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Materiale di studio WORKSHOP verso una societ dei beni comuni

Oltre la crisi. Dalla vittoria dei referendum del 12 e 13 giugno alla sfida per la giustizia sociale e ambientale. Workshop di autoformazione con Giuseppe De Marzo e Marica Di Pierri di A Sud

TILT CAMP 3 settembre 2011 ore 16.00


a cura di A Sud www.asud.net

Testi consigliati Buen Vivir


Per una nuova democrazia della Terra
di Giuseppe De Marzo Ed. Ediesse 2009 ISBN 978-88-230-1386-5

La societ dei Beni Comuni


Una rassegna
AA.VV. a cura di Paolo Cacciari Ed. Ediesse 2010 ISBN 978-88-230-1527-2

Ecologia dei poveri


La lotta per la giustizia ambientale
di Joan Martinez Alier Ed. Jaca Book 2009 ISBN 978-88-164-0840-1

Futuro sostenibile
Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa
Wuppertal Institut, a cura di Wolfgang Sachs, Marco Morosini Ed. Ambiente 2011 ISBN 978-88-6627-001-0

Elenco documenti (allegati in cartella zippata)


World Watch Institute
(State of the World) SOW 2009: Building resilience SOW 2010: Consumers culture SOW 2010: Social movements

SOW 2011: Moving eco-agriculture into the mainstream

Documenti e posizioni dei movimenti italiani


- Percorso fondativo del Forum Italiano dei movimenti per l'acqua - Documento della prima assemblea post referendaria verso il Forum Italiano per l'Energia - Manifesto di RIGAS, Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale - Proposte di RIGAS verso Durban, per la Giustizia Climatica

Studi / ricerche
- Ricerca A Sud/CDCA sul TAV in Val di Susa (2009) - Ricerca A Sud/CDCA sulla Crisi dei Rifiuti in Campania (2009) - Ricerca A Sud: Modelli di partecipazione a confronto Bolivia-Italia (2011)

Clima
- Abstract Report IPCC (2010) - Report IOM sui migranti ambientali (2008)

Articoli e saggi Economia scalza. Intervista a Max Neef


Amy Goodman ha incontrato a Bonn, in Germania, il famoso economista cileno Manfred Max-Neef. Presentiamo di seguito lintervista, di cui loriginale, in lingua inglese si trova nella pagina di Democracy Now, che ringraziamo per lautorizzazione a tradurre questa conversazione. Manfred Max-Neef ha vinto nel 1983 il Right Livelihood Award, due anni dopo la pubblicazione del suo libro Economia Scalza, Segnali di un Mondo Invisibile. Leconomista comincia spiegandoci il concetto di economia scalza. Manfred Max-Neef: Bene, si tratta di una metafora, per una metafora che ha avuto origine da unesperienza concreta. Ho lavorato per circa dieci anni della mia vita in aree di povert estrema, nella sierra, nella giungla, in aree urbane in varie parti dellAmerica Latina. Al principio di questo periodo, un giorno mi trovavo in una comunit indigena nella sierra del Per, era una giornata orribile, aveva piovuto per tutto il tempo. Era una zona molto povera e davanti a me vi era un altro uomo, fermo nel fango (non nel quartiere povero ma nel fango). E, bene, ci siamo guardati. Era di bassa statura, magro, affamato, disoccupato, cinque figli, una moglie e una nonna. Io ero il raffinato economista di Berkeley, che insegnava a Berkeley, ecc. Ci siamo guardati faccia a faccia e presto mi sono reso conto che non vi era nulla di coerente da dire, in queste circostanze, a quelluomo; tutto il mio linguaggio da economista era inutile. Avrei forse dovuto dirgli che doveva rallegrarsi perch il prodotto interno lordo era salito del 5%, o qualcosaltro di questo genere? Tutto era completamente assurdo. Dunque scopr che non possedevo un linguaggio per questo ambiente e che dovevamo inventare un linguaggio nuovo. Questa lorigine della metafora economia scalza che, in concreto, simbolizza leconomia che un economista deve usare quando si arrischia nei quartieri poveri. Il punto che gli economisti studiano e analizzano la povert dai propri uffici lussuosi, hanno tutte le statistiche, sviluppano tutti i modelli e sono di conoscere tutto quello che c da sapere sulla povert. Tuttavia non capiscono cosa sia la povert, e questo costituisce un grande problema ed anche il motivo per cui la povert continua ad esistere. Questo incontro cambi completamente la mia vita come economista: inventai un linguaggio coerente per queste condizioni di vita.

Amy Goodman: E qual questo linguaggio? Come applichi un sistema economico o fai in modo che le circostanze spieghino questi cambiamenti? Manfred Max-Neef: No, la questione molto pi profonda. Mi spiego, non si tratta della tipica ricetta che ti d qualcuno del tuo paese, in cui ti dice le garantiamo quindici lezioni o la restituzione del denaro. Non questo il punto, te lo propongo sotto unaltra forma: abbiamo raggiunto un livello nella nostra evoluzione in cui conosciamo molte cose, sappiamo moltissimo per comprendiamo molto poco. Mai nella storia dellumanit si assistito a un tale accumulo di conoscenza come negli ultimi cento anni e guarda come stiamo. Perch la conoscenza non ci servita? Lessenza nel fatto che la conoscenza di per se stessa non sufficiente, ci manca la comprensione. La differenza tra conoscenza e comprensione te la posso spiegare attraverso un esempio: pensiamo che tu abbia studiato tutto quello che puoi studiare da una prospettiva teologica, sociologica, antropologica, biologica, biochimica e su un fenomeno umano chiamato amore. Il risultato che tu saprai tutto sullamore ma presto o tardi ti accorgerai che non potrai mai comprendere lamore se non innamorandoti. Cosa significa questo? Che puoi solo aspirare a comprendere quello che viene a formarne parte. Come dice la canzone: se ci innamoriamo, siamo molto pi di due. Quando appartieni, capisci. Quando sei separato, solo accumuli conoscenza e questa stata la funzione della scienza. Ora la scienza si divide in parti ma la comprensione completa, olistica e questo quello che succede con la povert. Io ho compreso la povert quando mi recai l; ho vissuto con loro, ho mangiato con loro e ho dormito con loro. Allora cominci a capire che in questo ambiente ci sono dei valori differenti, e diversi principi confrontati con quelli che esistono l da dove tu provieni e ti rendi conto che puoi apprendere cose meravigliose dalla povert. Quello che ho imparato dai poveri supera ci che avevo appreso alluniversit. Tuttavia poche persone hanno questopportunit, ti rendi conto? Loro vedono la povert da fuori al posto di viverla da dentro. Capisci cose straordinarie. La prima cosa che impari e che coloro che vogliono migliorare il sistema di vita dei poveri non sanno, che dentro la povert c molta creativit. Non puoi essere un idiota se vuoi sopravvivere, devi passare ogni istante pensando, Cosa faccio ora? Cosa posso fare qua? Cos questo e questaltro e questaltro ancora? Cos la creativit deve essere costante. In oltre, vi sono i contatti, la cooperazione, il mutuo aiuto e tutta una gamma di cose straordinarie che non si incontrano nella nostra societ dominante che individualista, avara, egoista, ecc. Totalmente lopposto di quello che si incontra l. Ed sorprendente perch a volte ti imbatti, tra i poveri, in gente pi felice di quella che potresti incontrare nellambiente a cui appartieni. Questo significa che la povert non solo una questione di denaro. qualcosa di molto pi complesso. Amy Goodman: cosa credi che dovremmo cambiare? Manfred Max-Neef: oh, quasi tutto. Siamo drammaticamente idioti. Agiamo sistematicamente contro le evidenze. Sappiamo esattamente ci che non dobbiamo fare. Non esiste nessuno che non lo sappia, soprattutto i grandi politici, sanno esattamente quello che non si deve fare. Eppure lo fanno. Dopo quello che accaduto nellottobre 2008, penseresti che cambieranno qualcosa perch si sono resi conto che il modello economico non funziona, che vi un alto livello di rischio, drammaticamente rischioso. E uno si chiede: qual stato il risultato dellultima riunione della Comunit Europea? Ora sono pi fondamentalisti che in precedenza. In questo modo lunica cosa di cui possiamo essere sicuri che una nuova crisi sia gi imminente e che sar doppiamente forte di quella attuale. Tuttavia per allora non ci sar sufficiente denaro. Queste sono le conseguenze della sistemica stupidit umana. Amy Goodman: se tu fossi alla guida delleconomia, cosa faresti per evitare unaltra catastrofe? Manfred Max-Neef: per prima cosa nulla, abbiamo bisogno di nuovi economisti colti, che conoscano la storia, da dove vengono, come si originarono le idee, chi ha fatto cosa e cos via. In secondo luogo, uneconomia che comprenda che sottosistema di un sistema finito pi grande: la biosfera, e come conseguenza limpossibilit

di avere una crescita economica infinita. In terzo luogo, un sistema che abbia chiaro che non pu funzionare senza tenere in conto lecosistema. Gli economisti, tuttavia, non sanno nulla di ecosistemi, non sanno nulla di termodinamica, nulla di biodiversit, sono totalmente ignoranti nei confronti di questi temi. Un economista deve aver ben chiaro che se gli animali spariscono anche lui scomparir perch non avr di che mangiare. Ma non sa che dipendiamo totalmente dalla natura, ti rendi conto? Tuttavia per gli economisti di oggi la natura costituisce un sottosistema delleconomia, concetto totalmente assurdo! Inoltre dobbiamo avvicinare il consumatore alla produzione. Io vivo bene nel sud del Cile, una zona fantastica, dove abbiamo tutta la tecnologia per lelaborazione di prodotti latticini di massima qualit. Qualche mese fa stavo facendo colazione in un hotel e mentre prendevo un pacchettino di burro ho scoperto che veniva dalla Nuova Zelanda, non ti sembra assurdo? E perch succedono cose del genere? Perch gli economisti non sanno calcolare i costi reali. Portare burro da un luogo che dista 20.000 chilometri a un luogo che ne produce uno migliore, con il pretesto che sia pi economico una stupidit esorbitante perch non tiene in conto limpatto che causano questi 20.000 chilometri di trasporto sulla natura. Come se fosse poco, pi economico perch sovvenzionato. Si tratta di un chiaro caso in cui i prezzi non ci dicono la verit. Tutto nasconde un trucco, sai? Questi inganni provocano dei danni enormi. Se avvicini il consumo alla produzione, mangerai meglio, avrai alimenti migliori e saprai da dove vengono. Potresti anche arrivare a conoscere la persona che lo produce. Si umanizza il processo, ma oggi quello che gli economisti stanno facendo totalmente disumanizzato. Amy Goodman: Cosa hai imparato dalle comunit povere in cui hai vissuto e lavorato che ti d speranza? Manfred Max-Neef: la solidariet della gente, il rispetto per gli altri, il mutuo aiuto; lassenza di avarizia, un valore inesistente tra la povert e uno sarebbe incline a pensare che proprio l sia maggiormente presente, che lavarizia dovrebbe essere patrimonio di coloro che hanno meno. Invece no, al contrario, quando pi hai pi vuoi; la crisi attuale il prodotto dellavarizia. Lavarizia il valore dominante del mondo attuale. Finch persiste, siamo finiti. Amy Goodman: Quali sono i principi che insegneresti ai giovani economisti? Manfred Max-Neef: I principi delleconomia devono essere fondati su cinque postulati e un valore essenziale. Primo: leconomia esiste per servire le persone e non le persone per servire leconomia. Secondo: lo sviluppo si riferisce alle persone, non alle cose. Terzo: crescita non sinonimo di sviluppo e lo sviluppo non richiede necessariamente crescita. Quarto: non pu esistere uneconomia con un ecosistema logorato. Quinto: leconomia un sottosistema di un sistema maggiore e finito: la biosfera. Per tanto la crescita permanente impossibile. E il valore fondamentale per poter consolidare una nuova economia che nessun interesse economico, in nessuna circostanza, pu essere posto in cima al rispetto per la vita. Amy Goodman: Spiega ci che hai appena finito di dire. Manfred Max-Neef: Nulla pu essere pi importante della vita. E dico vita, non esseri umani, perch per me il punto chiave il miracolo della vita in tutte le sue manifestazioni. Ma se predomina linteresse economico uno, non solo si scorda della vita e degli altri esseri viventi, ma finisce anche per ignorare gli esseri umani. Se riguardi questa lista che ho appena menzionato, uno ad uno i suoi punti, vedrai che quello che abbiamo ora esattamente il contrario. Amy Goodman: Torniamo al terzo punto, crescita e sviluppo, spiegaci meglio.

Manfred Max-Neef: Crescita unaccumulazione quantitativa. Sviluppo la liberazione delle possibilit creative. Tutto il sistema vivo della natura cresce e a un certo punto smette di crescere, tu gi non stai crescendo pi, nemmeno lui e nemmeno io. Per stiamo continuando a svilupparci, altrimenti non staremmo dialogando al momento. Lo sviluppo non ha limiti ma la crescita s. Questo un concetto molto importante che politici ed economisti ignorano, ossessionati dal mito della crescita economica. Ho lavorato per decenni e in questo periodo sono stati condotti molti studi. Sono lautore di una famosa ipotesi: lipotesi del limite, secondo la quale in tutta la societ vi un periodo di crescita economica inteso convenzionalmente o no- che porta a una migliore la qualit di vita ma solo fino ad un certo punto: il punto limite, a partire dal quale, se vi ulteriore crescita, la qualit della vita inizia a deteriorarsi. Questa la situazione in cui ci incontriamo attualmente. Il tuo paese lesempio pi drammatico che si possa incontrare. Nel mio libro che sar pubblicato il prossimo mese in Inghilterra, intitolato Leconomia smascherata vi un capitolo chiamato Stati Uniti, una nazione in via di sottosviluppo che costituisce una nuova categoria. Attualmente maneggiamo i concetti di sviluppo, sottosviluppo e in via di sviluppo. Ora abbiamo il nuovo concetto di in via di sottosviluppo e il tuo paese ne costituisce lesempio migliore, in cui l1% degli americani sta sempre meglio, meglio e meglio, mentre il 99% in declino in ogni tipo di manifestazione. Ci sono persone che vivono nella propria automobile, sai? Ora dormono nella propria macchina, parcheggiata davanti a quella che un tempo era la propria casa. Migliaia, milioni di persone hanno perso tutto, ma gli speculatori, coloro che hanno originato tutto questo problema, loro stanno fantasticamente bene. Loro non hanno problemi. Amy Goodman: Dunque, come cambieranno le cose? Manfred Max-Neef: Bene, non so come cambiarle. Da sole cambiano, ma in maniera catastrofica. Per me non sarebbe strano se da un momento allaltro, milioni di persone uscissero nelle strade degli Stati Uniti devastando tutto. Non so, ma potrebbe accadere. Non lo so. La situazione assolutamente drammatica e si suppone che siabi il paese pi potente della terra. E anche in queste condizioni, seguono con le loro guerre assurde spendendo bilioni o trilioni di dollari. Tredici trilioni di dollari per gli speculatori e nemmeno un centesimo per le persone che perdono la propria casa. Che tipo di logica questa? Traduzione di Anna Bianchi *** Dal libro BUEN VIVIR per una nuova democrazia della Terra di Giuseppe De Marzo, Edizioni Ediesse 2009

CAPITOLO V Linguaggi e pratiche per costruire un nuovo orizzonte


Giustizia sociale, mutualismo e valorizzazione delle diversit Abbiamo visto come lecologismo dei poveri, lecologismo popolare, lecologia della liberazione, i movimenti per la giustizia ambientale, rappresentino maniere distinte per individuare e definire lo stesso campo di azione. Un campo determinato dalle conseguenze dellappropriazione, da parte di soggetti privati o dello Stato, delle risorse ambientali comunitarie e dallimpatto dellinquinamento e dei rifiuti originati dal modello di produzione e consumo della societ capitalista. Quello che identifica maggiormente il campo dellecologismo dei poveri per un altro elemento, che di per s lo caratterizza e distingue rispetto allanalisi ed alle pratiche dei movimenti cosiddetti conservazionisti, o protezionisti. Gli elementi distintivi su cui si sviluppano le risposte di questi movimenti sul piano ambientale partono da un forte bisogno di giustizia sociale e di difesa della diversit, intesa come ricchezza in tutte le sue forme. Il

motore unidea altra delle relazioni e delle regole economiche a cui vengono imputate le crisi nelle quali siamo tutti immersi, anche se con sfumature e tempi di coinvolgimento diversi. In alcuni casi questi movimenti sono stati accusati di soffrire della sindrome di NIMBY, che sta per not in my back yard e cio non nel mio cortile di casa. In realt le nuove soggettivit affermano invece che lingiustizia, o il megaprogetto, o lo sfruttamento intensivo di una risorsa, o il commercio ineguale, o i rifiuti tossici, o la distruzione dei diritti di cittadinanza, non li si vuole in nessun cortile di casa. Non basta spostarli in un villaggio o in un paese lontano per tacitare limpegno o le rivendicazioni portate avanti. Quello che questi movimenti vogliono che la giustizia sociale sia uguale per tutti e tutte, in qualsiasi luogo del mondo. I movimenti indigeni latinoamericani sono in tal senso un esempio emblematico di un approccio universale alle rivendicazioni sociali. Non si accontentano e non partono esclusivamente dalle loro lotte e resistenze, ma riescono sempre ad utilizzare un linguaggio ed una narrazione che offre un approccio interdipendente e complessivo del problema. Cercano di parlare a tutti e tutte in un perimetro pi ampio della singola rivendicazione particolare di un territorio o di una comunit. Costruiscono alleanze, criticano il modello di sviluppo nel suo complesso, propongono soluzioni globali e costruiscono reti fondate su un forte sentimento di giustizia sociale ed ambientale. Dinamiche che creano in maniera naturale patti mutualistici tra soggetti diversi e spesso geograficamente molto distanti, che condividono lo stesso spirito e solidarizzano non solo in termini di empatia ma sulle prospettive politiche e sulla necessit di un cambiamento complessivo dei modelli di sviluppo. Anche la realt italiana ricca di questi fermenti sociali. Molte delle comunit, o dei paesi, o delle citt, che sono state interessate da conflitti ecologici distributivi hanno costituito patti di mutuo soccorso tra loro, non solo per sostenersi a vicenda ma per creare un terreno comune di prospettiva e di alternativa. Tra queste vi sono le reti, i paesi e le comunit contrarie alla costruzione del mega ponte sullo stretto di Messina; le comunit ed i popoli della montagna, come nel caso dei No TAV, che si battono contro la costruzione del treno ad alta velocit in Val di Susa; ai cittadini e le cittadine del movimento No dal Molin impegnati ad impedire la costruzione della pi grande base militare statunitense in territorio italiano, nel centro della citt di Vicenza, che servir come avamposto per il controllo sullAfrica; interi paesi e comunit che insieme ai loro municipi si oppongono alla realizzazione di impianti di incenerimento dei rifiuti, come nel caso della Campania; reti di cittadini e comitati impegnati contro la costruzione di centrali a carbone ed a turbo gas come nelle citt di Civitavecchia ed Aprilia, oppure impegnati a impedire che il loro territorio venga trasformato in una discarica di rifiuti, come a Serre in Campania o in altre realt delle zone di Caserta e Salerno. Sono tutti nuovi soggetti della politica che hanno ampiamente dimostrato linutilit economica e sociale di questi megaprogetti e dei processi di privatizzazione dei beni comuni, svelandone gli impatti negativi in termini ambientali, economici e culturali, ed in diversi casi denunciando le complicit tra la malavita organizzata e la classe dirigente della politica. Questi movimenti, che identificano un campo di societ in movimento esteso, vengono accusati di essere quelli del no, definiti come 'contrari' sempre e comunque. In realt dietro ogni no espresso dalle comunit, dai cittadini, dalle reti, formatesi in questo campo delle nuove soggettivit, vi sono molti si. I si sono per un altro modello di sviluppo, per la messa in sicurezza e la bonifica dei territori (che creerebbero occupazione strutturale per milioni di lavoratori e lavoratrici), per la difesa dei beni comuni, per uneconomia pi giusta ed ecologicamente orientata, per uno scambio equo tra nord e sud del mondo, per la riduzione di consumi inutili e controproducenti, per la diffusione della mobilit e delle energie sostenibili, per la democrazia partecipata, per lagricoltura organica, per la raccolta differenziata, il riuso ed il riciclaggio. Anche in questultimo caso limpatto benefico non solo di natura ambientale ma sarebbe economico attraverso i molti posti di lavoro che si creerebbero, considerando che il rapporto di posti di lavoro creati dall'industria del riciclo rispetto a quella di incenerimento-stoccaggio in discarica di 15 a 1. Questa geografia costruisce con la sua azione e le sue proposte tanti s. Proposte, spesso ignorate dai media e dalla politica istituzionale, che tendono alla realizzazione di un modello di economia diverso rispetto a quello attuale e ad una democrazia includente. Una democrazia che sempre pi spesso ed in maniera cronica tende ad escludere quelli che hanno deciso di tenere un altro passo rispetto alla schizofrenica, quanto improduttiva ed inefficace, velocit imposta dalla competizione economica globale che induce a trasformare in merce qualsiasi cosa. Possiamo dedurre dai conflitti ambientali disseminati ovunque e dalla composizione sociale

delle loro resistenze, come proprio i soggetti ispirati dalla sete di giustizia sociale siano i pi rilevanti ed incisivi per rafforzare la lotta nel pianeta per la giustizia ambientale e la sostenibilit. La sindrome di Nimby, di cui sono stati tacciati molti dei nuovi movimenti sorti nel sud come nel nord del mondo, rappresenta una critica figlia di unidea sbagliata che delle nuove soggettivit della politica si continua ad avere. Una critica che anche di per se il prodotto di una profonda ignoranza delle pratiche e delle culture di altri popoli della Terra e di tutta quella sociologia dellassenza rimossa dalle teorie politiche formatesi esclusivamente in alcuni paesi del nord del mondo. Critica che esprime, tra le altre cose, la profonda inadeguatezza nella lettura dei fenomeni economico sociali che stanno trasformando le relazioni umane e la nostra casa comune. Democrazia nella diversit, consenso e rifiuto dellavanguardismo politico Un altro degli elementi che contribuiscono ad individuare il campo dellecologismo dei poveri sta nella rimozione dellattitudine avanguardista che ha spesso fisiologicamente guidato le pratiche dei movimenti che hanno espresso alterit rispetto al modello capitalista. In questo caso viene praticata una rottura con le tradizioni che accompagnano la crescita e la maturazione delle soggettivit in lotta con il modello capitalista. I movimenti nati nel campo dellecologia popolare, animati da un sentimento di giustizia sociale ed impegnati a difendere il loro sostentamento vitale dallavanzata delle frontiere del controllo capitalista sulle risorse energetiche e sullo spazio bioriproduttivo, trovano nelle pratiche di autogoverno e di democrazia partecipata gli elementi fondativi del loro agire politico. Non si pongono come obiettivo quello di guidare una rivolta contro il sistema, perch di per se significherebbe praticare egemonia su altri soggetti. I movimenti appartenenti al campo dellecologismo dei poveri misurano e muovono le loro relazioni in base al concetto di democrazia nella diversit, che esclude possibili forme di egemonia e di avanguardismo politico. Ed anche per questo che la maniera di organizzarsi a rete e non con meccanismi di tipo verticale contraddistingue il percorso di costruzione di relazioni dei movimenti. Lo stesso Forum Sociale Mondiale espressione ed allo stesso tempo prodotto, della democrazia nella diversit e delle forme organizzative a rete. Questo spiega il perch il FSM non decida e non prenda posizione come si aspetta invece chi continua ad immaginare una verticalizzazione nelle relazioni ed una centralizzazione nella presa di decisioni. Forse la sua forza sta proprio nella capacit di non essere centro ma luogo che contiene tanti luoghi non sovrapponibili tra loro. Luoghi diversi che sincrociano con geometrie variabili nel FSM, rendendo inefficienti quelle rigidit che una verticalizzazione e sovrapposizione richiederebbe per esprimere opinioni con una sola voce. Le tante voci e le tante posizioni contribuiscono allattraversamento, alla transizione dal capitalismo verso qualcosa di altro, di migliore. Il loro fiorire un percorso necessario per dare una casa comune ad una nuova narrazione. Dar vita ad un nuovo paradigma di civilt richiede unabbondanza di voci che rischierebbero di perdersi nellimbuto di un approccio politico classico che vede nelle gerarchie e nella verticalit delle scelte la legittimazione di un avanguardismo politico dimostratosi perdente e controproducente nel corso della storia. E da questa dovremmo sempre imparare. I nuovi soggetti nati in questa congiuntura storica e nella crisi di sistema del modello capitalista auspicano invece una sorta di responsabilizzazione collettiva da parte degli attori coinvolti, e sono abituati a prendere decisioni attraverso la pratica del consenso e non del voto. Un processo che sicuramente richiede un tempo maggiore, che alle volte non si adatta allurgenza dettata dalla congiuntura ma rappresenta un esercizio di profonda democrazia capace di elevare di molto il livello di partecipazione e, quindi, di democraticit e di legittimazione delle decisioni prese. Dai movimenti sociali alle societ in movimento: la territorializzazione delle relazioni sociali Tale transizione pu essere definita come il passaggio dai movimenti sociali alle societ in movimento . Il giornalista e scrittore uruguagio Raul Zibechi analizza questo cambiamento a partire dal punto di vista del

