P + jQ = PJ + 2 jω (Tm − Um ) + PS + jQS
Ora dividiamo le parti reali da quelle immaginarie:
 p. attiva → P = PS + PJ

 p. reattiva → Q = QS + 2ω (Tm − Um )
Ecco qui una formulazione alternativa del teorema di Poynting. Vediamo che c’è un
termine chiamato “potenza reattiva”, il quale non si riferisce ad un flusso netto di potenza:
il suo significato è quello di potenza scambiata (“palleggiata”) fra l’interno e l’esterno.
Se questo termine è nullo il sistema si dice risonante (condizione di risonanza: Tm = Um ): si
dice inoltre che la sorgente è adattata al sistema (la presenza di potenza reattiva equivale
ad uno spreco).

Se invece ora
• facciamo tendere all’infinito la superficie S → +∞
• e, di conseguenza, facciamo tendere all’infinito anche il volume V → +∞
allora otteniamo che QS = 0, in quanto – avendo noi inglobato tutto l’Universo – non può
esservi scambio di energia con l’esterno (il “palleggio” di prima) e dunque la componente
reattiva del vettore di Poynting dev’essere per forza nulla. QS , infatti, è legato ai fenomeni
locali che si instaurano nelle vicinanze delle sorgenti.

Se vogliamo scrivere il bilancio energetico nel dominio del tempo? È presto fatto!
CON I FASORI
2 2 2  
 µ H −ε E σ E J I* E
 ˆ
∫∫S S ⋅ indS + 2∫∫∫ jω dV + ∫∫∫ dV = − ∫∫∫ dV
V
2⋅2 V
2 V
2
DOMINIO DEL TEMPO
  
∂ µ h 2
+ ε e 2
e ⋅ ji
∫∫S s ⋅ iˆndS + ∫∫∫
 dV + ∫∫∫ σ e 2 dV = − ∫∫∫ dV
V
∂t 2 V V
2
Le due espressioni hanno lo stesso significato.

6. Teorema di unicità

È importante notare che il teorema di Poynting formulato attraverso i fasori si riferisce a


campi a regime e cioè esistenti da tempo infinito: vi è quindi assenza delle cosiddette
condizioni iniziali. La determinazione del campo elettromagnetico in una certa regione V
dello spazio è ovviamente subordinata alla conoscenza del mezzo che occupa tale
porzione di spazio ed alla corretta individuazione delle sorgenti impresse presenti al suo
interno. Tuttavia, tali informazioni non risultano sufficienti; infatti ciò che accade
all’interno del volume dipenderà altresì dal mezzo e dalle eventuali sorgenti collocate
all’esterno della regione considerata. Si tratta quindi di definire quali sono le ulteriori
informazioni che, in qualche modo, consentano di tenere conto del mondo circostante.
Esse consistono nell’assegnare le condizioni al contorno, cioè nel definire quali sono i
valori assunti sulla superficie S, che delimita V, da certe componenti del campo.

A noi interessa sapere quando un determinato problema di Maxwell formulato in una


certa regione ammette soluzione e quando ammette soluzione unica. Quel che vogliamo
dimostrare (teorema di unicità) è che, se disponiamo delle condizioni al contorno, allora
abbiamo un’unica soluzione per il campo elettromagnetico.
Procediamo nella dimostrazione per assurdo e supponiamo che esistano due campi
elettromagnetici che soddisfano le equazioni di Maxwell in V con le stesse sorgenti e le
stesse condizioni a contorno.
 
Campo 1: E ′, H ′
 
Campo 2: E ′′, H ′′
Dopodiché definiamo un campo-differenza così formulato:
     
Campo-differenza: ( )
E = E ′′ − E ′ , H = H ′′ − H ′ ( )
Se riusciamo a dimostrare che tale campo è nullo, allora avremo dimostrato che il campo 1
coincide con il campo 2 e che quindi esiste un’unica soluzione.

Sempre supponendo l’esistenza di questo campo-differenza, possiamo dire che esso


soddisferà le equazioni di Maxwell (sono lineari) omogenee (cioè senza il termine noto

J i ): infatti
EQUAZIONI DI MAXWELL EQUAZIONI DI MAXWELL
CAMPO 1 CAMPO 2
   
∇ × E ′ = − jωµ H ′ ∇ × E ′′ = − jωµ H ′′
       
∇ × H ′ = − jωε C E ′ + J ∇ × H ′′ = − jωε C E ′′ + J
EQUAZIONI DI MAXWELL
CAMPO DIFFERENZA
   

( 

)
(
∇ × E ′′ − E ′ = − jωµ H ′′ − H ′ )


 
 E H
      

( 

)
(
∇ × H ′′ − H ′ = − jωε C E ′′ − E ′ +



) J −J
scompare
 
 H E

Ora prendiamo l’uguaglianza dimostrata nel paragrafo 5:


 p. attiva → P = PS + PJ

 p. reattiva → Q = QS + 2ω (Tm − Um )
Scriviamo i termini simbolici per ciò che sono ed eguagliamoli a zero dato che non ci sono
correnti impresse:
   2
 E × H *  σ E
 p. attiva iˆn dS  + ∫∫∫


→ P = Re  
 S
∫∫ 2  V 2
dV = 0
   2 2
  E × H *  µ H −ε E
 p. reattiva → Q = Im  
  S
∫∫ 2 iˆn dS  + ω ∫∫∫ V
2
dV = 0
 
E × H* ˆ
Concentriamoci ora sul termine  ∫∫S 2 in dS : siccome possiamo sempre scrivere che,
scindendo le componenti tangenti da quelle normali, si ha
  
E = Et + Eniˆn
   
H = Ht + H niˆn
Allora avremo che:
   
( E + E iˆ ) × ( H + H iˆ )
*
t n n t n n
∫∫
 iˆn dS
S
2
    *
( ) ( )
Se sviluppiamo ora il termine  Et + Eniˆn × H t + H niˆn  iˆn l’unica parte a sopravvivere è
 
quella con le componenti tangenti. Se ora teniamo conto delle componenti al contorno e
 
diciamo che, proprio sul contorno, il componente tangente di E o di H deve risultare
identicamente nullo (come ad esempio avviene su un involucro metallico) dato che
   
Et′ = Et′′ Ht′ = H t′′
e dunque
     
Et = Et′ − Et′′ = 0 Ht = H t′ − Ht′′ = 0
allora il sistema di prima diventa:
   2
 E × H *  σ E
 p. attiva

→ P = Re  


∫∫ 2
iˆn dS  + ∫∫∫

 2
dV = 0
 S V
   2 2
  E × H *  µ H −ε E
 p. reattiva → Q = Im   ∫∫ iˆn dS  + ω ∫∫∫ dV = 0
  S 2  V
2
Da cui si deduce che
 
E = 0, H = 0
Dunque il campo-differenza non esiste e vi è una ed una sola soluzione che soddisfa le
condizioni al contorno.
NOTA: questo teorema è vero se la conducibilità è non nulla: altrimenti, se il mezzo è
totalmente privo di perdite, esso può essere risonante e l’equazione di cui sopra essere

identicamente soddisfatta qualunque sia il campo elettrico E . Soluzioni di questo tipo
sono possibili all’interno di domini chiusi, che prendono il nome di cavità risonanti. Una
peculiarità di tali soluzioni è che esse possono esistere solo per particolari valori della
pulsazione, i quali prendono il nome di pulsazioni di risonanza.
Se il mio sistema elettromagnetico, invece di essere finito, è illimitato, come è formulato il
teorema di unicità? Quali sono le condizioni al contorno?
Esse sono le cosiddette condizioni di radiazione: si prende un origine O “al finito” poi si

considera un vettore posizione r ; siccome i campi elettrico e magnetico si devono
attenuare con la distanza, si può dimostrare che i seguenti limiti tendono a zero:
   
lim
 r ⋅ E = lim
 r ⋅H = 0
r →∞ r →∞

Banalmente, per dimostrare l’unicità, si fa ancora come prima (si formula un campo-
differenza, etc… etc…). Dopodiché si applica il teorema di Poynting, ma questa volta non
è banale mandare a zero i termini che abbiamo eliminato prima, perché questa volta la

superficie tende ad infinito (per via del passaggio al limite del termine r ). Come facciamo?
Quello che si fa è prendere il termine
 *
E×H
∫∫∞ 2 iˆn dS

S
e considerare una superficie S finita particolare (una sfera) e
riformulare l’integrale su quella particolare superficie:
 *  *
E×H E×H ˆ
∫∫∞ 2 iˆn dS
  lim

r →∞ ∫∫
 2
ir dS
S S sfera
Se ora consideriamo l’angolo solido, questo limite diventa:
 
E ×H* ˆ 2
R →∞ ∫∫
lim  ir R dΩ = 0

2
ed esso tende a zero, per via del fatto che, come abbiamo detto
prima,
   
lim
 r ⋅ E = lim
 r⋅H = 0
r →∞ r →∞

NOTA: a partire da questo capitolo la notazione di vettore cambia da v a v

1. Equazioni delle onde nel dominio del tempo

Consideriamo un mezzo isotropo, lineare e stazionario, in cui si abbia


d = εe b = µh j = σe
Ricordiamo ora le equazioni di Maxwell (forma puntuale):
∂h ∂e
∇ × e = −µ ∇×h = ε + σ e + ji
∂t ∂t
Se in una certa regione di spazio ipotizziamo che non vi siano sorgenti, e che quindi
ji = 0
e, inoltre, facciamo l’ipotesi che la costante ε non dipenda dal punto di calcolo, allora
∂e
possiamo applicare all’equazione di Maxwell ∇ × h = ε + σ e + ji l’operatore ∇ × da
∂t
ambo le parti:

∇ × ∇ × h = ε (∇ × e) + σ (∇ × e)
∂t
Ora ci ricordiamo che
∇ 2 h = ∇ ( ∇ ⋅ h ) − ∇ × ∇ × h ⇒ ∇ ( ∇ ⋅ h ) = ∇ 2h + ∇ × ∇ × h
E quindi:
= 0 perché b =0

