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INVESTIGATIONES ANATOLICAE

GEDENKSCHRIFT FÜR ERICH NEU

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Studien zu den BoÁazköy-Texten
Herausgegeben von der Kommission für den Alten Orient
der Akademie der Wissenschaften und der Literatur, Mainz
Band 52

Investigationes Anatolicae
Gedenkschrift für Erich Neu

Herausgegeben von
Jörg Klinger, Elisabeth Rieken
und Christel Rüster

2010

Harrassowitz Verlag . Wiesbaden

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Bibliografi sche Information der Deutschen Nationalbibliothek
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für die Einspeicherung in elektronische Systeme.
Gedruckt auf alterungsbeständigem Papier.
Druck und Verarbeitung: Hubert & Co., Göttingen
Printed in Germany
ISSN 1613-5628
ISBN 978-3-447-06383-8

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Note di geroglifico anatolico

Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

In occasione di un recente lavoro su alcuni temi relativi al geroglifico anatolico1


e riesaminando a tal fine alcune cretule provenienti dall’archivio/deposito di
Nişantepe, pubblicate da S. Herbordt (ed. 2005), con il commento epigrafico di
J. D. Hawkins (ma cf. anche Hawkins 2006), si è avuto lo stimolo ad approfondire
una serie di punti particolari riguardanti sia la lettura che l’interpretazione di
alcune iconografie e iscrizioni ivi e altrove attestate.
Le riflessioni e gli spunti su alcune tematiche di maggiore interesse sono stati
raccolti qui dai due Autori in forma di brevi notizie dedicate alla memoria di
un maestro nell’ambito degli studi anatolistici.

1. Le iconografie complesse sulle cretule dei sigilli ad anello a superficie ovale


Una serie di impronte di sigilli ad anello con campo ovale contengono complesse
scene di culto, composte da un insieme di elementi scrittori ed elementi icono-
grafici, a volte difficilmente separabili, dal momento che se da un lato le legende
geroglifiche fungono da ancoraggio disambiguante la “lettura” meramente vi-
siva della composizione, dall’altro gli elementi più spiccatamente iconografici
concorrono (per il fatto di derivare spesso da varianti glifiche con forte carica
iconica) alla corretta “lettura” linguistica della legenda stessa.
È il caso del gruppo formato da scene di culto connesse con la divinità tutelare
d
LAMMA, e, più in particolare, dei Nrr. 622 e 482 in Herbordt ed. 2005.

1.1. La cretula Nr. 622 (cf. Figg. 1–2)


Si tratta di una scena composita di adorazione nei confronti di due divinità, che,
per il suo schema bipartito, si avvicina alla doppia rappresentazione rupestre
di Fraktin. Che il personaggio adorante rivolto (sull’impronta) verso la destra,
quindi verso la divinità maschile in posizione seduta su un cervo accovacciato
e caratterizzata dalla legenda geroglifica (DEUS)CERVUS3 -ti REX (“divinità
tutelare del re”), non sia da vedere come una seconda divinità, sembra confortato
dal fatto che lo stesso abbigliamento per l’iconografia dell’adorante si ritrovi

1 Marazzi c.d.s.; per le citazioni dei sigilli con iscrizione geroglifica si farà riferimento nel
corso del lavoro alla catalogazione in SHS ora consultabile anche nello Hethitologie Portal
di Mainz (www.hethiter.net).
12 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

sia sulle famose basi di stele BOĞAZKÖY 1 e 2,2 sia soprattutto sull’impronta
del sigillo (a cilindro) di Taprammi presente nello stesso archivio (Herbordt ed.
2005, Nr. 409). In particolare, in quest’ultimo caso l’adorante è rappresentato
sull’aquila bicefala esattamente come l’adorante sull’impronta Nr. 482 di cui si
dirà appresso. La presenza del nome LINGUA+CLAVUS-i (a), apposto come
d’uso di fronte al personaggio (con la sola variante di essere spostato più in
basso, subito al di sotto del braccio, certamente a causa dello spazio limitato,
già occupato dal nome del dio), ne confermerebbe la natura umana.
La seconda scena di adorazione, quella orientata verso sinistra, rappresenta,
quindi, sotto il profilo della sintassi visiva, un momento “altro” di adorazione
da parte dello stesso personaggio, questa volta però nella sua manifestazione
di principe “guerriero/cacciatore”,3 nei confronti di una divinità femminile,
anch’essa seduta, ma su un capride, forse da identificare con la divinità femminile
Ala (in proposito più avanti al punto 2.).

Figura 1: Impronta di sigillo da Nişantepe Nr. 622 (da Herbordt ed. 2005)

Figura 2: A sinistra: particolare della base BOĞAZKÖY 1 (da Bittel 1976a).


A destra: impronta di sigillo da Nişantepe Nr. 409 (da Herbordt ed.
2005)

2 Cf. l’ordinamento in Marazzi (ed.) 1986, pp. 111ss., e, successivamente, in Hawkins 1995,
Appendix 7.
3 Sulla caratterizzazione di cacciatore/guerriero dell’iconografia del personaggio di rango
con l’arco è illuminante il recente contributo di Hawkins 2006; si veda anche quanto
precedentemente considerato in van den Hout 1995.
Note di geroglifico anatolico 13

1.2. La cretula Nr. 482 (cf. Figg. 3–4)


Si tratta di un’impronta già attestata a Boğazköy (SHS BO 48), pubblicata a
suo tempo da H. G. Güterbock (in SBo II Nr. 222, dis. alla p. 78), ma certamente
molto più leggibile ora dalle testimonianze di Nişantepe. Anche in questo caso si
tratta di una scena di adorazione, tuttavia a unica scansione temporale, e anche
in questo caso la figura dell’adorante, iconograficamente molto simile a quella
di Taprammi su Nr. 409, deve essere identificata con il proprietario del sigillo.
Il nome (Tuwarsa) è posto anche qui, come di norma, frontalmente rispetto al
denotato (oltre alla sua ripetizione araldica nella variante “iconica” del segno
per /sa/ ai due lati estremi della composizione), ma spostato verso il basso per
evidenti ragioni di spazio come in Nr. 622. Interessante, in questo caso, risulta
la figura della divinità, chiaramente da riferire alla divinità tutelare, vista la
sua iconografia di stante su cervide, ma apparentemente senza una specifica
attribuzione geroglifica.