potere. Il concetto di disperdere il potere nasce dalla necessit di una sua ricomposizione dal basso, che pu avvenire solo se prima lo si disperde. La territorializzazione delle relazioni sociali, tipica dei movimenti indigeni dellAmerica Latina e particolarmente accentuata per esempio tra gli Aymara, risponde allesigenza di contribuire a disperdere il potere cristallizzato nella parte alta della societ ed ormai assente sui territori e di conseguenza tra la gente comune. Da qui il passaggio dai movimenti sociali alle societ in movimento, come elemento naturale che costruisce unaccumulazione di forza dal basso basata sulla ricomposizione della frammentazione sociale prodotta dal capitalismo. Non pi quindi un movimento che guida il cambiamento a partire dalla sua classe dirigente illuminata ma relazioni territoriali che contribuiscono, a partire dallautogoverno e da forme di partecipazione dal basso, a coinvolgere pi soggetti dando forma a societ in movimento attraverso lelemento unificante della necessit di sopravvivenza della stessa comunit, delle sue diversit, delle sue possibilit di futuro. Un passaggio che si traduce in unaccumulazione di forza rilevante che rende queste societ in movimento capaci di operare nel medio e lungo periodo quei processi di trasformazione sociale nei loro territori, necessari per la risoluzione dei conflitti e per il superamento della crisi. Questi elementi sono rintracciabili in tutte quelle lotte e quei movimenti che nel corso delle ultime due decadi sono diventati simboli non solo di resistenze attive ma anche di grandi proposte includenti di cambiamento. Molte di queste esperienze si sono rivelate vincenti nel conflitto con i soggetti che minacciavano la loro sopravvivenza, o quanto meno sono state capaci di rimetterne in disputa lesito finale. Uno dei tanti casi di societ in movimento trasformatasi in un simbolo per altre comunit quello di Esquel, una citt di circa trentamila persone - di cui ottomila considerate povere - nella Patagonia argentina minacciata dallo sfruttamento minerario e dai suoi impatti. Questa societ in movimento ha ottenuto una vittoria emblematica non solo in quanto tale, ma per le pratiche ed i processi inclusivi nella presa delle decisioni, che hanno dimostrato lenorme forza trasformatrice di cui pu essere capace una collettivit anche di fronte ad avversari ed a condizioni considerate immodificabili. I cittadini e le cittadine di Esquel hanno infatti dovuto affrontare una battaglia che sulla carta sembrava impossibile contro una multinazionale, la Meridian Gold e contro istituzioni comunali, provinciali e nazionali. La Meridian Gold - che nel 2000 ha acquistato per 1400 milioni di dollari la miniera a cielo aperto di El Desquite a soli sette km da Esquel - rappresenta una delle pi grandi multinazionali estrattive al mondo, con capitale statunitense ed olandese, sede legale in Canada ed uffici nel Nevada. Il progetto prevedeva linizio dei lavori di estrazione nel 2003 per una durata di circa dieci anni. Un gruppo di comuni cittadini, insieme ad alcune famiglie di indigeni Mapuche e a docenti universitari ha denunciato invece nel 2002 gli enormi danni ambientali e sociali che sarebbero scaturiti dal progetto. Il solo quantitativo di cianuro utilizzato per lestrazione della "barra dor", una lega di oro e argento, in dieci anni sarebbe stato pari a 21.600 tonnellate: 6 tonnellate di cianuro al giorno necessarie per lavorare la roccia e separarne i metalli pesanti che avrebbero devastato i boschi millenari di "Lenga" e "Nire", ed inquinato irrimediabilmente le acque che scendono dalla Cordigliera Andina del Chubut. Ritmi di estrazione che avrebbero comportato tra laltro un consumo medio di un milione di litri dacqua al giorno, senza pensare allaltissima probabilit di avvelenamento da cianuro e la fine dei progetti di turismo responsabile legati alle economie locali portati avanti nella zona. Nonostante levidenza delle prove e le proteste della comunit il progetto ha continuato ad avere l'avallo dal sindaco e dal governatore provinciale di Chubut, che ripetevano come questo si sarebbe tradotto in centinaia di posti di lavoro per la gente del posto. Cos la multinazionale, che sosteneva che il progetto avrebbe creato 400 posti di lavoro e un indotto di circa 1400 occupati. La popolazione di Esquel - non ritenendo evidentemente sufficiente compensare la devastazione ambientale del proprio territorio e la perdita dei propri beni comuni con posti di lavori - ha continuato ad organizzarsi nonostante il parere favorevole al progetto espresso anche dal governo nazionale e dal sindacato delle costruzioni. Nel settembre 2002 i cittadini e le cittadine di Esquel in risposta alle decisioni delle istituzioni hanno deciso di autoconvocarsi in una scuola dando vita alla Asamblea de Vecinos de Esquel. Unassemblea che ha riunito singoli cittadini, associazioni, movimenti, lavoratori e lavoratrici, geologi, avvocati, biologi, difensori dei diritti umani, comunit indigene. A

questa assemblea si sono sommate in poche settimane intere citt, come Puerto Madryn e Comodoro Rivadavia. Citt portuali che si rifiutavano di far passare dai loro porti il cianuro necessario ai processi di lavorazione della multinazionale. Le pressioni sono diventate cos forti e la mobilitazione della citt cos unitaria che il sindaco di Esquel stato costretto a convocare un referendum cittadino per consentire ai cittadini e le cittadine della citt di pronunciarsi sul progetto. Il 23 marzo del 2003 il referendum cittadino convocato grazie alle pressioni della Asamblea de Vecinos de Esquel ha visto una partecipazione superiore al 75% ed una vittoria del fronte del No alla miniera dell81%. In nessuna precedente consultazione elettorale tenutasi ad Esquel la popolazione si era recata alle urne con queste percentuali. Un referendum considerato non vincolante ma che, vista la forza e la mobilitazione di una intera societ in movimento, si trasformato da subito nel blocco completo del progetto della miniera. Ciononostante, la Meridian Gold ha incontrato segretamente nel 2003 esponenti dellAssemblea dei cittadini/e di Esquel facendo grosse avance affinch contribuissero a far cambiare idea ai cittadini. Proposta che i rappresentanti dellAssemblea hanno rifiutato e denunciato alle autorit competenti. Cos come da intercettazioni ambientali del 2005 risulta che la Meridian Gold abbia convocato in un albergo di Buenos Aires altri esponenti dellAssemblea facendoli minacciare da persone assoldate con questo preciso scopo. Ogni anno il 23 marzo migliaia di organizzazioni e decine di citt e comunit in resistenza contro progetti di sfruttamento minerario si riuniscono per festeggiare la storica vittoria di Esquel. Da queste nata la Asambleas de Vecinos por el No a la Mina, lassemblea delle assemblee dei cittadini contrari allo sfruttamento minerario. Se il caso di Esquel narra un conflitto che si tradotto in una vittoria per la comunit, ve ne sono moltissimi altri in cui lesito finale ancora in discussione. Quello che comunque scaturisce, a prescindere dal risultato, da ognuno di questi processi messi in moto dalle societ in movimento un avanzamento sul piano della partecipazione reale alle decisioni politiche ed una ricostruzione dei legami sociali territoriali. A partire dalla difesa del territorio, dei beni comuni e del diritto alla partecipazione, la societ si riorganizza dentro un nuovo paradigma di civilt che mette sotto accusa il modello di sviluppo capitalista e individua nellinterdipendenza delle risposte alle crisi lunica via di uscita da costruire tutti insieme. Questo concetto fortemente presente anche in diversi casi di conflitti italiani. Ad esempio le lotte dei cittadini e delle cittadine dei paesi e delle comunit della Val di Susa, in Piemonte, contro la costruzione del treno ad alta velocit, parlano lo stesso linguaggio di Esquel e ne traggono gli stessi insegnamenti. Dalla forza delle imprese coinvolte, al silenzio delle istituzioni o alla loro collusione, alle modalit di ricerca delle informazioni, alle maniera con cui viene venduto un progetto sul piano mediatico per convincere della sua bont, sino alla gigantesca forza trasformatrice dimostrata dal popolo quando agisce come unintera societ in movimento ed alla territorializzazione delle relazioni sociali come risposte ai processi di omologazione. Dallazione e dalle proposte delle nuove soggettivit emerge come queste coincidano nelle valutazioni sullinsostenibilit del modello di sviluppo capitalista e sulla necessit di costruire i nessi e le risposte in maniera interdipendente per superare le crisi. Le societ in movimento, come nel caso di Esquel e della Val di Susa, nonostante in molti casi non si conoscano ed appartengono a geografie distanti, apparentemente anche sul piano culturale, giungono quindi alle stesse conclusioni, sperimentano le stesse pratiche e vogliono tutte costruire una democrazia deliberativa, in cui vi sia spazio per i diritti di tutti e tutte. Creativit e decolonizzazione dellimmaginario Un altro elemento comune dei movimenti che nascono dai conflitti ecologici distributivi sta nellopporsi al processo di espansione territoriale senza precedenti delle fabbriche, delle citt globali, delle grandi reti di infrastrutture di ogni tipo e per ogni aspetto della riproduzione, dal trasporto allenergia, passando per le telecomunicazioni ed i beni comuni come lacqua. Il capitale, dopo aver storicamente gi imposto il controllo della riproduzione del lavoro, come della scienza e della tecnologica, prepara adesso lo sfruttamento attraverso lesproprio delle terre, dei boschi, delle acque e delle risorse di quella parte dellumanit che

attraverso queste sopravvive, portando avanti forme di vita antitetiche sul piano culturale, sociale ed economico. I contadini e le comunit indigene si sono trasformati per esigenza nei movimenti tra i pi significativi a livello locale e internazionale. il caso dellAmerica Latina, dove per esempio il movimento brasiliano dei contadini Sem Terra ed i movimenti indigeni, in particolar modo della regione Andina, sono capaci non solo di resistere allespansione della frontiera del capitalismo sulle risorse energetiche, ma anche di riorganizzare la societ a partire da pratiche innovative che costruiscono un senso ed un linguaggio comune che trascendono il loro stesso campo. Entrambi questi movimenti non si accontentano di occupare terre incolte nelle mani dei latifondisti, come nel caso dei Sem Terra, o di difendere le foreste o la biodiversit dei beni comuni dallo sfruttamento selvaggio delle multinazionali estrattive, come fanno i popoli indigeni. Questi soggetti, nati a partire dallimpatto delle politiche della crescita economica che hanno allargato la frontiera della mercificazione dei beni e dei servizi ambientali, oltre a resistere costruiscono giornalmente alternative credibili e praticabili. Sia i movimenti contadini, come nel caso particolare dei Sem Terra brasiliani, che i movimenti indigeni, in maniera pi spiccata quelli andini, stanno sperimentando e dando vita a forme di economia locale, riscoprendo e valorizzando saperi ancestrali che consentono una riorganizzazione della societ a partire dalle culture e dai beni comuni minacciati dallomologazione dettata dalle esigenze di crescita del mercato. Un processo di ricostruzione profondo che include addirittura scuole ed universit popolari, caratterizzate dal fatto che restituiscono sul piano pedagogico e didattico centralit a figure sociali, dimesse dalle esigenze della produzione e del consumo. Questi soggetti contribuiscono in maniera preponderante a riportare luomo sui binari di una giusta e sana relazione con gli altri viventi del pianeta. Movimenti che in maniera quasi involontaria testimoniano attraverso le loro forme di vita e di creativit sociale lesistenza tangibile di un fronte amplio ed alternativo a quello del capitalismo. Soggettivit della politica che ridefiniscono un immaginario a partire dalla decolonizzazione del potere attraverso unaltra narrazione del conflitto, della resistenza e della proposta. Autogoverno e democrazia dal basso Una democrazia nella diversit che non scommette sullegemonia ma sulla costruzione di un mondo capace di contenere tanti mondi, come affermano dal giorno della loro insurrezione, il primo gennaio del 1994, gli zapatisti del Chiapas messicano. questo, come dicevamo precedentemente, un altro elemento che contraddistingue il campo delle nuove soggettivit, anche in chiave storica rispetto a quelle che sono le genesi e gli obiettivi dei movimenti di altre epoche o che comunque procedono in maniera lineare sul terreno della ricerca dellegemonia. Tre sono gli elementi che differenziano in maniera pi spiccata il campo di queste nuove soggettivit della politica: 1) gli strumenti utilizzati per leggere la crisi; 2) i metodi con cui vengono prese le decisioni; 3) le modalit di inclusione e partecipazione nelle pratiche. Il primo punto si riferisce agli strumenti che, come abbiamo visto in precedenza, si fondano sulla scienza post normale, sui saperi ancestrali e su indicatori fisici di (in)sostenibilit. Il secondo punto invece sulle pratiche utilizzate dai movimenti del campo dellecologismo dei poveri per prendere decisioni, caratterizzate dallautogoverno, dalla partecipazione democratica e dallorizzontalit delle relazioni. Infine le modalit di inclusione. Queste sono tipiche di una democrazia che si costruisce nella diversit, sforzandosi nella maggior parte dei casi di raggiungere una responsabilizzazione collettiva attraverso il consenso, e non con il voto, come metodologia di costruzione per un paradigma di civilt fondato sul bene comune e su una democrazia deliberativa. Del resto lecosistema Terra un bene che tutti noi condividiamo e non prendere in considerazione questo semplice aspetto induce a limitare il campo dellanalisi e della geografia in spazi pi

stretti, rispetto alla misura che dovremmo considerare per trovare soluzioni alla crisi di sistema. Linterdipendenza invece la modalit di lettura con cui i movimenti portano avanti un approccio multidisciplinare e multicriteriale, cercando di offrire delle soluzioni centrate sulla sostenibilit sociale ed ambientale. Una modalit di lettura che contribuisce ulteriormente ad aumentare la distanza delle nuove soggettivit rispetto a quelle realt e quei soggetti antagonisti al modello capitalista che utilizzano strumenti, pratiche e metodologie diverse. Uno dei primi movimenti nella decade dei 90 a marcare queste differenze ed a far emergere alcuni degli aspetti innovativi che contribuiscono a delineare il campo dellecologismo dei poveri stato quello degli indigeni zapatisti del Chiapas, nel sud est del Messico. Gli zapatisti sono insorti il primo gennaio del 1994 contro il NAFTA, il trattato commerciale che liberalizzava, privatizzava e precarizzava le risorse ed il lavoro in Messico. Aver fatto coincidere la data del levantamiento insurrezione con quella dellentrata in vigore del Nafta significava aver compreso molto prima di altri lo spostamento e la riorganizzazione del capitalismo in quella decade. Vi sono casi in cui non c bisogno di creare o sovvenzionare dittature o guerre per assicurarsi il controllo sulle risorse e sui materiali, perch si pu riuscire per esempio ad imporre i processi di accumulazione del capitale attraverso le politiche commerciali, con strumenti creati per questo scopo come il WTO o i trattati di libero commercio bilaterali. E' ci che avevano compreso prima del tempo gli zapatisti, anticipando la riflessione sulla ridefinizione dei poteri e degli attori internazionali. Cosa che cinque anni dopo, nel dicembre del 1999, sarebbe stata capita dai cittadini del Nord America che hanno invaso pacificamente Seattle contestando il vertice del WTO, aprendo i cortei con cartelli sulla giustizia sociale ed ambientale e contro le politiche commerciali colpevoli di aumentare la povert, invece che diminuirla. Altrettanto dicasi per i movimenti sociali europei che hanno contestato le rigidit del trattato di Maastricht in Olanda nel 1997, o le riunioni del FMI a Praga nel 2000, sino ad arrivare allo straordinario e multiforme movimento di Genova nel 2001 che ha messo in discussione le politiche del G8 e la sua stessa legittimit. Tutti ispirati dal nuovo linguaggio e dalla nuova narrazione dei conflitti, delle resistenze e delle proposte che giungevano dai sud del mondo ed in particolar modo dai movimenti indigeni, e nel caso specifico dagli zapatisti del Chiapas. Movimenti che hanno compreso, prima nel sud e poi nel nord del mondo, come nella nuova riorganizzazione dei poteri e della fase di accumulazione originaria inedita del capitale, il FMI, la BM ed il WTO rappresentassero le leve di un nuovo e pi vorace modello di sfruttamento umano ed ambientale che accomuna la maggior parte delle sue vittime. Leve che come tali andavano e vanno inceppate. Gli indigeni zapatisti del Chiapas hanno per primi vissuto limpatto delle politiche commerciali messicane di cui abbiamo parlato in precedenza. Per i Maya, i Tzotzila, i Tocolabal, e le altre comunit originarie della Selva Lacandona, questo tipo di commercio si traduce in una minaccia alla loro stessa sopravvivenza. Tierra y Libertad, rappresenta un concetto molto chiaro per descrivere laspirazione che anima questi soggetti ed il perch, proprio a partire da questi, oggi si ridefiniscano i paradigmi della democrazia e dellesercizio del governo. Il passaggio compiuto dallinsurrezione armata zapatista alla realizzazione delle giunte del buon governo, nove anni circa dopo la ribellione nei territori del Chiapas, interroga un aspetto importante per comprendere gli spazi politici da attraversare per arrivare ad una territorializzazione delle relazioni sociali e ad un ricostruzione del potere dal basso che si traduca in buon governo. E quanto stanno sperimentando con successo le comunit indigene del sud est del Messico, cos come altre comunit del resto dellAmerica Latina, dellIndia e del continente africano. Comunit che con lesercizio dellautogoverno sollevano un elemento sostanziale da prendere in considerazione che lega il governo alla democrazia economica. Il primo dovrebbe assicurarla, poich una democrazia svuotata di quella economica non si traduce altro che in un feticcio. Laccesso alla terra, allacqua, alla legna, alla biodiversit, alla foresta, per queste comunit e questi popoli, che rappresentano pi della met della popolazione mondiale, si traducono nella possibilit di continuare a vivere. Privarli di questo significa svuotare la democrazia di una componente determinante per la tenuta del contratto

sociale: la democrazia economica appunto. Senza questa, le uniche strade che rimangono sono la resa, con la conseguente distruzione della propria cultura e dellambiente, o la resistenza. I movimenti del campo dellecologismo dei poveri giungono quindi allautogoverno come risposta allo svuotamento della democrazia di uno degli elementi pi rilevanti, senza il quale sono i pi deboli ed i pi svantaggiati a pagare il conto. Forme di autogoverno per dare pi democrazia e non lasciare nessuno indietro. Risposte che allo stesso tempo contribuiscono a costruire alternative alla crisi della rappresentanza che investe le forme classiche della politica. In molti luoghi dellAmerica Latina stata questa la strada scelta nelle ultime due decadi ed i risultati sono davvero significativi, al punto da aver trasformato il continente che una volta, prima della colonizzazione, gli indigeni chiamavano Abya Yala, in un laboratorio in cui si sperimentano modalit diverse che convergono tutte verso una transizione dal capitalismo a qualcosa di altro. Altro che sta per qualsiasi cosa sia capace di restituire senso compiuto alla parola democrazia, dando integralmente forza a tutti i suoi elementi. Altro che per le nuove soggettivit risiede nella possibilit di costruire un modello di societ e di economia che assicuri semplicemente un buen vivir, una vita felice, come dicono i popoli indigeni ed i contadini di Abya Yala. Responsabilizzazione collettiva, relazioni sociali orizzontali ed educazione popolare Riuscire a responsabilizzare la collettivit costruendo i nessi, ed accumulare cos forza sociale per articolare processi di trasformazioni appoggiati e spinti in maniera maggioritaria. Sono obiettivo e pratica nel campo dellecologismo dei poveri. Questo latteggiamento nel lavoro portato avanti per esempio dal movimento dei piqueteros in Argentina, divenuto uno dei simboli della reazione sociale al fallimento economico che ha colpito nel 2001 il paese considerato negli anni 50 il granaio del mondo. LArgentina, considerata dal FMI lallievo modello delle politiche di aggiustamento strutturale, ha privatizzato i suoi principali servizi basici e le aziende pubbliche, ha seguito alla lettera gli accordi sul debito con la BM e sul commercio con il WTO. Dopo un decennio di queste politiche lArgentina fallita perch non pi capace di risarcire i suoi debiti, segnando il primo caso nella storia di default di uno Stato. Il fallimento argentino considerato uno spartiacque nella storia latinoamericana che ha segnato la fine di una epoca caratterizzata da quella che stata definita let neoliberista. Unet che ha lasciato gli argentini impoveriti al punto che nel 2001 a Buenos Aires cento bambini morivano di fame ogni giorno. Il paese che sfamava il mondo negli anni 50, ha disboscato e convertito i terreni alla produzione intensiva di soia da destinare come mangime per gli allevamenti di bestiame, a loro volta intensivi, dai quali ricavare carne da esportazione. La popolazione letteralmente morta di fame, anche se la carne argentina rimane tra le pi richieste del mercato europeo. Otto anni dopo la situazione da questo punto di vista non appare migliorata. Giornalmente secondo l'UNICEF almeno venticinque bambini muoiono ancora di fame in Argentina, mentre allo stesso tempo continuano a crescere il disboscamento per coltivare soia transgenica da dare come mangime alle vacche che, allevate in maniera intensiva, sono macellate per produrre carne da esportazione per il vecchio continente. Sono i paradossi del mercato o le prove dei fallimenti delle teorie di produzione e consumo capitaliste? Vista la cronicit del risultato in tutti i paesi dove sono state applicate le politiche di aggiustamento strutturale del FMI e quelle commerciali del WTO, e visti i dati sullaumento del commercio mondiale dagli anni 50 in poi, a cui seguito (cosa che non si sarebbe dovuta verificare stando alla dottrina ortodossa) laumento della povert, della fame, della sete e dei conflitti, dovremmo propendere verso la seconda ipotesi. Nonostante il caos sociale provocato da queste politiche e le sofferenze reali inflitte a milioni di cittadini, in Argentina sono sorti nuovi movimenti, come i piqueteros, portatori di un linguaggio e di una creativit sociale innovativi. Per esempio i cittadini ed i lavoratori abbandonati al loro destino dagli imprenditori fuggiti con i governanti allestero, hanno deciso di fare da soli. Oggi le esperienze di fabbriche, imprese, alberghi, recuperati dai lavoratori sono esempi concreti di come sia possibile sperimentare forme di democrazia e di autogoverno pi ampie ed includenti al di fuori della concezione classica di direzione dei meccanismi di

produzione e consumo portati avanti dalla maggior parte dei manager e degli imprenditori. Categorie sociali che negli ultimi tempi appaiono purtroppo sempre pi incuranti delle loro responsabilit collettive, economiche ed etiche nei confronti di chi ha garantito la produzione, e di conseguenza i guadagni divisi tra gli azionisti ed i proprietari, cio i lavoratori e le lavoratrici. Dal fallimento argentino sono nate tantissime esperienze che parlano lo stesso linguaggio dei piqueteros ma in campi diversi, assumendosi responsabilit collettive attraverso relazioni sociali orizzontali. Tra questi vi sono movimenti impegnati a ribaltare la logica della normalizzazione del pericolo, in cui si cerca di rendere accettabile per la maggior parte della popolazione mondiale la possibilit che la tragedia possa arrivare da un momento allaltro. Tragedie o pericoli che creano le condizioni per lapplicazione di quella che stata definita una shock economy che legittima interventi strutturali sfruttando le paure o le insicurezze della popolazione coinvolta. Tra le nuove soggettivit che stanno contribuendo a rispondere a questa logica, una delle pi interessanti si chiama Cromaon, che prende il nome dalla discoteca dove nel 2004 sono morti centonovantaquattro ragazzi a causa delle inesistenti misure di sicurezza, non adottate per risparmiare sui bilanci e fare maggiori profitti. Disprezzo delle norme ed utilizzo di materiali scadenti, come il caso del tetto della discoteca coperto con un materiale che al contatto con il fuoco ha emanato cianuro di idrogeno e diossido di carbonio insieme ad altre sostanze letali. I genitori di questi ragazzi si sono uniti per dare vita al movimento Cromaon chiedendo a gran voce le dimissioni del capo del governo di Buenos Aires e riuscendo a imporre miglioramenti nelle misure di sicurezza dei locali pubblici della citt. Una esperienza terribile di dolore personale e privato si trasformata in un fatto politico - come gi era avvenuto trenta anni prima con las madres de Plaza de Mayo - ed ha ricostruito un tessuto di relazioni sociali orizzontali improntate sulla necessit di un ambiente sicuro e di uneconomia che includa la giustizia e letica tra i suoi elementi fondanti. Leffetto richiesto dalla shock economy, cio di un abbassamento della reattivit sociale per poi introdurre misure strutturali scioccanti, in questo caso stato evitato e costituisce un esempio molto importante per organizzare delle risposte in casi analoghi. Una esperienza paragonabile a quanto avvenuto in Argentina si verificata a molte migliaia di km di distanza nella citt dellAquila, in Italia, dove un sisma ha colpito la popolazione nella notte tra il 5 ed il 6 aprile del 2009. Il terremoto che ha sconvolto lAquila ha provocato oltre trecento morti. La sua particolarit non stata la violenza impietosa della natura bens quella umana. La spregiudicatezza con cui imprenditori e politici hanno disatteso norme elementari di sicurezza in un territorio ad alto rischio sismico ed il disprezzo per la sicurezza dei cittadini con cui sono stati costruiti gli edifici sono state le cause che hanno prodotto pi di trecento vittime. Il terremoto, seppur di rilevante intensit, non avrebbe avuto un impatto cos drammatico se fossero state rispettate le norme di sicurezza. Con sismi della stessa intensit in Giappone, paese soggetto ad una elevata esposizione sismica, non si conta nemmeno un morto. Il problema nasce quando si costruiscono palazzi e case con la sabbia marina invece che con i materiali normalmente usati, quando si ignorano le denunce dei cittadini e degli organismi competenti pur di non investire nella sicurezza. In questi casi i risultati in caso di sisma sono catastrofici. Il palazzo di Governo e la casa dello studente sono i simboli del disastro e della morte del pubblico e del diritto non solo allAquila ma per certi versi nellintera penisola italiana. Proprio questi due luoghi, che in se rivestono un significato fortemente simbolico, sono stati gli edifici a crollare per primi, come fossero di cartone. La morte degli studenti in quella che era la casa del diritto allo studio rappresenta il fallimento della politica, spazzata via dagli interessi che comprano imprenditori e politici a discapito della sicurezza dei cittadini. Gli oltre trecento morti potevano essere tutti, o quasi, evitati in condizioni di normale sicurezza e vigilanza. Quegli studenti morti in un luogo che pi di tutti avrebbe dovuto assicurarli e che stato invece il primo a schiantarsi al suolo lasciano, oltre ad un lutto difficile da superare per le famiglie e le comunit coinvolte, una frattura enorme nella fiducia tra le istituzioni e la popolazione. Il diritto allo studio, alla sicurezza nei posti di lavori e nelle proprie case, non viene pi garantito dallo Stato. Quel che rende ancor pi interessante quanto avvenuto nella citt dellAquila come il governo italiano abbia deciso di affrontare lemergenza. Nel giro di pochi giorni lAquila diventata il set cinematografico di un gigantesco esperimento di controllo militare e psicologico di una intera popolazione. Degli ottantamila abitanti stata innanzitutto compiuta una prima scrematura tra coloro che avevano una eventuale seconda casa o comunque amici o parenti in grado di accoglierli in altre citt, e quelli che invece avevano unicamente la loro abitazione andata distrutta. Quelli rimasti, i pi poveri