 
∇ ( ∇ ⋅ h ) = ∇ 2h + ε ( ∇ × e ) + σ ( ∇ × e )
∂t
  
∇×∇×h
Ora sostituiamo all’interno della relazione trovata l’altra equazione di Maxwell in
precedenza scritta:
∂ ∂h   ∂h  ∂ 2h ∂h
∇ ( ∇ ⋅ h ) = ∇ h + ε  −µ
2
 + σ  −µ  = ∇ h − µε 2 − µσ
2

∂t  ∂t   ∂t  ∂t ∂t
Se il mezzo è senza perdite (σ = 0 ) , si ha l’equazione vettoriale delle onde:
∂ 2h ∂h
∇2h − µε − µσ =0
∂t 2
∂t
Tale equazione vale anche per e :
∂ 2e
∇ e − µε 2 = 0 2

∂t
Questa tipologia di equazione è detta delle onde vettoriali (o equazione di D’Alembert). Le
soluzioni di queste equazioni sono dette onde (o funzioni d’onda). Se poniamo
1
c=  ha la dimensione di una velocità (è la velocità della luce)
µε
Allora l’equazione d’onda diventa1
1 ∂ 2a
∇ 2a − =0
c2 ∂t 2

1 Usiamo il simbolo a per indicare sia e che h .


Se questa equazione la proiettiamo su uno qualunque degli assi di un sistema cartesiano
ortogonale otteniamo l’equazione scalare delle onde:
1 ∂ 2a
∇ a− 2 2 =0
2

c ∂t
Per funzioni dipendenti solo da una coordinata (asse z) e dal tempo t, si ha il seguente
integrale generale come soluzione dell’equazione differenziale appena scritta:
a ( z ,t ) = fp ( z − ct ) + fr ( z + ct )
   
parte progressiva parte regressiva

Consideriamo ora il caso per cui


a ( z ,t ) = fp ( z − ct )
ignorando per un attimo la parte regressiva dell’onda. Allora lo stesso valore di a si ottiene
per due coppie di valori che soddisfano queste equazioni:
z1 − ct1 = z2 − ct2 ← La quantità sotto parentesi sono uguali

z1 − z2 = c (t1 − t2 ) = c∆t = ∆z ← Traslazione in avanti dell'onda
Dunque, dopo un tempo pari a ∆t tutti i valori di fp si
muovono in avanti di ∆z nel verso positivo della velocità
c (velocità di propagazione dell’onda). Si parla quindi di onda progressiva o diretta (vedi
figura). Ripetendo il ragionamento con fr otteniamo un’onda regressiva o riflessa.

2. Funzioni d’onda

Le funzioni d’onda che si propagano (indicate con f nel paragrafo precedente) hanno
quest’aspetto:
TEMPO  A (t ) = a cos (ωt + ϕ )
FREQUENZA  A = ae jϕ
Il termine a è l’ampiezza dell’onda e in genere dipende dalla posizione; la stessa cosa vale
per il termine ϕ , che è la fase dell’onda: in particolare, si possono enucleare delle superfici
sulle quali le oscillazioni di A avvengono in fase (superfici equifase).
Definiamo poi:
• La fase istantanea  il valore che la fase assume in un certo istante t e in una certa
posizione r (vettore posizione di un certo sistema di riferimento).
• Il fronte d’onda  il luogo dei punti nei quali la fase istantanea assume un valore
costante; tale luogo si sposta nel verso delle superfici equifase con fasi decrescenti.
• Un’onda omogenea  è un’onda che ha ampiezza costante su ogni superficie
equifase. Qualora le superfici equifase assumano forme geometriche note (piani,
sfere, cilindri), l’onda viene corrispondentemente qualificata come piana, sferica,
cilindrica.
• Vettore d’onda  è una grandezza definita così
β = −∇ϕ [rad/m]
e, precisamente, è un vettore che risulta essere sempre perpendicolare alle superfici
equifase. Il segno meno consente di orientarlo nel verso di propagazione (fasi
decrescenti).
• Velocità di fase  è definita come
ω
v=
β
Ha le dimensioni di una velocità e coincide con la velocità con cui si muoverebbe
un ipotetico osservatore solidale con un fronte d’onda.
• Lunghezza d’onda  definita come

λ=
β
ha anche altre formulazioni che vedremo in seguito.

3. Forme d’onda “notevoli”: esempi.

a. Ampiezza costante, fase puramente immaginaria che dipende in modo lineare


da una sola coordinata (onda
( piana uniforme)

La forma dell’equazione d’onda è questa:


TEMPO: A (t ) = a cos (ωt + ϕ )  A (t ) = Re { Ae jωt } = a cos (ωt − kz + ϕa )
FREQUENZA: A = ae jϕ  A = ae ( ) = a e jϕa e − jkz con k > 0
j − kz

Si tratta di un’onda piana,


piana perché la fase
ϕ = ϕa − kz
risulta costante quando z è costante.
Si tratta anche di un’onda uniforme in quanto le oscillazioni hanno ampiezza
costante in tutti i punti di uno
u stesso piano equifase.
In questo caso il vettore d’onda è:
β = −∇ϕ = −∇ (ϕa − kz ) = k∇z = ki z
Dunque la direzione di propagazione dell’onda è quella positiva dell’asse z.
La velocità di fase è:
ω ω
v= =
β k
Infine, la lunghezza d’onda:
2π 2π 2π 2π v
λ= = = = = = vT
k β ω 2π f f
v v

Quest’onda è quindi periodica in maniera duplice:


• Nel tempo: è periodica in t con periodo T.
• Nello spazio: è periodica in z con periodo λ .
b. Stesso caso precedente, fase con segno opposto.

FREQUENZA: A = ae jϕ  A = ae + jkz = a e jϕa e + jkz con k > 0


Abbiamo un’onda uguale alla precedente, che però ha un verso opposto di
propagazione.

c. La fase dipende in modo lineare da una sola coordinata, ma tramite una


onda piana uniforme attenuata)
costante complessa (onda

FREQUENZA: A = a ⋅ e − γ z = a e jϕa ⋅ e ( ) = a e −α z e ( a ) con α , k > 0


− α + jk z j ϕ − kz

TEMPO: A (t ) = Re { Ae jωt } = a e −α z cos (ωt − kz + ϕa )


Parametri:
• Vettore d’onda: β = ki z
ω ω
• Velocità di fase: v = =
β k
Notiamo che anche in questo caso l’onda è piana (la fase è costante se z è costante) e
anche stavolta le superfici equifase sono costituite da piani perpendicolari all’asse z.
Inoltre, in questo caso l’onda è uniforme perché sulle superfici equifase l’ampiezza
l’amp
−α z
è pari a a e ( α è detta costante di attenuazione).
Ancora una volta il verso di propagazione è quello positivo dell’asse z. Riportiamo
tutte queste informazioni in questa elaborazione grafica:

Siccome frequentemente la potenza associata ad un’onda è proporzionale al


quadrato della sua funzione d’onda, si può definire l’attenuazione in potenza fra
due punti come il rapporto fra le potenze associate all’onda in quelle due posizioni.
Se esse sono distanti d,, questa è l’espressione dell’attenuazione:
A (z)
2
e −2α z
• In unità lineari: = −2α ( z + d )
= e2α d
A (z + d)
2
e

A (z)
2
e −2α z
• In deciBel: 10 log = 10 log −2α ( z + d )
= 10 log e2α d = 8,68αd
A (z + d)
2 
e α dB

d. Esempio in coordinate sferiche (r, ϑ , ϕ ) (onda sferica)


La fase dipende in maniera lineare dalla coordinata radiale r,, tramite una costante
reale k positiva; il modulo è reale, ma non è costante perché dipende anche delle
due coordinate angolari tramite la funzione a (ϑ ,ϕ ) , oltre ad essere inversamente
proporzionale alla coordinata radiale r (l’onda ha uno smorzamento, che come si
vede non è esponenziale come nel caso precedente).
a (ϑ ,ϕ ) − jkr
FREQUENZA: A = e con k > 0
r
In questo caso le superfici equifase sono definite
de dalla
relazione kr = costante. Siccome k è una costante reale
positiva, allora tali superfici coincidono con le superfici
sferiche aventi centro nell’origine. L’onda è quindi
detta sferica.
Parametri:
• Vettore d’onda: β = ∇ ( −kr ) = kir
ω ω
• Velocità di fase: v = =
β k
Non possiamo dire che l’onda è uniforme, perché l’ampiezza a (ϑ ,ϕ ) r delle
oscillazioni varia con la direzione e quindi non è costante sulla superficie sferica
equifase. Se per qualche motivo a è una costante, siamo in un caso particolare di
onda sferica uniforme.
In figura è mostrato l’andamento dell’onda.

