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APPUNTI CLAUDIA PORTIOLI

6/10/2010

PROSSEMICA: modo in cui gli individui comunicano tra loro attraverso lo spazio. Varia a
seconda della cultura; il fondatore è l'antropologo americano Edward Hall.
E' branca dell'antropologia che nasce negli anni '60, quando Hall pubblica “La dimensione
nascosta” (1966).
G.W.F. Hegel → “Dialettica”
K. Marx → “Il Capitale”
G. Simmel → qualità di vetrina degli oggetti
W. Benjamin → passages: fenomeno che osserva nelle gallerie parigine. Gli oggetti sono presentati
in modi nuovi: il flaneur è colui che passeggia senza una meta precisa, lasciandosi coinvolgere da
ciò che osserva.
Gli

13/10/2010

Rapporto Hegel e Marx

→ In che modo o attraverso quale processo il servo, che appare la figura perdente e subordinata
nella dialettica servo-signore, diventa colui che è in una posizione privilegiata?

Attraverso il lavoro e la conoscenza delle cose che manipola; sicuramente l'indipendenza del
signore e la sua posizione di dominio è subordinata al fatto che qualcuno, cioè il servo, produca per
lui. Si potrebbe identificare il servo come un artigiano che, lavorando la materia, prende coscienza
del suo lavoro e della sua importanza; di conseguenza il rapporto viene rovesciato.
Per quanto riguarda la Fenomenologia, se ne può parlare in tre accezioni diverse:
1. quella adottata da Hegel: Φαινòμενον + λòγος (fainomenon + logos) → discorso sui
fenomeni. Di essa parla in una delle sue opere fondamentali, ossia la “Fenomenologia dello
spirito” del 1807; all'interno di quest'opera Hegel ripercorre l'esperienza dell'umanità per
descrivere le forme in cui lo Spirito si presenta. Cosa sia lo spirito per Hegel è un tema
molto dibattuto e legato al suo sistema filosofico; una parte dei suoi discepoli l'ha
identificato con la figura di Dio, altri non si sono spinti fino a questo punto. Il compito della
Fenomenologia, per Hegel, è quello di accompagnare la coscienza dai gradi più immediati a
quelli più elevati che dovrebbero portare il filosofo al riconoscimento del sapere assoluto. La
Fenomenologia nel sistema hegeliano risulta propedeutica, cioè preparatoria alla costruzione
del suo sistema filosofico.

DIALETTICA SERVO-SIGNORE

Quando si parla di dialettica in Hegel si fa sempre riferimento a tre momenti:


• TESI → essere in sé.
◦ Il signore:
▪ rispetto al servo: è autonomo e si trova in una posizione di dominio assoluto
▪ rispetto alla cosa: la nega nel senso che non è in grado di trasformarla, rielaborarla e
di trasferire alla materia una propria impronta soggettiva. Inoltre essa non può essere
oggetto di godimento e consumo da parte del signore.
◦ La cosa:
▪ rispetto al signore e al servo: è pura neutralità e autonomia perché deve ancora
essere lavorata.
◦ Il servo:
▪ rispetto al signore: è in rapporto di dipendenza perché è legato completamente a lui.
Il signore ha persino diritto di vita e di morte sul servo che, quindi, deve convivere
con la paura per la propria esistenza.
• ANTITESI → essere altro da sé
◦ Il signore:
▪ rispetto al servo: si riconosce nella coscienza del servo e viene perciò chiamata
“coscienza altro da sè”, senza la quale il signore non sarebbe consapevole di essere
padrone del servo.
▪ rispetto alla cosa: grazie al lavoro del servo il signore può annullare la cosa,
fruendone e godendo di essa.
◦ La cosa:
▪ rispetto al signore e al servo: si trasforma attraverso l'attività formatrice del lavoro,
attraverso la quale il signore può usufruire del prodotto. La cosa, impregnata della
soggettività del servo, diventa un prodotto culturale.
◦ Il servo:
▪ rispetto al signore: ha coscienza di essere subordinato al padrone. Si confronta con la
paura assoluta e la supera rendendosi conto che è indispensabile al signore, grazie
alle sue conoscenze e abilità, e quindi difficilmente lo ucciderà. Quindi attraverso il
lavoro il servo riesce a superare il momento negativo della paura.
▪ rispetto alla cosa: agisce su di essa, trasformandola in qualcosa d'altro. Facendo
questo trasferisce un elemento soggettivo su qualcosa che prima era naturale e
diverso da sé.
• SINTESI → essere per sé. Questo supera i due momenti precedenti e, quindi, è il
compimento finale.
◦ Il servo:
◦ Il signore:
◦ Il prodotto:

