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Gli assalti verbali e le etichette di una lingua discriminante Parole come armi
di Federico

Faloppa

redevamo ingenuamente di essercene sbarazzati. Che appartenessero ai decenni passati. Che ormai lavvento della societ multi (o pluri) culturale li avesse relegati a brutti ricordi di un secolo, il ventesimo, che ha avuto nel razzismo una delle sue piaghe pi purulente. E invece sono sempre pi spesso l. Gli insulti etnici (ethnic slurs, in inglese: e si veda il recente Le calunnie etniche nella lingua italiana, in La cultura italiana, diretta da Luigi Cavalli Sforza, Vol. II, Lingua e societ, Utet, 2009) riempiono ancora il nostro linguaggio: negro, quando non sporco negro, negro di merda; ma anche ebreo (assurto a insulto da stadio tout court: sbirri ebrei), per non parlare di sporco zingaro e zingaro di merda. Ce ne accorgiamo, distrattamente, dal fatto che compaiono in forma di citazione in molti articoli di cronaca che parlano di episodi pi o meno espliciti di razzismo. Si sarebbe tentati di lasciar correre. Di dire che, in fondo, si tratta solo delle parole dei soliti tifosi esaltati, dei soliti riottosi sbandati, dei soliti deputati leghisti: casi isolati, termini detti a sproposito, o al massimo buoni per qualche folkloristico comizio elettorale (il parlamentare europeo Mario Borghezio docet, con i suoi merde extacomunitarie clandestine e islamici del cazzo). Tanto grave, suvvia, non potr essere. Eppure basterebbe leggere meglio quegli articoli: dove si racconta che quelle parole ed espressioni anticipano o accompagnano, spesso, veri e propri atti di violenza fisica. O basterebbe pensarci meglio, a quegli insulti. Che sono veri e propri assalti verbali: sempre pi frequenti, sempre pi pigramente stigmatizzati. Atti violenti, perch non si limitano a rappresentare la violenza: sono essi stessi violenza. Ce lo ricorda la filosofa statunitense Judith Butler, il cui Excitable Speech. A Politics of the Performative (1997) stato finalmente tradotto italiano (Parole che provocano. Per una politica del performativo, trad. dallinglese di Sergia Adamo, pp. 260, 14, Raffaello Cortina, Milano 2010). E ce lo ricorda spiegandoci il valore performativo di quegli insulti, di quegli epiteti a sfondo razziale. Quelle parole non sono solo aggressive (assaultive), ma producono soggettivit (sociale e personale) tanto nel nominare quanto nellessere nominati: e lazione, una volta compiuta, non pu essere azzerata. Chi nomina non solo responsabile del modo in cui [certe parole] vengono ripetute, ma anche del [loro] rinvigorimento, del fatto che grazie a esse vengono ristabiliti contesti di odio e di ingiuria. E i discorsi razzisti funzionano perch invocano una convenzione: circolano, e sebbene richiedano un soggetto per essere detti, non cominciano n finiscono col soggetto che parla e con lappellativo specifico che viene usato. Il nome ha infatti una storicit che pu essere intesa come la storia che divenuta interna al nome stesso, che arrivata a costituire il significato contemporaneo di un nome. E la sedimentazione dei suoi usi, divenuti parte del nome stesso, una sedimentazione, una ripetizione che si coagula, che d al nome la sua forza. Pronunciando certe parole, quindi, non solo insultiamo, non solo creiamo nuova soggettivit (ad esempio, il negro vs il non negro), ma come se rievocassimo, sostiene Butler, la storia (drammatica) di quei termini, come se ripetessimo offese formulate e reiterate prima di noi. Ristabilendo gerarchie di dominio, riaprendo lacerazioni collettive, e personali, profonde. Si formerebbe cos una catena che non sarebbe facilmente spezzabile: perch non permetterebbe al soggetto di tirarsi fuori, una volta compiuto latto performativo. N si muoverebbe su un terreno agevole chi detiene il potere di decidere che cosa insulto (razziale) e che cosa no, e quindi che cosa sanzionare e che cosa no: perch sanzionare quellatto singolarmente, che ha temporaneamente messo in scena il soggetto come origine tardiva e fittizia dellingiuria (la vera origine starebbe altrove: nella storia), equivarrebbe, secondo Butler, a ridurre a procedura giudiziaria unanalisi che dovrebbe invece essere politica. Non solo. Lautorit che volesse trattare il caso compierebbe a sua volta una proliferazione non voluta