3. Equazioni delle onde nel dominio della frequenza

Nel paragrafo 1 di questo capitolo abbiamo scritto questa formula


∂ 2h ∂h
∇ ( ∇ ⋅ h ) = ∇2h − µε 2 − µσ
∂t ∂t
∂ 2a ∂a
(nel caso generale, visto che vale anche per e  ∇ ( ∇ ⋅ e ) = ∇ e − µε 2 − µσ
2
)
∂t ∂t
∂a
cacciando malamente via l’ultimo termine − µσ (ipotizzando, quindi, che il mezzo
∂t
fosse senza perdite).
Oraa vogliamo capire in cosa consiste il caso con perdite, il quale è però più chiaro se si

ricorre alle equazioni di Maxwell nei fasori. Sostituendo con jω si ha:
∂t
∇2E + ω 2 µε E − jωµσ E = 0
 2
∇ H + ω µε H − jωµσ H = 0
2

σ
ermettività complessa ε C = ε − j
Introducendo la permettività le equazioni sopra diventano:
ω
∇2E + ω 2 µε C E = 0
 2
∇ H + ω µε C H = 0
2
Queste equazioni sono le cosiddette equazioni di Helmoltz.. Se in esse poniamo k2 = ω 2 µε C ,
il sistema diventa così:
∇2E + k 2E = 0
 2  ∇2 A + k2 A = 0
∇ H + k H = 0
2

Se volessimo trovare l’integrale generale di queste equazioni potremmo agire separando le


variabili e proiettando queste relazioni su degli assi cartesiani x, y e z2:
 d2 A
 2 +k A =0
2

 dx  X ( x ) = a1e jkx x + a2e − jkx x


 d2 A 
 2 + k A = 0 ⇒ Y ( y ) = b1e + b2e ⇒ A = X (x ) + Y ( y) + Z (z )
2 jky y − jky y

 dy 
Z ( z ) = c1e + c2e
jkz z − jkz z
 d2 A
 2 + k2 A = 0
 dz
Notiamo anche qui una duplice presenza di una parte progressiva (ad esempio a2e − jkx x ) e
di una regressiva (ad esempio a1e jkx x ). Consideriamo per ora solo la parte progressiva e
scriviamola prima per x, y e z
 A = A e − j( kx x + ky y +kz z )
 x 0x
 − j( k x + k y + k z )
 A y = A0 y e x y z

 Az = A0 z e − j( kx x + ky y + kz z )
e poi “in un sol colpo” (senza dividere il problema
nelle tre coordinare cartesiane):
A = A 0e ( )
− j k ⋅r

In questa relazione:
k = ( kx , ky , kz ) → Vettore di fase

r = ( x , y, z ) → Vettore d'onda
Si nota bene che i piani equifase sono quelli in cui k ⋅ r è costante.

Distinguiamo ora due casi:


• Caso σ = 0 (nessuna perdita)  caso scalare
• Caso σ ≠ 0 (perdite)  caso vettoriale

CASO SCALARE (ci riportiamo nel già introdotto caso di onda piana uniforme attenuata):
attenuata)
Supponiamo di essere in un caso unidimensionale:
Az = A0 z e
(
− j kx x + ky y + kz z ) = A e − jk zz
0z

Poniamo ora jkz = α z + jβ z .


Se ci ricordiamo come abbiamo definito il termine k e utilizziamo le proprietà dei numeri
complessi ricaviamo questo piccolo sistema:

2 Non è detto che la superficie equifase sia perpendicolare all’asse


all x e parallela all’asse yz. Potrebbe anche essere
inclinata: per questo rimangono tutte le componenti
kz = β z − α z − 2 jβ zα z
2 2 2

 2
kz = ω µε C
2

La relazione di prima diventa:


Az = A0 z e ( z z ) = A0 z e jϕa e −α z z e − jβ z z
− α + jβ z

Ecco trovata l’espressione in frequenza della nostra onda


(che comunque avevamo già introdotto nel paragrafo 2). 2)
Nel dominio del tempo l’equivalente è:
az ( z ,t ) = A0 z e −α z z cos (ωt − β z z + ϕa )
Ci ricordiamo ora quali sono i parametri della nostra onda:

• Lunghezza d’onda: β z ∆z = 2π ⇒ =λ
βz
ω
• Velocità di fase: c= = vf = λ f
βz
• Vettore di fase: k
Quest’ultima grandezza (vettore di fase), sappiamo che possiamo esprimerla anche così
(nel caso generale):
k2 = ω 2 µε C ⇒ k = ω µε C
calare, tutto va bene e alla fine si ha: k0 = ω µε (nessuna perdita)
Se siamo nel caso scalare,
Possiamo ora esprimere k nel caso vettoriale in funzione di quello scalare? Certo!
provare per credere
  
 σ σ σ
k′ = ω µε C = ω µ  ε + j  = ω µε + ω j µ = k0 1 − j
 ω   ω ωε
k0

σ
A questo punto chiamiamo la quantità =R:
ωε
• se R è molto minore di 1 il materiale è un buon dielettrico;
• se R è molto maggiore di 1 il materiale è un buon conduttore.
Le quantità α e β possono essere espresse in funzione di R e di k0 in questo modo:
 k0
α = 1 + R2 − 1
α = k0
 2
  se R ∼ 0 allora 
 β = k0 1 + R2 + 1  β = k0
 2

4. Ortogonalità di h, k ed e

Poniamoci nel caso in cui σ = 0 e vi è assenza di cariche ρ = 0 . Ricordiamoci com’è fatta


un’onda piana esprimendo la sua funzione caratteristica. Ad essa, poi, applichiamo la
proprietà seguente:
funzione
scalare
 
∇ ⋅ ( fA ) = ∇f ⋅ A + f ⋅ ∇A
− j ( k⋅r )
E = E0 e  proprietà 

vettore
Applicando la formuletta, abbiamo ottenuto un’equazione di Maxwell:
∇⋅E = 0
∇ ⋅ E = ∇ ⋅ E0 e ( − j ( k⋅r )
) = ∇ (e − j ( k⋅r )
)⋅E 0 + e ( ) ⋅ ∇E0 = 0
− j k⋅r

 
costante

Compare una derivata “ordinaria”. Eseguiamola:


( )
∇ ⋅ E = ∇ e ( ) ⋅ E0 = − jke ( ) E0 = 0
− j k⋅r − j k⋅r

− je ( )k ⋅ E0 = 0 ⇒ k ⋅ E0 = 0
− j k⋅r

Quindi k è perpendicolare a E0 (vedi figura).

Occupiamoci ora di H e, ancora una volta, partiamo da un’equazione di Maxwell per


districarci nei nostri calcoli. In particolare, utilizziamo un equazione di Maxwell per i
fasori (riferiti grandezze sinusoidali, come le onde):
funzione
scalare
 
∇×E − j ( k⋅r )
H=−  assieme a  E = E0 e
jωµ
vettore

H=−
(
∇ × E0 e
− j ( k ⋅r )
)
jωµ
Ora applichiamo un’altra regoletta:
∇ × ( fA ) = ∇ × Af + ∇f × A
∇× e ( − j ( k ⋅r )
E0 = ) ∇ × E0 e ( ) + ∇e ( ) × E0 = − jke ( ) × E0
 
− j k⋅r


− j k⋅r − j k⋅r

questo termine scompare


perché la parte vettoriale
è costante

Quindi, sostituendo, si ha:


ke
− j ( k⋅r )
× E0 ω µε kˆ × E0e − j(k⋅r ) µε kˆ × E ε ˆ
H= j =j = = k×E
jωµ jωµ µ µ
µ  ε 1
Chiamiamo il termine =η ⇐  =  impedenza intrinseca del mezzo.
mezzo La nostra
ε  µ η 
relazione diventa:
1 ˆ
H= k×E
η
Moltiplichiamo scalarmente da entrambe le parti per il
versore k̂ :
1
kˆ ⋅ H = kˆ × E ⋅ kˆ
η
Ora risulta evidente che:
kˆ ⋅ H = 0
Quindi E , H e k sono fra loro ortogonali (come si vede in figura) e formano una terna
destrorsa.
Ora vogliamo capire dove è diretto il vettore di Poynting. Scriviamo anzitutto la
definizione con i fasori:
E × H*
S=
2
Poi sostituiamo, all’interno di questa definizione, le espressioni trovate:
E = E0 e ( )
− j k⋅r
• per E :
1 ˆ
• per H (questo termine sarà coniugato): H= k×E
η
L’espressione del vettore di Poynting diventa così:
*
1 
− j ( k ⋅r )
E0 e ×  kˆ × E
S= η  = 1 E e − j( k⋅r ) × kˆ × E e − j( k⋅r )  * = 1 E e − j( k⋅r ) × kˆ × E* e + j( k⋅r )  =
2 2η 0  0  2η 0  0 
1 − j(k⋅r ) + j( k⋅r ) 1
= e e E0 × kˆ × E0*  = E × kˆ × E0* 
2η   2η 0  
Ora dobbiamo ricordarci un’altra relazione:
A × B × C = ( AB ) C − ( AC) B
Dunque abbiamo:
S=
1

E0 × kˆ × E0*  =
 
1

(
E0 E0* kˆ − E0kˆ E0* =
1

) 2
E0 kˆ =
1

( 2
E kˆ )
Come si vede nell’ultimo passaggio, abbiamo posto
2 2
E0 = E
in quanto il fattore esponenziale che è presente nell’espressione di E ha modulo unitario e
non incide sull’espressione del modulo.
Osserviamo ora il risultato che abbiamo fra le mani:
1 2
S= E kˆ

• si nota che il vettore di Poynting ha una proporzionalità con il quadrato del modulo
2
del campo elettrico: S∝ E
• tale vettore è diretto come k e quindi ha la direzione del flusso della potenza
elettromagnetica.

5. Integrale generale di onde piane

La soluzione generica di un problema di Maxwell consta nella sovrapposizione di infinite


onde piane di ampiezza infinitesima. Infatti questa è l’espressione della soluzione
generica:
 PITAGO
  RA 
 
− j  kx x + k y y + k 2 − kx2 − k y2 z 
+∞ +∞

∫ ∫ E (k , ky ) e
 
E= 0 x
 
d kx d k y
−∞ −∞

Da quest’espressione si vede che abbiamo due gradi di libertà [cioè ( kx , ky ) : kz lo


troviamo con il teorema di Pitagora] e che le onde infinitesime hanno ampiezza
infinitesima E0 dkx dky .
6. Riflessione e rifrazione di onde piane

Consideriamo alcune quantità notevoli che si riferiscono al particolare mezzo in cui si


propagano le onde elettromagnetiche e alle onde stesse:
− j ( k⋅r )
Equazione dell’onda E = E0e
(consideriamo l’onda come piana perché essa approssima l’onda prodotta da
un’antenna a grande distanza)
εC
Permettività elettrica relativa
ε0
εC
Indice di rifrazione
ε0
c
Lunghezza d’onda (nel vuoto) λ0 =
f

Costante di fase (nel vuoto) β0 = = ω µ0ε 0 = k0
λ0
Costante di fase e indice di rifrazione possono comparire nel parametro costante di fase
(che, siccome il mezzo è senza perdite, risulta anche essere pari a k0 ). Se infatti scriviamo:
 ε C 2π f

