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Corriere della Sera Mercoled 8 Febbraio 2012

Primo Piano 13

Approfondimenti
MILANO Se domani mattina fosse abrogato interamente larticolo 18, il diritto dei lavoratori ad essere licenziati con una giusta causa o motivazione resterebbe assolutamente inalterato. Questo passaggio, scontato per sindacalisti e avvocati giuslavoristi, forse uno di quelli che emergono meno dallattuale dibattito sul tema. Una precisazione che non scalfisce minimamente limportanza dellarticolo 18 come deterrente e pilastro di civilt cos come lo definisce il segretario della Cgil Susanna Camusso. Ma indubbio che su questo tema ci sia bisogno di maggiore chiarezza precisa Franco Toffoletto, avvocato giuslavorista, socio dello studio Toffoletto, De Luca Tamajo . Innanzitutto, larticolo 18 non la norma che disciplina il diritto dei lavoratori a ricevere un licenziamento con motivazione, come prevedono i principi di diritto europeo. Tale norma unaltra, e precisamente larticolo 3 della legge del 1966, numero 604 che prevede, appunto, che il licenziamento debba essere motivato: con una giusta causa, senza preavviso con effetto immediato, o per giustifi-

Tra giusta causa e risarcimento del lavoratore


gna dimenticare infatti che in caso di indennizzo previsto il pagamento di almeno 15 mensilit, oltre al risarcimento del danno di almeno cinque mesi. Ma pu essere molto di pi: 2, 3, 4, 5 anni di retribuzione a seconda di quanto durato il processo. forse per questo che da qualche tempo sullarticolo 18 esiste anche il partito di chi chiede una gamma pi ampia di rimedi da mettere in mano al giudice. E qui sta il punto osserva Toffoletto . In tutti gli altri paesi europei, tranne la Germania, il Portogallo e pochi altri paesi dellex blocco sovietico, non cos. In tutti gli ordinamenti esiste la possibilit di ottenere la reintegrazione ma solo in casi molto particolari e comunque fondati su discriminazioni. Di fatto non accade mai. Tutti i giudici e avvocati inglesi che ho incontrato mi hanno riferito di non aver mai visto un caso di reintegrazione. Invece da noi lesatto contrario. Quello che per gli altri paesi una rarissima eccezione, da noi una regola intoccabile, perch il giudice, non pu, anzich ordinare la reintegrazione condannare il datore di lavoro a corrispondere una somma di denaro. Dunque un iper protezionismo che crea lanomalia italiana? Niente affatto obietta Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil proviamo a guardare in Europa la nazione che pi di ogni altra la nostra concorrente nel manifatturiero: la Germania. Ci accorgeremo che l le regole sono molto pi restrittive. Non bisogna dimenticare che in Italia larticolo 18 viene applicato solo alle aziende con pi di 15 dipendenti, in Germania invece questa norma vale per chi ha pi di 10 dipendenti il che equivale a circa l80 per cento di tutte le aziende tedesche. Non mi pare che quello teutonico possa essere indicato come un modello ingessato ed economicamente poco produttivo. Inoltre, parlando di articolo 18, qualcuno fa finta di dimenticare la funzione deterrente di questa norma: per un lavoratore che sa di non poter essere licenziato senza un giustificato motivo diventa pi facile far valere altri diritti essenziali. Al di sopra di tutto il dibattito per aleggia sempre il problema della lunghezza di questi processi che spesso lasciano dipendenti e aziende nellincertezza di diritto per un lasso di tempo che pu raggiungere anche otto o dieci anni. Noi siamo stati i primi a chiedere di accorciare i tempi dei processi fa notare Fammoni ma per farlo non si posso certo trovare cure peggiori della malattia come nel caso degli arbitrati che introducevano pericolosissimi deroghe a diritti essenziali. Siamo favorevoli a strumenti alternativi al processo classico. In tante parti del contratto di lavoro esistono spiragli per trovare sistemi di conciliazione tra le parti. Anche nel vecchio, ma sempre valido, statuto dei diritti del lavoro c un articolo, il numero 28, che permetterebbe di creare una corsia preferenziale per le controversie di lavoro e che porterebbe a sentenze in pochi mesi. Inutile dire che non servono riforme e che semplicemente bisognerebbe far funzionare gli uffici giudiziari. La macchina della giustizia lenta? Troviamo soluzioni alternative. Ma di sicuro lunica soluzione non praticabile quella di eliminare le tutele per i lavoratori. Trovare nuove soluzioni. Magari anche per evitare che le imprese con meno di 15 dipendenti abusino di contratti flessibili e precari pur di non assumere e quindi superare la fatidica soglia che conduce al temuto articolo 18. La sfida proprio questa: mantenere le tutele senza che queste si trasformino in deterrenti allo sviluppo e allimpiego. Al governo spetta la prossima mossa.