Una volta gli artigiani erano collocati allo steso livello e formavano una specie di cooperativa. Il
loro modello perciò era quello della produzione medievale.
Il signore si limita al consumo e perciò rimane indietro rispetto al servo. Il godimento del bene è
proprio anche dell'animale, mentre il lavoro appare essere qualcosa di specificatamente umano che
serve per realizzare la vera natura dell'uomo. E' anche uno strumento di produzione culturale;
mantenendoci fedeli al testo di Hegel, il lavoro può essere definito come una specie di desiderio che
però, a differenza degli altri che compaiono nell'uomo, è tenuto a freno e trova soddisfazione solo
attraverso vie mediate. Il lavoro come desiderio per essere soddisfatto, deve trasformare la materia;
quindi il lavoro, secondo Hegel, qualifica l'uomo rispetto ad altre specie viventi. Altri filosofi e
antropologi dicono che è come se l'uomo, attraverso l'attività formatrice e la mediazione, creasse
una seconda natura, che è la cultura. Il lavoro come azione formatrice è strumento di realizzazione
personale nel momento in cui il lavoratore è proprietario dei mezzi di produzione e può seguire tutte
le fasi di realizzazione del prodotto. Prima l'acquirente e il consumatore erano la stessa cosa e
quindi il bisogno non era indotto; con la produzione industriale e soprattutto la catena di montaggio,
il committente non esiste più ma rimane solo il consumatore. Quest'ultimo si trova di fronte prodotti
che non hanno l'impronta di un singolo individuo → è quindi spirito oggettivato solo il prodotto in
cui viene trasferita la componente personale del lavoratore.
Marx da questa dialettica servo-signore ha messo in evidenza come il lavoratore che voglia essere
indipendente e che si vuole liberare dalla subordinazione dal proprietario debba recuperare questa
forma di lavoro e diventare possessore dei mezzi di produzione. Finchè ci sarà questo rapporto di
dipendenza dove la forza lavoro viene quantificata solo in termini di tempo e di prodotti, il
lavoratore non potrà liberarsi, né usare il lavoro e l'attività formatrice come strumento di
realizzazione personale. A differenza del servo, il lavoratore non ha neanche più la consapevolezza
delle proprie capacità e perciò non ha la possibilità di liberarsi.
perché il lavoro può essere strumento culturale?
In tedesco esiste il termine Bildung, che è diverso da Kultur o Zivilisation. “Buildung” deriva dal
verbo “builder” che significa costruire, formare; tuttavia fa riferimento anche alla formazione
attraverso l'educazione. Attraverso il lavoro e la bildung l'uomo si trasforma, migliora e sviluppa
diventando altro da sé: trasferisce componenti della propria personalità nel mondo esterno anche
grazie all'uso di strumenti. La formazione viene anche intesa come mediazione, ossia come modo
per rapportarsi al mondo naturale, trasformandolo per farlo diventare cultura.
Il fare dell'uomo è una mediazione tra soggetto e oggetto dove il primo è il lavoratore e il secondo è
la materia non ancora plasmata. Attraverso la formazione il lavoratore diventa qualcosa di altro da
sé, diventando un po' oggettivo; allo stesso modo la materia in seguito all'intervento del singolo
lavoratore acquista una parte soggettiva, che non era presente nella cosa prima che fosse lavorata.
Gli strumenti sono un ulteriore mezzo di mediazione. L'animale invece ha un rapporto immediato
con la cosa e non ha bisogno di mezzi per rapportarsi con essa; sia per Marx che per Hegel la
differenza tra uomo e animale si ritrova in questa concezione del lavoro.
Simmel nell'analizzare in “Filosofia del denaro” (1900) dinamiche interne al sistema di produzione
capitalistico industriale mette in evidenza tutti gli effetti negativi, i meccanismi, il potere del denaro
come oggettivazione di uno spirito fondato sul calcolo e sulla razionalità. A differenza di Marx però
descrive anche le nuove possibilità, finora impensate, rese possibili da una società che si fonda sul
sistema del denaro. Da parte di Simmel c'è quindi la registrazione di una serie di problemi e non,
come in Marx, un giudizio univoco; inoltre ha la consapevolezza che la società è in fase di
trasformazione ma non la giudica. Marx invece condanna quel tipo di società e il sistema
capitalistico industriale mentre auspica l'abolizione della proprietà privata, della cancellazione delle
classi, della dittatura del proletariato → ha una visione teleologica (τελεϋτή = fine) della storia,
perché pone come obiettivo quello di eliminare la società di classe.
Nell'analisi di Simmel però vengono tenuti presenti anche altri livelli: gli effetti a livello
psicologico, a livello sociale, il fatto che la divisione del lavoro porti alla divisione delle facoltà
umane. Questo piano di analisi in Marx non c'è o comunque non è sviluppato allo stesso modo.
Centrale per entrambi è comunque la centralizzazione del lavoro. Per entrambi il lavoro dell'operaio
è alienante, perché egli non ha potere decisionale: non può intervenire nelle fasi di lavorazione, né
sulla materia. In più non decide i tempi di produzione e non possiede nemmeno i mezzi.
C'è una grandissima differenza tra l'importanza del lavoro per il servo nella dialettica servo-signore
e ciò che avviene nell'operaio.
Nel caso del servo lavoro diventava:
• uno strumento di realizzazione personale e della propria natura;
• di perfezionamento della propria natura in senso culturale;
• strumento di indipendenza.
Nel caso dell'operaio il lavoro è:
• forza lavoro valorizzata in quanto tempo o denaro; l'operaio è subordinato al padrone sotto
tutti gli aspetti;
• non più uno strumento di liberazione, ma di subordinazione assoluta

MOLTIPLICAZIONE DELLE MERCI


Sia Marx che Simmel hanno descritto le conseguenze dell'avanzare della merce nella vita delle
persone. ( cfr. L'avanzamento della cultura delle cose e l'arretramento della cultura delle persone
de “La filosofia del denaro”).
Per entrambi la mole di prodotti in serie con i quali l'individuo moderno deve confrontarsi cambia
completamente la situazione ideale.
La cultura soggettiva, la Bildung, è la capacità di accrescimento culturale attraverso il lavoro che
diventa attività formatrice. Anche il fruitore, che acquista un oggetto di cui ha bisogno, ha la
possibilità di intervenire su di esso. → atrofia
Invece la cultura oggettiva intesa come Bildung è strumento di realizzazione dell'uomo perché gli
permette di diventare altro rispetto alla sua mera naturalità. (per es. libri, opere d'arte...) Si ha una
moltiplicazione indistinta dei prodotti che porta a un diverso rapporto con l'oggetto lavorato; l'uomo
non riesce più a scegliere con oculatezza e perciò è lui che si trova in balia degli oggetti e spesso
sceglie quelli che lo colpiscono inconsapevolmente → ipertrofia
In un altro paragrafo, intitolato La trasformazione dei mezzi nei fini, enuclea un fenomeno
caratteristico dell'epoca moderna: un mezzo in assoluto è diventato un fine in assoluto e ha prodotto
talmente tante modifiche a livello della società occidentale da creare, per così dire, una rivoluzione
antropologica. Il mezzo-fine in questione è il denaro; Simmel mette in evidenza che il fatto di
possedere un oggetto diventa poi più importante della funzione che quello svolge. Il mezzo quindi si
sta trasformando in fine. La maggior parte dei prodotti culturali non possono essere usati per il
perfezionamento e il compimento dell'essere umano.
Es.: prima compravo il cellulare per poter chiamare qualcuno → il telefono era solo un mezzo per
svolgere una funzione. Ora invece è il telefono il fine e lo compro per una questione di moda o
semplicemente per avere quello; l'atto di telefonare viene dato per scontato.
Es.: il fatto di poter avere la luce elettrica diventa più importante delle cose che si possono vedere
grazie ad essa.

KARL MARX(1818-1883)