Figura 3: Impronta di sigillo da Nişantepe Nr. 482 (da Herbordt ed. 2005)

Figura 4: Impronta di sigillo da Hattusa (da SBo II, Nr. 222)

Di fatto, diversamente da quanto si era finora in grado di constatare in base


alla sola impronta SHS BO 48, in Nr. 482 è chiaramente visibile, al di sopra del
braccio teso in avanti del dio, e in posizione frontale rispetto al volto, il segno per
CAELUM (*182), esattamente come è il caso, ad esempio, della caratterizzazione
geroglifica del “dio della tempesta” nella famosa serie dei sigilli di Muwatalli.4
Se tale lettura coglie nel segno, la sua testimonianza appare di notevole interesse,
dal momento che l’attributo di “celeste/del cielo” riferito a d LAMMA ci risulta
comparire nella letteratura cuneiforme soltanto nel famoso testo KUB 2.1,5 e
4 Cf. i riff. sub SHS BO 265, 266 e 317.
5 KUB 2.1. I 43’, a proposito del quale cf. Archi 1975 e McMahon 1991.
14 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

cioè nell’incipit della lista delle varie manifestazioni della divinità. Come a suo
tempo già indicato da A. Archi e successivamente considerato da G.McMahon, il
testo in questione, nella versione pervenutaci, appare riflettere la configurazione
politico-religiosa che si viene a formare sotto il regno di Tuthalija IV. Non è
d’altra parte un caso che nella parallela lista delle offerte per la divinità Ala (III
26ss.) compaia proprio all’inizio, subito dopo d Alaš huešwannaš, l’indicazione
d
Alaš ŠA ŠAMĒ.

2. d Ala, d LAMMA e L. 461


Proprio in relazione alle due divinità, l’una femminile, l’altra maschile, che
formerebbero la coppia divina tutelare, J. D. Hawkins di recente (2004 e 2006),
riprendendo in parte un acuto contributo di M. Forlanini (1987), ripropone
l’interpretazione Ala per la grafia geroglifica del nome di questa divinità in
EMİRGAZİ §§ 26, 29, 37, trascrivendolo come á(FEMINA.DEUS).*461 (fig. 12
a pagina 19). Confrontando, inoltre, la rappresentazione sul rhyton d’argento a
forma di cervide della collezione Schimmel (figg. 5–6)6 e l’impronta succitata
Nr. 622, propone, a nostro avviso pienamente a ragione, di vedere in entram-
be le composizioni la coppia d Ala-d LAMMA, e trascrive di conseguenza le
irrigidite forme geroglifiche che fronteggiano sul rhyton le due divinità, come
(DEUSx )CERVUSx per la prima (in piedi su un cervo), e á-x-DEUSx -FILIA
(seduta di fronte a un altare) per la seconda.
Proponendoci di ritornare più avanti su una possibile miglioria della lettura
proposta da J. D. Hawkins, pensiamo possa essere utile, per una più approfondita
precisazione del valore da attribuire a *461, passarne rapidamente in rassegna le
più importanti attestazioni su glittica, tenendo presente quanto già puntualizzato
a suo tempo da M. Poetto (in Poetto–Salvatori 1981, commento al Nr. 8) e M.
Forlanini (1987):

1) SHS BN 5, 11 e 13 (Fig. 7): tutte e tre le impronte sono state origina-


riamente pubblicate da D. A. Kennedy nel 1959, rispettivamente ai Nrr.
45–47 e riprese in Mora 1987 (= SHS II) ai Nrr. XIIa, 1.4; XIIa, 1.7;
XIIa, 2.43.
Per i primi due, sulla base di quanto a suo tempo osservato anche da
M. Poetto (in Poetto–Salvatori, p. 17, nota 24) e M. Forlanini (1987),
la lettura del nome del proprietario, ripetuto su due colonne affrontate
simmetricamente, affiancate ai due lati dal titolo REX.FILIUS, sem-
brerebbe interpretabile come *461-á-a 7 , mentre il terzo presenterebbe,
invece, un’unica sequenza orizzontale (dunque *461-á-a), sotto alla quale
si trova ripetuto simmetricamente il titolo REGIO.DOMINUS (si tenga

6 Per la quale si rimanda a Muscarella 1974 e Bittel 1976.


7 Per la corretta lettura di alcune attestazioni di “*a” in posizione finale cf. J. D. Hawkins
in Melchert ed. 2003, pp. 159ss. e Hawkins in Herbordt 2005, pp. 426 e 248.
2. Ala, LAMMA e L. 461
Proprio in relazione alle due divinità, l’una femminile, l’altra maschile, che formerebbero la
coppia divina tutelare, J.D. Hawkins di recente (2004 e 2006), riprendendo in parte un acuto
contributo di M. Forlanini (1987), ripropone l’interpretazione Ala per la grafia geroglifica del
nome di questa divinità in EMIRGAZI §§ 26, 29, 37, trascrivendolo come
á(FEMINA.DEUS).*461 (fig. 12). Confrontando, inoltre, la rappresentazione sul rhyton
d’argento a forma di cervide della collezione Schimmel (figg. 5-6)6) e l’impronta succitata Nr.
Note di geroglifico
622, propone, a nostro avviso pienamente a ragione, dianatolico
vedere in entrambe le composizioni15la
coppia dAla-dLAMMA, e trascrive di conseguenza le irrigidite forme geroglifiche che
fronteggiano sul rhyton le due divinità, come (DEUSx)CERVUSx per la prima (in piedi su un
cervo), e á-x-DEUSx-FILIA (seduta di fronte a un altare) per la seconda.