LICENZIAMENTO O REINTEGRO VINCE LA SCELTA DELLINDENNIZZO


Sarebbero 31 mila le cause tra aziende e lavoratori legate allarticolo 18
cato motivo, soggettivo od oggettivo, con preavviso. Quindi larticolo 18 si occupa di altro. Si occupa dei rimedi contro un licenziamento che sia ritenuto dal giudice privo di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo o soggettivo. In tema di rimedi per lapplicazione rimane ristretta: infatti in Italia il giudice pu solo decidere per la conferma del licenziamento oppure per il reintegro del lavoratore. In questultimo caso solo lo stesso lavoratore pu decidere di rinunciarvi a favore di un pagamento in denaro. E se il dipendente opta per il risarcimento, il datore di lavoro non pu sottrarsi al pagamento nemmeno dichiarandosi disponibile alla reintegrazione. Da alcuni giorni circolano delle stime attribuite alla Cgil: su 31 mila cause contro i licenziamenti considerati illegittimi soltanto l1%, negli ultimi cinque anni, si sarebbe risolta con il reintegro del lavoratore. Valutazioni che la Cgil per smentisce. Resta il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi il lavoratore sceglie proprio lindennizzo conferma Toffoletto . Nella mia carriera ho visto solo pochi casi di lavoratori che scelgono di tornare in un ambiente ostile e avverso. Senza considerare che in molti dimenticano che il reintegro non significa tornare a lavorare ma semplicemente tornare a prendere lo stipendio. Come insegna il caso Fiat di Pomigliano, infatti, sono rarissimi i casi di aziende che ricollocano nello stesso posto di lavoro un dipendente che avevano ritenuto giusto poter licenziare. Solo in alcuni contesti socio-economici del Meridione ho visto lavoratori accettare il reintegro, perch in certe situazioni meglio riappropriarsi di uno stipendio piuttosto che di un risarcimento. Non biso-

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I mesi di stipendio a cui ha diritto, in alternativa al reintegro, il dipendente licenziato senza giusta causa dallazienda che ottiene una sentenza favorevole dal giudice sulla base dellarticolo 18. una forma di indennizzo per evitare il rientro in un ambiente compromesso

Isidoro Trovato
itrovato@corriere.it
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Salvatore Trifir

Battezzai larticolo 18, va depurato (dei tempi del tribunale)

Caro Direttore, avendo tenuto a battesimo lart. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come tra un momento ricorder, vorrei intervenire per dire ci che non mi risulta sia stato fin qui detto: a conferma che lo stesso, da un lato, non difende ormai il posto fisso e, dallaltro, non rappresenta un impedimento alla flessibilit in uscita. In questi ultimi 40 anni dal 1970, data di entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, ad oggi, i tempi sono profondamente cambiati e anche i giudici (nel senso che non si vive pi quel clima di soccorso rosso che ha caratterizzato la Giustizia di quegli anni, con lo sconvolgimento dell'organizzazione aziendale e peggio). Nessuno dice, infatti, che, ormai da tempo, il dipendente reintegrato non chiede pi di essere forzosamente installato nel posto di lavoro, come accadde tanti anni fa, in occasione della prima causa che si fece in Italia in applicazione dell'art. 18 (con me in difesa e Gino Giugni, padre dello Statuto, in

Chi

Avvocato Salvatore Trifir avvocato dal 1955. Negli Settanta diventa uno specialista del diritto del lavoro e il suo studio un punto di riferimento per il mondo imprenditoriale

attacco). A nulla valsero allora le difese della societ, che sosteneva l'impossibilit giuridica di una reintegrazione fisica nel posto di lavoro sulla base del principio che nemo ad factum cogi potest (nessuno pu essere costretto a fare ci che non vuole), cos come una cantante che non vuol cantare non la si pu costringere con le verghe. Non ci fu niente da fare: il dipendente reintegrato venne accompagnato dai carabinieri in azienda e fu fisicamente installato nel posto di lavoro. Segu da l in avanti una lunga serie di casi simili. D'altra parte era l'epoca in cui i giudici, politicizzati, durante la trattazione di cause relative a pretesi comportamenti antisindacali (art. 28 dello Statuto) non esitavano a rivolgersi ai legali del sindacato, domandando: Dove sono i nostri testi?. Oggi, per, come accennavo, i tempi sono cambiati. Il dipendente, ottenuta la reintegrazione, difficilmente si presenta in azienda. Si limita a chiedere l'equivalente di 15 mensilit di retribuzione in alternativa

alla reintegrazione, come pure previsto dallo stesso art. 18. La stortura della norma, se di ci trattasi, semmai conseguenza del mal funzionamento della giustizia. La norma, infatti, aggiunge a quelle mensilit il pagamento delle retribuzioni non percepite dalla data di licenziamento fino a quella della effettiva reintegrazione e, poich la giustizia va a passo di lumaca (vedi per i rimedi il suggerimento di Trimarchi, su questo stesso giornale del 5 febbraio), il datore di lavoro spesso si vede esposto ad un onere risarcitorio che pu divenire ingente a seconda della durata del processo. Questo non significa, tuttavia, che il dipendente licenziato, per una giusta causa poi dichiarata inesistente, non venga subito allontanato dall'azienda. In questo senso, quindi, un problema di flessibilit in uscita non si pone perch il dipendente, a torto o a ragione, viene subito estromesso. N si pone oggi, come gi detto, un problema per il lavoratore ingiustamente licenziato perch quest'ultimo opta ormai quasi sempre per la

monetizzazione. L'art. 18 , dunque, solo uno spauracchio, ingigantito dalle lunghe discussioni che si sono fatte e che viene agitato, o dall'una o dall'altra parte, pi per una questione di bandiera che di vera sostanza. La norma, a mio avviso, pu sopravvivere senza intaccare, da un lato, la flessibilit in uscita; dall'altro la certezza dei lavoratori circa la tenuta del loro contratto di lavoro: sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Per conciliare le opposte esigenze, sarebbe sufficiente sostituire la reintegrazione forzosa con la reintegrazione per equivalente e ci nella misura gi prevista dallo stesso art. 18 (o altra da concordare), con la sola esclusione del pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e con il solo limite, ovvio, della reintegrazione forzosa per i licenziamenti discriminatori.

Salvatore Trifir
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