Se con il precedente sistema di produzione l'elemento chiave per definire il valore di un oggetto era
rappresentato dal valore d'uso da un lato e dalle caratteristiche intrinseche del materiale dall'altro,
nel sistema di produzione capitalistico industriale il valore della merce è basato sul valore di
scambio.
Il valore d'uso si basa sulla forma naturale dell'oggetto e, quindi, sulle proprietà naturali delle merci.
Quando la merce passa al sistema di produzione industriale si ha il valore di scambio. Quest'ultimo,
secondo Marx, è indipendente dalle caratteristiche fisiche dell'oggetto e si fonda sul fatto che una
merce è cambiabile con un'altra e che è stata individuata una merce per eccellenza, il denaro, che
rappresenta un corrispettivo di tutti i prodotti presenti. Esso perciò è il valore comune di scambio di
tutte le merci. Le merci inoltre esprimono posseggono ricettività solo se esprimono un'identica unità
sociale di lavoro umano (per es. il valore della sedia prodotta è proporzionato al tempo necessario
per realizzare il prodotto finale). Esso però non è necessariamente legato alla qualità; infatti quando
standardizzo la produzione mi basta sapere quanto la manodopera impiega per portare a termine il
prodotto; inoltre il valore di scambio è indipendente dai molteplici valori d'uso delle merci e in esso
tutte le qualità sensibili delle merci sono cancellate.
CARATTERE FETICISTICO DELLA MERCE: esse, anche se sono solo il prodotto (alienato
nel caso della prod. Industriale) del lavoro umano, vengono rivestite di un valore e significato che le
rende autonome. Queste qualità che l'oggetto sembra possedere come proprie, siano effettivamente
tali per l'acquirente; in realtà sono frutto dei rapporti sociali tra le persone che hanno prodotto
quell'oggetto. Tutto ciò ha un carattere negativo, come sottolinea già la scelta del termine
“feticistico” ed è completamente diverso rispetto alla qualità di vetrina di cui parlava Simmel,
perché in quest'ultima manca una connotazione negativa a priori. Marx invece evidenzia per lo più
il carattere illusorio che hanno queste caratteristiche dell'oggetto → carattere ingannevole della
merce. Il cliente non ha consapevolezza di proiettare caratteristiche proprie o delle parti coinvolte
nella produzione. Quindi il rapporto fruitore-oggetto è completamente ribaltato rispetto a quello tra
servo-cosa formata, che era presente nella dialettica servo signore; qui non c'è possibilità di Bildung
personale, manca la consapevolezza perché i valori d'uso passano in secondo piano e non sono più
utilizzati per determinare il valore complessivo dell'oggetto. “La merce non è altro che ciò che
rimane tolto un lavoro umano indistinto (perché chiunque può farlo e non realizza le capacità
personali)” La vera natura della merce, tolto il carattere feticistico, è un oggetto spogliato di questo
lavoro indistinto → situazione opposta rispetto a dialettica s-s. “Le cose diventano mero accumulo
di forza lavoro umana.” Per cercare di descrivere il carattere illusorio della merce, Marx effettua un
parallelo con quello che avviene nel mondo religioso: sia alla base della credenza del feticismo
della merce che di entità soprannaturali sta un fraintendimento; infatti si pensa che le cose diventino
cose soprasociali, ma non è vero: diventa semplicemente oggetto spogliato. Nel secondo caso i
prodotti della mente umana sono proiezioni che sono propri solo della mente ma che l'uomo, per un
fraintendimento, proietta fuori di sé come se fossero figure indipendenti.

DIFFERENZE TRA SIMMEL E MARX


Quello di Simmel è un approccio meno sistematico ma che prende in considerzione più livelli,
mentre Marx analizza essenzialmente il livello economico produttivo. Marx però non parla di tutte
le fasi: non spiega cosa accade alle merci dopo l'acquisto, né le conseguenze che esse hanno sul
compratore. Tuttavia non basta essere consapevoli del carattere feticistico della merce per evitarlo,
perché ci influenza comunque. Il sistema di produzione dovrebbe esaurirsi, secondo Marx: una
volta che la classe operaia riesca ad entrare in possesso dei mezzi di produzione.
Altro elemento di differenza tra i due filosofi è che Marx non riflette sul modo in cui si esercita la
scelta da parte del consumatore su un oggetto piuttosto che un altro. Simmel invece parla dell'idea
di divertimento, della vetrina, dei passages...
Quindi si può dire che le due teorie si possono integrare.
SAGGIO PONTE-PORTA
SIGNIFICATI TRASMESSI (noi)
PONTE PORTA
Comunicazione Suspance
Libertà Connessione
Sospensione Muro
Equilibrio Ostacolo
Collegamento Rapporto diretto
Connessione Comunicazione mobile
Relazione tra due cose
Dominio
Rapporto indiretto

SIGNIFICATI TRASMESSI (Simmel)

PONTE
• creazione solida, che deriva dal movimento e nella quale il movimento finisce
• simboleggia l'espandersi della sfera della nostra volontà sopra lo spazio
• valore estetico
• punto fermo per collegare le parti del paesaggio
• visibilmente duraturo
• un'apparizione unica, non mediata da alcuna riflessione astratta, che assume in sé il
significato dello scopo pratico del ponte e lo porta a forma visibile
• si conforma all'immagine di quest'ultima
• sentito in un paesaggio come un elemento “pittoresco”
• mette in evidenza l'unificazione
• collega finito a finito
• prescrive con certezza una direzione
• la separatezza qui appare come cosa della natura, mentre il collegamento come cosa
dell'uomo
• non fa alcuna differenza in quale direzione si percorra
• mostra come l'uomo riunifichi la suddivisione dell'essere meramente naturale
• L'UOMO E' L'ESSERE CHE COLLEGA → noi dobbiamo prima concepire spiritualmente
nella loro separatezza il mero esserci indifferente delle due rive, per poterle poi collegare
attraverso un ponte.

PORTA
• rappresenta in modo decisivo come il separare e il collegare siano soltanto due faccie (sic!)
dello stesso e medesimo atto
• cerniera tra lo spazio dell'uomo e tutto ciò che è fuori di esso
• proprio perché essa può anche venire aperta, la sua chiusura dà la sensazione di una
separatezza nei riguardi di tutto ciò che è al di là di questo spazio.
• La porta è essenziale all'uomo, pone a sé stesso un limite ma con la libertà di poterlo di
nuovo togliere
• è punto-limite: si limitano a vicenda limitato e illimite
• illimitatezza delle direzioni, numero infinito delle possibili strade
• la separatezza e il collegamento penetrano nella stessa misura nel fare dell'uomo
• indica con l'entrare e l'uscire una totale differenza dell'intenzione
• confronto con duomi romanici o gotici
• mostra come l'uomo divida l'unità uniforme e continua di questo essere
• L'UOMO E' ESSERE-LIMITE CHE NON HA LIMITE → la determinazione del suo essere-
a-casa attraverso la porta significa che egli, dall'ininterrotta unità dell'essere naturale, ha
separato un frammento. L'uomo ha la possibilità di slanciarsi in ogni momento, al di là di
fuori di questo limite, nella libertà.

Per Simmel lo scarto rispetto alla funzione d'uso, il venir meno dell'elemento di utilità e di legame
con l'esperienza pratico vitale è una caratteristica fondamentale dell'opera d'arte.

Nella finestra c'è una direzione dall'interno verso l'esterno; nel caso della porta invece le due
direzioni sono possibili allo stesso livello.
Gli elementi architettonici cambiano il valore comunicativo dell'oggetto in questione.
La parete è muta e non invita all'uscita. Nelle cattedrali la porta si confonde con essa. L'uomo
attraverso la prospettiva ha in sé una concezione del mondo di tipo preciso: il fatto che la
prospettiva faccia convergere l'attenzione dell'individuo verso il centro ha in se una visione del
mondo in cui l'uomo è al centro (antropocentrismo). → prospettiva=concretizzazione
dell'antropocentrismo.
20/10/2010