insieme ai migranti, sono stati sfollati nelle tende fuori dalla citt. Da quel punto in poi la spinta securitaria impressa per decreto legge dal Governo ha concesso la possibilit di sperimentare forme inedite di controllo, esautorando completamente i poteri locali e provinciali, concedendo interamente la gestione dellemergenza alle decisioni insindacabili di governo e protezione civile. Lobiettivo del governo immediatamente dichiarato e volutamente amplificato dai principali media stato la costruzione di new towns, come nel caso messicano visto nel capitolo precedente. Un modo per continuare ad elargire fondi attraverso lo Stato agli stessi imprenditori responsabili della catastrofe ed addirittura legittimare nuovamente lo stesso potere politico, reo di non aver vigilato o addirittura colluso con chi ha voluto risparmiare sulla pelle dei cittadini e delle cittadine aquilane. Una giravolta che in un colpo solo utilizza la shock economy per imporre con la scusa dellemergenza delle scelte radicali come quella di costruire una nuova citt in un luogo dove la storia, larte e la cultura sono indissolubilmente legate alle pietre di ogni casa, piazza, fontana, strada o chiesa delle vecchia citt dellAquila. Chiudere il centro storico e presentare progetti per la nuova citt e la nuova universit ai media nazionali, senza nessun contraddittorio in virt dellemergenza nazionale stata la scelta del governo italiano. Una scelta che punta a rimuovere i legami culturali, territoriali ed emotivi di una popolazione con la propria storia, le proprie tradizioni e le proprie radici. Allo stesso tempo sedare la popolazione aquilana e condurla sul terreno di questo ragionamento stata la seconda esigenza del governo. Le ordinanze della protezione civile che vietano il consumo di caff e cioccolato nelle tende tra gli sfollati non sono solo un cinico gioco di potere e controllo perverso su chi gi ha subito una grave disgrazia, perdita o lutto, ma rispondono allesigenza dichiarata di non far eccitare la popolazione, che si vuole mansueta e sedata per accettare le politiche della shock economy. La popolazione aquilana a poche settimane dal sisma e dalle misure adottate dal governo italiano, nei primi tempi accettate grazie allassuefazione mediatica veicolata sotto il controllo autoritario dello stesso, ha iniziato a rendersi conto dellinganno e del disegno politico dietro le dichiarazione di facciata. Il decreto sulla ricostruzione e le ordinanze contro la popolazione aquilana hanno incontrato la resistenza e la caparbia determinazione dei primi comitati che spontaneamente si sono andati costituendo. Comitati di cittadini e cittadine che, superando vecchie logiche politiche, si sono ritrovati con lobiettivo di lavorare ad una vera ricostruzione sociale della propria citt. Una ricostruzione che pu esserci solo a partire dalla partecipazione degli stessi cittadini, dal loro protagonismo e voglia di rinascita, dalla creativit sociale, dalla trasparenza e dai nessi con il mondo dellagricoltura e del lavoro (gi in forte crisi prima del sisma, essendo la zona una delle pi povere del paese). Una ricostruzione che i comitati hanno iniziato ad accompagnare a parole come sostenibilit, sicurezza ambientale, bioarchitettura, economie locali e tutta una serie di altre novit sul piano teorico e pratico. Argomenti entrati prepotentemente nel gergo popolare a causa delle condizioni e degli inganni tragici vissuti da una intera comunit la cui reattivit sociale non stata sedata nonostante le ordinanze ed il controllo militare esercitato come solitamente avviene in zone di guerra. Nel silenzio della politica e dinanzi allo sproporzionato potere del governo italiano sono quindi proprio le vittime del sisma e delle ingiustizia della mala politica che si assumono il compito di ridefinire la ricostruzione civile, morale, sociale ed economica dellAquila e provare, attraverso il loro impegno, a riabilitare la democrazia. Anche allAquila come a Buenos Aires, le richieste dei cittadini e delle cittadine sono state incentrate tutte sulla partecipazione, la trasparenza, la maggiore democrazia ed i diritti ad un ambiente ed una vita sana e sicura. Per portarle avanti gli abitanti di entrambe i luoghi hanno scelto lorizzontalit e la responsabilizzazione collettiva, rifacendosi a pratiche di autogoverno e di educazione popolare come risposta allassenza delle istituzioni ed alla crisi della democrazia. Sul terreno delleducazione popolare, sempre in Argentina, a partire dal fallimento economico del dicembre 2001, sono nati molti mezzi di informazione indipendenti. Mezzi di informazione definiti sociali, come il caso della cooperativa La vaca che hanno sviluppato reti di comunicazione con i cittadini ed hanno sperimentato seminari gratuiti per studenti di giornalismo come risposta alla critiche mosse verso la stampa ufficiale, accusata di non aver detto nulla sulle reali condizioni economiche ed ambientali del paese prima del default. Una sorta di ecologia dei saperi veicolata attraverso una educazione popolare, diffusa e scambiata in un percorso di arricchimento collettivo che riconosce le conoscenze ancestrali e include percorsi educativi

differenti. In Argentina come in tanti gli altri luoghi dei sud del mondo, e negli ultimi tempi anche in alcune regioni del nord del mondo con intensit e percorsi ovviamente distinti, ha trovato espressione una pletore moltitudinaria e popolare che si mostrata capace di organizzare spazi sociale ed economici al di fuori della democrazia rappresentativa. Lelemento dellorizzontalit nelle forme di relazioni sociali e di costruzione del potere sicuramente tra quelli che maggiormente caratterizzano il campo dei nuovi movimenti sociali. Questi nuovi soggetti, in particolar modo nel laboratorio latinoamericano, stanno mettendo in moto processi di trasformazione reali e di transizione dal capitalismo, contribuendo con le loro pratiche e le loro sperimentazioni, nelleconomia come nella politica, alle lotte per la sostenibilit e la giustizia ambientale. Il campo dellecologismo dei poveri offre un grande contributo a tutti i soggetti che nel nostro pianeta si battono per un mondo pi giusto e per trovare risposte forti alle crisi. La vera sfida quella di avere pi democrazia, mai meno. Tendere a questo significa obbligatoriamente partire dallautogoverno e dal rispetto e valorizzazione di ogni forma di diversit, vista come ricchezza e segreto dellinesauribile creativit per realizzare processi reali di trasformazione in grado di migliorare le condizioni di vita complessive e quelle del pianeta. Estratto dal libro BUEN VIVIR per una nuova democrazia della Terra di Giuseppe De Marzo, Ed. Ediesse 2009 ISBN 978-88-230-1386-5 ***

Il cuore ecologico della crisi


[di Giuseppe De Marzo, A Sud su Il Manifesto del 20 Luglio 2011] Ingiustizia globale. Questo dieci anni fa denunciavamo a Genova quando parlavamo delle scelte dei G8, i principali rappresentanti delle politiche economiche imposte da FMI, BM e OMC. Allo stesso tempo proponevamo un altro mondo possibile, guidato dai principi della giustizia sociale ed ambientale. A dieci anni di distanza la violenza di Piazza Alimonda stata estesa ad un intero pianeta. La crisi globale esplosa nel 2008 ci appare come un mostro inarrestabile che si nutre dei nostri diritti e distrugge futuro. In Italia il 14% della popolazione diventata povera o addirittura indigente, mentre una famiglia su quattro non arriva a fine mese. Parole come austerit, privatizzazioni, debito e pareggio di bilancio tornano di grande attualit, senza che nessuno ci spieghi se a queste si accompagneranno miglioramenti delle nostre condizioni gi pesantemente peggiorate. Scompaiono invece redistribuzione, lavoro, equit, giustizia e solidariet. Prima affondano la Grecia, poi il Portogallo ed ora tocca a noi. Per incassare il consenso alle manovre, instillano un po di sano terrorismo e paura attraverso gli stessi ministri che hanno provocato la crisi. Ma la domanda di fondo : riusciranno queste misure a migliorare le condizioni di chi oggi sta peggio, restituendo un po di fiducia nel futuro a generazioni private di molti diritti? La risposta no. Perch quindi fidarci di chi ha provocato la crisi, ci si arricchito ed oggi chiede al popolo ancora sacrifici? Allo stesso tempo, nessuna forza politica di opposizione riesce a spiegarci quale modello di sviluppo ha in mente per uscire dalla crisi. Nessuno ha il coraggio di indicare unuscita positiva che non si traduca nella perdita di diritti, lavoro e qualit della vita. Perch? Perch parlare di beni comuni, res pubblica, reddito di cittadinanza, riconversione industriale, spaventa i mercati e rischia di farci incorrere in una declassazione di qualche agenzia di rating. Pura follia. Pensare che la politica abbia abdicato a questi meccanismi lascia sgomenti davanti alla portata della crisi. Ed allo stesso tempo il fatto che unagenzia di rating e la finanza speculativa possano affossare centinaia danni di democrazia rappresentativa deve farci riflettere sui limiti dellattuale architettura della nostra convivenza. Paesi in via di sottosviluppo. Eccola qui la nuova categoria affacciarsi sulle scena internazionale, cos come stata definita dalleconomista cileno Max Neef nel suo prossimo libro. Paesi come gli Stati Uniti dove l1% della popolazione sta meglio da quando iniziata la crisi nel 2008 e la restante parte sta invece sempre peggio.

Prossimo paese in via di sottosviluppo lItalia? La politica continua ad agire contro ogni evidenza. Sappiamo perfettamente quello che dovremmo fare ma chi sta al potere non lo fa. Dallottobre del 2008 nonostante levidente e gigantesco fallimento del modello economico capitalista stiamo assistendo ad un indurimento da parte dei nostri governanti, trasformatosi nel corso di queste settimane in una sorta di fondamentalismo che colpisce brutalmente le fasce deboli e medie. Al punto da spacciare per miracolo un suicidio di massa. Abbiamo bisogno di economisti che comprendano di ecosistemi, termodinamica, biodiversit, cos da analizzare in maniera interconnessa ed interdisciplinare le pieghe delle varie crisi ed apporre soluzioni credibili e desiderabili dalla maggioranza della popolazione. Invece gli economisti che guidano opposizione e governo sono dei perfetti ignoranti di tutto ci, nella migliore delle ipotesi convinti che la crisi sia solo finanziare ed economica. Ignorano il cuore della crisi, quella ecologica, e le sue devastanti conseguenze. Se questa appena arrivata stata definita la tempesta perfetta, ci chiediamo se qualcuno ai piani alti stia almeno studiando limpatto del disastro ecologico e della minaccia dei cambiamenti climatici e come sopravvivere adattandoci alle mutate condizioni che il pianeta sta gi mettendo in atto. Gli attuali strateghi delleconomia hanno disumanizzato qualsiasi processo, arrivando al punto da sostenere come la natura sia un sottosistema delleconomia. Noi invece crediamo che leconomia debba servire le persone, che lo sviluppo si riferisce agli esseri umani e non alle cose, che la crescita non sia sinonimo di sviluppo e che lo sviluppo non richieda necessariamente la crescita. E siamo allo stesso tempo convinti che non possa esistere uneconomia in presenza di un ecosistema danneggiato. E qui arriviamo al centro della tempesta perfetta. Nel silenzio dei media e della politica di palazzo, si sono gi tenuti due incontri preparatori della prossima e ultima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici che si terr a Durban, in Sudafrica il prossimo fine novembre. Dopo il fallimento del COP 16 di Cancun e del precedente COP 15 di Copenaghen, viaggiamo a falcate veloce verso il prossimo disastro del COP17 di Durban. Nelle negoziazioni intermedie in Tailandia e Germania le proposte portate avanti dai maggiori inquinatori al mondo sono sempre le stesse. Accettando questa relazione non sapremo fermare i cambiamenti climatici ed il mondo sar scaraventato verso un aumento della temperatura di 4 o 5 centigradi con conseguenze catastrofiche. Le negoziazioni sul clima sono sequestrate dagli interessi delle corporation, dalla BM e dalle grandi potenze e le proposte che troveremo a Durban saranno ancora peggiori perch basate esclusivamente su mercato, green economy e privatizzazioni. Questo mix letale metterebbe la parola fine sulle speranze ed aspirazioni di una gran parte dellumanit che si ribellata alla dittatura degli interessi economici a scapito del diritto alla vita. Dinanzi a questa prospettiva che coinvolge tutti, abbiamo il diritto e la responsabilit di fare molto di pi rispetto a quanto fatto sino ad ora. Chiedere la riduzione del 40% della CO2 per il 2020 in relazione alle cifre del 1990, il 6% di PIL dei paesi ricchi per i fondi di mitigazione e compensazione e imposte sulle transazioni finanziare internazionali non basta. Davanti a queste richieste faranno orecchie da mercanti, per lappunto. Specie in una situazione in cui la crisi impone il dogma della crescita, dellausterit e dei tagli alla spesa. Le societ in movimento che affrontano la crisi devono avere lobiettivo ambizioso di costruire allo stesso tempo pensiero e pratiche egemoni nella societ, capaci di ribaltare legemonia di un modello di sviluppo che vorr riciclarsi attraverso linsostenibilit della green economy. Lultima fase del modello capitalista sar lanciata a Durban ed affermata a giugno del 2012 a Rio, per chiudere il cerchio a distanza di 20 anni dalla prima conferenza mondiale sulla sostenibilit, ribaltandone completamente le buone intenzioni iniziali. Un ultima fase, letale per lumanit, che punta a garantire legemonia a manovre economiche scellerate come quelle a cui assistiamo in questi giorni nel nostro paese ed in Grecia. Nella societ, attraverso le forme della democrazia partecipata e comunitaria dobbiamo creare le condizioni per intrecciare i temi della vita con un nuovo modello di sviluppo e di partecipazione capace di costruire un processo di accumulazione di forze in grado di guardare a Rio come un evento di rottura ed allo stesso tempo di rinascita. Allinterno di una crisi sistemica e terminale come questa, ogni conquista del passato rischia di lasciare il passo allemergenza nazionale in nome della stabilit (del capitale). A Genova il 21 luglio Rigas (la rete italiana per la giustizia ambientale e sociale) discuter di questo, unendo i temi della difesa dei beni comuni e della vittoria ai referendum con la sfida di Durban. Ma il nodo pi grande sar sulle forme attraverso le quali costruire un movimento popolare che sappia portare, a partire da esperienza concrete nel nostro paese, il suo

contributo al movimento planetario per la giustizia ambientale. La sfida per salvare lumanit dalla catastrofe ecologica inizia a Genova, proprio dove per tanti di noi tutti cominciato. ***

Referendum, chi vince e chi no


[di Giuseppe De Marzo, portavoce A Sud, su Il Manifesto del 19.06.2011] Dalle urne una rivoluzione culturale. Che mostra l'emergere di un nuovo blocco sociale, ridefinito dalla crisi economica. Quella che esce sconfitta la classe politica del nostro Paese. Che non pu continuare a vivere di rendita Una rivoluzione culturale! Questo il significato politico del 12 e 13 giugno. La grande vittoria dei comitati referendari destinata a segnare una fase storica nel nostro paese perch porta con se la terra nuova su cui saranno costruite le fondamenta del futuro. Una terra in cui le proposte e le prospettive sono chiare, concrete ed immediate. Come il diritto sacrosanto all'accesso ai servizi basici fondamentali, la necessit di un nuovo modello di sviluppo ancorato alla limitatezza delle risorse ed alla difesa dei beni comuni ed infine il diritto pi grande riconquistato: quello alla partecipazione alle scelte politiche. Una rivoluzione culturale che rovescia il paradigma dominante con la forza schiacciante di 27 milioni di italiani e con una partecipazione popolare di massa ed allo stesso tempo eterogenea. Questi referendum hanno portato alla luce una rete di relazioni e rapporti sociali diversi rispetto alla rappresentazione della politica offerta dai partiti e dai media. Si sta consolidando nel corso di questi anni un nuovo blocco sociale, condizione necessaria ed ineludibile per determinare trasformazioni profonde e durature di una societ. Le suore e i sacerdoti in sciopero della fame dinanzi a San Pietro lo scorso 9 giugno ne sono una testimonianza visiva, come la gran parte dei giornali cattolici che circolano nella parrocchie di periferia. Tutti a favore di un altro modello di sviluppo e concordi nell'affermare principi cristiani di solidariet, rispetto e giustizia. Una scelta precisa e consapevole fatta dalla maggioranza dei cattolici anche nelle urne, che smentisce quei dirigenti politici che fanno del loro essere cattolici un fatto distintivo ma sono poi impegnati nella corsa alle privatizzazione ed alla follia nucleare. Questo pezzo di societ ha guardato dall'inizio alle nuove soggettivit della politica nate nelle vertenze ambientali da nord a sud del paese. L'epicentro del cambiamento parte proprio da questi soggetti: migliaia di comitati impegnati a difendere territorio, beni comuni e accesso ai servizi basici. Il popolo dei beni comuni, come stato definito. Questo popolo si muove seguendo le forme della democrazia partecipata e comunitaria, riscatta l'educazione popolare e fa propria la sfida globale della giustizia ambientale. A questi si andato sommando un pezzo di societ ridefinito dall'inizio della crisi economica che ha coinvolto l'Italia a partire dal 2008. Precari, maestri, studenti, donne, movimenti, giovani laureati, piccole partite Iva, cooperative, associazioni, centri sociali, un popolo che nel nuovo disagio sociale ha fatto la scelta di costruire ponti con le vertenze che aveva intorno, invece di fare l'errore di chiudersi in se stesso. Cos come un ruolo fondamentale di apripista sulla questione sociale stato giocato dal movimento operaio che ha segnato le lotte di autunno, nella strenua e coraggiosa difesa di principi costituzionali visti come un ostacolo alle necessit di un modello di sviluppo in crisi e per questo ancora pi feroce. Un nuovo blocco sociale si sta quindi sedimentando attraverso relazioni, pratiche e proposte nuove. Invece di farsi deprimere dalla crisi e dalla frammentazione sociale, stato capace di trovare forme unitarie di espressione e conflittualit, aprendo finalmente un ragionamento ed una pratica di critica al sistema nel suo complesso. Parliamo di "societ in movimento" proprio per indicare il passaggio che ci ha consentito di uscire dalle forme classiche di movimento a quelle che hanno coinvolto milioni di cittadini nella ricomposizione di un tessuto sociale e di una prospettiva generale comune.

La rivoluzione culturale portata da questa vittoria referendaria ci introduce un tempo nuovo anche nella relazione con i media. Il fatto che la stragrande maggioranza sia andata a votare nonostante la censura imposta a noi comitati sui principali media e talk show televisivi vuol dire che l'idea di costruzione unica del consenso attraverso l'uso delle televisioni superata. Non che non contino pi, ma sicuramente meno di prima. L'utilizzo delle nuove tecnologie, dei social network ed il ritorno di forme dal basso di partecipazione popolare, condite da una creativit che premia la diversit, hanno reso possibile aggirare il blocco imposto dalle lobby del potere economico finanziario ai media. Ma chi esce sonoramente sconfitto dal referendum del 12 e 13 giugno la rendita di posizione che la classe politica del nostro paese pretende di continuare ad avere. La situazione sociale, le privatizzazioni, la precariet, i disastri ambientali sono figli di una politica bipartizan che ha avuto nella fede assoluta verso il mercato la sua stella polare in questi ultimi venti anni. Questa idea ha perso, come la classe dirigente che l'ha imposta. Bipolarismo, privatizzazioni e verticalit del potere sono state concause della crisi, non la ricetta come ci volevano far credere. Vince invece la democrazia partecipata e la costruzione di relazioni orizzontali, organizzate ma non gerarchizzate. Perde l'idea della semplificazione nelle ricette da apporre alla crisi. Vince l'idea di una societ complessa, interconnessa ed interdipendente fondata sulla giustizia sociale ed ambientale. Perde l'idea dello sviluppo misurato sul Pil. Vince l'idea che lo sviluppo debba avvenire senza intaccare i limiti ambientali e l'accesso ai servizi basici per tutti. Perde l'individualismo e l'egoismo sociale. A questo punto la politica pu far finta di niente e continuare a rimanere ostaggio del modello economico e sociale neoliberista che questa crisi ha provocato. Noi diciamo invece che per rispondere alle crisi e dare risposte alle esigenze della maggioranza degli italiani e delle italiane c' bisogno di difendere i beni comuni, riconvertire ed innovare ecologicamente la nostra industria, istituire il reddito di cittadinanza e ri-territorializzare le produzioni, per cominciare. Sino ad ora non siamo stati ascoltati. Ma il fatto nuovo e ineludibile questo: la vittoria e la rivoluzione culturale del 12 e 13 giugno rendono tutti consapevoli del fatto che la vecchia politica ed il suo modello ingessato sono definitivamente superati e, cos restando le cose, saranno spazzati via non solo dall'evidenza scientifica ma dall'emergenza sociale e dalla rinnovata capacit di partecipazione e prospettiva del popolo sovrano. * www.asud.net ***

La crisi economica dal punto di vista delleconomia ecologica


[di Joan Martinez Alier, economista. Docente della UAB Universit Autonoma di Barcellona] La dcroissance est arrive. La crisi economica pu essere unopportunit per ristrutturare le istituzioni sociali secondo le proposte della decrescita economica socialmente sostenibile. Lobiettivo sociale dei paesi ricchi deve essere vivere bene ma lasciando da parte limperativo della crescita economica. Leconomia stratificata su tre livelli. In alto c il livello finanziario che pu crescere attraverso prestiti al settore privato o allo Stato, a volte senza nessuna garanzia che possano essere restituiti come sta succedendo con lattuale crisi. Il sistema finanziario chiede prestiti contro il futuro, sperando che la crescita economica indefinita commisuri i mezzi per pagare gli interessi dei debiti e i propri. Le banche concedono pi credito di quello ricevuto come deposito, e questo tira la crescita economica almeno per un po di tempo. A livello intermedio c quella che gli economisti chiamano economia reale o economia produttiva. Ossia il comportamento del consumo ( pubblico o privato) e dellinvestimento ( anchesso pubblico o privato), espresso in termini reali (a prezzi costanti). Quando cresce esso permette di pagare realmente una parte o tutto il debito. Quando non cresce sufficientemente, rimangono debiti da pagare. La montagna di debiti cresciuta nel 2008 molto di pi di quella che era possibile pagare con la crescita del Pil. La situazione non era finanziariamente sostenibile.

Ma nemmeno il PIL era ecologicamente sostenibile nel terzo livello, sotto leconomia reale o produttiva degli economisti, cio leconomia reale degli economisti ecologici, ossia, i flussi denergia e materiali la cui crescita dipende in parte da fattori economici (tipo di mercati o prezzi) ed in parte da limiti fisici. Attualmente, non solo ci sono limiti fisici nelle risorse ma anche nei canali di scolo: il cambiamento climatico sta avvenendo a causa delleccesiva consumo di combustibili fossili e della deforestazione, minacciando la biodiversit. Altra minaccia diretta laumento della HANPP, lappropiazione umana della produzione primaria netta di biomassa. La decrescita economica e le emissioni di diossido di carbonio La contabilit economica non tiene conto dei danni ambientali n del valore delle risorse esauribili. La crisi economica implica un cambio di tendenza nelle emissioni di diossido di carbonio, almeno nei paesi occidentali le cui economie sono entrate nella cosidetta crescita negativa. Nei cinque anni prima del 2008, le emissioni di diossido di carbonio prodotte dagli uomini stavano aumentando pi del 3% annuale, che le portava a duplicarsi in 20 anni, mentre avrebbero dovuto abbassarsi a meno della met il prima possibile. Lobiettivo di Kyoto 2007 molto generoso con i paesi ricchi, concedendogli diritti di propriet su oceani e nuova vegetazione, in grado di assorbuire il carbonio in eccesso e sull'atmosfera come deposito temporaneo di diossido di carbonio, in cambio della promessa di ridurre entro il 2010 le loro emissioni del 5% rispetto a quelle del 1990. La crisi economica render molto pi facile raggiungere questo modesto obiettivo di Kyoto. Il commercio di emissioni di carbonio scomparir del tutto a meno che i paesi ricchi simpongano lobbligo di ridurre le loro emissioni al di sotto degli impegni di Kyoto, come dovrebbero fare. Il trasporto aereo, la costruzione di case, la vendita di automobili si sono abbassati in molti paesi europei e negli Stati Uniti nella seconda met del 2008. Gli automobilisti statunitensi comprano il 9% di benzina in meno nelle prime settimane di ottobre del 2008 che nello stesso periodo del 2007. Sia benvenuta la crisi economica! La contabilit economica sbagliata La critica della contabilit economica convenzionale spesso pone laccento sui valori dei servizi ambientali degli ecosistemi che non sono inclusi in questa contabilit. Per esempio, i servizi ambientali delle barriere coralline, delle piantagioni, del bosco tropicale umido, possono essere calcolati in denaro per ettari e per anni, quindi gli ettari persi possono essere tradotti in perdite economiche virtuali per impressionare il pubblico e i gestori pubblici. Questo per insufficiente per rendersi conto che la fornitura energetica della nostra economia industriale non dipende tanto dalla fotosintesi attuale quanto dalla fotosintesi di milioni di anni fa. Il nostro accesso alle risorse minerali dipende anche dagli antichi cicli biogeochimici, e stiamo usando e sprecando queste risorse non sostituibili ad un ritmo molto pi rapido di quello della sua formazione. Il picco dellestrazione di petrolio gi stato raggiunto o lo sar presto (se leconomia si ristabilisce). Attualmente se ne estraggono quasi 87 milioni di barili al giorno. Calcolandolo in calorie, la media mondiale equivale a circa 20,000 kcal per persona al giorno ( ossia, 10 volte tanto lenergia derivata dallalimentazione), e negli Stati Uniti equivale a 100,000 kcal per persona al giorno. Nelluso exosomatico di energia, il petrolio molto pi importante della biomassa. Alf Hornborg scrisse nel 1998: i prezzi del mercato delle materie prime sono il mezzo tramite il quale le zone centrali del sistema mondiale, che sono grandi importatori netti di energia e materiali, estraggono exerga (cio energia disponibile) dalle periferie. Nel 2003 ci fu un tentativo di ottenere 2 o 3 mbd extra dallIraq che fall, come riconosce tristemente Alan Greenspan nelle sue memorie.