Figura 5: Riproduzione del fregio del rhyton della Collezione Schimmel (da
Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland 2002,
119)
Fig. 5

Fig. 6
Figura 6: Particolare del fregio del rhyton della Collezione Schimmel (da
Proponendoci di ritornare più avanti su una possibile miglioria della lettura proposta da Hawkins,
http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/1989.281.10)
pensiamo possa essere utile, per una più approfondita precisazione del valore da attribuire a *461,
passarne rapidamente in rassegna le più importanti attestazioni su glittica, tenendo presente
quanto già puntualizzato a suo tempo da M. Poetto (in Poetto-Salvatori 1981, commento al Nr. 8)
tuttavia presente la nuova identificazione del supposto segno per “á”
e M. Forlanini (1987):
come *521 su questi ed altri sigilli, per cui cf. più avanti al punto 4).
2) BN
1) SHS SHS5,MAKR 1 (= 7):
11 e 13 (Fig. SHS II eVII,
tutte 5.1impronte
tre le = XI, 1. 13)state
sono (Fig.originariamente
8): sigillo biconvesso
pubblicate
da D.A. Kennedy
edito nel 1959, rispettivamente
originariamente ai Nrr. 45-47
da J. Gelb (1965, e riprese
Nr. 10) in Mora
e ripreso 1987
da L. (=SHS
Jakob-
II) ai Nrr.
RostXIIa, 1.4; XIIa,1975,
(Jakob-Rost 1.7; XIIa, 2.43.
Nr. 70) 8
, da leggere sul vo. su 2 colonne verticali
affiancate: ma-*461-za/i (a sinistra) e *172-wa/i-za/i (a destra)9 , mentre,

8 Questo sigillo è stato in SHS registrato anche come VM 9 con il rif. bibl. a Jakob-Rost
1975, dove però si è inavvertitamente omesso il rinvio a MAKR 1. La doppia registrazione
deriva dal fatto che, come già originariamente messo in evidenza in Poetto–Salvatori, p.
17, nota 24, nel contributo di Jakob-Rost 1975, il sigillo viene discusso come acquisito dal
Museo di Berlino con il numero di inventario VA 10942/VAN 9665 ed etichettato come
“Geschenk”.
9 Ci sembra preferibile riconoscere nell’elemento mediano della sequenza ma-*461-za/i
appunto il segno *461, piuttosto che una variante senza “MINUS” del segno *508, implici-
tamente presupposta dal – sia pure cauto – accostamento di questo sigillo alle attestazioni
del nome Mahhuzzi a Nişantepe ad opera di J. D. Hawkins in Herbordt 2005, p. 263.
Per una lettura completamente diversa dell’intera legenda (Matiwaza EXERCITUS) cf.
altresı̀ Gonnet 1986, pp. 53ss. Per il primo segno della seconda sequenza, *172, fino a
oggi letto “ta5 ”, cf. ora i dubbi espressi da J. D. Hawkins in Herbordt 2005, pp. 289s. e
16 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

Figura 7: Sigilli SHS BN 5, 11 e 13 (da Kennedy 1959 Nrr. 45–47)

alla sinistra della composizione, sotto a 2 simboli simmetricamente


affiancati e ruotati di 90° rispettivamente a destra e sinistra interpretabili
forse come BONUS2 , il segno per VIR2 (sulla peculiare collocazione di
VIR2 e su una sua possibile interpretazione si veda più in basso).

Figura 8: Il sigillo SHS MAKR 1 (da Gelb 1965, Nr. 10)

3) SHS BOR 8 (= SHS II, VIb, 1.30) (Fig. 9): sigillo biconvesso pubblicato
da M. Poetto (in Poetto–Salvatori 1981, Nr. 8), recante su entrambe
le facce (in maniera non perfetta) la stessa composizione: al centro
il nome del proprietario in una sequenza verticale, dall’alto in basso,

431, e 2006b, p. 62. L’eventuale coesistenza di due diversi segni per la sequenza fonetica
/ala/ non porrebbe problemi in un sistema quale è quello geroglifico anatolico. In esso,
infatti, l’uso concorrenziale in elementi onomastici di logogrammi di particolare valenza
simbolica per catene foniche contemporaneamente esprimibili mediante altri segni, risponde
a criteri di recezione “visiva” di carattere retorico. Si pensi, ad esempio, al segno *196 (la
“folgore”?) per esprimere il nome del paese di HATTI (o della città di Hattuša), la cui
nominazione, quando entra a far parte di un elemento onomastico, può essere espressa
(per ratio difficilior ) attraverso il logogramma stesso che conferisce forte valenza simbolica
all’aspetto della composizione scrittoria, oppure (per ratio facilior ) attraverso la semplice
catena fonetica dei segni ha-ti-. . . (*215-*90-. . . ), per non parlare poi del valore meramente
fonetico /ha/ che il logogramma sembra assumere a cominciare dalla fine del periodo
imperiale (forse già in YALBURT B. 11, §3, ma certamente in KIZILDAĞ-KARADAĞ,
passim).
Note di geroglifico anatolico 17

wa/i-su-*461, inquadrato ai due margini, destro e sinistro, dal titolo


*414.DOMINUS10 .