WALTER BENJAMIN

E' un autore tedesco. Nacque a Berlino; fu allievo di Simmel. Quest'ultimo ebbe più di un allievo
ma nessuno proseguì in maniera pedissequa il suo pensiero. In Benjamin ci sono tuttavia delle
caratteristiche che ne riprendono le teorie, in particolare l'attenzione al frammento come attenzione
ai nuovi fenomeni che caratterizzano la modernità. Questi fenomeni sono gli stessi su cui ha
concentrato la sua attenzione Simmel, per esempio l'esposizione universale o la qualità di vetrina
degli oggetti.
Benjamin è considerato dei membri della scuola di Francoforte ma è difficile collocarlo in una
corrente precisa. Venne a contatto sia con Horkheimer che con Adorno; pubblicò alcuni saggi sul
lavoro in ditta. L'insieme delle sue riflessioni si trova nei “Passages”(=gallerie) di Parigi: sono fatti
per lo più da citazioni di pezzi dell'epoca ma anche, ad esempio, da una guida della città di Parigi.
Altro elemento della sua osservazione che ne rende difficile la collocazione è l'analisi della
modernità attraverso opere di poeti, in particolare di Baudelaire. Questo fa sì che non venga subito
considerato né un sociologo né un filosofo, ma piuttosto una figura poliedrica. A Parigi emigra nel
1933 perché è di origine ebraica; altre caratteristiche della sua produzione è l'aspetto messianico,
cioè legate alla tradizione ebraica. Lui riesce a fare una sorta di combinazione tra questo tipo di
componenti ed il marxismo. L'interpretazione che Benjamin dà del carattere feticistico della merce
si allontana da quella data da Marx. Per quanto riguarda la componente religiosa, la figura di
riferimento è Scholem. Nel 1940 a Parigi, dove si è rifugiato in seguito alle persecuzioni razziali, si
suicida perché teme di essere consegnato ai nazisti.
L'intento della sua opera emerge appunto soprattutto dai Passages ed è la ricerca continua della
modernità. Vuole completare il lavoro iniziato da Marx mettendo in evidenza le trasformazioni che
il nuovo sistema economico ha prodotto nell'ambito della modernità; quindi la sua è più un'analisi di
superficie (no superficiale!!!!), infatti vuole mettere in evidenza le trasformazioni in atto legate a
quel sistema economico e cosa, a livello spirituale e culturale, è cambiato. Noi sappiamo che nei
termini di Marx a un determinato sistema economico corrispondono certi valori; nel caso specifico
della seconda rivoluzione industriale, la classe dominante è la borghesia. Proprio grazie al sistema
che si basa sull'accumulo del capitale, sulla proprietà privata... etc essa riesce a essere la classe
dominante. Le classi, quando sono dominate, non ne hanno coscienza perché viene sviluppata,
secondo Marx, una sovrastruttura (insieme di valori che vanno dall'arte alla religione al sistema
politico etc.) che legittimano come naturale la classe dominante come tale. In questo senso per
Marx la religione cristiana cattolica svolge un ruolo importante perché parla di obbedienza,
accettazione... “gli ultimi saranno i primi” → accetta quello che hai e non ribellarti. Quindi secondo
Marx a ogni sistema economico produttivo (struttura) corrisponde una sovrastruttura che consente
di legittimare questo stato di cose. Solo quando le altre classi prenderanno coscienza della loro
situazione, diventeranno le nuove classe dominanti; nell'ottica marxista inoltre, siccome le merci
servono esclusivamente per fare profitto e sono legate solo al valore di scambio, quando verranno
cambiati i rapporti di produzione non ci sarà più la produzione di merci ma semplicemente la
produzione di oggetti per un uso preciso. La classe dominata diventa dominatrice attraverso una
presa di potere o rivoluzione; prima di arrivare alla società comunista inoltre, vi è una fase di
passaggio chiamata dittatura del proletariato → come quando il servo capisce di essere necessario al
padrone, lotta per rivendicare i propri diritti per combattere la classe dominante. La dittatura sarà
appunto transitoria, fino a quando non si aboliranno le classi. Le fasi non possono essere saltate ed è
per questo che in Russia l'applicazione di questa teoria non ha funzionato.

Ne “Parigi, la capitale del XIX sec.” Benjamin inizia a descriverne le principali caratteristiche:

<<(...) sono un centro del commercio di articoli di lusso. Nel loro arredamento l'arte entra a
servizio del commerciante (...)>> (cit.)

Già qui, a differenza di Simmel, non parla di valori estetici, ma di arte. Il fatto che essa vada a
servizio degli oggetti di consumo e del commerciante, sembra che non gli crei problemi.
Altra caratteristica dei passages è che non stancano mai chi li osserva; << a lungo restano un
centro di attenzione per gli stranieri.>> Benjamin per descrivere cosa sono questi passages
riprende una guida illustrata di Parigi del 1852, che definisce i passages così:

<<(…) recente invenzione del gusto industriale sono corridoi ricoperti di vetro e dalle pareti
rivestite di marmo che attraversano interi caseggiati i cui corridoi sono uniti per queste
speculazioni. Sui due lati di questi corridoi che ricevono luce dall'alto si succedono i più eleganti
negozi. E' una città anzi, un mondo in miniatura. (…) >>

Questo fenomeno era già stato indagato da Simmel, che parlò di <<riproduzione in miniatura di
qualcosa in un contesto nuovo>> relativamente alle mostre d'arte: gli oggetti sono osservati da
tutti; se ne trovano accostati anche diversi provenienti da molte epoche diverse. Questo permette di
fare confronti e stabilire nuove criteri di valutazione. Le mostre d'arte per Simmel ricreavano una
situazione in miniatura simile a quella provata dall'individuo all'interno della grande città, che viene
colpito da un eccesso di stimoli che sono però temporanei perché il giorno dopo non saranno più gli
stessi. Il passage riproduce tutte le dinamiche della vita nella città; si parla di spettacolarizzazione
della merce.
Nei passage abbiamo un materiale nuovo, il vetro, che non era mai stato usato prima in architettura;
inoltre ne sono presenti altri come il marmo, che vengono associati alla struttura. Benjamin compie
anche delle osservazioni più precise: dice che nel 1822 ci sono le prime condizioni che consentono
la nascita delle gallerie. L'abbigliamento, ad esempio, se non è meramente funzionale, per essere
venduto ha bisogno di essere mostrato → sviluppo di vetrine in luoghi specifici.
Oltre al vetro anche il ferro è un materiale nuovo: prima non era mai stato usato in architettura. La
caratteristica fondamentale è che non è naturale, come la pietra, ma artificiale; viene usato
riproducendo forme già esistenti: ad esempio, viene impiegato per creare colonne, che sono
elementi tipici dell'arte classica. Il modulo base che portò poi all'utilizzo del ferro nelle costruzioni
della modernità è costituito dal binario, come dice Benjamin.
Benjamin vuole mettere in evidenza il potere comunicativo che queste nuove strutture trasmettono
nel vivere comune. Forse anche a causa di questo, le persone venivano portate a uscire dalle loro
case e a vivere nelle arterie delle metropoli; nei passages le persone hanno l'impressione di trovarsi
in un luogo a metà tra il nuovo e il familiare
Termini che associa alla descrizione dei passages:
• Compenetrazione tra casa e interiour
• Paesaggi → ciò che viene meno nella città è proprio il paesaggio naturale, proprio di chi
vive in luoghi lontani da essa. I contadini ora diventano operai e devono spostarsi nelle città,
lontano da questi paesaggi. La componente naturale che si era persa, ora si cerca di ricrearla
all'interno della città; essi si legano alla disposizione delle merci e alle vetrine.
Il cliente proietta sugli oggetti che vorrebbe comprare un'immagine di come vorrebbe essere →
pensando all'acquisizione di quegli oggetti immagina sé stesso diverso, vivendo meglio.
Nel saggio di Benjamin “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica” viene affrontato
il tema del ruolo della tecnica nelle trasformazioni dell'opera d'arte. Fondamentalmente si chiede
che cosa comporta la riproducibilità all'interno dell'opera d'arte e se è davvero un elemento
negativo. Benjamin rifiuta la concezione classica dell'arte dove la bellezza è frutto di rapporti di
armonia geometrici; sostiene che è una concezione dell'arte “fascista”.