La OPEP riuscita, a partire dal 1998 e della salita di Hugo Chavez alla presidenza in Venezuela, a recuperare il prezzo del petrolio, mantenendo lofferta sotto controllo e tramite laiuto della crescita economica della Cina e dellIndia. Il prezzo del petrolio ha raggiunto il suo massimo verso la met del 2008. Le cose andavano cos bene per gli esportatori di petrolio che il presidente Rafael Correa, quando lEcuador rientrato nella OPEP nel novembre 2007, ha proposto di porre un eco-tassa alla esportazione di petrolio destinata a fini sociali e di aiutare la transizione energetica mostrando cos che la stessa OPEP era preoccupata del cambiamento climatico. Lattuale crisi economica non solo una crisi finanziaria e la sua causa non dipende unicamente dal fatto che lofferta di nuove abitazioni, negli Stati Uniti, abbia ecceduto la domanda che poteva essere finanziata in modo sostenibile. E vero che si sono vendute abitazioni a persone che non potevano pagare lipoteca, e molte di esse sono state costruite sperando che apparissero compratori con patrimoni o stipendi stabili in modo da appoggiare i loro pagamenti ipotecari. Negli Stati Uniti il potere di acquisto dei salari non aumentato negli ultimi anni, e la distribuzione delle entrate si fatta pi diseguale, per in compenso aumentato il credito ai consumatori. I risparmi delle famiglie erano al minimo allinizio della crisi, come anche accaduto in Spagna. Come si vede, i banchieri hanno pensato che la crescita economica sarebbe continuata a tempo indefinito e che questo avrebbe mantenuto o fatto crescere il prezzo delle abitazioni ipotecate. Hanno impacchettato le ipoteche e le hanno vendute ad altre banche che a loro volta le hanno vendute, o hanno tentato di farlo, ad innocenti investitori. Ora finito il boom immobiliario ( con il brusco atterraggio che Jos Manuel Naredo annunciava da anni in Spagna). Lindustria della costruzione ferma in diversi paesi. E preoccupante che, in Spagna, questo si voglia compensare con la costruzione di pi infrastrutture finanziate con debiti pubblici, quando il settore di costruzione di strade ed aereoporti gi sovradimensionato. La parziale nazionalizzazione di svariate banche negli Stati Uniti e in Europa ha evitato una catena inarrestabile di fallimenti, ma questa porter ad aumentare il deficit pubblico, che pu andare bene in una situazione di crisi secondo una politica keynesiana( eccedendo tale deficit del 3% del Pil imposto da Maastricht). Questa strategia pu aiutare ad uscire dalla crisi e pu avviarsi verso modelli pi sociali ed ecologici. Per se il Debito Pubblico cresce a dismisura (come successo in Giappone negli ultimi 20 anni) sfocer in una impossibilit di pagamento del debito oppure in inflazione. Si pu pensare che il pagamento si raggiunger con la crescita, se questa una crescita dematerializzata? Lambito finanziario incide sulleconomia reale. La bolla di credito ipotecario e altre forme di credito negli Stati Uniti (ma anche in Gran Bretagna e Spagna) hanno fatto crescere leconomia reale (spingendo pertanto le esportazioni della Cina), e di conseguenza ha fatto crescere la domanda di petrolio e altre materie prime. Laumento del prezzo di queste materie ha costituito di fatto un'altra causa della crisi, pi in la delleccesso di creativit nella vendita di prodotti finanziari. C stato un grande aumento del prezzo del petrolio e di altre materie prime fino a luglio 2008 in parte dovuto ad acquisti speculativi ma anche dalla crescita delleconomia mondiale reale, che ha portato una minaccia di inflazione, ricordando la stagflazione degli anni 70. La differenza rispetto ad allora che attualmente non c pressione salariale. Una somiglianza che il prezzo del petrolio aumentato notevolmente (come accadde nel 1973 e nel 1979). La sfida permanente per i paesi ricchi quella di crescere economicamente utilizzando meno materie ed energia in termini assoluti; o alternativamente far si che i prezzi delle materie prime si abbassino. Questo ci che sta accadendo alla fine del 2008 con la caduta della domanda in seguito alla crisi. Il metabolismo sociale Negli ultimi mesi inevitabile ricordare il libro di Frederick Soddy 'Ricchezza, Ricchezza Virtuale e Debito' pubblicato nel 1926. Soddy era premio Nobel della Chimica e docente ad Oxford. Spiegavo le sue principali idee economiche nel mio libro LEconomia e l'Ecologia del 1991. Anche Herman Daly ha descritto le proposte di riforma monetaria di Frederick Soddy riassunte nelle seguenti proposizioni. E facile per il sistema finanziario

far crescere i debiti (tanto del settore privato quanto di quello pubblico) ed facile anche sostenere che questa espansione del credito equivalga alla creazione di una vera ricchezza. Tuttavia, nel sistema economico industriale, la crescita della produzione e del consumo implicano a volte laumento dellestrazione e della distruzione finale di combustibili fossili. Lenergia si dissipa, non pu essere riciclata. In cambio, la vera ricchezza sarebbe quella che si basa nellattuale flusso di energia solare. La contabilit economica pertanto falsa perch confonde lesaurimento delle risorse e laumento di entropia con la creazione di ricchezza. Lobbligo di pagare debiti a interesse composto si poteva raggiungere pressando i debitori durante un periodo di tempo. Altro modo di pagarli mediante linflazione ( che svaluta il valore del denaro). Una terza via la crescita economica che, nondimeno, falsamente misurata perch si basa sulle risorse esauribili sottovalutate e sulla contaminazione, alla quale non si da valore economico. Questa era la dottrina di Soddy, di certo applicabile allattuale situazione. Senza dubbio stato un precursore delleconomia ecologica. Le economie industriali ricche dipendono, nel loro metabolismo sociale, dallimportazione a basso prezzo di grandi quantit di energia e materiali. E' cos in Europa, Giappone, in alcune parti della Cina e anche negli Usa che importa pi della met del petrolio che consuma. Il prezzo del petrolio aumentato perch aumentata la domanda e anche per la contrazione dellofferta dovuta alloligopolio della OPEP, che si poggia sulla scarsit di petrolio continuando ad arrivare al becco della curva di Hubbert. Di fatto, la teoria economica neo-classica non sostiene che il prezzo del petrolio debba essere uguale al costo marginale di estrazione. Il petrolio a 150 dollari per barile sarebbe ancora troppo economico tenendo in conto un'assegnazione intergenerazionale pi giusta e tenendo in conto le esternalit che si producono estraendolo, trasportandolo e bruciandolo. Man mano che la crisi economica avanza, il prezzo del petrolio cade ma si rimetter se l'economia cresce un'altra volta. L'OPEP cercher di ridurre l'estrazione di petrolio durante la crisi. La riunione prevista per novembre 2008 stata anticipata al 24 di ottobre quando la OPEP ha deciso di ridurre lestrazione del petrolio a 1,5 mbd. C' una tendenza crescente all'aumento del costo energetico dell'ottenimento di energia. La discesa della curva di Hubbert sar una politica terribile a livello ambientale. Ci sono gi grandi conflitti da anni nel Delta del Niger e nell'Amazzonia dell'Ecuador e Per contro compagnie come la Shell, la Chevron, la Repsol, l'Oxy. Davanti alla scarsit di energia economica per spingere la crescita, c chi vuole ricorrere massicciamente ad altre fonti di energia come il nucleare e gli agro combustibili, ma questo aumenter i problemi ambientali, sociali e politici. Per fortuna, l'energia eolica e fotovoltaica stanno aumentando e dovr aumentare molto di pi semplicemente per compensare la discesa dell'offerta di petrolio nelle prossime decadi. Anche il gas naturale cresce ed arriver al suo becco di estrazione entro non molto tempo. I depositi di carbone minerale sono molto grandi,( l'estrazione di carbone cresciut di 7 volte nel corso del XX secolo), ma il carbone produce localmente danni ambientali e sociali ed anche dannoso per le emissioni di diossido di carbonio a livello globale. La fine del boom delle materie prime Con la crisi economica, ci sar una fine all'espansione di esportazioni di energia e di materiali, diminuendo cos la pressione distruttrice nelle frontiere dell'estrazione? I grandiosi piani desportazione dell'America latina furono appoggiati soprattutto dal Presidente Lula. A ottobre 2008, in opposizione totale a quello che dice la Via Campesina ed il MST, il presidente Lula si recato a Delhi per appoggiare nella ronda di Doha l'apertura totale delle economie alle importazioni agricole, come se volesse aumentare il tasso di suicidi degli agricoltori dell'India. Invece avrebbe dovuto discutere a Delhi su come ostacolare il crollo del prezzo del ferro, (essendo tanto il Brasile come lIndia grandi esportatori). vero che il boom dellesportazione diede a Lula denaro per propositi sociali, aumentando la sua popolarit. Petrobrs si trasform in un'impresa non meno pericolosa di Repsol o Oxi per l'ecosistema e i paesi indigeni dell'America latina. L'ossessione di Lula per l'esportazione di materie gli ha impedito di fare qualcosa per frenare la deforestazione dell'Amazzonia e ha portato il ministro dellAmbiente, Marina Silva, alle dimissioni nel 2008. Quale sar ora la strategia del presidente Lula e della sinistra latinoamericana dopo la crisi del 2008? Alla fine del 2008, la crisi economica sta abbattendo i prezzi delle materie prime o commodities. Da Luglio 2008 alla fine di ottobre, il grano, il mais, la soia si sono abbassati del 60% del prezzo, cos come il rame, il

nichel, l'alluminio, il minerale di ferro. Una parte del boom finanziario in Islanda era basato su investimenti esterni destinati ad una smisurata crescita della fonderia dellalluminio. Gli ecologisti hanno protestato contro quelle installazioni e le piante di elettricit che andavano a distruggere posti incontaminati, con un costo non riconosciuto nei conti economici. L'economia dell'Islanda si fermata nellottobre del 2008, le banche non potevano restituire i depositi e sono stati nazionalizzate. Nella decade del 1920, le commodities scesero di prezzo gi alcuni anni prima del fatidico '29, ma questa volta l'aumento dei prezzi delle commodities, (aiutati dagli sviati sussidi agli agrofuels e per il cartello dell'OPEP), continuato fino a Luglio del 2008, mesi dopo che le azioni delle imprese avevano gi iniziato a scendere da gennaio 2008. Ora anche quei prezzi stanno scendendo. La multinazionale messicana CEMEX ha annunciato il 16 di ottobre del 2008 la riduzione della sua forza lavoro nel mondo del dieci per cento per la caduta della domanda di materiali di costruzione e di cemento, mentre le fabbriche di automobili dell'Europa e Stati Uniti stanno riducendo la produzione dalla met del 2008. Tutto questo pu essere buono per l'ambiente bench aumenti la disoccupazione: manca una ristrutturazione sociale che permetta nei paesi ricchi una diminuzione economica che sia socialmente sostenibile. Coloro che desiderano un ritorno alla normalit possono riconfortarsi per la discesa del prezzo del petrolio alla fine del 2008. Tale discesa avviene non perch sia aumentata l'offerta bens perch diminuisce la domanda. Siamo molto vicini al picco di estrazione di petrolio e questo pu dare un appoggio all'OPEP nel suo tentativo di frenare la caduta del prezzo e sostenerlo in 70 o 80 dollari per barile. Alcuni progetti di estrazione di petrolio ad un alto costo marginale, (come le sabbie bituminose di Alberta in Canada e i petroli pesanti del delta dell'Orinoco) a volte sono rinviati, cos come l'estrazione dell'ITT Yasun in Ecuador. Nel caso di altre merci distinte dal petrolio, possibile che i paesi esportatori reagiscano irrazionalmente mantenendo o perfino aumentando l'offerta nel suo sforzo di mantenere l'entrata. E possibile che ci sia una guerra dei prezzi della soia tra Argentina e Brasile. Invece, questo sarebbe un buon momento affinch lAmerica del Sud, lAfrica ed altre zone, esportatrici nette di energia e materiali, pensino allo sviluppo endogeno e avanzino verso una economia ecologica e solidale. Inoltre, molti paesi del Sud vedranno cadere le rimesse monetarie dei suoi emigranti. Il rifiuto del Sud di continuare a fornire materie prime economiche per le economie industriali, imponendo tasse sull'esaurimento del "capitale naturale" o "ritenzioni ambientali" e mettendo anche quote all'esportazione, aiuterebbe anche il Nord, (comprese parti della Cina), nel nostro lungo cammino verso un'economia pi sostenibile che utilizzi meno materiali ed energia. Il Pil dei poveri Bisogna capire che la contabilit economica convenzionale sbagliata. Do qui un altro argomento che si aggiunge a quello che Frederick Soddy aveva gi segnalato. L'esperienza che Pavan Sukhdev, Pushpam Kumar e Haripriya Gundimedia hanno acquisito in India con un progetto di investigazione che ha cercato di dare un valore economico ai prodotti non commerciali dei boschi (come la legna e gli alimenti per i gruppi tribali o i contadini col loro bestiame, la ritenzione dellacqua e del suolo, le erbe medicinali per uso locale, lassorbimento di diossido di carbonio) servita in seguito per il progetto europeo TEEB ( sigla inglese che sta per Leconomia degli Ecosistemi e della Biodiversit) appoggiato dalla DG dellAmbiente della Commissione Europea e dal Ministero dellAmbiente tedesco. La squadra del TEEB sottolinea come una rappresentazione monetaria dei servizi dati per la disponibilit naturale di acqua pulita, di legna e di foraggi, di piante medicinali, non misuri realmente il suo contributo essenziale alla vita dei poveri. Supponiamo che una compagnia mineraria inquini l'acqua in un villaggio dell'India. Le famiglie non hanno altro rimedio che rifornirsi dell'acqua dei ruscelli o dei pozzi. Il salario rurale un euro al giorno, un litro di acqua in contenitore di plastica costa 15 centesimi di euro. Se i poveri dovessero comprare acqua, tutto il loro salario andrebbe via semplicemente per acqua da bere per se stessi e per le famiglie. Ugualmente, se non ci sono legna o sterco secco come combustibili, comprando butano (LPG), spenderebbero il salario settimanale di una persona per acquisire un cilindro di 14 kgs. Il contributo della natura alla sussistenza umana dei poveri non ben rappresentata dicendo che suppone il 5 percento del PIL in un paese come l'India. Senza acqua, legna e sterco, e foraggi per il bestiame, semplicemente la gente impoverita muore. Nella contabilit macroeconomica pu introdursi la valutazione delle perdite di ecosistemi e di biodiversit sia in conti satelliti, (in specie o in denaro), sia modificando il PIL per arrivare a un PIL "verde." Ma in qualsiasi caso, la valutazione economica delle perdite a

volte sarebbe bassa a paragone dei benefici economici di un progetto che distrugga un ecosistema locale o che distrugga la biodiversit. Lo stesso si applica a livello macroeconomico: un aumento del Pil compensa il danno ambientale? Sukhdev e i suoi collaboratori rispondono cos: In India stato comprovato che i beneficiari pi diretti della biodiversit dei boschi e dei suoi servizi ambientali sono i poveri, e che la sua perdita colpirebbe soprattutto il gi diminuito benessere dei poveri. Di l l'idea del "PIL dei poveri. In altre parole, se l'acqua di un ruscello o della falda acquifera locale inquinata a causa del settore minerario, i poveri non possono comprare acqua in bottiglia di plastica perch non hanno denaro per farlo. Pertanto, quando la gente povera del campo vede che la propria sussistenza minacciata da un progetto minerario o da una diga di sbarramento o una piantagione forestale o una gran area industriale, spesso protesta non perch sia ecologista bens perch ha bisogno immediatamente dei servizi della natura per la propria vita. Questo l "ecologismo dei poveri. Nella rivista Down to Earth, (15 agosto2008), alla fine del boom, Sunita Narain dava vari esempi attuali dell'India. "In Sikkim, il governo ha cancellato undici progetti idroelettrici esaudendo le proteste locali. In Arunachal Pradesh, le dighe di sbarramento vengono approvate a tutta velocit e la resistenza sta crescendo. In Uttarakhand nell'ultimo mese, due progetti nel Gange sono stati fermati e c' molta preoccupazione per il resto dei progetti, mentre in Himachal Pradesh, le dighe di sbarramento hanno portato tanta opposizione che le elezioni sono state vinte da candidati contrari ad esse". Molti altri progetti, dalle centrali termo-elettriche alle miniere nelle zone agricole, si imbattono in resistenze. La miniera di ferro, la fabbrica di acciaio ed il porto proposti dal gigante sud-coreano Posco vengono discusse, bench il primo ministro ha assicurato che avranno luce verde il prossimo agosto. La gente del posto continua a opporsi, non vuole perdere le sue terre e la sua sussistenza, non si fida delle promesse di compensazione. In Maharashtra, i coltivatori di mango si levano contro la centrale termica da Ratnagiri. In qualunque angolo dove l'industria cerca di ottenere terra ed acqua, la gente protesta fino alla morte. Ci sono feriti, c' violenza, c' disperazione, e ci piaccia o no, ci sono migliaia di suicidi in India oggi. Dopo aver visitato Kalinganagar, dove ci furono morti nella protesta contro il progetto delle industrie Tata, scrissi che il tema non era la competitivit dell'economia dell'India n il Naxalismo. Quelli che protestavano erano contadini poveri senza la capacit di sopravvivere nel mondo moderno sprovvisti delle loro terre. Avevano visto come i vicini erano stati spostati, come non si realizzavano le promesse di denaro o impiego. Sapevano che erano poveri e che lo sviluppo economico moderno li avrebbe impoveriti di pi. anche cos nel Goa, pi prospera, ma dove ho visto quanta gente resiste contro la poderosa lobby mineraria. Le esternalit del sistema economico La teoria economia neoclassica spiega le esternalit (cio, gli effetti negativi o a volte positivi non colcolati nei prezzi del mercato) come errori di mercato. Cos, se la miniera distrugge la sopravvivenza delle comunit, o se la coltivazione di soia e l'applicazione massiccia di glifosato colpisce la salute di popolazioni umane, questi sono errori del mercato che non assegnano un valore economico a questi danni. Analogamente, se la crescita economica basata sul consumo di combustibili fossili causa un aumento della concentrazione di diossido di carbonio nell'atmosfera e pertanto un cambiamento climatico, ci si deve al fatto che i prezzi sono mal posti. Errori di mercato che potrebbero essere corretti con tasse o con permessi di inquinamento transitori. Altri autori, molto restii all'intervento statale, preferiscono vedere le esternalit come "errori di governo", fallimenti dei governi che non si mettono daccordo per stabilire norme ambientali internazionali o che non si accertano dimporre una struttura di diritti di propriet sull'ambiente o che sovvenzionano attivit nocive. C' un'altra linea di pensiero su queste questioni. Come l'ideologia patriarcale ha influito sulla disattenzione che la scienza economica mostra nei confronti del lavoro domestico non remunerato, allo stesso modo l'ideologia del progresso e la dimenticanza della natura hanno influito sulla disattenzione che la scienza economica mostra verso la cornice ecologica dell'economia. Da dove nascono le esternalit? Dal punto di vista dell'Economia Ecologica, poniamo attenzione alla crescita dei flussi di energia e di materiali nell'economia, e all'uscita dei residui. Questa la prospettiva del Metabolismo della Societ, che Marx menzion ne Il Capitale, (ispirandosi, tra altri, agli studi di Liebig sul

guano del Per ed i nutrienti agricoli) ma che n Marx n i marxisti svilupparono. Il metabolismo sociale la prospettiva che, nella seconda met del secolo XX, hanno sviluppato Nicholas Georgescu-Roegen, Robert U. Ayres, Herman Daly, Ren Passet, Manfred Max-Neef, Vctor Toledo, Jose-Manuel Naredo ed il suo discepolo scar Carpintero, Marina Fischer-Kowalski ed il suo gruppo a Vienna, John McNeill, Mario Giampietro, Roldn Muradian, Walter Pengue e molti altri nei campi dell'economia ecologica, l'ecologia industriale, lagro-ecologia e la storia ambientale. Ponendo attenzione al metabolismo della societ, le esternalit non sono sporadici errori del mercato o dell'azione governativa ma acquisiscono carattere sistemico, inevitabile. L'economia umana un sottosistema di un sistema fisico pi ampio. L'economia riceve risorse, (e spesso le sfrutta oltre la sua capacit di rigenerazione), e produce residui. Non esiste un'economia circolare chiusa. L'economia aperta tanto per il lato dell'estrazione delle risorse nelle frontiere come della produzione di residui. I danneggiati non sono solo le altre specie non-umane e le generazioni future di umani (che non possono protestare), ma spesso sono anche gente povera che protesta. Da l, la penetrante frase di Enrique Leff , gi venti anni fa presente in un paragrafo del suo libro Ecologia e Capitale: "Dall'analisi marginalista delle esternalit, all'azione dei gruppi ambientalisti emarginati." Sta costando molto il trionfo politico di questa prospettiva dell'ecologismo popolare. Non si vuole vedere che i danni socio-ambientali prodotti dalla crescita economica, anche a volte dalle nuove tecnologie, negati tanto dai liberali come dalla maggior parte dei marxisti, si faranno sentire sempre di pi. L'onda economica neoliberale coincise dal 1975 o 1980 (trionfo di Pinochet, Thatcher, Reagan), con il suo contrario: l'auge ogni volta maggiore della critica ecologica all'economia. Il mercato non garantisce che l'economia sinserisca nell'ecologia, poich il mercato sottovaluta le necessit future e non conta i danni esterni alle transazioni mercantili, come gi aveva segnalato Otto Neurath contro Von Mises e Hayek agli inizi del famoso dibattito sul calcolo economico in uneconomia socialista, nella Vienna del 1920. Il calcolo del PIL occulta pi di quello che insegna. Elogia il mercato come meccanismo razionale di assegnazione di risorse e pretende perfino che i problemi ecologici sorgano dall'assenza della razionalit mercantile privata, come nel caso della mal denominata "tragedia dei beni comunali." Al contrario, il punto di vista ecologista ci porta a dubitare dei benefici del mercato. Senza dubbio, il mercato impone una ricerca di guadagni, che dovrebbe portare ad un uso pi efficiente delle risorse, come si visto dietro la crescita dei prezzi del petrolio nel 1973 ed anche ora con la ricerca di una maggiore eco-efficienza. Ci nonostante, l'aumento di efficienza pu scatenare il Paradosso di Jevons: pi efficienza nell'uso delle risorse, costi relativi pi economici, per un maggiore uso di risorse. Attivi tossici e passivi velenosi Gli attivi che prendono la forma di credenziali su debiti che non saranno pagati sono stati battezzati nella crisi attuale col curioso nome di "attivi tossici." Cos, una banca creditrice che d un mutuo ipotecario, lo colloca nel suo attivo nel bilancio bench difficilmente il debitore paghi quell'ipoteca e bench l'abitazione che sostiene il credito abbia perso prezzo sul mercato. Allo stesso tempo, la banca dovr cancellare quell'attivo o dargli un valore minore. Dal lato del passivo dei bilanci delle imprese, le attuali regole contabili non obbligano a dedurre i danni all'ecosistema. In realt, l'economia attuale ha un enorme "debito di carbonio" verso le generazioni future e verso i paesi poveri della nostra stessa generazione che soffriranno per il cambiamento climatico avendo contribuito molto poco alla sua produzione. Molte imprese private nel settore estrattivo hanno anche grandi passivi ambientali. Dalla Chevron-Taxaco si stanno esigendo 16 mila milioni di dollari in un giudizio per il disastro ambientale causato a Lago Agrio, in Ecuador. La compagnia Rio Tinto lasci un passivo molto grande in Andalusia dal 1888, e poi a Bougainville, in Namibia e in Papa Occidentale insieme alla compagnia Freeport MacMoran. Sono debiti verso persone povere o indigene. La Shell ha enormi passivi da pagare nel Delta del Niger. Ma gli azionisti di quelle imprese non devono preoccuparsi. Quei debiti velenosi sono raccolti nei libri di storia ma non nei libri di contabilit. In un libro dell'UICN per il Congresso Mondiale della Conservazione a Barcellona nellottobre del 2008, col titolo Transition to Sustainability, Bill Adams e Sally Jeanrenaud propongono un'alleanza tra il movimento conservazionista e l'ecologismo dei poveri. Questa alleanza difficile, se si nota il vincolo molto visibile tra il

conservazionismo e le imprese come Shell e Rio Tinto. John Muir sarebbe inorridito. Dal suo lato, la sinistra tradizionale del Sud ha visto l'ecologismo come un lusso dei ricchi pi che una necessit dei poveri, malgrado ci siano vittime dell'ecologismo popolare tanto conosciuti come Chico Mendes e Ken Saro-Wiwa. Pluralismo di valori Le decisioni economiche sarebbero migliori dando un valore monetario alle risorse e ai servizi ambientali che hanno un prezzo basso o pari a zero nella contabilit abituale, ma non dobbiamo dimenticare altre considerazioni. In primo luogo, non bisogna dimenticare che la conoscenza su come funzionano gli ecosistemi, sulle sue soglie di tolleranza impreciso. In secondo luogo, bisogna dare importanza ai valori non monetari nelle decisioni, per non cadere nel feticismo delle merci fittizie. Per esempio, ricordiamo l'imminente minaccia che pende sulla Niyamgiri Hill in Orissa, dove vivono i Dongria Kondh. Forse il ribasso del prezzo dell'alluminio di pi del 50 percento nella seconda met del 2008, e pertanto la discesa del prezzo della bauxite, aiuter a salvare questa montagna sacra. Ma domandiamoci: quante tonnellate di bauxite vale una trib o una specie in via di estinzione? In quali termini esprimere tali valori affinch un Ministro delle Finanze o un giudice della Corte Suprema possano capire? I linguaggi di valutazione degli indigeni o dei contadini vengono taciuti in favore del linguaggio della valutazione monetaria. Questi altri linguaggi includono l'asserzione dei diritti territoriali contro lo sfruttamento esterno, sia ricorrendo all'Accordo 169 dell'OIT che esige un consenso previo degli indigeni, o in India con le clausole presenti nella Costituzione ed alcuni sentenze giudiziali che proteggono gli adivasi. Si potrebbe anche ricorrere a valori ecologici ed estetici. Infine, potremmo domandare ai Dongria Kondh: che prezzo ha il vostro Dio? Quanto denaro valgono i servizi che vi da il vostro Dio? La questione non se il valore economico da solo si risolve in mercati realmente esistenti poich gli economisti hanno sviluppato metodi per la valutazione monetaria dei servizi e beni ambientali e delle esternalit negative. La questione , piuttosto, se tutte le valutazioni pertinenti allinterno di un conflitto ambientale,(per esempio in una miniera di rame od oro nel Per o di bauxite in Orissa, o una determinata diga di sbarramento nel nordest dell'India, o la distruzione di una piantagione per l'industria del gambero in Honduras o Bangladesh, o la determinazione del livello adeguato di emissioni di diossido di carbonio dall'Unione Europea), devono essere ridotte ad una media comune, all'unica dimensione monetaria. Dobbiamo respingere tale semplificazione della complessit, tale esclusione dei linguaggi di valutazione. Dobbiamo accettare, al contrario, il pluralismo dei valori incommensurabili per evitare che la scienza economica si trasformi in un strumento di potere nella presa di decisioni. Ci avviene quando si applica l'analisi costi-benefici a progetti di investimento concreti, ed anche al livello macro dove gli aumenti del PIL trionfano su qualunque altra dimensione. Dunque la questione : chi ha il potere di semplificare la complessit imponendo un determinato linguaggio di valutazione sugli altri? Cos, il movimento conservazionista mondiale deve criticare certamente la contabilit economica abituale e deve spingere affinch si corregga quella contabilit per riflettere meglio sulle nostre relazioni con la natura, (come propone il progetto TEEB), ma senza dimenticare che altri linguaggi di valutazione sono anche legittimi: i diritti territoriali, la giustizia ambientale e sociale, la sussistenza umana, la sacralit. La scienza economica vede l'economia come un carosello tra i consumatori e i produttori o le imprese. Si trovano nei mercati di beni di consumo o nei mercati dei servizi dei fattori di produzione, (per esempio, vendendo forza di lavoro in cambio di un salario). I prezzi si formano in questi mercati scambiando le merci o comprando servizi dei fattori di produzione. Una parte delle entrate si risparmia e serve a finanziare lacquisto di beni dinvestimento dalle imprese. Lo stato detrae denaro sotto forma di tasse (sul consumo, sullingresso di persone o sui benefici delle imprese) e con questo paga linvestimento pubblico e il consumo pubblico (scuole, sanit, difesa e sicurezza). La contabilit macroeconomica (il calcolo del Pil) unisce le quantit moltiplicate dai loro prezzi. Questa la crematistica che dimentica lesaurimento delle risorse ( che i prezzi sottovalutano) e anche la contaminazione, come dimentica allo stesso tempo tutti i servizi commisurati alla sfera domestica o del volontariato, senza

remunerazione. In cambio, leconomia pu essere descritta in altro modo, come un sistema di trasformazione dellenergia e dei materiali, inclusa lacqua, in prodotti e servizi utili e infine in residui. Questa la Bioeconomia o lEconomia Ecologica (Georgescu-Roegen, 1966, 1971, Herman Daly, 1968, A. Kneese y R.U. Ayres, 1969, Kenneth Boulding, 1966). E giunto il momento di sostituire il Pil con indicatori sociali e fisici a livello macroeconomico. La discussione sulla dcroissance soutenable o la diminuzione economica socialmente sostenibile che Nicholas Georgescu-Roegen ha previsto trenta anni fa, deve ora convertirsi nel tema principale dellagenda politica dei paesi ricchi. La crisi economica offre unopportunit affinch leconomia dei paesi ricchi adotti una traiettoria distinta rispetto ai flussi di energia e materiali. Ora il momento in cui questi paesi, anzich sognare di recuperare la crescita economica abituale ( che gli permetta di pagare i debiti), entrino in una transizione socio-ecologica verso minori livelli di utilizzo di energia e materiali ( lasciando molti debiti da pagare). La crisi pu essere unopportunit per ristrutturare le istituzioni sociali secondo le proposte dei sostenitori della decrescita economica socialmente sostenibile. La dcroissance est arrive. Lobiettivo sociale dei paesi ricchi deve essere vivere bene ma lasciando da parte limperativo della crescita economica. Sembra inoltre che a partire da un certo livello di stipendio, la felicit non cresca al crescere di questultimo. Cio, i beni relazionali hanno pi valore dei beni materiali: secondo le parole di Castoriadis Vale di pi un nuovo amico/a di una nupova Mercedes Benz. O secondo le vecchie parole di Marcuse del 1968, noi umani dobbiamo imparare a determinare la nostra struttura delle necessit pi in l della sussistenza. Tanto nel nord quanto nel sud, questo cammino verso uneconomia ecologica e solidale deve includere la volont di frenare la crescita della popolazione. Il pianeta (tanto i suoi abitanti umani quanto le cose inanimate) starebbe meglio con 4 o 5 mila milioni di persone che con 8 o 9 mila, anche se ci sarebbe contro-indicato per la crescita economica che in ogni caso mal misurata. A prima vista sembra che il Sud sia compromesso se il Nord non cresce, per le minori opportunit di esportazione e perch il Nord non vorr fare crediti e donazioni. Ma sono esattamente i movimenti di giustizia ambientale e lecologismo dei poveri, cos forte nel Sud, i migliori alleati del movimento per la diminuzione economica socialmente sostenibile del Nord. Joan Martinez Alier ISEE - International Society for Economical Ecologist ***