Figura 9: A sinistra: il sigillo SHS BOR 8 (da Poetto–Salvatori 1981, Nr. 8). A
destra: l’impronta SHS BO 235

4) SHS BOR 24 (= SHS II, VIII, 11.1) (Fig. 10): sigillo ad anello a campo
circolare, pubblicato da M. Poetto (cit., Nr. 26). Limitandoci al solo cam-
po centrale11 , sono qui riconoscibili 2 sequenze verticali affrontate, delle
quali quella di sinistra (sull’impronta) presenta il gruppo DEUS.*461
(con *461 in posizione ‘sdraiata’, come nella cornice esterna), seguito
in basso dalla caratterizzazione BONUS2 .FEMINA; quella di destra si
compone invece (dall’alto verso il basso, ma con orientamento reciproca-
mente difforme degli elementi in 2a e 3a posizione) di *414-la-nı́ BONUS2 .
Attribuendo a *414 la valenza fonetica /hi /, come argomentato in recenti
studi sia da J. D. Hawkins che da A. e B. Dinçol (cf. per tutti le sintesi
di J. D. Hawkins in Herbordt 2005, pp. 426s., 312, 288 e, riguardo anche
a BOR 24, p. 255 sub Nr. 122 e Dinçol–Dinçol 2008, p. 70, con riff.),
la legenda nel suo insieme, certamente riferibile a un personaggio di
rango femminile, risulta oggi leggibile come Hilani (-)(DEUS)*461, con
la possibilità di interpretare il gruppo DEUS *461 sia come attributo /
complemento alla caratterizzazione del NP (dunque “H. della divinità
*461”), sia – eventualmente – come parte integrante del nome stesso
(dunque *Hilanni -d Ala che, benché non attestato altrove, troverebbe
un indiretto pendant nell’antroponimo maschile Hella-d LAMMA NH
356), anche se non va taciuta la succitata presenza del medesimo insieme

10 Cosı̀ è da leggere il titolo che ricorre eguale, ad es., in SHS BO 235 = SBo II 36, come
confermato dalle ulteriori attestazioni da Nişantepe, per le quali cf. la discussione di
Hawkins in Herbordt 2005, p. 312, e dalla Oberstadt, per cui si veda Dinçol–Dinçol 2008,
in partic. p. 70 (ad (L. 414) na4 hekur -).
11 Per la complessa iscrizione che corre lungo la fascia circolare del bordo – dove pure
compare il gruppo DEUS *461 identico a quello presente nel campo centrale –, si rinvia
alla approfondita analisi offerta da M. Poetto nell’edizione. Cf. successivamente Mora SHS
II ad VIII, 11.1.
18 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

determinativo (*363)+ideogramma (*461) come gruppo autonomo nella


cornice esterna dello stesso sigillo, in contesto differente.

Figura 10: Il sigillo SHS BOR 24 (da Poetto–Salvatori 1981, Nr. 26)

5) SHS BO 424 e Herbordt 2005, Nr. 693 (Fig. 11): le due cretule, ancorché
differenti (la prima deriva da un sigillo a stampo a campo circolare, la
seconda da un sigillo ad anello con campo oblungo) e forse riferibili a
due diversi personaggi, portano però lo stesso nome espresso attraverso
la stessa composizione araldica. La parte iniziale del nome, che contiene
la parola per “leone” (walwa/i -) è infatti rappresentata dall’iconografia
di 2 leoni affrontati, mentre il secondo elemento, composto da *461+ra/i,
si ripete, antiteticamente, sotto a ciascun leone; il tutto a formare LEO2 -
*461+ra. Anche per questo antroponimo si rimanda alla discussione qui
di seguito.

Figura 11: A sinistra: l’impronta da Nişantepe Nr.693 (da Herbordt ed. 2005).
A destra: l’impronta SHS BO 424 (da Bittel 1976a, fig. 188)

Dal repertorio fin qui presentato, che non pretende di essere esaustivo, si può
notare come certamente nei casi 3) e 4) il segno *461 sia usato, come logogramma,
a indicare la divinità d Ala, da sola (forse caso 4), o in un composto (caso 3 e,
Note di geroglifico anatolico 19

possibilmente, 4), quindi esattamente come per le attestazioni di EMİRGAZİ


(Fig. 12) e (cf. infra) del rhyton d’argento (figg. 5–6 a pagina 15); stessa funzione
logogrammatica sarebbe da riconoscere nel caso 1), dove il nome corrispondente
a quello della divinità sembrerebbe però espresso con l’ausilio aggiuntivo di
ulteriori elementi con funzione di indicatore e di complemento fonetico; per i
casi 2) e 5) è lecito, benché non concretamente dimostrabile, il sospetto che
il segno sia usato come fonogramma, quindi semplicemente per esprimere la
sequenza fonetica ALA (come è il caso anche di altri logo-/fonogrammi nel
sistema geroglifico del II millennio).

Figura 12: Autografia di EMİRGAZİ A (da Hawkins 2006), con evidenza del
nome di d Ala

Per quanto concerne il caso 2) la derivante decodifica ma-ALA-za/i sem-


brerebbe dare in sé poco senso, nonostante la vicinanza al ben attestato NP
Malaziti (NH 725), a meno di non considerare il fatto che il segno VIR2 , stra-
namente “inquadrato” immediatamente sulla sinistra, all’altezza proprio dello
spazio fra *461 e ZA/ZI, dai due triangoli ruotati di 90°, e rappresentato in
dimensioni eguali a quelle dei due componenti del nome, funga qui da elemento
del nome stesso (da leggere dunque: ma-ALA-VIR2 ZA/I ) e non da semplice
appellativo di riguardo12 (una funzione simile, quindi, a quella del segno VIR,
come sembrerebbe essere testimoniato anche dalla espressione REGIO.HATTI
VIR2 presente nella iscrizione sulla coppa d’argento dal museo di Ankara)13 .
D’altro canto, anche optando per questa soluzione, resterebbe da riflettere sul
significato di una tale grafia particolare e sul conseguente valore funzionale
da assegnare al segno VIR2 (a fronte della grafia regolare per il NP Malaziti,
ampiamente diffusa: ma-la-VIRZA/I , per cui cf. ad es. Dinçol–Dinçol 2008, Nrr.
241 e 257; Herbordt 2005, Nrr. 228, 229, comm. p. 154 e Hawkins,
1 ibid., p. 263).
Ancora più complesso è il caso di 5). L’ordine dei segni sul sigillo BO 424
sembrerebbe impedire una lettura *461+ra/i -LEO (data come possibilità da Ha-
12 Su VIR2 come appellativo di riguardo cf. fra l’altro già Poetto 1993, p. 28s.
13 Per la quale si rimanda a Hawkins 1997; cf. anche Hawkins in Herbordt 2005, p. 311.
20 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