(…) ???????????????

27/10/2010

THEODOR ADORNO (1903-1969); MAX HORKHEIMER (1895-1973)

Horkheimer (1895-1933) e Adorno sono due membri della scuola di Francoforte. Nel 1923 viene
fondato l'Istituto per la ricerca sociale ed è un po' la data di nascita della scuola di Francoforte.
Adorno studiò filosofia ma anche musica; è importante per l'estetica. Il Dr. Faustus di Thomas
Mann fonda tutta la sua filosofia estetica sugli studi di Adorno. La scuola di Francoforte ha come
patrimonio genetico la tradizione marxista, ma si propone di andare oltre la serie di dibattiti che
erano maturati all'inizio del Novecento. Uno degli elementi teorici che entra massicciamente a far
parte della scuola di Francoforte è la psicoanalisi freudiana, che arriva quindi a combinarsi con il
marxismo. Le riflessioni sociologiche e filosofiche della scuola tentano di osservare più piani:
sociologico, economico, psicologico, giuridico... etc. Perciò non si può pensare ad essa solo come al
proseguimento del pensiero marxista. Fascismo e stalinismo vengono equiparati → critica molto
forte dei sistemi totalitari indipendentemente dalla forma che essi assumono; questa critica si
estende anche all'interno della società capitalistica. Tra gli altri principali temi vi è l'analisi della
personalità autoritaria e dei fattori che hanno portato all'antisemitismo; non ritengono sia utile
andare verso una specializzazione disciplinare.
Una delle principali tesi di fondo che Adorno criticherà rispetto alla filosofia hegeliana è la
differenza tra razionale e reale; per Adorno non è affatto vero che tutto ciò che è reale è anche
razionale. Secondo lui bisogna passare attraverso una dialettica negativa, che mette cioè in evidenza
le contraddizioni del reale. Una delle opere fondamentali di Adorno si chiama appunto “Dialettica
negativa”. Dire che il reale è razionale significa accettare che ogni manifestazione della realtà ha le
sue rotture, quindi anche Auschwitz dovrebbe essere interpretato come un'antitesi. Se la filosofia
non fa altro che giustificare l'esistente, fallisce il suo compito perché non mette più in evidenza le
contraddizioni del reale. Il superamento sarebbe solo un'illusione consolatoria di cui noi abbiamo
bisogno che, però, nega la verità.
La scuola di Francoforte inoltre ha anche l'intento di trasformare la società attraverso la propria
analisi, nonostante metta in evidenza una visione piuttosto pessimistica di modificarla.
Il testo di riferimento in cui viene analizzata l'industria culturale è la “Dialettica dell'Illuminismo”,
pubblicato nel 1944 (secondo altri nel 1947) presso Einaudi. Fu scritto da Horkheimer e Adorno e in
questo testo viene criticata la ragione occidentale così come è emersa dall'affermarsi
dell'Illuminismo. Per loro l'industria culturale è uno strumento di manipolazione delle coscienze;
essa comprende tutti i prodotti concreti come le merci. L'industria culturale è l'insieme di tutte
quelle forme culturali e spirituali che caratterizzano la sovrastruttura della società capitalistica; in
essa sono quindi comprese la radio, il cinema, i mass media, gli organi di stampa, le merci, la
pubblicità... etc. ma anche le nuove forme di arte e i nuovi modi di distribuire i prodotti culturali
anche tradizionali. In quest'opera viene espressa anche una critica dell'ideologia (sovrastruttura)
capitalistica → quindi sono criticati i valori che vengono veicolati attraverso l'industria culturale per
far sì che questo sistema di produzione industriale capitalistico si mantenga. L'ideologia è quindi
l'insieme delle concezioni culturali, politiche, religiose... etc. con cui una classe dominante
giustifica i propri interessi.
Adorno e Horkheimer parlano della fase storico-culturale che culmina nell'Illuminismo, come il
periodo in cui si origina l'idea di ragione strumentale. In questo periodo infatti la razionalità si
impone sulla natura; viene intesa come fiducia incondizionata nel progresso e nella scienza. Ne “La
crisi della ragione” Horkheimer critica i limiti della ragione intesa come strumento di dominio del
mondo e della natura, diventando poi mezzo di sopraffazione degli uomini sugli altri uomini.
Secondo lui la fonte della ragione strumentale deriva dalla paura dell'io di fronte a forze ignote;
questo però lo porta a degenerare in un eccesso di fiducia in sé stesso e di sfruttamento del mondo.
Il sapere non è più unitario ma va verso la specializzazione
La psichiatria di stampo Ottocentesco e positivista che cercava di trovare attraverso farmaci e
interventi chirurgici la soluzione scientifica di un problema che poteva essere trovato
meccanicamente nel cervello o nel comportamento della persona, mise in evidenza tutti i propri
limiti. Basaglia riuscì a mostrare che il malato spesso si crea a partire da piccole differenze che non
vengono accettate a livello sociale e ingigantite fino a farle diventare patologie. La psichiatria intesa
come medicalizzazione e come individuazione di cause atipiche della malattia mentale fa
riferimento alla ragione strumentale; da Basaglia in poi si capisce che la realtà è più complessa e
che ci sono differenze che non sono per forza patologie.
Per Horkheimer e Adorno anche la considerazione del malato, visto come pura scienza, trovando
per ogni malattia una causa organica e un farmaco chimico, è una visione scientifica ma riduttiva.
Infatti l'uomo ha così ancora l'idea di poter dominare; quindi entrambi condannano la ragione
strumentale come forma di razionalità impoverita che diventa puro strumento di calcolo e controllo.
La relazione negativa, secondo Adorno, tra tecnica e industria culturale consiste nel fatto che la
tecnica (=principali forme dell'industria culturale: cinema, prodotti di svago, pubblicità, radio...)
diventa psicotecnica, cioè uno strumento di manipolazione degli esseri umani; per questo è
condannabile. Lo scopo della psicotecnica è di portare all'accettazione dell'esistente, facendo così
che i fruitori della società di massa non si rendano conto né delle contraddizioni del reale, né di
essere sfruttati; di conseguenza accettano ciò che gli capita senza capire appieno le motivazioni.
In questi due autori l'impressione è che tutto questo sia voluto dall'alto, cosa che non compariva
ancora in Simmel. Inoltre Adorno e Horkheimer mettono in evidenza una differenza tra la
precedente fase del capitalismo industriale, dove era ancora presente una libera concorrenza, e una
fase più avanzata (anni '30 in poi) dove essa è solo apparente.
Tutto questo è possibile grazie all'atrofia mentale presente in coloro che svolgono lavori ripetitivi,
perché una volta terminato il loro lavoro hanno l'esigenza di svagarsi; si divertono però attraverso
nulla di impegnativo. Lo svago viene trovato già preparato ed assomiglia a uno stordimento fisico:
le persone si divertono ma non fanno progredire le proprie facoltà né si accrescono culturalmente.
E' bene, secondo questa chiave di lettura, che la persona non si accorga di tutto questo.
L'organizzazione dello svago è funzionale al bisogno di consenso: i consumatori devono essere
contenti di essere tali e non devono accorgersi di essere oggetti anziché soggetti.
Adorno era soprattutto un musicologo e la musica dodecafonale apofonica, che nega tutti gli accordi
propri dell'armonia e reintroduce nella gamma dei suoni anche quelli che creano dissonanza,
proprio perché si distingue dalla musica comune, è difficilmente accettabile dal pubblico. Quindi se
la vera arte per lui è quella che riesce a smascherare le contraddizioni del reale senza farlo in modo
troppo evidente. Divertirsi significa “non doverci pensare; dimenticare la sofferenza anche quando
viene esposta e messa in mostra → non si può accettare. Secondo Adorno e Horkheimer se noi
prendessimo coscienza del nostro tempo libero e lo gestissimo autonomamente, inventando nuove
forme alternative di rapporto con gli altri e con l'ambiente, riusciremmo a mettere in atto quel
residuo di resistenza che ci impedisce di adattarci completamente al sistema. In realtà anche durante
lo svago veniamo assorbiti da esso e facciamo ciò che ci propina la società.
Per Benjamin il cinema era uno strumento che attraverso la politicizzazione dell'arte poteva
raggiungere grandi masse e svolgere anche un ruolo di critica sociale, mentre Adorno e Horkheimer
accusavano il cinema dell'epoca di causare il blocco delle facoltà psichico-recettive perché lo
spettatore si identifica con il film, che diventa un duplicato della realtà e come tale viene accettato.
Grazie alla massificazione istupidente dei media il sistema continua a sopravvivere nascondendo i
suoi orrori. L'altro mezzo che si utilizza per rendere i consumatori schiavi del sistema è la
pubblicità; i due autori parlano di essa come forma di “programmato incompimento dell'individuo”.
Simmel, descrivendo l'esposizione dei mestieri di Berlino del '96, metteva in evidenza come il
motivo di quest'esposizione fosse appunto il divertimento → succedersi di novità a livello di
prodotti industriali. Parlava però anche di una promessa di una soddisfazione che però veniva
sempre rimandata e mai soddisfatta. Horkheimer e Adorno invece definiscono la pubblicità come
“la propaganda di simboli illusori che l'oggetto reale non possiede”. (cfr. Marx)
I prodotti che vengono venduti promettono infatti una soluzione che però viene continuamente
dilazionata nel tempo.
Le opere d'arte per Kant dovrebbero essere indipendenti da uno scopo qualunque, disinteressate,
non subordinate a fini utilitaristici, autonome...
L'arte borghese invece deve fare riferimento a dei mecenati → cambiano soggetti e riferimenti
dell'arte; l'artista doveva comunque far riferimento a un committente; in più l'arte borghese inizia a
inserire elementi che saranno tipici del periodo dell'industria culturale, cioè la richiesta di svago e
relax. L'arte viene snaturata perché il mercato entra in essa; quindi diventa solo un altro veicolo
della ideologia dell'industria culturale. L'arte diventa feticcio (gli vengono attribuite caratteristiche
che non ha) e merce → quella serie di valori che prima possedeva, passa in secondo piano. Essa
viene subordinata quindi all'utilità. Secondo questi autori l'arte, se asservita al mercato, perde il suo
vero scopo e la sua funzionalità sociale, che sarebbe quella di provocare soddisfazione o godimento
nello spettatore, quando riesce a mettere in luce le contraddizioni dell'esistente e, quindi, ad essere
strumento di critica sociale.
L'ultimo spiraglio di resistenza si ha con Beckett nell'ambito della letteratura e con la musica
dodecafonica di Schoenberg.
La vera arte porta alla negazione del sistema sociale e del principio di utilità → deve guardare in
modo critico al reale e svelarne le contraddizioni; a fare ciò sono riuscite in parte le avanguardie
artistiche. La vera arte inoltre non deve consolare ma rivelare la verità, ossia smascherare le
contraddizioni della realtà.