La frontiera dei beni comuni


[di Guido Viale su Il Manifesto] La crisi della Grecia dimostra che l'alternativa non pi tra stato e mercato. E la decrescita frutto della globalizzazione La Grecia ha imboccato - a precipizio - la strada della decrescita. Lo ha fatto per imposizione della cosiddetta troika (Fmi, Bce e Commissione Europea) di cui Papandreu si fatto interprete ed esecutore a spese dei cittadini e dei lavoratori del suo paese. Nessun economista al mondo pensa pi che l'economia della Grecia possa tornare a crescere in un numero ragionevole di anni. N che possa mai pi ripagare il debito che la opprime, neanche mettendo alla fame i propri sudditi e svendendo tutto quello che possiede (cio i servizi pubblici e i beni comuni del popolo greco). Per anni ci hanno detto che le privatizzazioni sono necessarie per rendere efficienti i servizi pubblici. Adesso chiaro che servono soltanto a far cassa, per pagare debiti contratti a copertura dei costi della corruzione, dell'evasione fiscale, degli armamenti, delle grandi opere e dei grandi eventi inutili. Dopodich il diluvio; che l'Europa e mezzo mondo stanno aspettando senza sapere che fare. Ma la Grecia non sola: non perch il resto dell'Europa la voglia aiutare (pensa solo a spennarla); ma perch nella sua identica situazione entreranno presto anche Portogallo, Spagna, Irlanda e altri ancora, tra cui l'Italia. Che anche lei ben avviata sulla strada della decrescita: si tagliano welfare, investimenti (tranne quelli inutili, come il TAV Torino-Lione) e servizi, senza nessuna politica industriale e nessuna prospettiva di riconversione

produttiva o di rilancio dell'occupazione. Certo la decrescita imposta da Tremonti non quella predicata da Latouche e dal movimento per la decrescita felice. Latouche ha sempre ribadito (ma una cosa assai difficile da spiegare in giro!) che non c' peggior male di una decrescita in una societ votata alla crescita. Infatti i fautori della crescita "senza se e senza ma" (la totalit o quasi degli economisti) considerano la decrescita un precipizio senza ritorno. Ma le ricette per una ripresa scarseggiano. Il liberismo ha fatto fallimento, anche se nessuno lo dice apertamente e alcuni lo ripropongono come ricetta salvifica, tetragoni a ogni evidenza. Lo statalismo, nelle sue varie forme (forti: programmazione; flessibili: keynesismo; la pianificazione di tipo sovietico non la propone pi nessuno), disarmato: perch mancano i soldi e si ha paura di rompere il tab dei bilanci, che sono fatti di debiti e quindi in mano alle societ di rating. Ma soprattutto, perch bisognerebbe ammettere che per salvare il salvabile necessaria una riconversione radicale dell'apparato produttivo e della distribuzione del reddito, invece di delegare a ci - e a modo loro - i mercati. La Grecia un piccolo paese, ma potrebbe avere un grande potere di ricatto: il suo default trascinerebbe con s le finanze di mezza Europa (e di molte banche Usa) e con esse l'euro; e isolarla, escludendola dall'euro, posto che sia fattibile, sortirebbe lo stesso effetto. Basterebbe quindi che Papandreu, che a differenza di Zapatero, non ha alcuna responsabilit per l'allegra gestione della finanza da parte del precedente governo (con avallo, e conseguenti benefici, di Goldman&Sachs, allora diretta in Europa da Mario Draghi), si schierasse dalla parte dei suoi concittadini che si oppongono alla svendita del paese. L'Unione Europea sarebbe allora costretta ad aprire la borsa, non solo per la Grecia, ma per tutti gli Stati membri in difficolt. Ma un'operazione del genere - per la quale non mancano proposte operative di ingegneria finanziaria - avrebbe forse senso per finanziare un programma di riconversione produttiva, che oggi non c' e a cui nessuno pensa. Mentre non serve a niente se da essa si aspetta che rianimi mercati e produzioni in sofferenza, risospingendoli verso una crescita di cui, per lo meno in Occidente, non ci sono pi le condizioni. Liberismo e statalismo si stanno dimostrando entrambi fallimentari perch sono ormai una stessa cosa. Ogni giorno constatiamo che la libert d'impresa - soprattutto nei confronti dei lavoratori, pi che nella concorrenza - ha bisogno, per potersi esercitare, dell'intervento statale, e di fondi pubblici "a perdere". Ma quei fondi non servono pi a dirigere l'apparato economico verso obiettivi specifici e in qualche modo condivisi (in fin dei conti siamo in democrazia). Servono solo per tenere in piedi le imprese e le loro libert. I casi recenti della svendita della Grecia, o quello del TAV Torino-Lione, o l'accordo interconfederale siglato anche dalla Cgil che trasforma i sindacati in strutture aziendali - solo per ricordare le notizie pi recenti - pur nella loro estrema eterogeneit, sono l a dimostrarlo. L'alternativa non dunque tra statalismo (o dirigismo) e liberismo, tra pi Stato o pi mercato; tra il connubio inestricabile di liberismo e statalismo che contraddistingue il processo di globalizzazione in corso e politica dei beni comuni: una politica mirata a sottrarre la gestione di una serie di beni, di servizi e di attivit tanto alle regole del mercato, che sono quelle della finanza internazionale che governa ormai anche gli Stati, quanto alla gestione degli Stati, che di quel governo, esterno e contrapposto a qualsiasi forma di controllo democratico, sono ormai solo le cinghie di trasmissione. Se c' un tema unificante tra le diverse forme di conflittualit che animano la scena sociale in questo inizio di secolo (e di millennio), dalla Grecia alla Spagna, dal Medio oriente all'Islanda, ma anche, tornando a noi, dalla crescita dei GAS alla campagna referendaria per l'acqua, dalla resistenza operaia alla Fiat al movimento degli studenti o al ritorno in piazza delle donne, dalla Valle di Susa al riscatto di Napoli dalle montagne di rifiuti sotto cui la hanno seppellita sedici anni di gestione commissariale, quel tema la lotta, in nome di una gestione condivisa e partecipata, senza deleghe, contro l'appropriazione pubblica o privata di una gamma pi o meno ampia e pi o meno definita di beni, di servizi e di attivit. Lo ha spiegato molto bene Piero Bevilacqua sul manifesto del 3 luglio scorso. E' cio la politica dei beni comuni. Beni comuni e non Bene comune. E' una distinzione importante: la dizione beni comuni fa riferimento a forme di gestione diverse tanto dall'appropriazione privata che dalla propriet pubblica. Cio a forme di gestione partecipata, le cui modalit si stanno delineando - e non potrebbero farlo in nessun altro modo - nel corso di mobilitazioni, di lotte, ma anche di iniziative molecolari e di incontri di studio, indipendentemente non solo dalle divergenze lessicali, ma anche da quelle ideologiche e dottrinarie, che sono per molti versi altrettanto irrilevanti; o quasi.

Bene comune (con la maiuscola) fa invece riferimento a una coincidenza di interessi che, se pu essere ipotizzata in via teorica nei confronti della sopravvivenza della vita umana su questo pianeta (a cui tutti, chi pi e chi meno - o anche molto meno - prestiamo un'attenzione insufficiente), non esiste - e pu essere ricercata, ma non necessariamente trovata - negli ambiti in cui si sviluppa il conflitto. Che il motore di ogni possibile riconversione: dalla Valle di Susa alla gestione di ogni altro territorio; dalle politiche energetiche all'agricoltura e all'alimentazione; dal rifiuto della guerra alla difesa della dignit di chi lavora (e di chi senza lavoro); dall'accoglienza degli immigrati alla valorizzazione dei saperi; e cos via. Nel mondo di oggi un bene comune non per natura, ma se, e solo se, sottoposto a modalit di gestione che lo sottraggono a qualsiasi forma di appropriazione: tanto da parte di un'impresa (privata o pubblica), la cui logica comunque il profitto, l'accumulazione del capitale, la crescita fine a se stessa; quanto da parte di una struttura pubblica, se questa esclude qualsiasi forma di condivisione della gestione - o per lo meno di controllo, a partire dalle regole elementari della trasparenza - o di coinvolgimento dei diversi destinatari dei suoi benefici (quello che economia e diritto chiamano "utilit") e dei suoi costi (sociali, sanitari, ambientali: quelli che l'economia chiama "esternalit"). Per questo i "beni comuni" non saranno mai del tutto tali; saranno sempre attraversati da una frontiera mobile che si sposta in avanti o all'indietro a seconda del grado di controllo che i territori e le comunit di riferimento riusciranno a esercitare su di essi. La politica dei beni comuni , e rester a lungo, un work in progress. Ci apre il terreno a un dibattito pubblico sul come dare attuazione ai risultati del referendum contro la privatizzazione dell'acqua; risultati che i signori delle utilities stanno gi cercando di mettere in discussione. Ma anche a un dibattito sulle forme - che sono differenti - di controllo dal basso e di condivisione della gestione di tutti gli altri servizi pubblici locali che, in linea di principio, l'esito del referendum ha reso possibile sottrarre a una gestione privata o finalizzata al profitto. La stessa cosa vale per molti beni immateriali: dalla conoscenza all'arte, dall'educazione (permanente) all'informazione. Forse sono cose come queste quelle che Marx intendeva come controllo del genere umano sulle condizioni della propria riproduzione; quelle che per pi di cent'anni il movimento operaio, socialista e comunista, ha interpretato invece, e cercato di realizzare, come gestione statuale dei processi produttivi. ***

Il racconto dei beni comuni


[di Piero Bevilacqua su Il Manifesto] Dopo la grande narrazione neoliberale, molto amata anche a sinistra, oggi i beni comuni posseggono una straordinaria capacit di essere narrati Forse utile ricordare che stato Jean-Francois Lyotard, filosofo francese, a fare del termine narrazione un lemma del vocabolario politico dei nostri anni, quello, per intenderci, che Nichi Vendola ha reso popolare nella sua originale prosa politica. Nel suo La condizione postmoderna (1979) Lyotard decretava la fine delle grandi narrazioni metafisiche che avevano sin l influenzato gli uomini e le donne dell'Occidente. L'illuminismo, l'idealismo, il marxismo, queste grandi e totalizzanti interpretazioni del mondo apparivano ormai esaurite, di fronte ai processi di disincanto che attraversano le psicologie collettive, al pluralismo culturale che si diffonde tra gli individui, al processo di atomizzazione della societ. Per la verit, io credo che la condizione definita postmoderna da Lyotard non fosse e non sia che il dispiegamento pieno dei caratteri fondativi della modernit. Quelli, per intenderci, intravisti con sovrana capacita anticipatrice da alcune grandi menti, come quella di Marx, di Nietzsche o di Weber. Chi non ricorda il famoso passo del Manifesto tutti gli antichi e arrugginiti rapporti della vita con tutto il loro seguito di opinioni e credenze ricevute e venerate per tradizione si dissolvono, e i nuovi rapporti che subentrano passano fra le anticaglie (...) Tutto ci che aveva carattere stabile.... si svapora, tutto ci che era sacro viene profanato e gli uomini si trovano a dover considerare le loro condizioni di esistenza con occhi liberi da ogni illusione. Non parlano, queste parole, della nostra condizione? E Nietzsche nella Gaia Scienza aveva quasi urlato: Anche gli dei si decompongono. Dio morto! Quand'egli osservava

il deserto che avanza, anticipava quel dilagare del nichilismo che il processo storico avrebbe trasformato nella stoffa del nostro quotidiano. E L'Entzauberung il disincanto del mondo, intravisto da Weber, aveva bisogno di almeno un secolo per diventare un fenomeno di massa. La societ liquida che Bauman oggi ci rappresenta non che la modernit pienamente realizzata. Quel che tuttavia stupisce e di cui importa qui parlare il fiorire, malgrado tutto, di continue nuove narrazioni che si fanno strada, come farfalle dalla crisalide del bruco, dalla consunzione delle precedenti "immagini del mondo". Tutta l'et contemporanea ne teatro. La pi grande vittima delle trasformazioni capitalistiche, ma anche degli orrori perpetrati dalle classi dirigenti europee, stata l'idea di progresso, forse il pi lungo racconto dell'et contemporanea: la grande fede di una umanit in marcia verso i lidi dell'emancipazione universale. Nel 1937, dopo i massacri della prima guerra mondiale e quando le ombre del nazifascismo si allungavano sull'Europa, lo storico olandese Johan Huizinga poteva irridere quella tarda eredit dell'illuminismo, degradandola quasi a credenza superstiziosa, al concetto puramente geometrico del procedere innanzi. E dopo seguito l'Olocausto e la carneficina della seconda guerra mondiale, che hanno seppellito, sembrava definitivamente, ogni possibile narrazione trionfante per l'avvenire. E invece non stato cos. Nella seconda met del novecento fiorita una nuova storia, la grande narrazione dello sviluppo, in cui siamo in parte tutt'ora immersi. La crescita economica continua e la distribuzione della ricchezza a un numero crescente di cittadini ha reincarnato, in forme nuove e per alcuni decenni, la vecchia epica del progresso ottocentesco. Il movimento operaio e i partiti di sinistra hanno incarnato perfettamente questo nuovo immaginario, non meno di altre formazioni e gruppi moderati. Ricordate Togliatti: Veniamo da lontano e andiamo lontano? Segno, probabilmente, di una predisposizione irrinunciabile degli uomini alla speranza, alla proiezione della propria condizione presente in un futuro sempre perfettibile, al bisogno, comunque, di sentirsi dentro una storia dotata di senso. su questa predisposizione fondativa che la politica moderna ha giocato le sue carte, tanto in chiave conservatrice che progressista o rivoluzionaria. Occorrebbe chiedersi: non costantemente all'opera nel fondo della politica, prima e dopo Machiavelli, un'ars retorica, un'arte della persuasione che si modella secondo narrazioni? Non risponde la politica anche a questo irrinunciabile bisogno dell'umano immaginario? Negli ultimi 30 anni anche le lites della borghesia hanno sentito il bisogno, per dare corpo a una controffensiva capitalistica su larga scala, della narrazione neoliberista. Un romanzo di reincarnazione del progresso al cui centro si ergeva la libert degli individui, l'eliminazione delle burocrazie, il premio al merito, il libero mercato come supremo ed equo regolatore delle relazioni sociali. Questa aura leggenda ha avuto una gigantesca capacit di fascinazione, al punto da riuscire a parassitizzare anche i vecchi partiti della sinistra. Il termine preso a prestito dall'entomologia. Alcuni insetti inoculano le proprie uova nel corpo di altri insetti, cos che le larve nasciture possano nutrirsi con il corpo dell'ospitante. Le idee di liberalizzazione, privatizzazione, competizione, flessibilit si sono nutrite con il corpo ospitante dei vecchi partiti di sinistra, che ne sono usciti spolpati. Ma proprio oggi, guardando alle parole, si pu scorgere nitidamente la fine dell'ultimo grande racconto del capitalismo contemporaneo. Che cosa sanno prometterci oggi gli apologeti dello sviluppo? Privatizzazioni, liberalizzazioni, detassazioni, ecc. Ma quale futuro della nostra condizione possiamo intravedere dietro queste promesse? Quale pubblica felicit? Dopo trentanni di di propaganda alla libert degli individui il fantastico risultato che le prossime generazioni vivranno peggio delle precedenti, i figli peggio dei padri. Per la prima volta nella storia contemporanea dell'Occidente in un racconto politico manca il lieto fine. Mentre le parole sono sempre le stesse, da trent'anni. E nel grande mare del libero mercato, dove tutto diviene rapidamente obsoleto, queste consunte parole sono ormai diventate rifiuti, come le merci del consumismo quotidiano. I beni comuni, ormai divenuto chiaro, posseggono una straordinaria potenzialit di narrazione. Essi raccontano una storia secolare. L'avanzare dei modi di produzione capitalistici e il progressivo appropriarsi da parte dei privati delle terre, dei boschi, delle acque che prima appartenevano alle comunit. Tutta l'et contemporanea una storia sempre pi accelerata di predazioni private. Possediamo dunque un fondo storico di rivendicazioni di straordinaria potenza. Ma ci sono beni comuni, dipendenti dal vecchio welfare, che si possono rimettere al centro della narrazione, perch mutilati e messi in forse dalle aggressioni degli ultimi

anni. Il sistema medico nazionale in Gran Bretagna, poi esteso ad altri paesi europei, ha reso possibile la difesa universalistica del bene comune della salute: un bene, quest'ultimo, la cui difesa consente di contrastare e battere gli interessi privati in ambiti amplissimi della vita sociale, dalla produzione di energia atomica allo smog cittadino. Allo stesso modo possono essere rivendicati con nuovo vigore il bene comune della conoscenza, della formazione pubblica garantita a tutti, un diritto nell'et dello sviluppo che ora si presenta in nuove forme. Ma al di la di ogni elencazione, e mettendo da parte questioni di definizione teorica, quel che vorrei sottolineare che il concetto di bene comune possiede una fertilit di scoperta e applicazione assolutamente senza confronti. E' sufficiente pensarci un po' e subito si scopre che bene comune l'etere, privatizzato da tante potenze economiche, l'aria che respiriamo, gli spazi urbani della nostra mobilit quotidiana, la bellezza del paesaggio, il tempo di vita. In realt, la rivendicazione dei beni comuni in gran parte l'espressione di un bisogno soggettivo degli individui di riscoprire il tessuto sociale connettivo che li pu strappare all'isolamento e all'atomizzazione senza coartare la loro libert. il racconto politico che tende a proteggere gli individui dall'angoscia della modernit, proiettandoli in una storia ricca di senso e in grado di illuminare criticamente i disagi del presente. Raccorda interessi e bisogni multiformi e fornisce a essi una prospettiva conseguibile con la partecipazione, quella prospettiva che negli ultimi decenni scomparsa dai cieli delle masse popolari e di tutti noi. Infine, non va dimenticato, tale racconto confligge apertamente con la contraddizione fondativa del capitalismo: la produzione sociale di un immenso flusso di ricchezza entro i vincoli stretti dell'appropriazione privata. E oggi, dentro tale contraddizione, non si trovano soltanto delimitati stock di beni e risorse, ma la Terra intera, la casa comune degli uomini, messa in pericolo dal saccheggio privato di forze che minacciano l'universalit dei viventi. E allora si comprende quale elevato grado di consenso tra tutte le classi sociali, culture e religioni, lungo tutte le geografie del pianeta, quale slancio e progettualit pu fornire a tutte le nuove generazioni il racconto dei beni comuni. ***

UN LABORATORIO CHE SPERIMENTA LA DEMOCRAZIA


[COMMENTO di Alberto Lucarelli su Il Manifesto] Il 6 luglio alle 17 a Scampia l'Assessorato ai beni comuni di Napoli presenter la nascita del Laboratorio per una Costituente dei beni comuni. Si proporr un percorso politico-partecipato tali da condurci dal pubblico al comune. necessario immaginare una nuova forma dell'azione pubblica locale che tuteli e valorizzi quei beni funzionali all'effettiva tutela dei diritti fondamentali, come beni di appartenenza collettiva e sociale, andando oltre le dicotomie pubblico-privato e propriet-gestione. Si proporranno processi elaborativi di base e dal basso espressione di conflitti, proposte, controllo, gestione. L'idea quella di ripartire dalla mobilitazione sociale quale sede naturale delle istanze della cittadinanza attiva, reagendo ai ripetuti tentativi di sottrarre allo spazio pubblico e quindi ai cittadini, beni la cui disponibilit funzionale all'effettivit dei diritti fondamentali. Si proporr la nuova categoria dei beni comuni, la cui titolarit va ricondotta in capo alla collettivit e la cui disciplina dovrebbe fondarsi su alcuni principi fondamentali che rimandano sostanzialmente all'idea di una loro indisponibilit ed inalienabilit, proprio in quanto costituenti il bagaglio fondamentale e inamovibile per il soddisfacimento dei bisogni primari di qualsiasi persona. Una nuova forma delle politiche pubbliche locali deve avere ben chiaro che il diritto di partecipazione, come diritto comprensivo delle plurali istanze partecipative, non pu non passare attraverso une vera e libera informazione e attraverso un conseguente processo di formazione permanente. L'affermazione e l'estensione di bene comune, adesso proposta anche nello Statuto del Comune di Napoli, dovr facilitare questo processo di democratizzazione funzionale del diritto pubblico, nella consapevolezza che il cittadino si senta sempre pi coinvolto dalla gestione dei beni comuni, in un processo permanente che

tende al governo pubblico partecipato. Il primo atto di questa trasformazione non potr che realizzarsi attraverso forme sperimentali di governo pubblico partecipato. Occorre andare oltre il principio della sovranit popolare che contiene un elemento di finzione ideologica, giacch il popolo vero appare differenziato in classi e gruppi minori, portatori di diversi e contrastanti interessi, il tutto secondo una ferrea logica escludente e gerarchica. Occorre dunque la volont di andare oltre le finzioni ideologiche, oltre il mito della sovranit parlamentare e della rappresentanza, che comunque non pongono tutti i cittadini concretamente in grado di concorrere su di un piano di effettiva parit reciproca e quindi con piena e consapevole autodeterminazione alla formazione della volont popolare governante. ormai tempo di scalfire l'assolutismo giuridico dell'et del liberismo economico, tempo per la societ civile, di partecipare alla res publica e di cessare di essere depositaria della produzione giuridica soltanto nella finzione della democrazia indiretta. E' fondamentale ricordare che gli strumenti di attuazione per lo sviluppo di una reale democrazia partecipata sono gi presenti nella Costituzione italiana, cosi come nel Trattato di Lisbona, negli Aalborg Commitments e nella Convenzione di Aarhus, fino ad arrivare allo Statuto del Comune di Napoli ed ai regolamenti delle Municipalit. Ma necessario andare oltre! Il Laboratorio Napoli vuole andare oltre, e fondarsi su un processo di integrazione fra diversi momenti partecipativi quali: -un' assemblea plenaria; - 12 consulte suddivise in macro-aree tematiche riconducibili all'attivit politico-strategica della giunta; - tavoli tematici riconducibili alle singole consulte, in grado di interagire in qualsiasi momento con l'amministrazione comunale al fine di incidere nella determinazione ed attuazione delle politiche pubbliche locali. Controllo finale dell'assemblea plenaria sull'intero processo partecipativo. Parte dunque il processo per destrutturare la mistificazione della partecipazione e attivare un laboratorio che, al di l della retorica rivoluzionaria, sappia affermare l'effettivo protagonismo della partecipazione per la costituzione degli spazi di reale democrazia partecipata. ***

Il diritto universale alla vita REDDITO DI CITTADINANZA Un'intervista con il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli
Dopo la politiche neoliberiste attuate da governi conservatori e progressisti, la sinistra deve tornare a proporre soluzioni che impediscano la riduzione del lavoro a merce La sinistra deve capire che il reddito base universale, anche se difficile da realizzare, dovrebbe oggi rappresentare il principale obiettivo di una politica riformatrice da realizzare gradualmente in una o due legislature. come sempre chiaro e netto Luigi Ferrajoli, che ha da poco pubblicato Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana (Laterza) la pi aspra critica del berlusconismo che si ricordi degli ultimi tempi (Il Manifesto del 25 maggio) e domani interverr al meeting sull'utopia concreta del reddito organizzato dal Basic Income Network a Roma. La crisi non ci lascia alternative: bisogna arrivare ad un reddito per tutti che garantisca l'uguaglianza e la dignit della persona. Diversamente da altre forme limitate di reddito di cittadinanza, un reddito per tutti escluderebbe qualunque connotazione caritatevole e quindi lo stigma sociale che deriva da un'indennit legata al non lavoro o alla povert. L'ho gi sostenuto in Principia Iuris: il reddito un diritto fondamentale. Molti studiosi sostengono che il reddito di base impraticabile perch costa troppo?