wkins in Herbordt ed. 2005), mentre una lettura del tipo “Ala (protettrice) del
leone”14 viene a essere esclusa a causa della complementazione fonetica RA/RI ;
resta pertanto plausibile, almeno a livello di ipotesi, una soluzione “a rebus”
del tipo walwa-(a)la-ri, dove il secondo elemento sarebbe rappresentato dal
sostantivo/verbo lari(ya)- presente sporadicamente in alcuni testi di festività15 .
Da quanto fin qui considerato si può, in attesa di testimonianze ulteriori,
proporre provvisoriamente per *461 una lettura ALA con funzione sia di logo-
gramma, per indicare il teonimico (d) Ala (da solo o in nomi composti), sia di
fonogramma.16
Ritornando ora al nome della divinità sul rython della collezione Schimmel,
vorremmo far presente che, come ha dettagliatamente già considerato K. Bittel
(1976) a suo tempo, le due iscrizioni sono il frutto di una difficile “aggiunta”
successiva di due laminette circolari (almeno all’origine), d’oro, con i segni
eseguiti a rilievo, probabilmente ridimensionate a causa del poco spazio esistente
fra le figure e il dente sottostante l’orlo. In particolare, quella riferita alla divinità
femminile sembra aver ricevuto una rifilatura nella sua parte superiore che, a
nostro avviso, deve avere – nel modificarne l’originaria circolarità – mozzato
in parte lo sviluppo verticale del segno più in alto, oggi ormai poco leggibile.
Tuttavia, se si guarda attentamente agli elementi che compongono nelle sue
diverse attestazioni il segno *461, appare chiaro come questo risulti formato di
2 elementi verticali dei quali l’uno si ferma all’altezza della curva della voluta
finale che chiude il secondo (cf. Fig. 13). Tenuto conto della forma “irrigidita”
che caratterizza il resto dei glifi presenti sul rhyton (in particolare i segni per
DEUS e CERVUS3 ) e il fatto che siano stati eseguiti a rilievo, non riteniamo
rappresenti un problema il fatto che in questo caso i 2 elementi verticali non
siano raccordati alla base da un segno orizzontale (a formare una generica forma
a triangolo isoscele). Non ci sembra quindi azzardato leggere, in quanto rimasto
visibile, la base di *461 e arrivare a trascrivere á(DEUSx .FILIA).p*461q, dove
però permane l’insolita caratterizzazione di FILIA al posto di FEMINA già
notata da Hawkins 2006.

14 Come è sporadicamente attestato – ma non come elemento onomastico – per d LAMMA,


cf. McMahon 1991, p. 47s.
15 Cf. le attestazioni in CHD s. v. lari(ya)-/lariya-; occorre qui ricordare anche l’attestazione
in Herbodt Nr. 573, con lettura ×-tá-ALA+ra/i; quella su SHS ASHM 27 (= Kennedy 1958,
Nr. 23), con lettura ki-ALA+ra/ri-ia (sulla quale, ma con altra dubitativa interpretazione cf.
anche Hawkins 2004); e Dinçol–Dinçol 2008, Nr. 259 la cui lettura appare però problematica
per quanto concerne una sicura identificazione del primo segno che gli editori restituiscono
come “tà”, leggendo quindi tà-*461+ra/i.
16 A parte rimane la testimonianza di *461-tá in EMİRGAZİ § 10 sulla quale ha di nuovo
attirato di recente l’attenzione J. D. Hawkins (2004, ma cf. già 1995, p. 94, con diversa
interpretazione). Che in questo caso il segno debba avere una valenza logogrammatica
appare chiaro, ma quale valenza semantica specifica assuma nel contesto resta da definire;
pensiamo infatti che la derivazione diretta di una valenza fonogrammatica da logogrammi,
pur essendo in alcuni casi procedura praticata dagli scribi, debba essere di volta in volta
valutata molto cautamente.
Note di geroglifico anatolico 21