3/11/2010

FRANCO BASAGLIA (1924 – 1980) - filmato

E' stato uno psichiatra italiano, riformatore della psichiatria italiana, fondatore della concezione
moderna della salute mentale.
A lui si deve l'introduzione in Italia della "legge 180/78", dal suo nome chiamata anche Legge
Basaglia, che introdusse una importante revisione ordinamentale sui manicomi e promosse notevoli
trasformazioni nei trattamenti psichiatrici sul territorio.
Già durante gli anni di studio universitario e di specializzazione in neuropsichiatria presso l'Ateneo
padovano, Basaglia tenta di integrare la rigida impostazione medica di matrice positivista, con un
nuovo approccio filosofico di stampo fenomenologico-esistenziale. Egli è alla ricerca di nuovi
strumenti di validazione funzionali alla nuova idea psichiatrica che gradualmente sta maturando in
lui proprio grazie alle letture filosofiche.

Impostazione positivista e fenomenologica in psicologia


Basaglia supera la semplice visione positivista, facendo proprie istanze di una visione
fenomenologica della psichiatria:
• Secondo l'impostazione positivista, i sintomi della malattia vengono considerati "dati
oggettivi", "fatti" osservati empiricamente, per classificare in modo oggettivo la malattia,
ipotizzare una eventuale prognosi, con un approccio non dissimile al metodo di osservazione
tipico delle scienze naturali.
• Secondo l'impostazione fenomenologica, la psichiatria non può ridurre il malato ad una serie
di sintomi classificati, sebbene la loro osservazione e la loro descrizione dettagliata
rimangano strumenti preziosi. Il paziente non si può osservare solamente dall'esterno, poiché
la psiche umana è decisamente più complessa e misteriosa, la psichiatria non deve
“oggettivizzare” il malato in una diagnosi.
Basaglia sostiene che il medico non deve solo saper osservare la malattia, soffermarsi sui suoi
sintomi, pretendere di darne una spiegazione. Il medico deve anche saper avvicinare il paziente
mettendosi dalla sua parte, stabilire una relazione con un ascolto attento e partecipe senza temere
l'esperienza dell'immedesimazione e della sofferenza. Lo psichiatra avvicinandosi al paziente deve
prendere in carico tutta la persona, il suo corpo e la sua mente, il suo essere nel mondo e dunque la
sua storia e la sua vita.