Certamente il reddito costa, ma i calcoli che sono stati fatti mostrano che esso comporterebbe anche grandi risparmi: un reddito ope legis per tutti riduce gran parte delle spese per la mediazione burocratica di almeno una parte delle prestazioni sociali, con tutti i costi, le inefficienze, le discriminazioni e la corruzione legati a uno stato sociale che condiziona le prestazioni dei minimi vitali a condizioni personali che minano la libert e la dignit dei cittadini. Ma soprattutto necessario sfatare l'ideologia dominante a destra, e purtroppo anche a sinistra, secondo la quale le spese nell'istruzione, nella salute, nella sussistenza sono un costo insostenibile. Queste spese sono al contrario gli investimenti primari ed economicamente pi produttivi. In Italia, il boom economico avvenuto simultaneamente alla costruzione del diritto del lavoro, all'introduzione del servizio sanitario nazionale e allo sviluppo dell'istruzione di massa. La crisi iniziata quando questi settori sono stati tagliati. Sono cose sotto gli occhi di tutti. Come si possono recuperare le risorse necessarie? Dal prelievo fiscale, che tra l'altro dovrebbe essere riformato sulla base dell'articolo 53 della Costituzione che impone il carattere progressivo del sistema tributario. La vera riforma fiscale dovrebbe prevedere aliquote realmente progressive. Oggi la massima il 43 per cento, la stessa di chi ha un reddito di circa 4.000 euro al mese e di chi, come Berlusconi o Marchionne o gli alti manager, guadagna 100 volte di pi. una vergogna. Quando Berlusconi dice che non vuol mettere le mani nelle tasche degli italiani pensa solo alle tasche dei ricchi. Occorrerebbe invece prevedere tetti e aliquote che escludano sperequazioni cos assurde. Cosa risponde a chi pensa che il reddito sia un sussidio di disoccupazione? Lo sarebbe se fosse dato solo ai poveri e ai disoccupati. Il reddito di base universale, al contrario, sarebbe un'innovazione dirompente, che cambierebbe la natura della democrazia, e non solo dello stato sociale, della qualit della vita e del lavoro. infatti una garanzia di libert oltre che un diritto sociale. Provocherebbe una liberazione dal lavoro e, insieme, del lavoro. Il lavoro diventerebbe il frutto di una libera scelta: non sarebbe pi una semplice merce, svalorizzata a piacere dal capitale. Per riconoscere il reddito come diritto fondamentale necessaria una riforma costituzionale? No. Si pu anzi affermare il contrario: che una simile misura imposta dallo spirito della Costituzione. La troviamo nei principi di uguaglianza e dignit previsti dall'articolo 3, ma addirittura nel secondo comma dell'articolo 42 sulla propriet che stabilisce che la legge deve disciplinare la propriet allo scopo di renderla accessibile a tutti. Questa norma, come ha rilevato un grande giurista del secolo scorso, Massimo Severo Giannini, prevede che tutti dispongano di una qualche propriet, accessibile appunto con un reddito minimo di cittadinanza. E poi ci sono le norme del diritto internazionale, come l'articolo 34 della carta di Nizza, l'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani. insomma la situazione attuale del lavoro e del non lavoro che in contrasto con la legalit costituzionale. La sinistra crede in questa prospettiva? No. Tuttavia, se la sinistra vuole rappresentare gli interessi dei pi deboli, come dovrebbe essere nella sua natura, questa oggi una strada obbligata. Il diritto al reddito oggi l'unica garanzia in grado di assicurare il diritto alla vita, inteso come diritto alla sopravvivenza. Ovviamente occorrerebbe anche l'impegno del sindacato. Nella sua tradizione, sia in quella socialista che in quella comunista, si sempre limitato alla sola tutela del lavoro. Oggi le garanzie del lavoro sono state praticamente dissolte dalle leggi che hanno fatto del lavoro precario a tempo determinato la regola, e del vecchio rapporto di lavoro a tempo indeterminato l'eccezione. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe comunque restaurare la stabilit dei rapporti di lavoro. Con la precariet, infatti, tutte le garanzie del diritto del lavoro sono crollate perch chi ha un rapporto di lavoro che si rinnova ogni tre mesi non pu lottare per i propri diritti. Tuttavia, nella misura in cui il diritto del lavoro non pu essere, in una societ capitalistica, garantito a tutti, e fino a che permangono forme di lavoro flessibile, il reddito di cittadinanza anche un fattore di rafforzamento dell'autonomia contrattuale del

lavoratore. Una persona che non riesce a sopravvivere accetta qualsiasi condizione di lavoro. Ad un dramma sociale di questa portata si deve rispondere con un progetto ambizioso. Per quanto rigurda il lavoro e il reddito che cosa si dovrebbe leggere in un programma di sinistra per le prossime elezioni politiche? Esattamente l'opposto di quanto stato fatto finora, anche dai governi di centro-sinistra che negli anni Novanta hanno inaugurato, con i loro provvedimenti, la dissoluzione del diritto del lavoro. Bisogna tornare a fare del lavoro un'attivit garantita da tutti i diritti previsti dalla Costituzione e conquistati in decenni di lotta, a cominciare dal diritto alla sua stabilit, che chiaramente un meta-diritto in assenza del quale tutti gli altri vengono meno. Il lavoro, d'altro canto, deve cessare di essere una semplice merce. E a questo scopo il reddito di base una garanzia essenziale della sua valorizzazione e insieme della sua dignit. Non accettabile che in uno stato di diritto i poteri padronali siano assoluti e selvaggi. Marchionne non pu ricattare i lavoratori contro la Costituzione, le leggi e i contratti collettivi e minacciare di dislocare la produzione all'estero. Una sinistra e un sindacato degni di questo nome dovrebbero quanto meno impegnarsi su due obiettivi: l'unificazione del diritto del lavoro a livello europeo, per evitare il dumping sociale, e la creazione di sindacati europei. Nel momento in cui il capitale si internazionalizza, perch non dovrebbero farlo anche le politiche sociali e i sindacati? ***

Energia e biosfera: lenergia alla luce del sole


Nasce una nuova filosofia: un modello in cui lenergia viene da tutta la comunit [ di Angelo Consoli, Presidente-Fondatore del CETRI-TIRES, Circolo Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale, e direttore dellufficio europeo di Jeremy Rifkin.] In questo momento di grave smarrimento indotto dalle immagini di distruzione e di morte provenienti dal Giappone e dal Medio Oriente, con reattori nucleari che esplodono e insurrezioni represse nel sangue da dittatori petroliferi, onde assassine che tutto travolgono anticipando catastrofi climatiche annunciate, raffinerie che diventano un inferno, dobbiamo guardare in casa nostra per ritrovare un senso di sicurezza, un nota positiva che ci permetta di riprendere il nostro destino in mano. Le catastrofi nucleari e i disastri petroliferi come quello del golfo del Messico che ha distrutto un intero ecosistema, rappresentano solo lestrema conseguenza di scelte sbagliate fatte dalluomo in un momento storico in cui non sembrava esserci alternativa allinquinamento e al degrado ambientale. Quel momento finito e adesso una alternativa c e nasce a Roma. Si affaccia la possibilit che il sole ci fornisca tutta lenergia di cui abbiamo bisogno. In effetti la nostra stella ci irradia ogni giorno con una energia che 15.000 volte superiore a quella che consumiamo. Finora non abbiamo sviluppato le tecnologie atte a sfruttarla in modo soddisfacente perch abbiamo sviluppato le tecnologie per i fossili e luranio. Ma adesso nuove tecnologie energetiche permettono di sfruttare una parte pi ampia dellenergia solare in tutte le sue forme (vento, luce, calore, terra, acqua) e di metterla a disposizione dei cittadini. Queste tecnologie permettono di fare di Roma la prima Citt della Biosfera postcarbon, come suggerisce il piano energetico ROMA 2020, ispirato alla visione di Jeremy Rifkin e coordinato dal sottoscritto per conto del CETRI, e dal professor Livio De Santoli, direttore del CITERA, il dipartimento di ricerche ambientali e energetiche dellUniversit La Sapienza di Roma. Ma perch questo processo dia i suoi frutti necessario che ognuno faccia la sua parte: non pi il tempo dellenergia fatta da ingegneri in camice bianco al chiuso di segrete centrali impenetrabili. il tempo dellenergia fatta alla luce del sole da tutti i cittadini, con fonti che sono disposizione di tutti. il tempo dellenergia prodotta rispettando la biosfera, con tecnologie alla portata della nostra citt e dei suoi

cittadini. Ed il tempo della condivisione della ricchezza prodotta dallenergia sotto forma di lavoro, e non della sua concentrazione in poche mani, sotto forma di astronomici profitti. Questi sono i principi del piano energetico romano che prima di essere inviato alla comunit europea, vorremmo sottoporre a tutti i cittadini, che siano addetti ai lavori o no. Per questo nato il gruppo su Facebook BiospheRome, dove tutti possono registrarsi per apprendere e commentare i principi di base del piano e gli interventi per far uscire Roma dallera dei fossili, con una discussione pubblica, alla luce del sole appunto. Loperazione culminer in una grande conferenza con tutti i cittadini interessati, in occasione della quale il Romanista contribuir con un inserto speciale, illustrativo degli interventi progettati per rimettere il destino energetico in mano ai romani, dalle reti intelligenti, al solare negli impianti sportivi, dalle biomasse agricole e forestali allefficienza energetica di scuole e case popolari, dal trasporto elettrico e a idrogeno, al fotovoltaico per le scuole e gli ospedali. Perch lenergia non sia mai pi un affare di pochi e per pochi, ma un affare di tutti e per tutti. Perch non ci sia mai pi bisogno di grandi centrali nucleari che esplodono, piattaforme petrolifere che devastano e grandi potentati remoti e inaffidabili che opprimono i loro popoli e noi. Una nuova filosofia dellenergia, la pi vecchia di tutte, quella del sole. Lenergia trasforma la materia, e produce effetti collaterali negativi sul piano del clima e dellambiente e diventa progressivamente meno disponibile. Questo il principio dellentropia, o seconda legge della termodinamica. Lenergia viene dal sole, e fluisce in un solo senso dal centro del sistema solare verso il suo esterno. La parte di energia solare che irradia la terra 10.000 volte quella che consumiamo quotidianamente (15.000 al netto dellinefficienza energetica come si diceva prima). Noi ne sfruttiamo una frazione microscopica. Invece abbiamo basato tutta la nostra tecnologia ed economia sulle fonti fossili e concentrate. In natura lenergia trasforma la materia e produce la vita attraverso processi elettrochimici (come la fotosintesi), che sono processi a bassa entropia. Con la scoperta delle fonti fossili e concentrate, luomo ha cominciato a trasformare lenergia attraverso processi di combustione che sono innaturali, e ad alta entropia. Linfrastruttura energetica della seconda rivoluzione industriale, che ha permesso di sfruttare queste fonti, ha avuto un impatto devastante sugli ecosistemi e il clima, mettendo a rischio la sopravvivenza dellessere umano sul pianeta. Questo universalmente riconosciuto dai climatologi e gli esperti internazionali (IPCC) Bisogna dunque progettare e realizzare modelli energetici ed economici che siano alimentati dalle fonti di origine solare e quanto pi distribuiti possibile. Energia come bene comune Lenergia vita. Come tale essa non pu essere prodotta e distribuita secondo rigide regole di mercato o privilegiando la pura logica del profitto. Senza energia c la morte termica e lestinzione dellessere umano. Dunque, in questa nuova filosofia dellenergia, essa va considerata un bene comune e garantita a tutti gli esseri umani al pari dellaria, dellacqua, e della libert. Per garantire laccesso allenergia a tutti gli esseri umani bisogna ritornare, dal ciclo dei fossili, a quello del sole, uscire dallera del carbonio, ritornare nellera del sole, ma sfruttato con nuove e pi potenti tecnologie capaci di approfittarne in una maggiore proporzione. Questo lobiettivo della Terza Rivoluzione Industriale, e i piani energetici ispirati a questa visione, come quello elaborato per Roma da Jeremy Rifkin in collaborazione con lUniversit la Sapienza, fanno riferimento a uno scenario post Carbon, ad attivit economiche esercitate dalluomo in sintonia e in compatibilit con le caratteristiche della biosfera che ci ospita e non a suo detrimento. Dal mercato dellenergia alla comunit dellenergia Per realizzare una Roma Post Carbon e biosferica, si propone la realizzazione di un piano di sviluppo economico di lungo termine ispirato ai principi della Terza Rivoluzione Industriale che produce accumula e distribuisce energia altandolinterconnettivit zonale del territorio di Roma fondendo la cintura agricola con le zone commerciali e residenziali in ununica relazione di inter-relazioni fra energie rinnovabili generate localmente, e condivise attraverso reti elettriche distribuite e intelligenti. Lapplicazione a Roma della Terza

Rivoluzione Industriale mira a dimostrare come sia possibile una riconciliazione delle aree che circondano il centro urbano sulla base di una collaborazione energetica in uno sforzo olistico di vicendevole sostegno nel segno della biosfera. Il Master Plan energetico proposto per Roma da Rifkin, non solo unaffermazione di principio ma trova piena realizzazione in un piano dazione che stato presentato ed in corso di discussione in modo partecipato con la societ civile e economica romana, e che non si limita agli aspetti energetici e ambientali ma si estende fino a quelli socio-economici e di crescita e redistribuzione della ricchezza. In questo nuovo modello, lenergia non viene pi prodotta da esperti in camice bianco in grandi centrali, ma da tutta la comunit. In rispettosa simbiosi con il territorio che la ospita. Il Piano energetico di Roma mira a creare la prima comunit di consumatori/produttori di energia, secondo la stessa filosofia che Carlo Petrini ha introdotto per le comunit del cibo, coinvolgendo e responsabilizzando nella produzione energetica tutti gli esseri umani di questa porzione di biosfera e redistribuendo energia ma anche ricchezza e potere. Un nuovo modello economico per redistribuire la ricchezza Infatti, lo sfruttamento delle fonti fossili e concentrate (carbone, petrolio, gas e uranio) ha prodotto anche entropia sociale, cio la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi potentati e monopoli e limpoverimento progressivo dei paesi del sud del mondo. Ecco che il cambio di ciclo energetico verso le fonti solari non solo loccasione di un riequilibrio ambientale e climatico ma anche sociale, attraverso la redistribuzione della ricchezza prodotta dallenergia, sotto forma di nuovi posti di lavoro, redditi aggiuntivi per le famiglie e i cittadini, contratti supplementari per la piccola e media impresa locale e le cooperative. Si tratta di un modello energetico a misura duomo e costruito intorno alluomo, e non intorno alla macchina. Un modello basato sulle fonti solari ad alta intensit di lavoro (prima garanzia di redistribuzione della ricchezza sia sotto forma di salario che sotto forma di reddito per le imprese e le famiglie), anzich sulle fonti fossili e concentrate ad alta intensit di capitali che privilegiano il profitto e ne determina la concentrazione in poche mani privilegiate. Nel modello economicoenergetico che noi intendiamo realizzare a Roma infatti, lenergia prodotta in piccole quantit, attraverso tecnologie diffuse sul territorio, accumulata localmente, e distribuita secondo principi di efficienza e privilegiando lautoconsumo, rimettendo in gioco le piccole e medie imprese locali che diventano fornitrici di prodotti e servizi energetici ad alto valore aggiunto come i service providers in internet. Questo modello valorizza gli enti locali, i comuni, le province, le regioni, e la piccola e media impresa locale, mettendo la produzione dellenergia alla loro portata. Ecco il senso filosofico profondo del Progetto Energetico della Roma del Terzo Millennio. La Citt di Roma che ha ispirato la cultura del mondo occidentale del primo e del secondo millennio, pu contribuire, con lesempio a riequilibrare il rapporto fra luomo e il pianeta, redistribuendo la ricchezza e proteggendo le condizioni per la vita per gli esseri umani nei millenni a venire. ***

Energia al lavoro
[ di Angelo Consoli, Presidente-Fondatore del CETRI-TIRES, Circolo Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale, e direttore dellufficio europeo di Jeremy Rifkin.] Il dibattito mondiale sullenergia e sul clima si arenato nelle secche danesi post-Copenhagen, vittima delle rigidit di un mondo ancora impigliato nei canoni della geopolitica tradizionale, dove paesi sviluppati e paesi emergenti sono troppo impegnati a difendere i loro orticelli rinsecchiti per rendersi conto delle praterie sconfinate che si aprirebbero davanti a loro con un nuovo modello energetico basato sul ciclo del sole. Ma per abbandonare il ciclo del carbonio necessario labbandono di una mentalit paternalistica, verticistica e intrisa di rassegnazione allentropia delle fonti fossili.

Si rivela dun colpo linadeguatezza dellimpostazione quantitativa della politica climatica scaturita dalla Conferenza di Rio de Janeiro nel 1990 e cristallizzata nel successivo Protocollo di Kyoto. Infatti, inquadrare la problematica unicamente sotto il profilo della limitazione dei gas a effetto serra, e su come distribuire il carico di tali limitazioni fra i paesi, ha contestualizzato tutto il dibattito in un ambito chimico, facendo perdere di vista limpatto socio-economico delle politiche energetiche mondiali: quanta ricchezza crea questo modello energetico basato sulle fonti fossili e concentrate? quanto potere economico e geopolitico? per chi? quanta occupazione per gigawatt prodotto? quanta innovazione, quanto sviluppo per la persona umana? La crisi climatica non pu essere esaminata in modo isolato, perch si perderebbe di vista il suo intreccio perverso con elementi energetici, economici e finanziari. Per cogliere la complessit di questa crisi necessario spogliarsi dei preconcetti ideologici, nazionalistici e perfino ambientalisti (ma a Copenhagen nessuno lo ha fatto), cominciando a pensare secondo quella che Jeremy Rifkin ha battezzato politica della biosfera (Rifkin, 2010), in opposizione alla geopolitica che dalla pace di Westfalia in poi ha devastato i nostri continenti, incendiandoli con tragiche guerre nelle quali milioni di esseri umani hanno perso la vita con lo scopo, dichiarato o meno, di accedere alle fonti concentrate di energia. La verit che siamo agli sgoccioli della seconda rivoluzione industriale, quella che grazie allo sfruttamento intensivo dei combustibili fossili ha permesso un impetuoso sviluppo della specie umana, moltiplicando per sei la popolazione mondiale in meno di 200 anni, ma ha anche prodotto i guasti climatici che sono sotto gli occhi di tutti, oltre che una societ verticistica, ineguale e ingiusta, a immagine delle fonti fossili e concentrate che lhanno alimentata. Siamo al tramonto di un modello economico in cui la produzione e la distribuzione dellenergia erano riservate a poche caste e potentati seduti sulle riserve di petrolio o i giacimenti di uranio, oltre che sulle montagne di capitali pubblici e privati necessari a sfruttare tali fonti concentrate. In questo senso, la marea nera fuoriuscita dalle trivellazioni della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera della British Petroleum, ci porta a considerazioni che vanno ben al di l degli effetti sulla biodiversit in tutto il Golfo del Messico. In particolare, due riflessioni mettono in crisi il modello energetico tradizionale. La prima si riferisce allesasperazione della logica del profitto applicata allenergia. Infatti, se il killer il petrolio, il mandante un altro: si tratta dellavidit delle aziende petrolifere che, per risparmiare su accorgimenti di sicurezza da 500 mila dollari, non hanno esitato a mettere a rischio la vita di milioni di persone e di un intero ecosistema; per troppo tempo non sono state in grado di riparare al disastro che hanno combinato o anche solo di arginarlo. Questi apprendisti stregoni dellenergia sembrano sempre cos sicuri del fatto loro quando devono ottenere i permessi per le centrali nucleari e le piattaforme di trivellazione: parlano di sicurezza, pulizia, ecologia, salvo poi alzare le spalle e andare a nascondersi come conigli quando le cose sfuggono loro di mano. Limpotenza dei tecnici della British Petroleum stata lo specchio dellincapacit degli ingegneri nucleari di Chernobyl, incapaci di reagire di fronte al disastro ambientale, alle sofferenze umane, ai costi sociali ed economici che loro hanno provocato, ma che verranno pagati da vittime innocenti. Questo dovrebbe far riflettere prima di fare scelte energetiche avventuriste. La seconda riflessione proietta un nuovo significato della parola entropia. Infatti, un incidente pu sempre capitare, ma il modello energetico basato sullidea di bruciare petrolio a mostrare qui tutta la sua insensatezza. Il petrolio un elemento nobile, andrebbe usato come materia prima per prodotti chimici e farmaceutici, non bruciato come fonte energetica. Non si pu pensare che nel 2010 si possa continuare a produrre energia attraverso processi di combustione, quando il pensiero umano e la tecnologia si sono evoluti verso modelli pi naturali e meno distruttivi. La natura non brucia nulla (a meno che non ci pensino i piromani), ma produce energia e vita attraverso processi termochimici, come la fotosintesi. Dovremmo fare cos anche noi, ma purtroppo abbiamo investito somme monumentali nella ricerca petrolifera e nucleare, distogliendole dalla ricerca solare, quella che fin da subito poteva portare il mondo in unaltra direzione, e dalla ricerca sullidrogeno (le celle a combustibile, a dispetto del loro nome, non bruciano idrogeno, ma lo riassociano allossigeno producendo elettricit in un processo termochimico molto simile a quelli naturali).

Bisogna smettere di trivellare la superficie terrestre alla ricerca di un liquido che rende ricchi pochi potentati e impoverisce il resto dellumanit, e la imprigiona nei suoi disastri ambientali. Il petrolio non inesauribile, la sua ricerca sta diventando sempre pi difficile perch i giacimenti di facile accesso sono ormai tutti esauriti e bisogna andare a cercare quelli negli abissi oceanici, quattro chilometri sotto il fondo del mare. Ma se il petrolio si sta esaurendo, la nostra atmosfera, bene molto pi prezioso, si sta esaurendo molto pi rapidamente. Quanto saggio aspettare di aver esaurito lultima goccia disponibile di petrolio prima di incominciare a predisporre unalternativa? Non piuttosto interesse comune intraprendere una missione epocale atta a ripristinare al pi presto quellequilibrio chimico della biosfera che ha permesso lemergere e levolversi della razza umana, la cui alterazione sta compromettendo le condizioni della nostra stessa sopravvivenza sul pianeta? La risposta giusta conduce verso un nuovo modello energetico a emissioni zero, approfittando della finestra temporale offerta dalla fine del petrolio, per cominciare a predisporre da subito uninfrastruttura energetica sostenibile, basata sulle fonti solari e rinnovabili, accelerando al massimo la transizione verso processi energetici di terza rivoluzione industriale. Non solo una necessit sul piano ambientale, ma rappresenta anche la base di quella green economy in grado di aiutare la ripresa economica perch presuppone unintensit di lavoro di gran lunga superiore a quella dei modelli energetici basati sulle fonti concentrate, e una conseguente creazione di impresa, occupazione legata al territorio e costante innovazione tecnologica. Una ripresa efficace non pu infatti basarsi solo sul salvataggio delle banche, perch questo agisce solo su uno degli effetti pi evidenti della crisi strutturale della seconda rivoluzione industriale. Per agire sulle sue cause bisogna creare e distribuire ricchezza e posti di lavoro stabili e locali, che permettano ai cittadini di avere un reddito stabile e dunque consumare senza indebitarsi fino a diventare insolventi. La terza rivoluzione industriale lunica prospettiva capace di creare milioni di posti di lavoro nei settori energetico e delle telecomunicazioni avanzate, e rende possibile una redistribuzione del reddito su larga scala con benefici che si estendono a tutta la societ (Rifkin, 1995). Non si tratta di unutopia, anzi. La terza rivoluzione industriale gi cominciata: linformazione centralizzata in pochi network televisivi ha progressivamente lasciato il posto alla comunicazione interattiva e decentrata in internet. Milioni e milioni di cittadini comunicano fra loro trasmettendo video, testi, immagini, dati, attraverso le varie applicazioni che la rete offre loro (mail, youtube, facebook, myspace, wikipedia, twitter, msn, skype), diventando progressivamente anche fornitori di informazione. La stessa cosa sta lentamente accadendo, grazie alle nuove tecnologie, anche nel settore dellenergia: in un futuro non troppo lontano tutti saremo in grado di produrre tutta la nostra energia nelle nostre case, nelle fabbriche, negli uffici, negli alberghi, negli ospedali, nei centri commerciali, negli impianti sportivi, nelle aziende agricole. Attraverso un sistema di rete intelligente saremo in grado di scambiarci lenergia cos prodotta in un vasto network interdipendente, e di accumularla sotto forma di idrogeno. Tutti diventeremo produttori, e non solo consumatori di energia, in un nuovo quadro economico che Rifkin definisce di capitalismo distribuito (Rifkin, 2010). Lestensione del modello distribuito e interattivo dal campo dellinformazione a quello dellenergia un processo epocale, inarrestabile. Ma si tratta di un processo che pu essere rallentato da politiche climatiche ed energetiche antiquate, in cui prevalga la tendenza a conservare i modelli energetici basati sulle energie concentrate e la difesa del lucroso business che essi continuano a garantire a monopoli e potentati energetici. In maniera uguale e contraria, tale processo invece accelerer se prevarranno orientamenti ispirati allinnovazione tecnologica, al decentramento produttivo e alla sostenibilit. Dentro questo sforzo epocale, anche gli enti locali sono chiamati a svolgere un ruolo attivo. Regioni, Province e Comuni non sono pi condannati a seguire passivamente le politiche energetiche nazionali, perch la produzione energetica distribuita, a differenza di quella basata sulle fonti fossili e concentrate, alla loro portata, cos come alla portata della piccola e media impresa, delle famiglie e dei singoli individui. Si apre dunque una grandissima opportunit, tesa a innescare nuove politiche virtuose dellenergia che, a partire dal

livello locale, coinvolgano democraticamente tutti i cittadini, permettano una redistribuzione della produzione dellenergia e della ricchezza a essa legata, determinino in ultima analisi unespansione della democrazia dato che la terza rivoluzione industriale porter a una nuova visione sociale in cui anche il potere, oltre allenergia elettrica, sar ampiamente distribuito, incoraggiando nuovi e pi elevati livelli di collaborazione fra persone e popoli [] Cominciamo a intravedere un mondo in cui centinaia di milioni di persone sono illuminate, in senso sia politico sia energetico, con conseguenze incalcolabili in termini di vita sociale e politica (Rifkin, 2010). Ma attenzione, una rivoluzione non un processo pacifico! Si impongono talvolta scelte nette, anche violente. Ci saranno vinti e vincitori. I vincitori creeranno ricchezza, occupazione e impresa, esporteranno prodotti, servizi e know how energetici. I vinti continueranno a divincolarsi nelle ultime gocce di petrolio, annaspando, scivolando e cadendo come un cormorano della Louisiana contaminato dalla marea nera. Bibliografia Rifkin J. (2010), La civilt dellempatia, Milano, Mondadori, pp. 486, 488, 549-ss. Rifkin J. (1995), La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e lavvento dellera post-mercato, Milano, Baldini e Castoldi, p. 25. ***