ε C 2π  ε 0 c
nβ 0 = =
ε 0 λ0  ε C
 ε ω ε 0 µ 0 = ω ε C µ0 = k
 0
Dunque, la nostra onda può essere espressa così
 
− j  nβ0 kˆ ⋅r 
 
− j ( k⋅r )
E = E0 e  E = E0 e  k 

Consideriamo ora una parete di interfaccia,


interfaccia, cioè il punto di congiunzione (che consideriamo
rettilineo) fra un mezzo 1 e un mezzo 2. Ed esaminiamo il seguente scenario:
Un onda piana, che si sta propagando nel mezzo 1, giunge sulla parete di interfaccia e vi
incide con un angolo ϑ1 ; da questa onda se ne “generano” altre due:
• un’onda riflessa, che “rimbalza” e torna nel mezzo 1;
• un’onda trasmessa, che arriva nel mezzo 2.
Diamo delle formulazioni matematiche a queste onde:
• onda incidente: Ei = Ei 0 e − jn1 β0sˆi ⋅r
( n1 perché siamo nel mezzo 1; sˆ i è il versore d’onda incidente3)
• onda riflessa: Er = Er 0 e − jn1β0sˆ r ⋅r
( n1 perché siamo ancora nel mezzo 1; sˆ r è il versore d’onda riflessa3)
• onda trasmessa: Et = Et 0 e − jn2 β0sˆt ⋅r
( n2 perché siamo nel mezzo 2; sˆ t è il versore d’onda trasmessa3)
Le analoghe formulazioni per H sono:
1
• Hi = sˆ i × Ei = Hi 0 e − jn1β0si ⋅r
ˆ
onda incidente:
η
1
• Hr = sˆ r × Er = Hr 0 e − jn1β0sr ⋅r
ˆ
onda riflessa:
η
1
• Ht = sˆ t × Et = Ht 0 e − jn2 β0st ⋅r
ˆ
onda trasmessa:
η

Facciamo ora alcune ipotesi:


• trascurabili correnti superficiali
jS* = 0
• componenti tangenti continue attraverso la superficie di interfaccia
Eiτ + Erτ = Etτ
Condizione che equivale a, esplicitando ed esprimendo le componenti tangenti
attraverso i versori di y e z (che sono gli unici assi a poter dare contributi nella
direzione di z senza componenti in x):
− jn β ( s y + s z ) − jn β ( s y + s z ) − jn β ( s y + s z )
Ei 0τ e 1 0 iy iz + Er 0τ e 1 0 ry rz = Et 0τ e 2 0 ty tz
Tale uguaglianza (ve n’è una analoga anche per H ) deve valere per ogni valore di y
e z: l’unica è che i fattori esponenziali si semplifichino e che si abbia
 formano
tangente senza 
la parte

 componenti x 
n1siy = n1sry = n2 sty ← per y 


 versore : s = s , s y , sz
 1 iz
n s = n s = n s ← per z  x

1 rz 2 tz
 
 
Se ora divido membro a membro ottengo
n1siy n1sry n2 sty siy sry sty
= = =m  = = =m
n1siz n1srz n2 stz siz srz stz

3 Prende il posto di k.
m è un numero puro che ha il significato di
coefficiente angolare di una retta, caso degenere
del piano cui appartengono i versori si , sr , st ,
detto piano d’incidenza (vedi figura).

Ruotiamo ora l’asse y e l’asse z in modo che il


piano d’incidenza sia coordinato agli assi (x = 0
diventa il piano d’interfaccia e y = 0 il piano
d’incidenza). Con questo nuovo sistema di
riferimento rimangono soltanto componenti in x e
z e quindi l’unica equazione a rimanere è:
 n1siy = n1sry = n2sty
 ⇒ n1siz = n1srz = n2stz
n1siz = n1srz = n2stz
Ora, infatti tutti i vettori d’onda sono complanari
(stanno tutti su y) e possiamo mo scindere i versori nelle
uniche loro due componenti:
si = cos ϑiiˆ x + sin ϑi iˆ z
     
 compon. x compon. z

s = − cos ϑ iˆ + sin ϑ iˆ
 r  r x
   r z

 compon. x compon. z

s = cos ϑ iˆ + sin ϑ iˆ
 t   t x
   t z

 compon. x compon. z

Quindi possiamo scrivere:


n1 sin ϑi iˆ z = n1 sin ϑr iˆ z = n2 sin ϑt iˆ z
In questa equazione, che non sembra neanche tanto bella da vedere, sono nascoste due
importantissime leggi!
LEGGE DI SNELL
LEGGE DELLA RIFLESSIONE
n1 sin ϑr iˆ z = n2 sin ϑt iˆ z
n1 sin ϑi iˆ z = n1 sin ϑr iˆ z
sin ϑi = sin ϑr n1 sin ϑt
=
ϑi =ϑr n2 sin ϑr
    
n1 sin ϑi i z = n1 sin ϑr iˆ z = n2 sin ϑt iˆ z
ˆ e n1 sin ϑi i z = n1 sin ϑr i z = n2 sin ϑt iˆ z
ˆ ˆ

• Legge della riflessione:


riflessione: l’angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione (come
per gli urti meccanici perfettamente elastici contro una parete).
• Legge di Snell: se n1 > n2 allora ϑi < ϑt .

L’angolo d’incidenza per cui l’angolo di onda trasmessa è


π è detto angolo critico.. Per angoli di incidenza ancora
2
maggiori dell’angolo critico allora si ha il fenomeno della
riflessione totale (l’onda
l’onda viene integralmente riflessa con
angolo determinato dalla legge della riflessione).
riflessione . Questo è il principio di funzionamento
delle fibre ottiche, le quali, essendo fatte di materiali con indice di rifrazione diverso (e
studiato ad hoc),
), riescono con continue riflessioni totali a imprigionare e instradare le onde
elettromagnetiche.

Cerchiamo ora l’espressione dell’onda trasmessa:


− jn2 β 0 ( cos ϑt x + sin ϑt z )
Et = Et 0 e
E t = E t 0 e − jn2 β 0 cos ϑt x − jn2 β 0 sin ϑt z = E t 0 e − jn2 β 0 cos ϑt x e − jn2 β 0 sin ϑt z
Esaminiamo questo termine esponenziale:
e − jn2 β0 cos ϑt x
Ora scriviamo che:
cos ϑt = 1 − sin 2 ϑt = − j sin2 ϑt − 1
Quindi il termine esponenziale scritto poco fa diventa:
− jn2 β 0  − j sin 2 ϑt −1  x − n2 β 0  sin2 ϑt −1  x
   
e =e
Dunque:
− n2 β 0  sin 2 ϑt −1  x
Et = Et 0 
e
 e − jn2 β 0 sin ϑt z
questo termine è reale
e fa attenuare esponenzial-
mente l'onda in direzione x

L’onda trasmessa è evanescente (i piani equifase sono


ortogonali ai piani equiampiezza).
equiampiezza
7. Onde piane: nomenclatura e classificazioni

Consideriamo un fasore del tipo


− (α i ′ + j β i )⋅r
A = ae = ae −α i′⋅r e − jβ i⋅r = ae − a⋅r e − jb⋅r
(a = costante reale [ma generalmente è complessa]; α , β costanti scalari non negative; i, i′ versori non
coincidenti, reali e costanti)
Il fasore ha le seguenti caratteristiche:
• è un’onda piana perché le superfici equifase coincidono con i piani ortogonali alla
direzione individuata da i ;
• si propaga nella direzione i con velocità v = ω ;
β
• ha ampiezza costante sui piani ortogonali ad i′ e
in tale direzione si attenua con la costante di
attenuazione α ;
• non è uniforme, poiché i vettori i e i′ non sono
coincidenti e dunque l’ampiezza dell’onda non è costante sui piani equifase.
Supponiamo ora che, per ipotesi, il campo elettrico E sia esprimibile come
E = pA
Sotto quali condizioni esso soddisfa le equazioni di Maxwell? Procediamo per punti e
iniziamo con il calcolare il primo membro delle equazioni di Maxwell:
∇ × E = − pa × ∇ e (
− α i′+ jβ i )⋅r
( )
1. Generalità

Si ha un problema di Maxwell non omogeneo quando il termine delle correnti impresse


non è nullo:
Ji ≠ 0
Se ci ricordiamo com’erano fatte le equazioni delle onde, noteremo che questa volta c’è un
termine in più:
∇ 2H + ω 2ε C µ H = −∇ × Ji
(equazione di Helmoltz non omogenea)
Tale equazione non è molto utile nei casi pratici, perché le sorgenti non sono in genere
caratterizzate da densità di corrente volumetrica, bensì da correnti lineari (antenne lineari)
e superficiali (antenne piane).
Cerchiamo ora una formalizzazione in cui non appaiano le derivate: per farlo definiamo
un nuovo tipo di potenziale, il potenziale magnetico. Esso viene introdotto osservando che,
per l’annullarsi della divergenza di B , e in base alla B = µ H , si può sempre pensare che
H sia ottenibile come rotazionale di un vettore. In pratica, si suppone che esista un certo
vettore A (potenziale vettore magnetico) tale per cui
1
µH = ∇ × A ⇒ H = ( ∇ × A )
µ
Ora, dalle equazioni di Maxwell noi sappiamo che:
∇ × E = − jω B = − jωµ H
Dunque ora possiamo scrivere:
∇ × E = − jωµH = − jω ( ∇ × A )
∇ × E + jω ( ∇ × A ) = 0
∇ × ( E + jω A ) = 0
In un dominio semplicemente connesso un vettore a rotore nullo (e quindi conservativo)
può sempre esprimersi come gradiente di uno scalare φ (un potenziale scalare elettrico)
tale che:
E + jω A = −∇φ
(il meno è dovuto al fatto che la direzione ir del versore radiale del campo
∂φ
è quella in cui esso cala: E ∝ − ir )
∂r
E = − jω A − ∇φ
Quindi, facciamo un passo indietro e riscriviamo l’equazione di Maxwell:
∇ × E = − jω B = − jωµ H
Applichiamo ambo le parti l’operatore di rotore:
∇ × ∇ × E = ∇ × ( − jωµH) = − jωµ∇ × H
Dopodiché scriviamo un’altra delle equazioni di Maxwell per esprimere il rotore di cui
sopra:
∇ × H = jωε C E + Ji
Da cui:
∇ × ∇ × E = − jωµ∇ × H = − jωµ ( jωε C E + Ji ) = ω 2 µε C E − jωµJi
A questo punto possiamo esprimere il fasore del campo elettrico nella maniera ricavata
poco fa:
E = − jω A − ∇φ
Otteniamo un piccolo sistema:
∇ × ∇ × E = ω 2 µε C E − jωµ Ji