«Comprendere significa avvicinarsi all'esperienza vivente nei suoi stessi termini, mobilitando non il
semplice intelletto, ma tutte le capacità intuitive del nostro animo, per penetrarne l'intima essenza
senza ridurla ad ipotesi casuali precostituite.»
Basaglia prende sempre più coscienza che gli insegnamenti dei diversi modelli si integrano nella
concezione della dimensione corporea come prioritaria, sulla quale il lavoro della psichiatria deve
affondare i propri strumenti, proprio in ragione della natura specifica del corpo stesso.
Egli matura l'urgenza di migliorare la gestione e la custodia dei malati mentali. Da questa analisi
teorica parte la critica radicale dell'istituzione del manicomio, come luogo di emarginazione e non
di cura, e il perentorio mandato di ridare dignità al malato in quanto persona, fuoriuscendo
dall'etichettamento della malattia.
Basaglia si convince che il folle ha bisogno non solo delle cure per la sua malattia, ma anche di un
rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di
tutto ciò di cui anche i medici che lo curano hanno bisogno. Insomma il folle non è solamente un
malato, ma un uomo con tutte le sue necessità. Trattato come uomo, il folle non presenta più una
"malattia", ma una "crisi", una crisi vitale, esistenziale, sociale, familiare che sfugge a qualsiasi
"diagnosi" utile solo a cristallizzare una situazione istituzionalizzata.
Basaglia si occupa da psicopatologo della malattia mentale con la preoccupazione di salvaguardare
la soggettività del malato di fronte alla violenza del sapere psichiatrico e di riscoprire la dimensione
più misteriosa, e dunque più particolare, dell'essere umano. La follia non è malattia. L'analista deve
restare in ascolto dell'altro e spogliarsi d'ogni certezza, per poter far questo, avverte sempre più
pressante la necessità di operare una sospensione, una epoché, di tutte le categorie sclerotizzate per
poter ridare parola al paziente. Il pensiero esistenziale e fenomenologico eviscerato in questi anni di
studio gli dà anche un'altra certezza: non si può trasformare il mondo senza trasformare se stessi,
senza esporsi al rischio di diventare altri da ciò che si è.

(wikipedia)

TOMÁS MALDONADO (Buenos Aires, 1922)

E' un filosofo, pittore, disegnatore argentino. Negli anni '50 si trasferisce in Germania e diventa
docente a Ulm presso la Hochschule für Gestaltung (Scuola superiore per la formazione); ha
insegnato pure al Politecnico di Milano. Sottolinea molto la valenza politica di ogni intervento
sull'ambiente → anche nel design non appoggia incondizionatamente ciò che la tecnica produce.
La produzione di Maldonado è molto ampio ed è distribuito in diversi sagg e riviste: “La speranza
progettuale. Ambiente e società”, “Disegno industriale: un riesame”, “Il futuro della modernità”,
“Avanguardia e razionalità”.
In generale emerge, secondo lui, che bisogna superare la concezione isolazionistica della tecnica,
cioè l'idea di poter parlarne come di qualcosa a sé stante. A suo avviso occorre avvalersi di un
metodo pluridisciplinare che faccia riferimento a riflessioni filosofiche di antropologi e sociologi
della tecnica; alla fine di un percorso che crea in uno dei suoi saggi, emerge che questo dualismo tra
mondo e τήχνη in realtà non esiste perché si ha una compenetrazione continua tra natura e artificio.
Tra gli esempi che porta c'è quello delle protesi, che ormai consentono una fusione tra ciò che è
organico e ciò che non lo è; esse non possono più essere considerate solo un prodotto della tecnica
perché entrano nel corpo umano e si integrano con esso. Nel saggio “Arte e Industria” del 1992
invece, Maldonado affronta il tema dell'artificialità o meno dei prodotti industriali e si sofferma
sulla questione se la componente atipica sia o meno un elemento indispensabile e qualificante del
prodotto industriale. Prima di rispondere a questo, Maldonado compie un excursus storico-culturale
in cui dice quali sono state le prime risposte da parte degli intellettuali che tra la fine del XIX e gli
inizi del XX sec si sono soffermati su questi temi.
Gli oggetti industriali hanno un valore artistico?
Maldonado mette in evidenza almeno tre atteggiamenti che sono emersi dal dibattito storico-
culturale:
• una prima visione del rapporto tra tecnica e prodotti industriali è quella che vedeva nelle
macchine delle generatrici di mostri, che sono i prodotti di largo consumo, non più
irriproducibili e unici come quelli pre-rivoluzione industriale. Ci sono almeno due esponenti
di rilievo: Jhon Malcovich e William Morris; accanto a loro anche il pittore e poeta William
Blake e il sociologo Herbert Spencer. Tutti loro portano avanti una grande critica nei
confronti delle macchine e della produzione meccanizzata che viene vista come una
mancanza di gusto. Quindi condannano la volgarità e la bruttezza degli oggetti tecnici;
• nella Germania tra XIX e XX sec si cerca invece di porre rimedio ai limiti riscontrati negli
oggetti industriali attraverso un addomesticamento delle macchine ottenibile grazie all'arte.
Questa visione riunisce figure come Henry Van De Velde (1863-1957), Hermann Muthesius
o ancora Peter Beherens. Tutti questi autori vedono come possibile e auspicabile un
connubio tra arte e industria, che può venire in due modi per loro:
1. attraverso le arti applicate;
2. rispetto a quella precedente, si accettano i nuovi sistemi di produzione e l'apporto
positivo delle macchine, ma i valori estetici devono essere nuovi. Essi si fonderanno per
esempio sulla funzionalità o sulle peculiarità tecniche derivanti dai nuovi materiali
impiegati. Beherens e Gropius ne sono i maggiori esponenti.
Essi ammettono l'uso di nuovi materiali e la produzione in serie ma gli elementi artistici
vengono ancora desunti dalle precedenti forme architettoniche
• i futuristi italiani, primo tra tutti Marinetti, esaltano senza condizioni l'industria; il
programma comune è quello di portare l'arte ad essa.

Maldonado dice che “l'industrial design è un fenomeno nuovo. Non si può parlare di industrial
design come una prosecuzione negativa o positiva dell'arte o dell'architettura. E' un fenomeno
diverso.” A suo avviso alla radice degli errori interpretativi degli storici vi è un abuso perchè non
sempre si può chiamare l'industrial designer, artista. E' come se Maldonado suggerisse che per la
fabbricazione dei beni di lusso attraverso l'industrial design è ancora possibile trovare dei valori
estetici o una componente artistica, ma accanto ad essi c'è tutto un insieme di oggetti che non
possono né essere considerati artistici nè essere ignorati. Maldonando non nega la presenza di un
fattore estetico all'interno dei prodotti dell'industrial design ma sottolinea che esso è uno solo tra i
vari fattori e non è nemmeno quello decisivo → chiedersi se il design è arte non è nemmeno
sensato. Per lui il valore dell'industrial design è presente a priori e, quindi, non è subordinato alla
presenza di una componente artistica o estetica.
Tutta questa polemica che emerge nasce da una domanda in apparenza banale che Maldonado si
pone all'inizio del suo saggio: industrial design si traduce in francese come Esthétique industrielle,
ma è giusto? E da dove nasce questa traduzione? Quali motivazioni ha? → problema linguistico
Per Maldonado l'uomo, dovendo preservarsi, ha bisogno di protesi, che possono essere:
• motorie: bici, auto...etc.
• Sensoriali-percettive: occhiali, microscopio, cannochiale...
• intellettive: computer