Fig. 13
Figura 13: Particolare della riproduzione grafica del fregio del rhyton del-
la Collezione Schimmel con evidenza della possibile restituzione
dell’iscrizione geroglifica relativa a d Ala
3. CAELUM o CRATER?
Nelle 2 iscrizioni geroglifiche del II millennio su coppa, quella di bronzo dal ripostiglio di
Kastamonu 3. (Hawkins
CAELUM o CRATER?
1993, qui Fig. 14a) e quella d’argento presso il Museo di Ankara (Hawkins
1997 e Hawkins 2005, forsegeroglifiche
Nelle 2 iscrizioni da Kargamis, delqui
II Fig.
millennio
14b1-2)su ilcoppa,
segno quella
L. 182,diseguito
bronzoindal entrambi i
ripostiglio di Kastamonu (Hawkins 1993, qui Fig. 14a) e quella d’argento presso
casi dal segno PI, è chiaramente usato per indicare “coppa”. Che nelle diverse attestazioni
il Museo di Ankara (Hawkins 1997 e Hawkins 2005, forse da Karkamiš, qui Fig.
geroglifiche del II millennio il segno in questione indichi senza dubbio “cielo” è cosa conosciuta
14b1–2) il segno L. *182, seguito in entrambi i casi dal segno PI, è chiaramente
da tempo - cf. già HH s. Nr. 182, dove l’attestazione per “coppa” riferita alla iscrizione tarda
usato per indicare “coppa”. Che nelle diverse attestazioni geroglifiche del II
BABYLON 2 è ora giustamente riportata a “cielo/celestiale” (cf. CHLI I/2, VIII.2). Rimane,
millennio il segno in questione indichi senza dubbio “cielo” – è cosa conosciuta
quindi, perdalatempo
valenza semantica
– cf. già HH di s. “coppa”
Nr. 182, in doveepoca hittita la sicura
l’attestazione attestazione
per “coppa” dellealla
riferita 2 succitate
iscrizioni,iscrizione
dal momento tarda BABYLON 2 è ora giustamente riportata a “cielo/celestiale”è
che nelle iscrizioni neo-hittite la coppa, almeno quella in pietra,
indicata senza ambiguità
(cf. CHLI I/2, VIII.2).attraverso il lessema
Rimane, quindi,katina- preceduto
per la dal determinativo
valenza semantica di “coppa”SCALPRUM.
in
Non sembrerebbe quindi un caso che nelle 2 iscrizioni in oggetto, L. 182
epoca hittita la sicura attestazione delle 2 succitate iscrizioni, dal momento che appaia caratterizzato
sempre dall’aggiunta
nelle iscrizioni delneo-hittite
segno PI. Se al segno
la coppa, *182 quella
almeno occorre,
in dunque,
pietra, è assegnare il significato
indicata senza am-
denotativobiguità
primario di “cielo” (CAELUM), occorre immaginare
attraverso il lessema katina- preceduto dal determinativo SCALPRUM.che la valenza semantica
connotativaNon “coppa” si venga
sembrerebbe a determinare
quindi un caso che attraverso un procedimento
nelle 2 iscrizioni di rinvio
in oggetto, L. 182 retorico.
appaia A
questo dovrebbe riferirsisempre
caratterizzato il segno PI, che vedremmo
dall’aggiunta del segno in PI.
ogniSecaso non come
al segno *182 un “complemento
occorre, dun-
fonetico”,que,
bensì come “indicatore
assegnare fonetico”,
il significato denotativocon primario
funzione,dipertanto
“cielo” semanticamente
(CAELUM), occorre
disambiguante, relativoche
immaginare o alaunvalenza
elemento fonico determinante
semantica della specifica
connotativa “coppa” si vengaparola per “coppa”, o
a determi-
a una caratterizzazione
nare attraverso “comportamentale”
un procedimento di semanticamente
rinvio retorico.connessa
A questocon l’uso dell’oggetto
dovrebbe riferirsi che
il segno PI,- che
si vuole individuare vedremmo
si pensi, sempreinper ogni caso nell’ambito
restare non come undi“complemento fonetico”, uso e
contenitori di particolare
bensı̀
significato, alla come “indicatore
nominazione fonetico”,
peran pēdumaš/ conperan
funzione, pertanto
pēdunaš semanticamente
nel caso disam-fatto di
di un contenitore,
17)
biguante,
diversi materiali relativo o a pregio
di particolare un elemento fonico determinante
e significatività, usato per della specifica parola
“portare/porgere” . per
“coppa”,
A prescindere o a dal
quindi unadisambiguamento
caratterizzazione “comportamentale” semanticamente
dell’indicatore PI, pensiamo connessa una
sia più opportuna
conCAELUM PI
l’uso dell’oggetto che si vuole individuare – si pensi,
trascrizione /CAELUM.PI o addirittura per l’insieme dei sempre
due segni perlarestare
codifica di
CRATERnell’ambito
18)
. di contenitori di particolare uso e significato, alla nominazione peran
Ritornando,pēdumaš/peran
poi, alla doppia pēdunaš nel caso
iscrizione delladicoppa
un contenitore,
d’argento delfatto di diversi
Museo materiali
di Ankara, di
vorremmo far
presente alcuni punti che potrebbero permetterne un più sicuro inquadramento cronologico.
Il punto di partenza è, a nostro avviso, rappresentato da due elementi specifici:
1) il fatto che, diversamente rispetto sia alla iscrizione della coppa Kastamonu, che a quella
BABYLON 3, l’azione che caratterizza la prima iscrizione non è rappresentata dal verbo
PONERE, bensì dalla forma *273 i(a)-sa5-zi/a-tà. Giustamente Hawkins (1997, p.10) fa
22 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

particolare pregio e significatività, usato per “portare/porgere”.17 A prescindere


quindi dal disambiguamento dell’indicatore PI, pensiamo sia più opportuna una
trascrizione CAELUMPI /CAELUM.PI o addirittura per l’insieme dei due segni
la codifica di CRATER18 .
Ritornando, poi, alla doppia iscrizione della coppa d’argento del Museo di
Ankara, vorremmo far presente alcuni punti che potrebbero permetterne un
più sicuro inquadramento cronologico. Il punto di partenza è, a nostro avviso,
rappresentato da due elementi specifici:

b1

b2

Figura 14: Autografia delle iscrizioni sulla coppa Kastamonou (a) e sulla coppa
del museo di Ankara (b1–2) (da Hawkins 1993 e 1996)

1) Il fatto che, diversamente rispetto sia alla iscrizione della coppa Ka-
stamonu, che a quella BABYLON 3, l’azione che caratterizza la prima
iscrizione non è rappresentata dal verbo PONERE, bensı̀ dalla forma
*273 i(a)-sa5 -zi/a-tà. Giustamente J. D. Hawkins (1997, 10) fa presente la
possibilità che la stessa forma possa essere presente in YALBURT Bl. 11,