E = − jω A − ∇φ
Giunti qui, sostituiamo:
∇ × ∇ × ( − jω A − ∇φ ) = ω 2 µε C ( − jω A − ∇φ ) − jωµJi
Ricordandoci che il rotore di un gradiente è nullo, possiamo scrivere:
− jω∇ × ∇ × A = ω 2 µε C ( − jω A − ∇φ ) − jωµJi
Ovvero, ponendo ω 2 µε C uguale a k 2 e dividendo il tutto per − jω :
2
k

∇ × ∇ × A = ω 2 µε C A − jωµε C ∇φ + µJi
∇ × ∇ × A − k2 A = µJi − jωµε C ∇φ
Possiamo ora sfruttare la seguente proprietà:
∇ × ∇ × A = ∇ ( ∇ ⋅ A ) − ∇2 A
∇×∇× A
 
∇ ( ∇ ⋅ A ) − ∇2 A − k2 A = µJi − jωµε C ∇φ
− µJi = − jωµε C ∇φ − ∇ ( ∇ ⋅ A ) + ∇2 A + k2 A
− µJi = −∇ ( ∇ ⋅ A + jωµε Cφ ) + ∇2 A + k2 A
Si nota che questa equazione è molto simile a quella di Helmoltz.
Se ora poniamo:
A ′ = A + ∇χ
φ ′ = φ − jωχ
dove χ è un campo scalare arbitrario, allora possiamo dire che alle due coppie A , A′ e ϕ ,
ϕ ′ corrispondono gli stessi valori di H e di E . Infatti osserviamo come queste relazioni
sono equivalenti:

CAMPI A , ϕ : CAMPI A′ , ϕ ′
E = − jω A − ∇φ E = − jω ( A + ∇χ ) − ∇ (φ − jωχ ) = − jω A − jω∇χ − ∇φ + jω∇χ
 
 1 
H = µ ( ∇ × A ) H = ( ∇ × ( A + ∇χ ) ) = ∇ × A + ∇ × ∇χ
1 1
  µ µ

Questa proprietà è chiamata, in inglese, gauge invariance e risulta utile per la possibilità che
offre di imporre opportune condizioni ai potenziali. Ciò induce quindi ad identificare
quale sia la via più conveniente per risolvere una certa classe di problemi.
Diverse sono le scelte che sono state via via proposte; quella più seguita è stata suggerita
da Lorentz, in quanto consente di disaccoppiare l’equazione del potenziale scalare da
quelle del potenziale vettore. Scegliendo infatti
∇ ⋅ A = − jωµεCφ (scelta di Lorentz)
 
Abbiamo che: − µJi = −∇  ∇ ⋅ A + jωµε φ  + ∇ 2 A + k2 A
 − C

 jωµεCφ 
−µJi = −∇ ( − jωµε Cφ + jωµεCφ ) + ∇2 A + k2 A
− µJi = ∇2 A + k2 A
Quella che abbiamo ottenuto è un’equazione di Helmoltz non omogenea.
omogenea
L’altra equazione risolvente, quella per il campo scalare φ , è la seguente:
ρ ∇ ⋅ Ji
∇2ϕ + k2ϕ = − i =
ε C jωε C
D’altra parte quest’equazione non aggiunge informazioni, perché possiamo operare
direttamente sulla
lla scelta di Lorentz per ottenere l’espressione di E :
∇ ⋅ A = − jωµεCφ
∇⋅A

− jωµε C
∇⋅A ∇⋅∇⋅ A
j =φ ⇒ j = ∇φ
ωµε C ωµε C
Dunque, siccome:
E = − jω A − ∇φ
Otteniamo:
∇ (∇ ⋅ A )
E = − jω A − j
ωµε C

2. Soluzione in spazio libero

Prendiamo un elemento di corrente


JidV posizionato nell’origine di un
sistema di riferimento ortogonale a
coordinate sferiche. Dopodiché
proiettiamo l’equazione di Helmoltz
− µJi = ∇2 A + k2 A
sui vari assi:
− µ J ix = ∇2 Ax + k2 Ax

− µ J iy = ∇ Ay + k Ay
2 2


− µ J iz = ∇ Az + k Az
2 2

Soluzione di equazioni di questo tipo è la


cosiddetta funzione di Green,, la quale è funzione della sola variabile r vista la simmetria
sferica del problema, ha questa forma:
e − jkr e − jkr
G (r ) = a J x dV = Ax ⇒ G ( r ) = a J i dV = A ( r )
r r
La determinazione della costante a è la parte più delicata del procedimento. Ricorrendo a
ragionamenti al limite (che saltiamo) per r che tende a zero si dimostrare che:
1 e − jkr
G (r ) = J x dV
4π r
Tale risultato è generalizzabile per un elemento posto
ad una coordinata generica rispetto all’origine.
all’origine Si ha,
infatti, che:
− jk r −r ′
1 e
A ( r, r′ ) = J dV
4π r − r′ x
Se poi la sorgente è estesa in un volume V ′ , si ha che:

µ e − jk r −r
A ( r ) = ∫∫∫ J ( r ′ ) dV ′
V′
4π r − r′ i

3. Potenziale vettore di un elemento di corrente elettrica

Abbiamo appena ricavato come trovare il potenziale vettore nel caso generale e nel caso di
densità volumetrica di corrente. Nei casi reali, tuttavia, non si hanno densità di questo
tipo, bensì cariche lineari o superficiali. Dobbiamo quindi esprimere il potenziale vettore
per questi casi fortemente pratici, a partire
par da elementi infinitesimi di corrente:
corrente
µ  e − jkr 
• Elemento di corrente superficiale: A=   J dS
4π  r  Si
µ  e − jkr 
• Elemento di corrente lineare1: A=   I dl
4π  r 
Come si vede, le formulazioni sono molto simili fra loro. In particolare, tutte possiedono
un termine (detto dipolo elettrico)
elettrico del tipo:
VOLUME SUPERFICIE LINEA
Ji dV JSi dS I dl
Tale termine, detto momento della sorgente,
sorgente lo chiameremo M .
Prendiamo ora un sistema di riferimento e orientiamo l’asse z in direzione di M ; si ha
µ  e − jkr 
A = Az i z =   M iz
4π  r 
Procediamo quindi al calcolo di H :
1 1
H = ( ∇ × A ) = ( ∇ × Az i z ) =
µ µ
1
µ
( )1
Az ∇ × i z + ∇Az × i z = ( ∇Az × i z )
µ
Esplicitiamo ora il termine:
∂  µ  e − jkz   µ ∂  e − jkz  
∇ Az =    r =
i M   M  ir
∂r  4π  r   4π ∂r  r  

1Abbiamo già detto qualche capitolo fa che non esiste la densità di corrente lineare, ma semplicemente la
corrente
Eseguiamo quindi la derivata operando la sostituzione jk = σ (conducibilità elettrica):
µ ∂   e −σ z   µM  e −σ z 1 −σ z  µ M  e −σ z  1 
∇ Az =   M  ir =  −σ − e i
 r =   −σ − r   i r
4π ∂r  r   4π  r r2  4π  r  
Quindi:
1  M  e −σ z
1 
H=
µ
( ∇Az × i z ) = − 4π 
 σ + r   ( ir × i z )
  r 
A questo punto facciamo qualche considerazione sui
versori. Il versore i z , che in figura è l’asse verticale, ha
l’espressione:
iz = cosϑir − sin ϑiϑ
Dunque:
ir × i z = cosϑir × ir − sin ϑ ( ir × iϑ ) = − sin ϑiϕ
Ora possiamo inserire il risultato nella
formula scritta poco fa:
−σ z
M e  1  M  e −σ z  1 
H=− 
4π  r   σ + 
r 
( i
 r z× i ) = 
4π  r   σ +   sin ϑiϕ = Hϕ iϕ
r 
Abbiamo quindi espresso il campo magnetico assieme al versore iϕ : l’espressione trovata,
tra l’altro, ci dimostra ancora una volta come le linee di forza del campo magnetico siano
circolari attorno alla carica infinitesima diretta lungo l’asse z.

Ricordiamo ora che:


∇×H
E=
jωε C
C’è quindi da fare un po’ di fatica coi calcoli:
M  e −σ z  1  
∇×    σ + r   sin ϑ Hϕ iϕ 
E=
∇ ×  Hϕ iϕ  ∇ ×  Hϕ iϕ 
= =  4π  r   =
jωε C jωε C jωε C

=
1  1 ∂ sin ϑ Hϕ

(ir −
1 ∂ rHϕ) 
iϑ  =
( )
jωε C  r sin ϑ ∂ϑ r ∂r 
1 M  1  e −σ r  1 M  2 σ 1  e −σ r 
=   σ +  cos ϑir  −   σ + r + r 2  r sin ϑiϑ  =
jωε C  2π  r r 2
 jωε C  4π   
= Er ir + Eϑ iϑ
Con conducibilità del mezzo diverso da zero anche se piccola si ha il soddisfacimento
delle condizioni di regolarità necessarie per l’unicità: quindi questa è l’unica soluzione
soluz
possibile.
Ponendo poi

σ = jβ = jω µε = j
λ
Possiamo sostituire nell’equazione di prima:
 M  2π 1  e − jβ r
1  1  M  4π 2 2π 1  e − jβ r 
E=  j +  2 cos ϑi r  −  − 2 − + 2 sin ϑ iϑ 
jωε C  2π  λ r  r  jωε C  4π  λ λr r  r 
Questi sono duee campi che, man mano che si allontanano dalla sorgente si attenuano in
modo diverso.