GILLO DORFLES (1910)

E' storico, critico d'arte e pittore italiano. La sua formazione non ha nulla a che fare con l'estetica,
infatti si specializzò in psichiatria; tuttavia la sua passione lo spinse nella direzione dell'arte. Dal
1969 infatti occupò varie cattedre di estetica nelle università di Milano, Cagliari ed Este. La
maggior parte dei suoi saggi furono dedicati a questioni di carattere estetico e alla sociologia delle
arti.
Dorfles afferma il valore artistico degli oggetti industriali; secondo lui si può parlare di design
industriale solo dopo la rivoluzione industriale e non si può nemmeno parlare di design industriale
per un prodotto artigianale. Un prodotto di design per essere tale deve:
• essere prodotto attraverso le macchine;
• poter essere ripetibile → produzione seriale;
• avere un grado di esteticità, che può essere maggiore o minore;
• avere una componente estetica nella fase di progettazione
La componente artistica non ha più sede nel lavoro manuale ma nella progettazione → superamento
della concezione precedente che vedeva solo nell'intervento manuale una possibilità di una
componente artistica. Secondo Dorfles, rispetto ai precedenti autori, la componente utilitaristica non
è più indispensabile, pur essendo presente; sostiene che gli oggetti ascrivibili all'industrial design
occupano la quasi totalità degli elementi della nostra vita quotidiana. Infatti essi rispondono quasi
tutti alle caratteristiche sopra elencate.

Sia per Dorfles che per Maldonado è fondamentale il ruolo delle macchine. Tuttavia per il primo il
fattore estetico è una componente degli oggetti dell'industrial design, per il secondo invece no.
Siccome Maldonado parla di oggetti che non possono essere anche opere d'arte, la sua concezione
d'arte può essere definita idealizzata.

10/11/2010

EDWARD TWITCHELL HALL (1914-2009)

E' stato un antropologo statunitense che si è occupato prevalentemente di prossemica. Ha scritto


"The hidden dimension", 1966, (prima edizione Doubleday & Co. Inc.,New York) edito in italia
dalla casa editrice Bompiani , 1968, con il titolo "La dimensione nascosta". In questo libro
introduce alla prossemica, osserva i comportamenti degli animali e delle persone ed elabora questo
saggio dove mette in luce tutte le sue deduzioni. Altro suo titolo "Il linguaggio silenzioso".
Nel suo studio, egli ha individuato quattro distanze, che delimitano altrettante "zone", di
comunicazione:
1. la zona intima, tra 0 e 45 cm;
2. la zona personale, tra 45 e 120 cm;
3. la zona sociale, tra 120 e 350 cm;
4. la zona pubblica, oltre i 350 cm;

Nel libro "La dimensione nascosta", Hall osservò che la distanza alla quale ci si sente a proprio agio
con le altre persone vicine dipende dalla propria cultura: i sauditi, i norvegesi, gli italiani e i
giapponesi hanno infatti diverse concezioni di vicinanza.
Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si
tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove
la distanza che gli appartenenti alle diverse caste devono mantenere fra di loro è rigidamente
stabilita, quando gli individui della casta più bassa (paria) incontrano i bramini, la casta più elevata,
debbono tenersi a una distanza di 39 metri.
Altra differenza è quella tra i sessi, i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece
le femmine di fronte.
Particolare rilevanza ha acquistato anche la prossemica dell'ascensore: ad esempio gli europei in
ascensore si pongono a cerchio con la schiena appoggiata alle pareti, mentre gli americani si
pongono in fila con la faccia rivolta alla porta.

(wikipedia)

Differenze con il mondo arabo:


• parlano ad alta voce
• hanno distanze ravvicinate → Hall svolse studi su questo
• sopportano forti odori
• guardano dritto negli occhi → a noi sembra un segno di sfida

Arabi-Occidentali
Nel mondo arabo non esiste il concetto di spazio vitale: la distanza che per loro sarebbe naturale
con persone che conoscono, a noi dà fastidio.
Hall cerca di portare a termine un confronto più sistematico tra i diversi mondi sensoriali delle
diverse culture; le sedie di Mies Van Der Rohe fanno riferimento a concetti di spazio
semideterminato.

Europei-Americani
Gli Europei concedono più tempo alle relazioni personali mentre gli Americani sono preoccupati
dal tempo, in particolare dall'orario di lavoro. Per quanto riguarda gli spazi invece, gli Americani
sono più flessibili e meno attenti → gli elementi dell'arredamento non sono rigidamente fissati e
non devono rimanere in una posizione invariabile.

Tedeschi
Le porte aperte per i tedeschi sono percepite come un esempio di sciatteria. Le case tedesche sono
isolate acusticamente perchè c'è la necessità di non essere disturbati dai rumori dei vicini.

A proposito dell'auto Hall dice che a Los Angeles il 60-70% dello spazio è dedicato ad essa; isola
dall'ambiente e riduce i rapporti relazionali.

1/12/2010

Hall mette in evidenza come le strutture della città influenzano il comportamento delle persone;
prende quindi in esame la disposizione a stella radiante e quella a griglia. Tipica delle città
spagnole e francesi, la prima trova la sua esemplificazione nelle città medievali; è presente un
centro in cui ci sono i luoghi per eccellenza adibiti all'integrazione sociale. Attorno si sviluppano
delle zone a corona. Lo schema a griglia invece è stato introdotto dai romani (cfr. cardo e
decumano) e si è poi sviluppato in Inghilterra; non c'è un centro → equità sociale, infatti a livello
geometrico non c'è un punto che ha maggior rilievo rispetto agli altri. In questo modo si possono
sviluppare diversi centri nella città.
L'autore sottolinea poi come, nell'arredamento interno, gli occidentali attaccano i mobili alle pareti,
mentre i giapponesi, al contrario, li pongono al centro della stanza. Inoltre parla dei giardini
giapponesi, che sono sempre molto curati, di modo tale da poter coglierne aspetti sempre diversi.
Mentre gli Americani quando parlano vanno sempre dritti al punto, i giapponesi invece non lo
trattano mai, non per mancanza di pragmatismo, ma perchè se no non si tratta con la dovuta
attenzione il tema trattato.
Noi abbiamo muri divisori nei locali e sorpassiamo le auto per strada, mentre ai giapponesi questo
non accade.
Inoltre gli americani, al contrario degli arabi, pensano che per isolarsi dagli altri bisogna stare in una
stanza senza altre persone; gli arabi invece, anche in mezzo alla folla, riescono a isolarsi
mentalmente anche se non fisicamente. Come gli arabi, anche gli inglesi riescono a fare questo,
perchè fin da piccoli sono abituati a stare in case molto affollate.
ANSA DEL VASO
MODA

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