17 Si rimanda per il caso specifico alla discussione in CHD s. v.


18 Cf. quanto già discusso Atti Napoli-Procida, p. 19s.
Note di geroglifico anatolico 23

§ 319 , dove però l’ordine dei glifi sembra rendere la sequenza i(a)-za/i-sa.
A ben vedere (cf. la foto in Poetto 1993, Tavv. XV–XVI), se si considera
il criterio di equilibrio che regola in linea di massima l’incolonnamento
di elementi verticali e orizzontali nella linea di “testo” lungo la quale si
snoda l’iscrizione sulla coppa, lo stesso ordine riconoscibile in YALBURT
potrebbe valere anche qui (anziché l’inverso, come suggerito da Hawkins
cit.) e consentire una lettura *273 i(a)-za/i-sa5 -tà. Tenuto conto del
valore assegnabile a *273 nella sua funzione di accompagnamento sia
al verbo tupi - (“colpire, incidere”) che al sostantivo warpi - (“capacità,
destrezza”)20 , la forma che compare sulla nostra tazza potrebbe essere
interpretata come un iterativo/durativo in -(s)sa-21 di “operare, agire”
alla 3 pers. sing. del preterito, e riferirsi cosı̀ specificamente alla sola
azione della manufatturazione avvenuta in passato dell’oggetto, ma non
all’atto della iscrizione o dedica22 .
2) È a tal riguardo che troverebbe giustificazione la strana presenza di una
iscrizione a parte per indicare l’estensore del testo: lo scriba in questione
ha solo voluto ricordare nella prima iscrizione l’originaria manufattura
(in una possibile occasione “X”) e, quindi, origine della tazza; nella
seconda, l’attuale stesura del testo per sua opera.

Si verrebbero in tal modo a sanare le apparenti contraddizioni cronologiche


fra la caratterizzazione temporale implicita nella prima iscrizione (per la quale
la dettagliata analisi di Hawkins appare pienamente giustificata) e le caratteri-
stiche scrittorie (decisamente di età tardo-imperiali) delle due iscrizioni, oltre
naturalmente alla incomprensibile presenza di due testi separati.

4. L. 19 6= *521?
È una recente proposta di J. D. Hawkins quella di differenziare L.19 rispetto a
un segno che, apparentemente simile, ma con orientamento opposto e alcune
caratteristiche peculiari nel tratto, non ne rappresenterebbe una casuale variante,
bensı̀ una diversa e indipendente attestazione da codificare separatamente come
*521.23 La lettura di partenza è stata individuata dallo studioso nel testo della
stele di Karahöyük (Elbistan), ultima parola del § 18, certamente una forma
verbale del preterito 1 pers. sing., letta a suo tempo á-ha (“ho fatto/reso”
cf. Nowicki 1981) e ora, secondo quanto proposto da Hawkins, da trascrivere
*521-ha.
19 Lettura collazionata dallo stesso Hawkins, rispetto alla lettura in Poetto 1993, pp. 57s. Cf.
anche Poetto 1998, p. 113.
20 Cf. i riferimenti di J. D. Hawkins in CHLI, I/2, Index of Words Discussed, s. vv.
21 Sul suffisso in questione cf. Melchert in Melchert ed. 2003, pp.204ss.
22 Elemento che risolverebbe anche la strana situazione di una dedica al cospetto del supposto
re Maza – Karhuha.
23 Cf. già in Hawkins1993a, Atti Napoli-Procida. CHLI I, V.1, § 18 e commento a p. 294, e
in Herbordt 2005, commento ai Nrr. 694–700, p. 288s.
24 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

Sulla base delle attestazioni citate da J. D. Hawkins (in Herbordt ed. 2005,
p. 288s.) tale segno si verrebbe a configurare certamente come sillabogramma,
e, in alcuni casi, come per la stele di Karahöyük (Elbistan), anche come
logogramma. D’altra parte, questa nuova proposta interpretativa verrebbe a
coinvolgere non solo una serie di sigilli da Nişantepe (Herbordt Nrr. 694–700,
con il riferimento anche a SHS BO 160 = SBo II 62), su alcuni dei quali ricorre di
nuovo, ma in contesto apparentemente più oscuro, il segno *461 (nello specifico i
Nrr. 698-700), ma anche alcune nuove attestazioni su glittica di recente edite in
Dinçol–Dinçol 2008 (in particolare Nr. 199)24 , e inoltre alcune impronte sopra
chiamate in causa (punto 2.1) a proposito delle attestazioni di *461 per ALA, e
segnatamente: SHS BN 5, 11 e 13 (= Kennedy 1959, Nrr. 45–47).
Senza la pretesa di voler arrivare a soluzioni conclusive e rimanendo pertanto,
in questa fase della ricerca, a un livello puramente esplorativo, sulla base sia
delle succitate occorrenze indicate da Hawkins, sia di quanto fin qui argomen-
tato a proposito delle attestazioni di *461 ALA, ci sembra possibile proporre
un’assegnazione preliminare di valenza “ax ” per *521, presupponendo, nel caso
in cui non si volesse vedere in esso una mera variante di L. 1925 , che dietro
alla postulata funzione logogrammatica dello stesso, si possa celare una forma
verbale (dalla quale derivare per procedimento acrofonico la supposta valenza
fonetica) semanticamente connessa con il campo dell’agire/operare. In tal caso
verrebbero a verificarsi le sequenze segniche che tentativamente elenchiamo qui
di seguito (Fig. 15):