Mappe Il movimento che rende visibile il cambiamento del Paese


[di ILVO DIAMANTI su La Repubblica, 27 giugno 2011] I Grande il disordine sotto il nostro cielo. Due mesi di consultazioni - elezioni amministrative e referendum hanno rivelato un cambiamento profondo nel clima d'opinione. Ma non ancora chiaro come e perch sia avvenuto. I dati dell'Atlante Politico, raccolti da Demos nel sondaggio condotto nei giorni scorsi, offrono al proposito molte indicazioni. Utili a decifrare i motori della svolta elettorale - e politica - di questa fase. 1. La prima causa la delusione. Nei confronti del governo, di Berlusconi, ma anche della Lega. Il giudizio sul governo non mai stato cos negativo, da quando in carica. Come, d'altronde, quello su Berlusconi. Apprezzato dal 26% degli elettori. Quasi 10 punti in meno rispetto a sei mesi fa. Perfino Bossi lo supera, seppur di poco. Tuttavia, i suoi elettori sono insoddisfatti. Tanto che, tra i motivi della partecipazione al referendum, i leghisti indicano la volont di "punire il (loro) governo" in misura maggiore rispetto a tutti gli altri elettorati (43%; 10 punti in pi della media generale). D'altronde, non un caso che il leader pi apprezzato sia Tremonti. Cio: l'alternativa a Berlusconi. 2. La "delusione" verso il governo si riflette negli orientamenti elettorali. Il Pdl, infatti, superato dal Pd. In generale, peraltro, il vantaggio dei partiti di centrosinistra su quelli della maggioranza supera ormai i 7 punti. D'altronde, Bossi l'ha detto chiaramente, a Pontida. Se si votasse oggi, la sinistra vincerebbe. Per cui conviene "resistere". Asserragliati nel Palazzo. 3. Tuttavia, il cambiamento del clima d'opinione ha altre ragioni, oltre la delusione. Anzitutto, la voglia di partecipazione, che ha spinto quasi il 60% degli elettori a votare, in occasione del referendum. Nonostante l'indifferenza o l'ostilit dei partiti di maggioranza. Nonostante il silenzio di MediaRai. O forse proprio per questo. D'altra parte, ha votato oltre un quarto degli elettori del Pdl, ma quasi met (il 42%, per la precisione) di quelli della Lega. Un orientamento favorito dall'emergere di nuove domande e nuovi valori. Il quesito relativo al "legittimo impedimento" risulta, infatti, il meno importante, secondo l'opinione degli elettori. Scelto dal 13% dei votanti (intervistati da Demos). Molto pi larga la componente di quanti attribuiscono maggiore significato ai quesiti sul "nucleare" e sulla "privatizzazione dell'acqua". Segno che la mobilitazione ha intercettato sentimenti che vanno ben oltre l'antiberlusconismo. C'era nell'aria una domanda di valori (e anche "timori")

diversi da quelli propagati dal "pensiero unico" del nostro tempo. Il referendum ha fornito loro l'occasione di "rivelarsi" ed esprimersi. 4. Tuttavia, il clima d'opinione non cambia da solo. Non bastano la "delusione" e le "nuove paure" - relative all'ambiente, alla salute, al lavoro - a modificarlo. Ci vogliono nuovi "attori", in grado di ri-scrivere l'agenda pubblica. Imponendo all'attenzione dei cittadini nuovi temi. Ci avvenuto in occasione del referendum - e prima delle amministrative. In questo esatto momento avvenuta la "scoperta del movimento". Formula semplice e un po' semplificatoria, attraverso cui si cercato di definire la mobilitazione sociale - inattesa - alle amministrative e ai referendum. In effetti, non di "un" movimento, si tratta. Ma di una molteplicit di esperienze: diverse, diffuse e articolate. Nella societ e sul territorio. Hanno agito e scavato per - e da - molto tempo, in modo carsico. Oltrepassando l'area tradizionalmente "impegnata", prevalentemente composta da uomini, di et matura. I dati dell'Atlante politico di Demos tratteggiano, al proposito, una radiografia piuttosto precisa e chiara. Diversa dalla tradizione. Proviamo a ricostruirla, risalendo (o ri-scendendo), un ramo dopo l'altro, "l'albero della partecipazione". a) Se il 57% degli elettori italiani ha votato al referendum, il 16% ha fatto campagna elettorale. Oltre un quarto dei votanti. Tanti, se si pensa agli stereotipi che vorrebbero la societ amorfa e conformista. b) In secondo luogo: quasi il 60% di chi ha partecipato alla campagna elettorale (il 9% dell'elettorato) non l'aveva mai fatto prima. Si tratta di una partecipazione "nuova", caratterizzata da componenti sociali tradizionalmente periferiche, rispetto all'impegno politico. In primo luogo e in particolare, le donne e i giovani. Un terzo dei "nuovi" impegnati, infatti, ha meno di trent'anni. Una misura doppia rispetto a quel che si osserva nell'ambito degli impegnati di "lungo corso". Parallelamente, nell'area della "nuova" partecipazione appare molto ampio il contributo degli studenti - ma anche degli operai. La partecipazione "tradizionale", invece, ancora animata da pensionati e impiegati pubblici. c) Quanto alle modalit e ai canali di partecipazione, solo il 18% circa delle persone impegnate in campagna elettorale ha adottato modelli di "militanza" esclusivamente tradizionali. Partecipando a comizi, manifestazioni, distribuendo volantini, ecc. Met di coloro che si sono impegnati nel referendum, invece, ha praticato una sorta di "campagna leggera". Realizzata attraverso contatti personali. Con amici, genitori, nonni, zii, cugini. Parenti e conoscenti. Infine, la rimanente parte dei cittadini impegnati (circa un terzo) ha seguito un modello "reticolare". Ha, cio, utilizzato le nuove tecnologie della comunicazione e in particolare la Rete. Si tratta di due modelli altrettanto importanti. Il primo perch penetra nelle pieghe della vita quotidiana. Plasma il senso comune. Coinvolge persone altrimenti escluse dai messaggi politici. L'altro modello, invece, sfida la - e si sottrae alla - comunicazione tradizionale. In particolare, al/la televisione e a/i suoi padroni. Pubblici e privati. Entrambe queste modalit di partecipazione, peraltro, sono poco visibili. E per questo non sono state colte per tempo. I "nuovi" protagonisti dell'impegno politico - donne, giovani e studenti - si sono caratterizzati per un elevatissimo utilizzo del modello "reticolare". 5. Quelli che hanno votato al referendum, quelli che si sono impegnati per militanza consolidata o per la prima volta. Hanno un orientamento politico trasversale. Prevalentemente di centrosinistra. Ma molti di essi sono di centro e di destra. Oppure incerti e disillusi. Canalizzarne il consenso: non sar facile per nessuno. Non pu venire dato per scontato da nessuno. Neppure nel centrosinistra. Dove si sono gi accese le liti e le dispute partigiane e personali. Per contendere il "nuovo" clima d'opinione. Per intercettare le molecole della "nuova" partecipazione. Largamente inattesa e invisibile. Anche al centrosinistra. ***

Emancipazione e diritti umani nel pensiero di Boaventura de Sousa Santos

Emancipation and Human Rights in the Thought of Boaventura de Sousa Santos [di Carmela Guarino, Universit degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, Italia] ABSCTRACT Boaventura de Sousa Santos fa una analisi minuziosa della societ attuale nella quale valori come l'uguglianza e la fretellanza si eclissano di fronte alla logica del capitalismo neoliberale. La legge e la scienza moderna hanno contribuito a tale fenomeno mediante la determinazione di societ ogni volta pi ingiuste ed escludente. Il rimedio a questa tragedia imminente, considera De Sousa Santos, l'emancipazione sociale, ossia un incontro tra differenti civilizzazioni, un processo che permetta la comprensione mutua tra i cittadini del mondo, perch il concetto di differenza non pu essere considerato un fattore di separazione e isolamento, ma al contrario un fattore di scambio e solidariet. *** Boaventura de Sousa Santos1, sociologo portoghese, uno dei principali intellettuali e filosofi di riferimento per le dottrine antiglobalistiche. La sua attenzione verso i temi dellemancipazione sociale 2 e dei diritti umani, non si esplica solo a livello teorico, bens, attraverso unattenta analisi critica sul riscontro che questi temi possano avere nella societ attuale, tenendo in considerazione il fenomeno incessante del neoliberalismo economico3. Egli definisce transizione paradigmatica il periodo in cui viviamo, scandita dal passaggio dalla modernit alla postmodernit. La sua opera appare particolarmente interessante in quanto lautore si preoccupa di spiegare la complessit dei fenomeni attuali partendo da unacuta critica rivolta alle insufficienze e deficienze della modernit. I valori su cui essa era imperniata, precisamente, lo stato di benessere, i principi di libert, uguaglianza e fratellanza, sono crollati anche in seguito al tracollo del contratto sociale che, secondo quanto teorizzato dallo stesso Rousseau, era un patto dei cittadini con loro stessi, al fine di edificare una societ di liberi ed uguali in cui il principio di uguaglianza sia sancito non solo da un punto di vista formale, bens, sostanziale. Questa enorme disfatta, ha determinato linsorgere di societ sempre pi ingiuste ed escludenti 4, in cui una gran parte della popolazione mondiale non pu partecipare attivamente alla vita politica in quanto, purtroppo, costretta a combattere quotidianamente con problemi che non interessano le civilt occidentali, quali potrebbero essere la fame ed il tasso di mortalit infantile. Queste forme di esclusione sociale sono dovute, in particolare, allincalzare di due fenomeni, di cui si servita la modernit per definire la crisi tra regolazione ed emancipazione sociale: il Diritto e la Scienza Moderna. Partendo dallanalisi di questultima, Sousa sostiene che essa, essendo stata strumentalizzata dal potere e da esso deviata, ha annientato tutte le conoscenze alternative e pertanto considerate come rivali, imponendosi come unico e solo pensiero scientifico egemonico. Lautore portoghese denuncia, in particolare, lasservimento di questa alla macchina da guerra, la cui relazione agli inizi del secolo XX andava sempre pi intensificandosi attraverso la preparazione di strumenti bellici, per la soddisfazione della sete di potere di cui erano bramosi i popoli del vecchio e nuovo continente. I successi della scienza moderna, infatti, sono dovuti alla sua capacit di sottomettere popolazioni del sud del mondo alla logica capitalista e pertanto predominante. Santos crede, appunto, che la scienza dalla quale proveniamo una conoscenza arrogante, in quanto riconosce le culture alternative solo e nella misura in cui in grado di cannibalizzarle, ossia, di inglobarle. Definisce, pertanto, glocalismo localizzato 5, limpatto che le pratiche e gli imperativi della modernit hanno sulle conoscenze locali, che vengono destrutturate, private della loro identit per essere ristrutturate secondo i modelli imposti dalle civilt egemoniche. Per rendere maggiormente esplicito questo concetto, basti pensare ai ricercatori e scienziati che operano nelle periferie del mondo che, spesso in solitudine, si sono interrogati sulla possibile inutilit del loro lavoro, essendo pervasi dallangoscia di dover asservire, prima o poi, il loro sapere agli interessi egemonici. Si pensi, ad esempio, alla medicina alternativa che sfrutta la capacit terapeutica delle piante, di cui fanno frequentemente uso i popoli indigeni. Essa non riconosciuta come ufficiale dai paesi occidentali poich non prodotta in accordo con le norme ed i criteri stabiliti dalle moderne aziende farmaceutiche e biotecnologiche, le quali

ne rivendicano il diritto di propriet intellettuale6. Santos, precisamente, prendendo spunto dal trattato di Klug7 dimostra che, cos agendo, la scienza moderna limiti la stessa ricerca per la cura di malattie diffusissime, nei paesi del sud del mondo, soprattutto nel momento in cui non garantisce la facile accessibilit ai farmaci essenziali protetti dal brevetto8. La soluzione del problema, quindi, consiste nel ridimensionare a livello internazionale il ruolo di questi poderosi attori come potrebbero essere, ad esempio, le case farmaceutiche, in modo da riunire un numero significativo di ricercatori provenienti anche in maggioranza dai paesi semiperiferici che, insieme ed in assenza o compartecipando con la scienza centrale, siano capaci di rivendicare un sapere multiculturale, che tenga conto anche e soprattutto di un vissuto concernente esperienze estreme delle popolazioni al margine, unicamente in funzione dellemancipazione sociale, in lotta alloppressione e alla discriminazione. Come accennato precedentemente, per il filosofo portoghese, altro elemento destabilizzante nella modernit, oltre alla scienza moderna, il diritto. Santos denuncia come esso per tutto il XX secolo sia stato sottomesso, asservito, ad una serie di valori e convinzioni divenendo strumento di oppressione nelle mani di forze politiche emergenti9. Questa posizione del diritto, per Santos, sicuramente aleatoria in quanto, nel momento in cui lordinamento giuridico statale monopolizza la produzione giuridica esistente, esclude il rapporto essenziale che intercorre tra il diritto e la societ. Il diritto, infatti, deve essere rappresentazione, lo specchio della societ attuale. Esistono, uninfinit di tipologie societarie, di conseguenza, altrettanto vasta deve essere la produzione giuridica esistente, includendo non solo il diritto positivo, ma anche quello consuetudinario. La relazione intercorrente tra diritto e societ paragonabile a quello tra le mappe e lo spazio10. Le mappe, in realt, non sono altro che una riproduzione deformata degli spazi per rendere quanto meno agevole la loro consultazione. Ebbene, questa distorsione o occultamento della realt sono anche i presupposti dellesercizio del potere. Ci dimostra, chiaramente, come nella modernit diritto e scienza sono stati monopolizzati dallo Stato, ma soprattutto, dal capitalismo e da quella che il sociologo portoghese definisce come globalizzazione neoliberale. Volendo dare una definizione al fenomeno della globalizzazione, diremo che essa un processo attraverso il quale una determinata condizione o entit amplia il suo ambito a tutto il globo e facendolo acquisisce la capacit di designare come locali le condizioni o entit rivali11. La globalizzazione neoliberale, con gli stessi effetti, nasce dalle dinamiche del capitalismo occidentale. Essa promossa da poderosi attori internazionali che si adoperano al fine di diffondere le loro concezioni e le loro politiche in tutto il pianeta. Questo modello, ovviamente, che pian piano va diffondendosi a macchia dolio, trattiene in s non poche contraddizioni poich la politica economica neoliberale, lontana dal promuovere situazioni di sviluppo, ha generato una possente esclusione sociale, in quanto ha fatto in modo che i rapporti commerciali internazionali si stabilissero solo tra multinazionali di grande potenza economica e disponibilit di capitali, escludendo cos da questo imponente circuito quei paesi che non hanno una forza economica tale da poter con loro competere. Ormai siamo entrati nella morsa di quello che lautore portoghese definisce Fascismo societario12, in cui la logica del profitto e delleconomia si espande in tutti i campi della vita sociale e diventa lunico criterio possibile per stabilire relazioni tra paesi e popoli differenti. Lesclusione sociale, tuttavia, sebbene sia un fenomeno molto diffuso grazie alla logica capitalista, non lunico pericolo incombente che preoccupa Santos. Egli teme che i diritti umani si convertano in una forma di glocalismo, cio che divengano un fenomeno locale adeguatamente globalizzato. I diritti umani, infatti, rischiano di essere inglobati anchessi nella logica del capitalismo neoliberale, ossia fenomeno connesso alla globalizzazione neoliberale. Basti pensare infatti alla pretesa delloccidente di voler concepire ed esportare la democrazia come unico modello politicamente legittimo, servendosi dei diritti umani come mezzo per giustificare un intervento coercitivo come linvasione armata13. Loccidente, infatti, si sempre crogiolato nella falsa illusione di poter salvare lumanit distruggendone una buona parte. Un fenomeno che rientra sicuramente tra i tanti corsi e ricorsi storici e che nei secoli ha assunto connotazioni diverse: colonialismo, genocidio degli indiani dAmerica o dei popoli africani. Ci a dimostrazione di come molte guerre sono animate soprattutto da interessi di tipo

economico, a nulla contando il fatto che esse minino la pace e la sicurezza di intere popolazioni 14. La povert e la miseria delle popolazioni del sud del mondo, purtroppo, non sono casuali e nemmeno dovute e incapacit o carenza di volont di lavorare e emergere dal contesto pessimo in cui sopravvivono. Sono le attuali regole del commercio mondiale che aggravano gli squilibri esistenti, anzich favorire unequa distribuzione delle risorse. LA GLOBALIZZAZIONE ANTIEGEMONICA La globalizzazione neoliberale , ai giorni nostri, un importante fattore esplicativo dei processi economici, sociali, politici e culturali delle societ nazionali. Tuttavia, nonostante la sua maggiore importanza e il suo carattere egemonico, questa non lunica globalizzazione. Di pari passo con essa, e in buona misura come reazione ad essa, sta emergendo unaltra globalizzazione, costituita dalle reti e dalle alleanze transfrontaliere tra movimenti, lotte ed organizzazioni locali e nazionali che nei diversi angoli del mondo si mobilitano per opporsi allesclusione sociale, alla precariet del lavoro, al declino delle politiche pubbliche, alla distruzione dellambiente e della biodiversit, alla disoccupazione, alla violazione dei diritti umani, alle pandemie, agli odi interetnici provocati direttamente o indirettamente dalla globalizzazione neoliberale. Il processo di globalizzazione un fenomeno che tende ad avere un carattere non egualitario, in quanto la produzione ha un carattere transnazionale e privilegia tre aree del mondo: il nord dellAmerica, lEuropa occidentale e lAsia orientale. E proprio in queste aree che si svolgono i centri di progettazione e i principali mercati. qui che vive la popolazione pi ricca che pu fornire tecnici pi preparati e acquirenti di merci pi costose. Il resto del mondo, a sua volta, diviso in due: gli Stati tecnologicamente sviluppati capaci di garantire alle aziende transnazionali di istallarvi fabbriche dove portare la produzione, e quelli definiti arretrati, tecnologicamente ed economicamente, che restano secondari rispetto ai processi economici mondiali. LAfrica lesempio di paese tecnologicamente ed economicamente arretrato che ha il ruolo di esportare materie prime e prodotti agricoli. Negli ultimi anni vi stato un aumento della disoccupazione dovuto a questi mutamenti tecnologici, ma soprattutto dovuto ai processi di trasferimento della produzione in aree periferiche. Questo fenomeno, apparentemente inarrestabile almeno da un punto di vista commerciale, ha incontrato differenti forme di resistenza, che consistono in iniziative di base, organizzazioni, movimenti popolari, reti trasnazionali di solidariet, nuove forme di internazionalismo operaio, che intendono contrastare lesclusione sociale, aprendo nuovi varchi per la partecipazione democratica e la costruzione di un nuovo senso comune. Esse,in particolare, offrono alternative rispetto alle nuove forme di sviluppo e conoscenza a favore dellinclusione sociale. Queste nuove reti di solidariet trattano e mettono a fuoco un ampia variet di temi, quali i diritti umani, la discriminazione etnica e sociale e la biodiversit. Questo attivismo costituisce una politica emancipatoria che, a differenza dei modelli occidentali della modernit (la rivoluzione sociale e il socialismo), strettamente connessa alla politica redistributiva e al riconoscimento delle diversit. Tutti i micromovimenti che si mobilitano nelle diverse parti del mondo, infatti, si prefiggono ciascuno un obiettivo, che potrebbe essere la salvaguardia della diversit ed il rispetto per laltro, come le campagne contro il razzismo o la xenofobia. Il concetto di emancipazione sociale, strettamente connesso a quello della globalizzazione antiegemonica, strettamente utopico ed il suo pieno significato pu essere compreso in pieno solo se si tengono in considerazione tre procedimenti connessi. Il primo procedimento, a cui Santos si riferisce, la Sociologia delle assenze, ossia il procedimento mediante il quale le organizzazioni che combattono la globalizzazione egemonica, riconoscendo i propri limiti, si confrontano e completano le proprie deficienze attraverso la connessione con altra organizzazione facente parte di altra parte del globo. La sociologia delle assenze conferirebbe, dunque, alle suddette organizzazioni una certa compiutezza, in quanto queste sarebbero complementari e risulterebbero maggiormente fortificate. Per creare tale apertura necessario ricorrere ad un secondo procedimento che Santos definisce La teoria della traduzione. Un gruppo antiegemonico, in questo consiste la teoria della traduzione, riesce a riconoscerne un altro nella misura in cui entrambe rinuncino al proprio particolarismo. La teoria della traduzione non intende, dunque, cancellare i caratteri di base di un organizzazione, piuttosto mantiene intatta lautonomia delle

lotte, permettendo di identificare i caratteri comuni e di tenere in considerazione anche le diversit. Una volta che sono stati presi in considerazione i parametri comuni e quelli differenti, possono essere posti in essere piani dazione dettagliati, al fine di costituire delle alleanze, possibili solo se si basano su denominatori comuni. La traduzione un processo fondamentale che consente la comprensione reciproca tra i cittadini del mondo, affinch il concetto di differenza, possa essere celebrato non come fattore di frazionamento e isolamento, ma piuttosto come fattore di condivisione e solidariet. Il terzo procedimento a cui si riferisce Santos consiste nella creazione di Nuovi Manifesti. Per esplicare questa fase egli prende come punto di riferimento il Manifesto di Marx ed Engels. In questo trattato si profetizza una fede infrangibile nel progresso e gli ideali tipici del liberismo economico vengono considerati come fattori emancipatori della societ, resi possibili grazie ad una nuova classe emergente: la borghesia. Santos, sottolinea come in realt gli ideali enunciati ne Il Manifesto, siano dei veri e propri mali sociali. Infatti, come abbiamo accennato in precedenza trattando linterdipendenza tra la scienza e la macchina da guerra, la tecnologia stata, per lautore, la fonte di tanti genocidi che si sono perpetrati e continuano a compiersi nel mondo, a svantaggio di vittime innocenti di guerre innestate per la corsa al potere. Analizzando la situazione attuale, per niente analoga a quella descritta nel trattato marxista, Santos auspica la creazione di Nuovi Manifesti, potenziali a tal punto da riuscire a mobilitare tutte le forze progressiste del mondo, al fine di creare societ alternative, che possano fronteggiare il fascismo societario. Il progetto che intende realizzare lautore attraverso lemancipazione sociale una societ multiculturale, una Nueva Amrica, ossia una nuova era in cui non esistano le diversit ed il razzismo possa essere abolito unitamente al concetto di razza. Nuestra Amrica bien puede ser el siglo que comienza15. Cinque sono i Nuovi Manifesti, ossia le proposte per la realizzazione della societ utopica, il primo dei quali consiste nella realizzazione di una Democrazia partecipativa. A tal proposito, la principale novit risiede nelle proposte di riforma democratica avanzate da micro movimenti diretti da attivisti sociali, che si sono dedicati a questioni disparate, legate alle lotte delle popolazioni povere, economicamente emarginate e socialmente escluse. Questi movimenti hanno formato vaste alleanze per protestare contro la globalizzazione, entrando in conflitto con organizzazioni ed istituzioni che rappresentano il potere politico ed economico globale. In questa fase, essi hanno intrapreso un enorme discorso sulla democrazia, al fine di ripristinare una democrazia partecipativa, per conferire alla sovranit popolare un senso reale ed effettivo. Santos sostiene che il modello egemonico di democrazia liberale, diffuso in molti stati europei, garantisce una minima partecipazione al governo della popolazione, trattandosi, pertanto, di una democrazia di bassa intensit 16, basata sulla privatizzazione del bene pubblico da parte di un lite minoritaria di cui fanno parte solo alcuni protagonisti internazionali. La proposta di Santos consiste, allora, nel realizzare una Democrazia di alta intensit 17. Nel trattare di democrazia, lautore sottolinea come questo importante fenomeno non sia univoco, infatti, opera una distinzione tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Egli sostiene che la democrazia rappresentativa un modello fittizio e di bassa intensit, limitata dalla detenzione del potere da parte dei politici. Attualmente, nel nostro ordinamento, impera il principio della sovranit popolare, sancito dallart.1 della Costituzione. Tale articolo pone il volere popolare alla base del circuito democratico in quanto elegge a suffragio universale il Parlamento, a cui attribuito il potere di legiferare, il quale, in qualit di rappresentante del popolo, deve rispondere innanzi ad esso del proprio operato. Questa forma di democrazia rappresentativa, per Santos, sarebbe apparentemente partecipativa, in quanto, essendo le decisioni assunte a maggioranza dei voti, il sistema rappresentativo non offre alle identit minoritarie garanzie di adeguata espressione in Parlamento. Infatti, i gruppi pi vulnerabili socialmente, i settori meno favoriti e le etnie minoritarie, non riescono a fare in modo che i loro interessi siano rappresentati nel sistema politico con la stessa facilit dei settori maggioritari o economicamente pi prosperi. In tale contesto, sottolinea D.L. Sheth, si impedito alle nuove democrazie di creare alternative istituzionali per