dellinsulto, citandolo dal discorso razzista, discu- so anche a etichette quali clandestino. Che ha gi actendolo, mantenendolo in circolo: non solo nel lin- quisito un significato estremamente connotato, assoguaggio giuridico, ma anche nelle sue forme media- ciato nellimmaginario, e anche iconograficamente tizzate. E ogni volta che si richiamano esempi del nei media agli sbarchi (cui pure da ascrivere discorso razzista, si urtano inevitabilmente le sensi- soltanto una minoranza degli ingressi clandestini bilit gi colpite da razzismo, si rievoca il trauma, si in Italia). Anzi, antropologizzato (lo suggeriva gi riaccende, in alcuni, leccitazione che vi connessa. Alessandro Dal Lago in Non persone. Lesclusione dei Lanalisi di Butler traeva spunti (erano gli anni no- migranti in una societ globale, Feltrinelli, 1999; lo ha vanta) sia da suoi precedenti lavori (in particolare ricordato Annamaria Rivera nel militante Regole e Gender Trouble, del 1990), sia dal commento di al- roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, 2009), percuni casi giudiziari negli Stati Uniti (su cui si inter- ch si clandestini quasi per nascita: ancora prima di rogato anche Randall Kennedy nel suo fortunato commettere il reato di immigrazione clandestina Nigger. The strange case of a Troublesome word, (penso a tutti gli articoli di giornale che utilizzano la Pantheon, 2001), in cui dato un episodio di razzi- parola clandestino per parlare di migranti fermati o smo verbale (a cui fossero seguite o meno manife- scomparsi fuori dalle acque territoriali italiane, al larstazioni intimidatorie o fisicamente violente) si po- go delle coste africane). Un termine che ha assunto un valore talmente performativo da stabilire, per neva il dilemma, per il tribunale, se condanlegge (con ci che ne consegue), il limite tra lenare luso di certe parole come atti galit e illegalit. E sarebbe interessante espliciti di discriminazione, o se prostudiarne gli usi, le ricorrenze, non solo nel teggere linviolabilit del Primo linguaggio giornalistico, ma anche nel linEmendamento, che garantisce la liguaggio giuridico (a tutti i livelli) dove bert di opinione, separando la parola un primo veloce sondaggio a rivedal suo valore performativo ( il gesto larlo viene usato come sostantivo, se c che va condannato, non locome categoria giuridica, bench la pinione che lha anticipato, che lha legge in vigore lo usi con funzione enunciato). Queste discussioni, dalaggettivale (ingressi clandestini, tronde, trovavano terreno fertile nel diimmigrazione clandestina, ecc.). battito sulla political correctness. Ecco il circolo vizioso cui accenNella seconda met degli anni ottannava Butler, la proliferazione non ta, per il moltiplicarsi di presunti epiCOMMENTA SUL SITO sodi di razzismo (nella forma di in- www.lindiceonline.com voluta, la catena di iterazioni difficile da spezzare. Il ragionamento angiurie verbali) tra gli studenti, alcuni college si erano affrettati a redigere codici di condot- drebbe ampliato a molte altre espressioni, che insulta verbale, per fermare sul nascere la crescente onda- ti di fatto non sono, ma il cui uso determina una linta xenofoba, da parte soprattutto della maggioranza gua imprecisa, approssimativa, quando non discribianca nei confronti delle minoranze (non solo et- minante. Ha cominciato a farlo Giuseppe Faso, priniche, ma anche religiose e sessuali), la cui consisten- ma in Lessico del razzismo democratico (Deriveapza, numerica e sociale, stava rapidamente aumentan- prodi, 2008), e poi nel denso capitolo La lingua del razzismo: alcune parole chiave, incluso nel volume do anche nei santuari dellistruzione universitaria. Il dibattito fu molto acceso. Tanto da divenire Rapporto sul razzismo in Italia, a cura di Grazia Naquestione nazionale, perch obbligava conservatori letto (manifestolibri, 2009). E gli esempi di usi ime progressisti a confrontarsi sui cambiamenti