Caso r ≪ λ Campo VICINO rispetto a λ (detto anche campo reattivo) reattivo


 M  e −σ z  1  M  e −σ z  2π 1   M
 H = −   σ +  ( i
 r z × i ) =   j +   sin ϑiϕ ≈ sin ϑiϕ
 4 π  r  r   4 π  r  λ r   4π r 2


1  M  2π 1  e − jβ r  1  M  4π 2 2π 1  e − jβ r 
E =   j +  cos ϑ i r −  − 2 − + 2 sin ϑiϑ  ≈
 jωε C  2π  λ r  r 2
 jωε C  4π  λ λr r  r 

 ≈ − jη λ M cos ϑi − jη λ M sin ϑi
ϑ
 4π 2 r 3
r
8π 2 r 3
1 1 1 1 λ 1 λ µ λ
Dove = = = λ µε = = η
ωε 2πε f 2πε c 2πε 2π ε 2π

Caso r ≫ λ Campo LONTANO2 rispetto a λ (detto anche campo radiativo) radiativo


 M e  −σ z
1  −σ z
M  e  2π 1   M e − jβ z
H = −  σ +  ( ir × i z ) =  j +  sin ϑiϕ ≈ j sin ϑ iϕ
 4π  r  r  4π  r  λ r   2λ r

1  M  2π 1  e − jβ r  1  M  4π 2 2π 1  e − jβ r 
E =   j +  cos ϑ i r −  − 2 − + 2 sin ϑ iϑ  ≈
 jωε C  2π  λ r  r 2
 jωε C  4π  λ λr r  r 
 − jβ r
 ≈ jη M sin ϑ e iϑ = Eϑ iϑ
 2λ r
(con lo stesso significato dei simboli)

In questo ultimo caso possiamo esprimere il campo elettrico in coordinate polari:


M e − jβ r e − jβ r
E = jη sin ϑ iϑ ⇒ E ( r,ϑ ) = E0 (ϑ ) ⇒
2λ r r
E E   2π f arg E0  
⇒ E ( r,ϑ ,t ) = Re {Ee j 2π ft } = 0 cos ( − β r + 2π ft + arg E0 ) = 0 cos  − β r + t+  =
r r   β β 
E0
= cos ( − β r + ct + ϕr  )
r
Quindi la superficie equifase è fatta come una sfera
centrata nella sorgente.

Sempre in assenza di perdite è utile calcolare il flusso del


vettore di Poynting a partire dalle espressioni esatte
attraverso una sfera di raggio r spiccata dall’origine,
quindi con normale diretta secondo ir .

2 È il caso principe delle radiocomunicazioni.


E × Η*
∫∫
S = PS + jQS = 
S
2
i r dS

Operiamo quindi l’usuale cambio di variabile dΩ = dS r 2 . Otteniamo:


π 2π
πM 
2
E × Η* Eϑ Hϕ* λ3 
∫∫S 2 ir dS = ∫0
S= ∫ r sin ϑ dϑdϕ = ... = η 
2
 1 − j 
0
2 3  λ   8π 3r 3 
Questo termine si scinde in:
2
π M 
• Potenza attiva: η   (non dipende da r,, il mezzo è senza perdite)
3 λ 
2
λ3 πM
• Potenza reattiva: −j 3 3 η  (dipende da r e si attenua moltissimo
8π r 3  λ 
con la distanza)
Le espressioni precedenti riguardanti il campo lontano
potevano ricavarsi anche direttamente dal vettore
potenziale magnetico:
i ×E
E = − jωir × A × ir H= r
η
Il vettore potenziale magnetico è:
µ  e − jβ r 
A = Az i z =   M iz
4π  r 
Quindi:
µ  e − jβ r 
E = − jω   M ( ir × i z × ir )
4π  r 
Ora passiamo ai versori. Prima con
ir × i z = ir × ( cosϑir − sin ϑiϑ ) = cosϑir × ir − sin ϑir × iϑ = − sin ϑiϕ
E quindi con:
( ir × iz ) × ir = − sin ϑ ( iϕ × ir ) = − sin ϑiϑ
Dunque:
µ  e − jβ r  η  e − jβ r 
E = jω   M sin ϑiϑ = jω M  sin ϑiϑ
4π  r  2λ  r 

4. Momento equivalente di un’antenna

Abbiamo detto che il problema della determinazione di E ed H si risolve calcolando


−σ r − r ′
µ e
A (r ) = Ji ( r )
′ dV ′
4π ∫∫∫
V′
r − r ′
Vogliamo ora semplificare, sotto certe ipotesi, tale
espressione quando calcoliamo il campo a
distanza considerevole dalla sorgente (situazione
di campo lontano: r ≫ D dove D è la massima
dimensione lineare della sorgente). Prendiamo
Prendi la
seguente schematizzazione (figura a sinistra). Se raccogliamo dal termine presente
all’interno della relazione soprascritta, e cioè
−σ r − r ′
e
r − r′
il termine che compare all’interno dell’espressione del momento d’antenna infinitesima,
allora ottengo:
−σ r − r ′ − r
e −σ r  re 
 
r  r − r′ 
Prestiamo ora attenzione all’esponente (nel quale non posso certo trascurare la presenza di
r): anzitutto applichiamo il teorema di Carnot
r′2 r′
r − r′ = r 2 + r′2 − 2rr′ cosψ = r 1 +
2
− 2 cosψ
r r
Dopodiché sviluppiamo e conserviamo il termine al 1° ordine in r ′ :
r
 
r′2 r′  r′  r′  
2

r − r′ = r 1 + 2 − 2 cosψ ≈ r 1 − cosψ − Ο   


r r  r r 
 
 " O " grande 

( r)
2
Il termine Ο r′ sostituisce tutti gli infinitesimi di ordine superiore o uguale a 2 per

(r′ r ) → 0 ; essi sono trascurabili se


( r ) ≈ 1 − σ r Ο r′
( )
2
−σ r Ο r ′ 2
e + .... ≈ 1
r
Tornando al termine esponenziale:
−σ r − r ′
e −σ r  re
−σ r − r ′ − r
 e −σ r −σ  r − r ′ cosψ + r Ο (r ′ r ) − r  e − σ r −σ  − r ′ cosψ + r Ο (r ′ r ) 
2 2
e
=  ≈ e = e
r − r′ r  r − r ′  r r
In questa relazione r′ cosψ = r′i r per le proprietà del prodotto scalare (vedi figura), quindi
posso sostituire ed effettuare un altro sviluppo (ricordiamo infatti che r ≫ r ′ ):
e −σ r −σ  − r′ cosψ +r Ο( r′ r )  e −σ r σ  r′ir −r Ο( r′ r )  e −σ r σ r′ir  −σ r Ο( r′ r ) 
 2  2  2

e = e = e e 

r r r da sviluppare
σ

( )
2

( )

 −σ r Ο r r
r′2
e 
 = 1 − σ r Ο r′
 2
 
= 1 − jβ r 2 + … (questo termine tende ad 1)
r r
da sviluppare

Quel che rimane è dunque:


−σ r − r ′
e e −σ r σ r′ir
= e
r − r′ r
Tornando quindi all’integrale di partenza, ora possiamo sostituire il risultato appena
ottenuto:
−σ r − r ′
µ e µ e −σ r σ r ′ir µ e −σ r
A (r ) = ∫∫∫ Ji ( r′) dV ′ = ∫∫∫ Ji ( r′) e dV ′ = ∫∫∫ J ( r′) e
σ r ′ir
dV ′
4π V′
r − r′ 4π V′
r 4π r V′
i

Definiamo quindi il termine momento equivalente M come:


∫∫∫ J ( r′) e dV ′ = M (ϑ ,ϕ )
σ r ′ir
i
V′

Quindi questa diventa l’espressione del vettore potenziale magnetico:


µ e − jβ r 2D2
A (r ) = M (ϑ ,ϕ ) (con r ≫ D e r > )
4π r λ
Dunque:
• Il vettore potenziale magnetico dipende prima dalle coordinate angolari del punto
potenziato…
• … e poi dal momento equivalente, dipendente invece dall’orientazione dell’antenna
rispetto al punto potenziato (è funzione di r′ e non di r ). A grande distanza,
infatti, la sorgente è vista come puntiforme, concentrata nell’origine e con
caratteristiche di radiazione angolari fissate da M . Si noti anche che M dipende da
dove si è scelta l’origine: cambiando questa cambia M , principalmente a causa
della necessità di riaggiustare le fasi.

A questo punto per calcolare il campo prodotto da un’antenna devo anzitutto calcolare il
momento equivalente; H , infatti, non ce l’ho ancora perché per calcolarlo avrei già
bisogno di
1
H = ∇× A
µ
Tuttavia il vantaggio è che M è una caratteristica propria dell’antenna:
• Per un’antenna volumica (non usata nella pratica): ∫∫∫ Ji ( r′ ) eσ r ir dV ′ = M (ϑ ,ϕ )

V′

∫∫ J ( r′) e dS ′ = M (ϑ ,ϕ )
β j r ′ir
• Per un’antenna superficiale: iS
S′

∫ I ( r′ ) e dℓ = M (ϑ ,ϕ )
jβ r ′ir
• Per un’antenna lineare:

Facciamo ora l’ipotesi di antenna (lineare) corta (disposta lungo l’asse z)


ℓ≪λ
oltre a quella di corrente costante (dunque I non dipende da z). Allora il momento di
questa antenna è:
M = ∫ I ( r ′ ) e j β r i r d ℓ = I ℓi z

Quindi, ricordando che l’antenna è corta, possiamo dire che il momento equivalente
di un bipolo corto è uguale al momento di corrente infinitesima:
M = I dL i z

Tornando a ciò che dicevamo poco fa, se siamo nel caso generale (antenna estesa) e
vogliamo calcolare il campo magnetico, come si può fare?
Primo addendo
    Secondo addendo
 
− jβ r − jβ r − jβ r
1 1 µ  e  1  e  1 e
H = ∇× A = ∇× M = ∇ ×M + (∇ × M )
µ µ 4π  r  4π  r  4π r

Se esaminiamo ora separatamente:


1  e − jβ r 
• Il primo addendo ∇  × M . Possiamo sviluppare il gradiente; otteniamo:
4π  r 
1  e − jβ r  1  1  e − jβ r
∇  × M = − j β − i ×M
4π  r  4π  r  r r
1
Ora possiamo trascurare − perché:
r
1 2π 1 2π
− jβ − = − j − ≈ −j vista l’ipotesi r ≫ λ
r λ r λ
Quindi:

1 1  e − jβ r β e − jβ r
 − j β − i × M = − j ir × M
4π r  r 4π r
r

1 e − jβ r
• Il secondo addendo:
4π r
( ∇ × M ) . Esplicitando il momento equivalente,
abbiamo3:
1 e − jβ r 1 e − jβ r   1 e − jβ r
4π r
( ∇ × M) =
4π r 
 ∇ × ∫∫∫ Ji ( r ) e′ σ r ′ir

dV  = ∫∫∫ J i ( r ′ ) ∇ × e j β r i r dV ′

V′  4π r V ′
Se teniamo conto delle ipotesi di campo lontano ( r ≫ λ ) questo termine scompare e
quindi possiamo tenere conto solo del primo addendo.