adattare i contesti locali a nuove forme di governo. Assumendo la democrazia rappresentativa occidentale come la forma definitiva della democrazia ha incoraggiato lidea che lumanit abbia raggiunto in essa il pi elevato stadio di sviluppo politico18. Santos evidenzia come, in tale contesto, sia fondamentale rivedere il sistema attraverso la realizzazione di unemancipazione sociale, che consenta ad ogni uomo di partecipare attivamente alla vita politica del suo paese, includendo anche coloro che sono esclusi per questioni che attualmente non sono considerate importanti, perch di minore rilevanza economica. Nel contesto di molti paesi in via di sviluppo lemancipazione sociale dovrebbe essere riferita alla realt che le classi subordinate devono affrontare, ossia la miseria, la fame, la criminalit, il razzismo e lassente partecipazione politica. Questo fenomeno si connette con il secondo obiettivo a cui lautore si riferisce ne i Nuovi Manifesti, ossia la creazione di sistemi alternativi di produzione. A tal proposito, egli contesta una societ che si basa solo sulle leggi di mercato, imposte da imprese multinazionali, in quanto una suddetta societ non solo ripugnante, ma anche ingovernabile. Ritornando alle origini bene notare che se il commercio ha un carattere fondamentalmente positivo, il suo impiego nel corso della storia, ha conosciuto pagine oscure, specie se consideriamo quanto avvenuto negli oltre quattro secoli che hanno segnato il periodo coloniale. In quel caso non si trattava di commercio, di incontro, ma di una pratica economica a danno di popoli le cui aspirazioni di sviluppo sono state profondamente minate. Le conseguenze del periodo coloniale si fanno sentire ancora oggi, in un mondo organizzato in funzione delle ex potenze coloniali. La povert e la miseria delle popolazioni del Sud del Mondo non sono casuali, e nemmeno dovute ad incapacit o alla carenza di senso del lavoro. Sono le attuali regole del commercio mondiale che aggravano gli squilibri esistenti tra Nord e Sud, anzich favorire unequa distribuzione delle risorse. I paesi del Sud del mondo continuano ad essere considerati, principalmente, fornitori di materie prime per il Nord. Instabilit dei prezzi delle materie prime, barriere commerciali e debito estero contribuiscono a bloccare le possibilit di miglioramento di quei popoli, ed in particolare di milioni e milioni di produttori e lavoratori, che le condizioni economiche relegano nello sfruttamento e nellemarginazione. Questa sfiducia nei confronti di tale esperienza economica ha determinato il nascere di iniziative, sia in campo rurale che in campo urbano, alternative alla produzione di tipo globale. Ovviamente si tratta di iniziative il cui progetto di realizzazione molto lontano, confrontandosi, non solo per quel che concerne la produzione, ma soprattutto per quel che concerne la distribuzione, con la logica del capitalismo che sta alla base della globalizzazione egemonica. Ci che intende sottolineare Santos, la peculiarit di queste nuove forme di produzione, le quali usufruiscono non solo di sistemi economici, ma mobilitano risorse culturali e sociali al fine di impedire la riduzione dei valori sociali al solo prezzo di mercato. As alternativas de produo no so apenas econmicas: o seu potencial emancipatrio e as suas perspectivas de xito dependem en boa medida, da integraao que consigam entre processos de trasformaao econmica e processos culturais, sociais e polticos19. Si pensi, ad esempio, al Mercato equo e solidale. In Africa, Asia ed America Latina, i produttori si stanno organizzando, gi da tempo, per cercare di sfuggire alle regole inique del sistema economico, che ne causano la miseria e lo sfruttamento. Allo stesso modo, nel Nord del Mondo, si da tempo strutturata una rete di distribuzione e vendita di prodotti provenienti direttamente da organizzazioni di produttori del Sud, una rete di organismi, di associazioni, di cooperative e di soggetti di vario genere che ha deciso di dare un nuovo senso al commercio. Si tratta di un mercato equo e solidale, che tratta i produttori del Sud in modo paritario, riconoscendoli come soggetti di una relazione commerciale e, soprattutto, restituendo loro il valore di esseri umani. un commercio umano, sostenitore dellemancipazione sociale, perch antepone la giustizia alla redditivit, i diritti agli indici di crescita, la relazione alla produttivit. Il commercio equo nato per battersi contro le ingiustizie e le iniquit del sistema economico mondiale, e vuole costituire unalternativa concreta per tanti piccoli produttori del Sud del Mondo e per altrettanti consumatori del Nord. La filosofia che sta alla base di questo movimento consiste nellintrecciare relazioni commerciali con produttori e fornitori dei paesi in via

di sviluppo fondate sui principi del commercio equo e solidale. Lorganizzazione importatrice reperisce i prodotti alla fonte, li importa e li commercializza secondo vari metodi, tra cui la vendita diretta nelle cosiddette Botteghe del mondo o tramite altre ONG o associazioni confessionali, la vendita per corrispondenza, ecc. [....] I PRESUPPOSTI PER LA REALIZZAZIONE DI UNA DEMOCRAZIA DI ALTA INTENSIT Il mercato globale usa il territorio dei vari paesi e delle diverse aree geografiche come uno spazio economico unico, in cui le risorse locali sono beni da trasformare in prodotti di mercato e di cui promuoverne il consumo, senza alcunattenzione alla sostenibilit ambientale e sociale dei processi di produzione. Lalternativa a questa globalizzazione, parte da un progetto politico che valorizza le risorse e le differenze locali promuovendo processi dautonomia cosciente e responsabile di rifiuto del mercato unico. Lo sviluppo locale, cos inteso, non pu divenire localismo chiuso, difensivo, ma deve costruire reti alternative fondate sulla valorizzazione delle differenze e specificit locali, di cooperazione non gerarchica e non strumentale. In tal senso si pu prospettare uno scenario definibile anche come globalizzazione dal basso28, solidale e non gerarchica. Questo progetto politico va costruendosi nellattivit di messa in rete denergie locali operata dal Forum Sociale Mondiale.29 Per realizzare futuri sostenibili fondati sulla crescita delle societ locali e sulla valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali propri a ciascun luogo, gli enti pubblici territoriali devono assumere funzioni dirette nel governo delleconomia. Per costruire in forme socialmente condivise queste nuove funzioni di governo, devono attivare nuove forme desercizio della democrazia. Infatti, solo il rafforzamento delle societ locali e dei loro sistemi democratici di decisione consente, da un lato, di resistere agli effetti omologanti e di dominio della globalizzazione economica e politica, dallaltro, di aprirsi e promuovere reti non gerarchiche e solidali 30. Si tratta di nuove forme dautogoverno, in cui sia attiva e determinante la figura del produttore-abitante che si prende cura di un luogo attraverso la propria attivit produttiva. Questa nuova dimensione democratica di una societ locale complessa, multiculturale e autogovernata che cresce e si rafforza nel progettare e costruire direttamente il proprio futuro, pu costituire il vero antidoto alla globalizzazione economica e al regno della paura, dellinsicurezza e dellimpotenza prodotti dalla militarizzazione delle reti di governo globale. Tanto per cominciare, la partecipazione del popolo alle questioni pubbliche deve essere considerata un elemento irrinunciabile in qualsivoglia regime che pretenda definirsi democratico, al pari di altri valori universalmente riconosciuti quali leguaglianza e la libert31. Santos sostiene fermamente che questo nelle moderne democrazie non avviene, in quanto la partecipazione reale dei cittadini alla vita dello Stato decisamente insufficiente e troppo focalizzata sul solo diritto di voto periodico. Lessere cittadino e quindi parte dellelettorato attivo deve essere riconosciuta come condizione e non influenzata da altra connotazione che non sia quella stessa di esercitare la sovranit32. Si pone, dunque, come imprescindibile lobiettivo di realizzare una forma di democrazia liberale che consideri la partecipazione non come un elemento superfluo o destabilizzante ma come un valore da salvaguardare e favorire. La democrazia partecipativa divenuta, ai nostri giorni, un modello auspicabile anche allesperienza dei bilanci partecipativi a livello comunale in grado di coinvolgere attivamente i cittadini. Il bisogno di guardare in modo nuovo al decentramento, che dovrebbe rappresentare una delle condizioni della democratizzazione dello Stato, deve porsi prioritariamente come strumento di perfezionamento e crescita parallela delle istituzioni, della cittadinanza nel suo complesso ed in particolare delle organizzazioni della societ civile. Questo progetto imperniato su unattenuazione delle relazioni di ruolo fra gli attori dei processi di governo cittadino non basate sui contrasti fra pubblico e privato, n sulla discrasia tra tecnici e politici o fra istituzioni e la societ civile, quanto sullenunciazione dei diritti doveri comuni alluomo, quale cittadino, nei diversi ruoli che pu assumere allinterno della citt. Solo allinterno di un sistema di riforme centrato sullindividuo e sulla ricostruzione dei rapporti tra persone e collettivit, pu parlarsi di attuazione del meccanismo partecipativo. Esempio indicativo di partecipazione e dunque coinvolgimento del cittadino nella sfera pubblica e

amministrativa il percorso creato a Porto Alegre33, in cui la partecipazione stata individuata dallamministrazione non semplicemente come strumento di acquisizione di assenso bens come mezzo di produzione del consenso. Si dunque sviluppato un processo che ben risponde alle sfide della modernit e alla crisi di legittimit degli Stati contemporanei, incorporando la convinzione che i problemi dellesclusione sociale e della concentrazione degli insediamenti umani nei centri urbani non possono essere trattati solamente attraverso politiche compensatorie ma richiedono lattuazione di politiche pubbliche che modifichino la distribuzione della rendita e del potere nelle citt e negli Stati, concretizzando forme di partecipazione diretta nelle gestioni pubbliche. Il Bilancio partecipativo costituisce oggi una delle pi interessanti pratiche di democratizzazione dell amministrazione urbana e territoriale in ambito internazionale. Per lo pi se ne avuta conoscenza in tutto il mondo attraverso lesperienza ormai ultradecennale della citt brasiliana di Porto Alegre, da anni guardata con interesse da punti di vista molto diversi: dai movimenti sociali alle reti internazionali di amministratori locali, dalla Banca Mondiale ai programmi sull habitat dellONU che la hanno consacrata come una delle esperienze eccellenti del panorama internazionale 34. noto, infatti, nel mondo il percorso che ha compiuto il progetto sudamericano che ha esteso la sua azione benefica anche ad altri ambiti della politica urbana, con modalit ed approcci ben diversi. In molti paesi Europei, tra cui anche lItalia, il Bilancio partecipativo ha permesso unapertura della macchina statale alla partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nellassunzione di decisioni sugli obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici. Esso divenuto un processo che, attraverso la collaborazione della cittadinanza attiva, offre una forte spinta al ristabilimento di un rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini ormai fortemente logorato 35. Oggi, si contano una ventina di esperienze che si richiamano al Bilancio Partecipativo di Porto Alegre, tra loro molto diverse ma tutte pi o meno centrate sullidea di portare avanti unauto educazione alla democrazia della cittadinanza, attraverso forme di co-decisione tra abitanti ed istituzioni relativamente ai nuovi investimenti per la rivalutazione del territorio. Lesperienza partecipativa di Porto Alegre ha posto con chiarezza il problema della costruzione di societ in cui, una vasta rappresentanza di interessi sociali ed esperienze di autogoverno, possano dar vita ad un futuro autosostenibile e solidale. Questo universo , dunque, caratterizzato da componenti sociali ed economiche che sono accomunate non solo da una critica e da azioni conflittuali e di sabotaggio rispetto ai modelli dominanti di globalizzazione economica, ma anche da pratiche progettuali, da attivit produttive, di vita e di consumo alternative rispetto a quelle di tipo globale36. Tali componenti sociali, politiche ed economiche fra loro molto differenti per collocazione sociale, culturale, geografica, producono, ognuna nel proprio ambito di interesse e di azione non soltanto una critica rispetto alla societ globale, ma anche e contemporaneamente riappropriazione diretta di tecniche produttive, pratiche di vita e di consumo alternative e reti solidali inducendo, di conseguenza, crescita di societ e identit locale. La sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo locale fondati sulla valorizzazione delle risorse sociali, ambientali, territoriali da parte della comunit locale , infatti, la via maestra per la costruzione di forme di economia solidale e di societ in cui i sistemi economici locali si autogovernano, seguendo un progetto di futuro diretto ad attivare relazioni di tipo unanime e non gerarchico dirette a costruire una cittadinanza che riconosce lo scambio tra i diversi stili di vita, produzione e consumo. CONCLUSIONI Il viaggio nel pensiero sausiano induce alla scoperta di mondi celati dal progresso tecnologico e dal liberismo economico. Si tratta di quelle realt nascoste dietro la quotidianit, che ancora si trovano ad affrontare gli esclusi, ossia milioni di persone che ancora combattono per laffermazione di quei diritti, che la cultura occidentale, ostenta come riconosciuti allintera umanit. Affrontare seriamente il problema di una tale umanit nascosta e abbandonata significa dover riflettere sui dogmi che la modernit ha inculcato

nelle menti di tutti noi. E per questo che si resa urgente, in questo lavoro, lanalisi dei processi evolutivi del termine globalizzazione, attraverso lo studio di quanto, in essa, vi dei concetti delleconomia liberista. Ho, cos, creduto opportuno non soffermarmi unicamente su unanalisi asettica del pensiero di De Sousa Santos, ma di affrontare il concetto di diritti umani, a partire dalla connotazione datane dallautore. Diritti umani: tale locuzione non pu indurre in contraddizione quanti credono nellassoluto significato del termine. Principi come uguaglianza, libert, emancipazione e partecipazione sociale ne sono tratti caratteristici che ne dovrebbero denunciare luniversalit ossia lestensione ed il riconoscimento allintera umanit. Nellanalisi della prospettiva sausiana, spesso mi sono interrogata sulla reale efficacia dei diritti ovvero sulla loro concreta applicazione. Infatti, se penso alla Dichiarazione universale dei diritti umani, non posso omettere la grandiosit di siffatta opera della civilt moderna, ma, allo stesso tempo ponendo lo sguardo su problematiche messe in luce dallo stesso Santos, non posso certo esimermi dal pensare alla vera realizzazione dei principi contenuti nella suddetta dichiarazione. Sicuramente nellambito dei diritti umani si trattato forse del pi ampio progetto di riconoscimento dei diritti fondamentali dellindividuo, ma mi chiedo che senso possa avere tale dichiarazione se nel mondo contemporaneo, in cui impera il progresso e la rivoluzione tecnologica, esistono ancora soggetti che vivono in realt lontane da qualsiasi logica ispirata al progresso. Certamente principalmente nei confronti di questi uomini che la Dichiarazione diretta, ma che rilevanza pu avere se in alcuni paesi negata lessenza stessa della partecipazione allemancipazione democratica? Mi chiedo che senso possa avere affermare unicamente sulla carta luguaglianza tra i cittadini se in molte regioni del mondo sono negati i diritti essenziali ad uomini che sono in lotta per la sopravvivenza, mentre nei paesi occidentali gli uomini sono in lotta quotidiana per laccumulo di capitale. In questa prospettiva sicuramente incoraggiante sapere che in paesi del Sud del mondo esistono forme di organizzazione, che resesi conto dellassenza delle istituzioni e del silenzio di popoli che possiamo definire spettatori inermi, lottano per affrancare gli esclusi dalla povert. sicuramente rassicurante sapere che noi cittadini, bench viviamo in realt lontane possiamo incoraggiare e sostenere la crescita e lo sviluppo sostenibile, in situazioni nelle quali grandi istituzioni mondiali non possono o hanno difficolt ad intervenire. Mi riferisco in questo senso al Commercio Equo e Solidale. Si tratta di una forma di partecipazione sociale per risollevare le realt economiche dei paesi meno fortunati, che, sebbene sia nata in tempi moderni, ha raggiunto dei risultati che vanno al di l delle migliori aspettative. Lo sviluppo di questo tipo di commercio nei paesi occidentali ha permesso a molte popolazioni di focalizzare la loro attenzione su realt lontane, permettendo ai popoli produttori di risollevare la loro economia, non servendosi solamente degli aiuti economici forniti dai paesi sviluppati ma di diventare attori e protagonisti del loro riscatto a livello internazionale. De Sousa Santos ha messo in luce la possibilit dei singoli cittadini di rendere possibile quanto finora stato solo auspicato. Proprio questo lo scopo del Social Forum, un incontro in cui il dialogo conosciuto come il mezzo strategico per laffermazione di diritti umani. Un dialogo che sicuramente non deve indurre in manifestazioni vandaliche poste in essere da fanatici di movimenti che, sebbene si schierano a difesa delle realt meno sviluppate, creano enormi disagi alla popolazione locale. Il dialogo deve essere teso a forme di partecipazione sociale e deve essere lo strumento attraverso il quale poter focalizzare le realt svantaggiate ed includerle nellambito della globalizzazione mondiale. Spesso si parlato di globalizzazione. Il termine sicuramente molto comune ai nostri giorni e frequentemente utilizzato da giornali e mezzi di comunicazione per indicare il percorso verso il quale si accinge a compiere lera contemporanea. Il termine inizialmente stato connotato in maniera negativa dallo stesso Santos il quale, tuttavia, non ha inteso affatto combattere levoluzione tecnologica. Egli tende, invece, ad esorcizzare la globalizzazione neoliberale, fattore di disuguaglianza ed esclusione sociale quale rimedio teso unicamente alla massimizzazione dei profitti, innescando in questo modo un meccanismo distruttivo e non affatto emancipatorio delle realt che non riescono, per loro matrice culturale o per situazione economica, a stare al passo coi tempi. Si tratta di un pensiero che, sebbene talvolta possa indurre in fallo per il suo carattere rivoluzionario, non esclude dal progetto di emancipazione il progresso tecnologico. Si badi bene, per, la tecnologia cos come la rete multimediale deve essere tesa non al servizio del capitalismo escludente ma deve servire ad aprire un passaggio per il riscatto di popoli meno fortunati ed essere un tramite di riconciliazione ed aiuto reciproco tra realt del Nord del Mondo e popolazioni del Sud del Mondo, in modo da risollevarli dal baratro in cui quotidianamente si trovano a

dover lottare. 2011 Universidad del Zulia

Incontro con Sousa Santos PASSAGGIO EPISTEMOLOGICO AL SUD GLOBAL


Parliamo con il sociologo portoghese. La storia della modernit dice negli ultimi trecento anni pu essere vista come una continua battaglia per linclusione nel contratto sociale. Ma a partire dal 1980 c stata una inversione di rotta che autorizza a ipotizzare il rischio di fascismo sociale [di Giuliano Battiston, su Il Manifesto. Gennaio 2009] Alla base del lavoro di Boaventura de Sousa Santos, il sociologo portoghese che ha contribuito enormemente al rinnovamento delle scienze sociali e alla reinvenzione dellemancipazione sociale, c unidea della scienza come esercizio di cittadinanza e di solidariet, la cui qualit si misura in ultima. istanza attraverso la qualit della cittadinanza e della solidariet che promuove o rende possibile. Ma c soprattutto una versione ampia di realismo, che, contrariamente allinterpretazione positivistica fatta propria tanto dal liberalismo che dal marxismo, non riduce la realt a ci che esiste, ma include anche le realt rese assenti dal silenzio, dalla repressione e dalla emarginazione, le realt attivamente prodotte come non esistenti, e insieme le potenzialit, le latenze, le tendenze e le emergenze presenti in ogni frammento di realt. Secondo Boaventura de Sousa Santos, infatti, solo concentrandosi attivamente sulla parte indiziaria della realt possiamo opporci alla credibilit esclusiva delle prassi egemoniche, dare credito alla diversit delle prassi sociali alternative e, attraverso un cosmopolitismo antagonista, superare il modello di democrazia liberale. Perch questo modello garantisce solo una democrazia di bassa intensit e si basa su uninclusione politica astratta fatta di esclusione sociale. Al suo posto sarebbe augurabile una democrazia emancipatoria, che sappia trasformare i rapporti di potere in rapporti di autorit condivisa. Alla vigilia del World Social Forum (WSF) di Belem, inaugurato ieri, abbiamo incontrato Boaventura de Sousa Santos e gli abbiamo chiesto di parlarci del suo lavoro e di come si configura, per lui, un altro mondo possibile: pu essere molte cose, ma mai un mondo senza alternative. Lei ha sostenuto che la resistenza politica alla globalizzazione egemonica deve basarsi sulla resistenza epistemologica, e che il World Social Forum solleva questioni che possono essere riassunte nellidea che non vi giustizia sociale globale senza una giustizia cognitiva globale. Cosa intende quando suggerisce di decolonizzare anche il pensiero e le pratiche della sinistra, per imparare dal sud attraverso una epistemologia del sud? Se intendiamo avanzare una critica realmente radicale alle forme di sapere egemoniche, dobbiamo essere in grado di suggerire delle alternative alla cornice eurocentrica e nord-centrica, e riconoscere che lepistemologia non pu essere spiegata soltanto in termini epistemologici. Lepistemologia infatti contestuale, legata alle condizioni storiche in cui prende corpo e a particolari agenti, e dietro una certa concezione epistemologica molto spesso ci sono idee promosse con la forza: non la forza delle idee, ma le idee della forza, della potenza militare, inclusa quella del colonialismo e del capitalismo. In questo senso, per rinnovare il pensiero epistemologico dobbiamo cominciare dalle esperienze degli oppressi, da ci che definisco come sud globale. Non il sud inteso in termini geografici, ma il sud come metafora per indicare chi pi subisce gli effetti del capitalismo. Dobbiamo partire dalla loro esperienza cognitiva, da quel che pensano, dalle loro nozioni relative

al modo in cui la societ si muove o dovrebbe muoversi, perch solo attraverso questa operazione epistemologica possiamo apprendere forme di sapere pi complesse e scoprire aspetti sconosciuti delle nostre societ. Quelle forme di sapere infatti non sono disciplinari, non sono prodotte nelle istituzioni (le nostre universit sono istituzioni reazionarie dove vengono confinate anche le idee rivoluzionarie), nascono da premesse molto diverse, sottopongono a critica molti dei concetti eurocentrici, compreso quello di democrazia, ed elaborano nozioni che non sono disponibili nelle lingue coloniali e nel nostro immaginario. Abbiamo bisogno di nuove idee, soprattutto ora che il neoliberalismo si sta suicidando: lepistemologia del sud un modo per afferrare la ricchezza delle esperienze sociali senza che vada dispersa. Per fare questo, come lei stesso ha sottolineato, per necessario avviare un dialogo interculturale, operare una continua traduzione tra diverse pratiche e saperi critici ed elaborare una teoria della traduzione che crei intelligibilit reciproca, riconoscendo la diversit non come fattore di frazionamento e isolamento, ma piuttosto come fattore di condivisione e solidariet. Ci pu dire qualcosa di pi a proposito del concetto di traduzione interculturale? Secondo alcuni, non si pu mai stabilire un vero e proprio dialogo tra culture perch queste sarebbero incommensurabili, mentre secondo altri esisterebbero delle costanti universali. Le differenze culturali sarebbero pi superficiali di quanto non appaia, e si tratterebbe soltanto di trovare il giusto procedimento. Io sostengo invece una terza posizione, secondo la quale non esistono vere incommensurabilit, ed dunque possibile intrattenere una dialogo interculturale, a patto per che si stabiliscano adeguate condizioni; ma sostengo anche che ci sono cose che non possono essere tradotte senza residui. Pensiamo per esempio al concetto di ubuntu nelle culture subsahariane, per il quale non disponiamo di equivalenti, perch la cultura occidentale ha talmente reificato la divisione tra natura e cultura da non essere pi in grado di riconoscere nella natura la nostra Terramadre. In linea generale, dunque, dovremmo cercare di creare intelligibilit reciproca senza eliminare le specificit culturali, creando dei terreni sui quali sia possibile comprendere le differenze e al contempo capire ci che rimane in comune pur usando lingue differenti. Lo scopo non deve essere lintrattenimento intellettuale, ma stabilire alleanze tra movimenti sociali. Solo cos potremmo combattere il capitalismo e il colonialismo su scala globale. Secondo la sua analisi, il pensiero occidentale moderno sarebbe un pensiero abissale, perch fondato su un sistema di divisioni e distinzioni visibili e invisibili, nel quale le divisioni visibili costituiscono il fondamento di quelle visibili. Ci pu spiegare meglio cosa intende? Il pensiero abissale una disposizione intellettuale, filosofica e politica, che si traduce nella capacit di tracciare linee attraverso le quali istituire divisioni radicali allinterno della realt, rendendone una parte riconoscibile, rispettata, rilevante, e condannando tutto il resto allirrilevanza e allinesistenza. una pratica strettamente connessa al colonialismo: nel capitalismo, infatti, la linea che divide i lavoratori dai capitalisti non deve essere abissale, perch per poter essere sfruttati i lavoratori devono essere visibili e riconoscibili, altrimenti leconomia capitalista non funzionerebbe; i contadini, le popolazioni indigene, le donne, tutti coloro che non sono direttamente sfruttati dal capitalismo invece possono essere facilmente dimenticati in quanto non esistenti. E la stessa operazione si applica alle forme di conoscenza e ai modi di organizzazione sociale. A partire dal XVI secolo, in particolare, tutto le regole che vengono applicate nel vecchio mondo, non valgono per il nuovo mondo, dove una linea abissale divide i selvaggi, gli indigeni dal resto. Nelle colonie dunque non mai valsa la tensione tra regolamentazione ed emancipazione sociale, che caratterizza invece il nord globale, ma soltanto quella tra appropriazione e violenza. E questa divisione continua ad operare ancora oggi: il colonialismo infatti non cessato con la fine del colonialismo politico, ma prosegue, insieme al razzismo, che si definisce proprio per la capacit di disegnare linee abissali dichiarando irrilevante chi si trova al di l della linea. Daltra parte, la dicotomia appropriazione-violenza sta contaminando anche laltro paradigma socio-politico. Negli ultimi anni lemancipazione, che ha sempre rappresentato il polo opposto della regolamentazione, diventata laltro della regolamentazione, il suo doppio. La democrazia sociale, come la intendiamo in Europa, lo testimonia: originariamente intesa come orizzonte di emancipazione, divenuta una forma di regolamentazione sociale per il capitalismo, e dopo il 1989 ha perso anche il suo volto

umanitario, dimenticando le politiche sociali. Lei sostiene che da trentanni a questa parte il paradigma sociale, politico e culturale del contratto sociale verte in uno stato di grave turbolenza, che si manifesta nella predominanza strutturale dei processi di esclusione su quelli di inclusione. Ci pu descrivere i fenomeni del post-contrattualismo e del pre-contrattualismo, e spiegare perch essi sarebbero soltanto apparentemente contraddittori? Quando venne elaborata la metafora fondante della societ capitalistica occidentale, quella del contratto sociale, molte persone non ne potevano far parte; i lavoratori non ne erano parte, e cos le donne, i servi, e via dicendo. In sintesi ne erano parte solo quelli che avevano delle propriet e pagavano le tasse. Lidea, dunque, era che gli esseri umani non fossero naturalmente parte del contratto sociale, e che dovessero venirvi inclusi. La storia della modernit occidentale negli ultimi trecento anni pu essere vista come una continua battaglia per linclusione nel contratto sociale. Fino a poco tempo fa, i gruppo sociali che continuavano a rimanere esclusi avevano la speranza di poter essere inclusi in un futuro prossimo. A partire dal 1980, invece, il movimento di inclusione finito, e assistiamo a un opposto movimento di esclusione, che procede secondo due aspetti: quelli che erano gi entrati a farne parte ne vengono esclusi, non possono pi affidarsi allo Stato per essere protetti socialmente, e non hanno speranza di potervi rientrare di nuovo (il post-contrattualismo), mentre i loro figli sanno che non entreranno mai a far parte del contratto sociale, e che se dovessero ottenere dei benefici li otterranno non dallo Stato ma grazie alla filantropia (precontrattualismo). Mentre il pre-contrattualismo e il postcontrattualismo continuano a espandersi, il contrattualismo si ridimensiona. Il rischio il fascismo sociale. In uno dei saggi dedicati al World Social Forum, lei scrive che la sua novit sta nel fatto che inclusivo, e che questa tendenza allinclusione potenzialmente illimitata ha contribuito a creare una nuova cultura politica.

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