sociali propri potrebbero essere tanti: da alfabetizzazione (i in atto e sulle rivendicazioni delle minoranze che corsi di alfabetizzazione per immigrati che alfabeerano, ormai, parte integrante delle lite intellettuali tizzati quasi sempre lo sono gi in altri idiomi) a dedel paese. Ma fu presto de-potenziato (abilmente) grado, da etnico a extracomunitario, da nomade ai vadalla destra conservatrice, che riusc a ridicolizzare ri casbah, suk, ghetto. Fino a richiedente asilo: pratile querelle linguistiche per screditare il politica- camente assente nei media, e nel discorso pubblico, mente corretto nel suo insieme. Molte questioni, non solo per la concorrenza dellonnipresente quelle che andavano al cuore politico del problema, clandestino, ma anche per motivi politico-amministrativi (la lungaggine delle pratiche per ottenere larimasero per aperte. silo politico, quando non, spesso, limpossibilit di o raccontano, fra i tanti testi disponibili, Words espletarle: si sfogli Rifugiati. Ventanni di storia del dithat wound: Critical Race Theory, Assaultive ritto dasilo in Italia, a cura di Christopher Hein, pp. Speech, And the First Amendment (Westview Press, XV-302, 27, Donzelli, Roma 2010). 1993), The war of the words. The political correctness Le responsabilit di chi fa informazione sono debate (Virago Press, 1994), o i capitoli centrali di chiare. Lo ha sottolineato Corrado Giustiniani su The language war, di Robin T. Lakoff (University of Il Fatto quotidiano del 23 agosto scorso, nellarCalifornia Press, 2000). O ancora, in italiano, il ticolo Un linguaggio da cambiare. Ma lo ricordano pamphlet di Flavio Baroncelli Il razzismo una gaf- i ricercatori della Carta di Roma (www.cartadife. Eccessi e virt del politically correct (Donzelli, roma.org), che montorano la qualit dellinforma1996) e Igiene verbale di Edoardo Crisafulli (Vallec- zione dedicata ai migranti e alle minoranze. E lo richi, 2004). In Italia, sul politicamente corretto una petono i Giornalisti contro il razzismo discussione seria non si mai avuta, sia perch il te- (www.giornalismi.info/mediarom/), cercando di ma fu importato gi nella sua fase deteriore, sia evidenziare incongruit e imprecisioni, e di diffonperch ci si soffermati quasi sempre soltanto sugli dere nelle redazioni alcune buone pratiche. Peraspetti pi scontati, quasi si trattasse di un lezioso ch lattenzione alla singola parola, lo sradicamenproblema linguistico, e non politico: di risposte a to del singolo insulto non servono a nulla se non si istanze politiche reali (quale rappresentazione delle crea una consapevolezza diffusa, un equilibrio nel minoranze? Quale la loro partecipazione nella vita dare informazione. E soprattutto, un ragionamenpubblica e culturale?). E dire che la base, i presup- to di alto profilo sulla cittadinanza, sui modelli di posti, oggi, esistono anche da noi. E sono offerti dal- societ multi (o pluri) culturale che si intendono la presenza sempre pi consistente non solo di im- immaginare: non schiacciato sulle paure, sulle migrati, ma anche delle seconde e terze genera- (in)sicurezze, sulle emergenze, sulle vuote diatribe zioni. Come immaginare la societ multi (o pluri) fra buonisti e realisti. Non bastano pochi agculturale? Come narrarla, nel suo divenire? giustamenti linguistici per fare questo. Ma limE torniamo da dove eravamo partiti: dalla perfor- pressione che, senza un riflessione matura sulla mativit di un linguaggio che andrebbe svelato, rifor- lingua, sulla pervasivit delle iterazioni verbali, e mulato. E non penso soltanto agli insulti etnici. La sulle rappresentazioni che esse veicolano, questo cui iterazione da parte dei media ripropone comun- cambiamento di rotta non solo non si possa racI que le domande che si pone Butler sul peso e sulla contare, ma non si possa neppure pensare. responsabilit della citazione, della continua rimessa f.faloppa@reading.ac.uk in circolo di epiteti, ingiurie, calunnie (basti ricordare la pervasivit di un termine come vucumpr). PenF. Faloppa insegna linguistica italiana allUniversit di Reading

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