Fatte le precedenti considerazioni, ci rimane:


1  e − jβ r 
1
H= ∇ ∇× A =
×M
µ 4π  r 
Dunque anche se ho un’antenna estesa e se siamo nelle ipotesi di campo lontano:
• Posso definire il momento equivalente.
• L’espressione del campo è uguale a quella dell’elemento infinitesimo di corrente.

5. Momento di un’antenna non nell’origine

Il momento equivalente di un’antenna M0 (ϑ ,ϕ )


dipende anche dalla scelta del sistema di
riferimento, oltre che dalla posizione di sorgente e
punto potenziante. Come cambia l’espressione del
momento equivalente al variare del sistema di
riferimento?
Esprimiamo, basandoci su ciò che vediamo in
figura a sinistra, il momento equivalente rispetto
al riferimento X ′Y ′Z ′ (ipotizzando, inoltre, che
valgano le approssimazioni caratteristiche del caso “campo lontano”)4.

3 Si applica il rotore al solo termine esponenziale perché è un rotore rispetto alle coordinate del punto
potenziato, non del punto potenziante.
4 Si faccia attenzione al cambio di notazione rispetto al paragrafo precedente.
MO ' (ϑ ′,ϕ ′ ) ≈ ∫∫∫ Ji ( w′ ) eσ w ir dw′
′′

Vi

Osserviamo però che:


w′ = w − ℓ

r′ = r − ℓ
Quindi ora dobbiamo esprimere in maniera nuova il prodotto scalare:
r′
w′i′r = w′ = ( w − ℓ )
( r − ℓ ) = wr − wℓ − ℓr + ℓ2 =
r′ r′ r′
2
r wℓ r ℓ
= wir − − ℓi r +
r′ r′ r ′ r′
Se mandiamo r , r ′ → ∞ (campo lontano) allora:
w′i′r = wi r − ℓi r
Dunque ora possiamo esprimere il nostro momento nel sistema di riferimento nuovo:
MO ' (ϑ ′,ϕ ′ ) = ∫∫∫ Ji ( w′ ) eσ w ir dw′ = ∫∫∫ Ji ( w′ ) e ( r r ) dw′ = e −σ ℓir ∫∫∫ Ji ( w′ ) eσ wir dw′ =
′′ σ wi − ℓi

Vi Vi Vi

=e −σ ℓir
MO (ϑ ,ϕ )
Se, infine, r , r ′ ≫ D e r , r ′ ≫ ℓ allora si può assumere che il punto P sia visto sotto la
medesima direzione da entrambi i sistemi di riferimento. Quindi:
(ϑ ′,ϕ ′) = (ϑ ,ϕ )
1. Grandezze caratteristiche di un’antenna per un mezzo omogeneo e senza perdite

Ricapitolando dal capitolo precedente: se si verifica contemporaneamente che


r≫λ e r≫D
(campo lontano e dimensioni lineari dell’antenna trascurabili rispetto al punto in cui si
calcola il campo)
allora il campo a grande distanza può calcolarsi a partire dal potenziale vettore e dal
momento equivalente:
µ e −σ r
A (r ) = M (ϑ ,ϕ )
4π r
M (ϑ ,ϕ ) = ∫∫∫ Ji ( r′ ) e ( r ) dV ′
−σ r ′i

V′

Infatti da qui possiamo determinare:


 ∇×H
E = jωε
 C

H = 1 ( ∇ × A )
 µ
Si dimostra che nella zona lontana l’onda elettromagnetica tende a diventare sferica, con
lunghezza d’onda e velocità di fase pari a quella delle onde piane uniformi. Inoltre, il
campo elettrico e magnetico soddisfano le relazioni:
i ×E
H≈ r e E ≈ ηH × ir
η
Se ora esprimiamo il vettore di Poynting abbiamo:
E × H* E × ir × E*
S= =
2 2η
A questo punto sfruttiamo la proprietà:
A × B × C = ( A ⋅ C) ⋅ B − ( A ⋅ B ) ⋅ C
Otteniamo:
perpend.

E ⋅ ir
2
E ⋅ E* E
S= ir + E* = ir
2η 2η 2η
Data l’espressione del potenziale vettore si ha, per la simmetria sferica
e − jβ r
E= E0
r
Quindi:
2
E0
S= i
2η r 2 r
Nella zona lontana il vettore di Poynting è reale ed è diretto radialmente nel verso
centrifugo. Dunque a grande distanza dalla sorgente, si ha un trasporto di energia verso
l’infinito. Poiché il mezzo è senza perdite, alla potenza trasmessa verso l’infinito (potenza
irradiata), corrisponde un’uguale potenza erogata dalla sorgente.
Se scegliamo un sistema di coordinate sferiche, allora possiamo calcolare il flusso del
vettore di Poynting su una sfera di raggio R. Osserviamo che la potenza irradiata non
dipende dalla distanza:
E0 (ϑ ,ϕ ) E0 (ϑ ,ϕ ) E0 (ϑ ,ϕ )
2 2 2
2π π 4π
PS = ∫∫ S dS = ∫∫
SR SR
2η r 2
dS =
ir 
r 2 sin ϑ dϑ dϕ
∫ dϕ ∫
0 0

sinϑ dϑ = ∫
0

dΩ = Pirr

Come si vede, non vi è alcuna dipendenza nemmeno dalla superficie S considerata: per
questo indichiamo tale potenza con il solo simbolo Pirr .

Risulta inoltre indipendente da r la seguente quantità che indicheremo con


2
E0
i 2
2η r 2 r E0
I r (ϑ ,ϕ ) = S r = = 2
i
r2 2η r
(intensità di radiazione)
Il significato di questo termine è di potenza irradiata per unità di angolo solido. Risulta:
Pirr = ∫ I r (ϑ ,ϕ ) dΩ

Indicando ora attraverso il generico punto P la direzione del punto potenziato e attraverso
M una direzione di riferimento (in generale può essere una direzione qualsiasi, ma
spessissimo si sceglie quella di potenza irradiata massima) si può normalizzare I r ,
ottenendo ir (ϑ ,ϕ ) :

Ir ( P ) E0 ( P ) I r (ϑ ,ϕ )
2

ir (ϑ ,ϕ ) = = 
ad es.

Ir ( M ) E0 ( M )
2
I r (ϑmax ,ϕmax )

Tramite l’intensità di radiazione normalizzata (quella che abbiamo appena presentato) si


può definire un diagramma di radiazione. La grandezza:
f (ϑ ,ϕ ) = ir (ϑ ,ϕ )
risulta proporzionale ai moduli dei campi anziché al loro quadrato ed è detta funzione di
radiazione della sorgente. Essa rappresenta la maniera più completa per rappresentare le
proprietà di irradiazione della sorgente dipendenti dalla direzione.
In un sistema di coordinate sferiche l’equazione
r = f (ϑ ,ϕ )
definisce una superficie chiusa che è detta superficie di
radiazione e costituisce la rappresentazione geometrica della
funzione f. L’intersezione di tale superficie con il generico
piano π , passante per l’origine è detta diagramma di
radiazione della sorgente (nel piano π ; vedi figura per un
esempio) .
Una sorgente si dice omnidirezionale in un particolare piano π
se il suo diagramma di radiazione in π è una circonferenza; l’interesse tecnico delle
antenne omnidirezionali è prevalente in quelle applicazioni che richiedono la diffusione di
un segnale su un’intera area. Al contrario, in tutte le applicazioni in cui si vuole effettuare
un collegamento fra due punti fissi, è necessario possedere antenne altamente direttive.
La parte di un diagramma di radiazione che è compresa fra due direzioni di zero 1
consecutive si chiama lobo di radiazione; vengono detti principali i lobi il cui il massimo
relativo vale 1; secondari quelli il cui massimo relativo è minore di 1. Si definisce rapporto
fra i lobi di un’antenna il rapporto 1/a fra il massimo assoluto della funzione di radiazione
f (ϑ ,ϕ ) = ir (ϑ ,ϕ ) ed il più grande, a, fra i massimi relativi.

Chiamiamo poi rapporto avanti-indietro il termine 1 dove b è la radiazione che va nella


b
direzione opposta, rispetto a quella del lobo principale.