24 A tal proposito vorremmo ricordare che fra i sigilli pubblicati in Dinçol–Dinçol 2008, per
quanto concerne il Nr. 35a, se la sequenza dei segni a indicare il nome del proprietario
trova effettivamente confronto con BO 135 (= SBo II 122), può essere più precisamente
letto *461-á, individuando in alto sulla destra un simbolo (come BONUS2 in SBo II 122)
o un elemento decorativo; più problematica risulta invece la proposta lettura di *461 come
primo elemento dell’antroponimo su Nr. 72, che, se accettata, fornirebbe una sequenza
ALA-ZITIzi ; non può, inoltre, essere dimenticata l’altrettanto problematica legenda di Nr.
76, presentante un segno che non sapremmo se riportare necessariamente a *461, “tagliato”
da una sbarretta orizzontale. Infine, pur esulando dal fine di questo contributo, non può
essere sottaciuta la necessità di una effettiva e approfondita revisione (dopo le osservazioni
a suo tempo già espresse da M. Poetto in Poetto–Salvatori 1981 p. 17, nota 24) del limite
fra gli originari numeri di HH 461 e 462, e ciò sia a fronte della tendenza invalsa a vedere in
essi un unico segno già nel II millennio a.C., sia alla luce delle nuove proposte di lettura di
*462 (come in Melchert 1988, 36–38, Hawkins CHLI I/1, p. 36s., Hawkins 2004 e 2006b, p.
27); anche a costo di dover, almeno in principio, ritornare a una eccessiva frammentazione
dei due numeri cosı̀ come ripartiti in HH, varrebbe altresı̀ la pena di riconsiderare alcune
differenziazioni formali operate a suo tempo dal Meriggi in Glossar. Ciò riguarda anche la
possibile identificazione di *461 come componente di EXERCITUS (cf. per tutti Hawkins
2004) per la quale va tenuta presente la possibile connessione con la valenza fonica /ALA/
di *461.
25 Ricordiamo, a titolo puramente indicativo, che nel contemporaneo sistema scrittorio
Lineare B si riscontra il fenomeno della variante del segno per CYP(erus), usata altrettanto
frequentemente quanto il segno CYP stesso, rappresentata, con cambiamenti minimali nel
tratto, dall’eguale segno orientato specularmente, tant’è che la sua codifica invalsa è quella
di PYC (Nrr. *124 e *125).
Note di geroglifico anatolico 25

Herbordt 694 Herbordt 695 Herbordt 696 Herbordt 697

Herbordt 698 Herbordt 699 Herbordt 700 Dinçol–Dinçol 199 SBo II 62

Figura 15: Disegno e foto dei sigilli Herbordt Nrr. 694–700 (da Herbordt ed.
2005); SHS BO 160 (da SBo II Nr. 62); Dinçol–Dinçol Nr. 199 (da
Dinçol–Dinçol 2008)

Herbordt 695 funzione *521-tá A(t)ta ?


sillabografica
SHS BO 160 funzione *521-TALA/I A(t)ta(l)li
1 ?
(= SBo II 62) sillabografica
Herbordt 698–700 funzione *521-ALA-*398 Ala-*39826 ?
sillabografica o di
indicatore fonetico
Dinçol-Dinçol 199 funzione a ? -*521-*461 Ala27 ?
sillabografica o di
indicatore fonetico
Herbordt 696–697 funzione *521-zu(wa)- ?
logografica? CERVUS-ti
Herbordt 694 funzione logografica *521-muwa ?
26 Natalia Bolatti Guzzo – Massimiliano Marazzi

Di particolare interesse qui, per il rapporto con il segno *461, risultano (se la
lettura deve seguire l’organizzazione dell’orientamento dei segni) le varianti
speculari che si vengono a creare (leggendo SHS BN 5, 11, e 13 secondo la nuova
individuazione del segno *521) fra:

Herbordt 698–700: *521-ALA-. . .


BN 5, 11, 13: ALA-*521-a
Dinçol–Dinçol 199: a-*521-ALA

che, se si aggiungono alle altre 2 indicazioni con sicura lettura “á”:

EMİRGAZİ á(FEMINA.DEUS)ALA
Rhyton Schimmel á(DEUSx.FILIA).pALAq

indicano come sia *521 che “á” compaiano sempre in stretto contatto con *461,
maggioritariamente in posizione immediatamente precedente (sempre che le
attestazioni BN 5, 11, e 13 non siano da leggere in forma inversa), il che farebbe
pensare più a una funzione di indicatore che di vero e proprio complemento
fonetico (del tipo *521/á ALA?).
Se è evidente come allo stato attuale della documentazione sia ancora pre-
maturo esprimere valutazioni certe in proposito, rimane tuttavia quale dato di
fatto la necessità di operare sul sistema geroglifico anatolico secondo criteri di
approccio che tengano in conto, almeno per le sue manifestazioni del II millennio,
della complessità e a volte dell’estrema “diversità” d’uso che gli scribi dell’epoca
ne potevano fare rispetto ai fenomeni scrittorı̂ cui siamo modernamente adusi.

P.S. A proposito della coppa d’argento di Ankara, non si è potuto tener conto
in questa sede del recente lavoro di Z. Simon, Die Ankara-Silberschale und das
Ende des hethitischen Reiches, ZA 99, 2009, 247–269. Rinviando ad altra sede
un commento dettagliato delle tesi dell’Autore, rimarchiamo qui soltanto, a
fronte di alcune concordanze per quanto concerne la lettura dell’iscrizione, la
differente proposta di datazione del manufatto.

26 Per *398 come secondo elemento di un composto onomastico cf. quanto indicato da J. D.
Hawkins in Herbordt ed. 2005, p. 312; ibid. ulteriori riferimenti.
27 La lettura di questa impronta presenta alcuni punti di non facile soluzione. Di fatto,
analizzando bene la foto pubblicata dai curatori, esistono forti dubbi che i due segni
verticali centrali alle spalle del “profilo” di *521 effettivamente siano collegati in alto con il
profilo stesso (come sembrerebbero interpretare i curatori sia attraverso la resa grafica, sia
nel commento); dalla stessa foto, inoltre, il segno verticale di destra sembrerebbe avere una
forma più allargata verso l’alto, e non a semplice “bastoncello” come il disegno sembrerebbe
interpretare. Non risulterebbe quindi peregrina, anche sulla base della sequenza presente
su SHS BN 13 (= Kennedy 1959, 47), una lettura dei due segni verticali centrali come “a”
(*450).
Note di geroglifico anatolico 27

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