Per caratterizzare con una quantità adimensionale le proprietà direzionali di un’antenna,


integrate su tutte le direzioni dello spazio, si fa correntemente uso dell’inverso del valor
medio dell’intensità di radiazione normalizzata:
1
d= 4π
1
4π ∫0 r
i dΩ

La quantità d è detta guadagno in direttività (o, semplicemente, direttività) dell’antenna. Il


valore massimo della direttività è +∞ , quello minimo è 1. È facile capire il significato di
questa quantità se prendiamo un’antenna molto direttiva che ha, cioè, un lobo molto
significativo (e comunque non molto grande), oppure tanti lobi piuttosto piccoli e tutti a
ridosso fra loro, e altri di dimensioni trascurabili. Se facciamo l’integrale presente al
denominatore otterremo un’area piccola; quindi il rapporto (direttività) è, giustamente, un
valore elevato, il che spiega come l’antenna sia fortemente direttiva (e cioè tende ad inviare
una grande percentuale di potenza in una direzione particolare). Si può fare anche un
esempio opposto: un’antenna isotropa (molto poco direttiva), avente f = 1 per ogni angolo
ϕ dà un risultato molto più consistente da porre al denominatore, il che abbassa la
direttività. Se calcoliamo la direttività in quest’ultimo caso, otteniamo:
potenza che emetterebbe l'antenna isotropa
P0 4π I 1 1
d= se emettesse in tutte le direzioni l'intensità massima
= = 4π max = 4π
= 4π
potenza irradiata dall'antenna Pirr 1 Ir 1
∫0 I r dΩ 4π ∫
0
I max
dΩ
4π ∫0 r
i dΩ

Si noti come abbiamo nuovamente ottenuto l’espressione di prima. Dunque d esprime il


guadagno in potenza che un’antenna ha, a parità di massima intensità di radiazione,
rispetto ad un’antenna isotropa.
La direttività si può esprimere in deciBel o in unità lineari:

d[dB] = 10 log10 d[lineari]

1Qualsiasi sorgente fisicamente realizzabile può avere funzione di radiazione nulla solo per valori discreti
delle coordinate polari e non su intervalli delle stesse. Questo fatto è un corollario del teorema del
prolungamento analitico di funzioni di variabile complessa.
A volte, ma meno frequentemente, si trovano delle direttività riferite ad altre antenne,
diverse dalle isotrope (ad esempio il dipolo elementare). Molto più di frequente si
introduce invece il guadagno in potenza G, definito come:
P
G= 0
Pa
Pa (potenza di alimentazione) è l’intera potenza assorbita dall’antenna, vista come carico
di un dato generatore. Esso differisce da Pirr a causa delle perdite Pd dovute a
dissipazione dell’antenna (perdite Ohmiche); si ha infatti che:
Pa = Pirr + Pd
Il guadagno può essere anche definito in maniera direzionale, in modo da renderlo
dipendente da δ e ϕ :
P (ϑ ,ϕ ) P0 (ϑ ,ϕ )
G (ϑ ,ϕ ) = 0 = ⋅ δ = d (ϑ ,ϕ ) ⋅ δ
Pa Pirr
Da cui:
P0 (ϑ ,ϕ ) 4π I r (ϑ ,ϕ ) 4π I r max I r (ϑ ,ϕ )
G (ϑ ,ϕ ) = ⋅δ = ⋅δ = ⋅ ⋅ δ = d ⋅ ir (ϑ ,ϕ ) ⋅ δ
Pirr Pirr Pirr I r max

 
ir (ϑ ,ϕ )

Se la direttività è definita come


P0
d=
Pirr
mentre il guadagno in potenza è
P0
G=
Pirr + Pd
allora sicuramente il guadagno in potenza sarà inferiore al guadagno in direttività (per la
presenza di un termine in più al denominatore). D’altronde, il guadagno in potenza ha la
proprietà di misurare la bontà dell’antenna sia per quanto riguarda la direttività sia per
quanto riguarda l’efficienza.
Altro parametro importante è il rendimento o efficienza di un’antenna, il quale si rivela
fondamentale in sede di trasmissione:
P Pirr
δ = irr = ≤1
Pa Pd + Pirr
Risulta quindi evidente che
P0 Pirr
G= = dδ
Pirr Pd + Pirr

2. Circuito equivalente di un’antenna

Quando l’antenna si può schematizzare all’ingresso con una coppia di morsetti sui quali è
definita una tensione V e una corrente I, causate dalla connessione di un generatore ai
morsetti medesimi, si può definire un’impedenza di ingresso:
Zi = Ri + jX i = V
I
Circuitalmente, l’antenna può essere sostituita da un’impedenza Zi senza che le
condizioni di carico del generatore vengano a cambiare. In assenza di perdite (nell’antenna
e nel mezzo), è agevole calcolare Ri attraverso la relazione:
1 2
Ri I = Pirr
2
In tal caso essa coincide con la resistenza di radiazione Rirr dell’antenna, cui più
precisamente va riservata la relazione precedente. In presenza di perdite il circuito
equivalente dell’antenna consta infatti di due resistenze in serie: Ri = Rirr + Rd , dove Rirr
rmula precedente, mentre Rd è responsabile della potenza perduta Pd .
si ottiene dalla formula
Ecco quindi un altro modo per esprimere l’efficienza di un’antenna:
P Pirr Rirr
δ = irr = =
Pa Pd + Pirr Rd + Rirr
Ecco qui a fianco lo schema di circuito equivalente
equ per
l’antenna trasmittente:
• Vg rappresenta il generatore;
Rirr • Rg la resistenza interna del generatore;
• Rd è la resistenza di “perdita” (tutta la sua potenza è
persa per sempre);
• Rirr è la resistenza responsabile
responsabile dell’emissione di radiazione elettromagnetica.
Si ha adattamento (massimo trasferimento di
potenza) quando Rg = Rd + Rirr .
Il seguente, in vece, è lo schema di un circuito in
ricezione:
• il generatore impone una tensione che
dipende dal campo o, meglio, dalla differenza di
potenziale indotta dalla componente tangente del
campo sulla linea d’antenna;
• Rd è la resistenza di “perdita” (tutta la sua potenza è persa per sempre);
• Rirr viene posta lì per avere adattamento in ricezione;
• RL è la resistenza di carico (anch’essa adattata).

3. Area efficace ed equazione di Friis

L’area
area efficace (o di cattura) di un’antenna
un esprime la capacità dell’antenna
antenna in ricezione di
trasformare la densità di potenza da cui è investita in potenza ricevuta. Tale quantità vale:
potenza ricevuta P λ2
Aeff = = r = G
densità di potenza incidente Sin 4π
Se non tengo
go conto delle perdite Ohmiche ottengo:
P λ2
Aeff = r = d
Sin 4π
Come per le altre quantità, posso esprimere una funzione area efficace:
Pr λ2
Aeff (ϑ ,ϕ ) = = G (ϑ ,ϕ )
Sin 4π
Per le antenne ad apertura si ha che l’area efficace è approssimabile all’area geometrica di
bocca dell’antenna moltiplicata per il rendimento:
Aeff = Ag δ
Fatte queste premesse possiamo finalmente arrivare a scrivere la formula di Friis, o formula
del radio-collegamento:
 λ 
2

PR = PT GT (ϑT ,ϕT ) GR (ϑR ,ϕ R )  


 4π R 
In questa equazione:
• d è il guadagno in direttività;
• PT è la potenza del trasmettitore
• GT è la funzione guadagno per l’antenna trasmittente, calcolata con gli angoli
relativi all’antenna trasmittente;
• GR è la funzione guadagno per l’antenna ricevente, calcolata con gli angoli relativi
all’antenna ricevente;
• R è la distanza fra le antenne.

Se facciamo ipotesi di idealità, l’equazione del radio-collegamento diventa:


 λ 
2

PR = PT dT dR  
 4π R 
Di tale formula è molto utile la formulazione in dB:
4π R
PR dBm  = PT dBm  + G1 + G2 − 20 log10
λ

4. Il dipolo corto

Consideriamo un conduttore rettilineo di lunghezza L << λ


come quello rappresentato in figura. Date le dimensioni
ridotte si può ottenere che se in esso la corrente è costante (e
pari a I), allora il suo momento equivalente M è pari a
M = ILi z
Utilizzando le formule che già conosciamo si ha che, a
grande distanza:
IL e jβ r
E = jη sin ϑ iϑ
2λ r
Utilizzando la definizione di intensità di radiazione:
2 2
ηL 2
E
I (ϑ ,ϕ ) = =   I sin 2 ϑ
2η 8  λ 
Il valore massimo si ha per ϑ = π , cioè per una direzione qualunque del piano xy.
2
L’intensità di radiazione normalizzata vale:
ir (ϑ ,ϕ ) = sin 2 ϑ
La funzione di radiazione risulta:
f (ϑ ,ϕ ) = sin ϑ
Dunque il dipolo corto non risente della coordinata ϕ ; è dunque omnidirezionale nel
piano xy.
La direttività è:
4π 3
d=π 2π
=
2
∫ dϑ ∫ dϕ sin ϑ
3

0 0

Utilizzando poi la definizione:


2
=I
 2
1 ηL 2
Rirr I 0 = ∫ I r ( P ) dΩ = ∫   I sin 2 ϑ dΩ
2

2 4π 4π
8λ 
E quindi:
2π  L 
2

Rirr = η
3  λ 
Per trovare l’area efficace, si effettuerà esplicitamente il calcolo della potenza trasferita al
carico adattato. La tensione a vuoto tra gli estremi di un segmento lungo L (<< λ ) è
massima quando il campo elettrico è polarizzato rettilineamente ded è parallelo al
segmento stesso; se l’antenna non perturba il campo vale V0 = − EL . Questa è la tensione a
vuoto del generatore equivalente all’antenna ricevente, la cui impedenza ha parte reale
data dalla Rirr. La parte immaginaria di detta impedenza è ininfluente perché il carico lo
consideriamo adattato in potenza. Si ha dunque:
2
V0 3 λ2
Pirr = = E2
8 Rirr 16π η
Essendo l’area efficace pari a:
Pr
Aeff =
Sin
Si ha:
2 λ
2
3
E
16π η 3 2
Aeff = = λ
E
2


NOTA: in ogni antenna il rapporto tra area efficace e direttività e una costante (uguale per
tutte le antenne). Si ha quindi per ogni antenna:
Aeff λ 2
=
d 4π
Anche per il dipolo corto questa relazione è verificata: infatti

Aeff 3 2 2 λ2
= λ ⋅ =
d 8π 3 4π

Вам также может понравиться