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Douglas Coupland... La vita dopo Dio... Titolo originale: Life after God. Traduzione di Marco Pensante.

Coupland racconta la giornata dei suoi protagonisti: eventi minimi, drammi e microdrammi quotidiani di giovani e giovanissimi, in un universo dal quale sparito Dio, e con esso qualsiasi idea di trascendenza. Si vive, si lavora, si ama, a volte si muore, sotto un cielo deserto, senza principi e senza valori, che non siano quelli strappati di volta in volta, e di incontro in incontro, al vu 1992) e &Generazione &Shampoo (Il Corbaccio, Milano, 1994), l'autore si meritato la fama di portavoce letterario della propria generazione. Animaletti Ti stavo accompagnando in macchina fino a Prince George, a casa di tuo nonno, l'avvinazzato del golf. Ero stanco, e a dire il vero non avrei proprio dovuto imbarcarmi in un viaggio cos lungo: dodici ore filate di macchina partendo da Vancouver verso nord. Nel corso del mese precedente avevo vissuto soltanto del contenuto di una valigia e dormito su un &futon nello studio di casa di un amico, nutrendomi di Kentucky Fried Chicken e telefonate irose e recriminatorie con Chi Sapete. Cominciavo a pagare il prezzo di una vita nomade. Mi sentivo come costantemente all'apice di una grave influenza, come se fossi arrivato al punto da non avere pi desideri se non prendere in prestito il cappotto di qualcun altro, prenderne in prestito la vita, l'aura. Sembravo diventato incapace di generare ulteriori aure solo con le mie forze. Il viaggio procedeva a scossoni, punteggiato dal mio continuo fermarmi nei negozi lungo la strada e nelle varie tavole calde che incontravamo durante il percorso per tentare di raggiungere il mio avvocato dai telefoni pubblici. C'era di buono, per, che per la prima volta in vita tua ti stavi accorgendo di quanti animali ci sono al mondo, tutti quelli che vedevi dai finestrini dell'auto. Hai cominciato poco dopo la partenza, nei pascoli della Fraser Valley con vacche e pecore e cavalli. Mezz'ora pi tardi, appena passata Chilliwack, vicino al termine della vallata, il tutto si trasformato in un'ossessione, non appena ti ho indicato un'aquila di mare appollaiata, come sullo sfondo di una banconota, su un pino a lato della strada. Eri cos emozionata che non ti sei nemmeno accorta che il parco dei divertimenti dedicato agli Antenati era chiuso. Mi hai rivolto domande sugli animali, certe veramente difficili, e le tue domande per me erano una lieta distrazione dalla stanchezza e dall'ossessione delle cabine telefoniche. Un istante dopo aver visto l'aquila mi hai domandato, apparentemente di punto in bianco: Da dove viene la gente?. E non ero sicuro se intendevi gli uccelli e le api o magari l'Arca di No o che altro. Qualunque fosse il senso, risponderti mi richiedeva un po' troppa fatica, ma devo ammettere che mi hai stimolato a pensare. Cio, mettiamola cos: cinquemila anni fa la gente spunta fuori dal nulla - &bum! con tanto di cervello e tutto il resto, e comincia a mettere a ferro e fuoco questo pianeta. Verrebbe da credere che dovremmo meditarci sopra un pochino di pi. Mi hai ripetuto di nuovo la domanda, e cos io ti ho servito una risposta raccogliticcia del tipo che i genitori non dovrebbero dare mai ai figli. Ti ho risposto che la gente viene dall'Oriente. Il che sembrato darti soddisfazione. E a quel punto ci siamo distratti tutt'e due: tu per una polpetta procionesca sul margine dell'autostrada, che ha immediatamente catturato la tua attenzione, e io per un'altra cabina telefonica. Avvocati. Cristo. Nella vita, c' un giorno in cui passiamo il segno e ci rendiamo conto di avere veramente bisogno di proteggerci da noi stessi. La mia telefonata stata lunga e foriera di notizie non buone, interrotta dal fragore degli autocarri che passavano lungo l'autostrada e dai momenti in cui ti urlavo di smetterla di pungolare il povero fu-procione con quel ramo d'albero. Ho raccontato dell'aquila a Wayne, il mio avvocato, e lui andato in estasi,

perch quando parla della sua anima la chiama sempre la sua aquila. Oggi la mia aquila vola alto. Cose cos. Dopo aver buttato gi la cornetta mi sono fatto dare un caff e un 7-Up al posto ristoro per camionisti adiacente, e poi siamo ripartiti, con te che proseguivi nella tua ricerca di nuovi animali, per la precisione orsi e cervi, a mano a mano che la vallata cedeva il passo alle montagne. Ci siamo immessi sulla Coquihalla Highway e la civilt ci si sciolta alle spalle e ho provato un gran sollievo nel vedere quanto rapidamente il paesaggio si inselvatichiva. I picchi delle montagne erano spolverati di neve, e dalle ventole del cruscotto spirava un odore fresco, come quello degli alberi di Natale. La luce crepuscolare del sole filtrava stroboscopica dalle cime della vegetazione che ci fiancheggiava, e in una valle sotto di noi abbiamo intravisto un ciuffo di betulle simili alle guarnizioni delle pietanze giapponesi. La strada era cos lunga e ripida, e le montagne cos enormi, che ho cominciato a pensare a quanto il nuovo mondo doveva avere terrorizzato e incantato i primi pionieri. Il nostro viaggio si fatto pi sereno. Ho pensato ancora un po' agli animali. Il che, a sua volta, mi ha indotto a pensare agli esseri umani. Per essere pi precisi, mi sono domandato cosa sia esattamente a rendere gli umani''' be'''' &umani. Cosa sia esattamente il comportamento &umano. Per esempio, sappiamo tutti benissimo che cos' il comportamento canino: i cani fanno cose da cani. Corrono a riprendere i bastoncini, annusano il posteriore a tutti e allungano la testa fuori dal finestrino quando sono in macchina. E sappiamo anche che cos' il comportamento felino: i gatti rincorrono i topi, si strusciano contro le caviglie quando hanno fame e quando gli si apre la porta fanno una fatica enorme a decidersi se uscire o stare in casa. Per cui, che cos' esattamente che fanno gli esseri umani e che sia specifico della razza umana? Ci ho pensato da un altro punto di vista. Ho pensato: eccoci qua. Noi umani, in quanto specie, abbiamo costruito satelliti e Tv via cavo e Ford Mustang; ma se, per dire, fossero stati i cani, e non le persone, a inventare tutte queste cose? Come avrebbero fatto a esprimere l'essenza della loro caninit per mezzo delle invenzioni? Magari avrebbero costruito stazioni spaziali a forma di ossi giganteschi da mettere in orbita intorno alla Terra? O magari avrebbero girato film con la luna come protagonista e sarebbero andati al drive-in ululando? Oppure, se fossero stati i gatti, e non gli esseri umani, a scoprire la tecnologia? Magari avrebbero costruito grattacieli coperti da cima a fondo di moquette per rifarsi le unghie? O magari i protagonisti dei loro serial televisivi sarebbero pupazzetti di gomma che squittiscono? Ma non sono stati gli altri animali a inventare le macchine, sono stati gli esseri umani. E allora, qual l'essenza della nostra umanit che esprimiamo nelle nostre invenzioni? Cos' che ci rende quello che siamo? Ho pensato a quanto strano che al mondo vivano miliardi di persone e nessuna possa dirsi certa di sapere cos' esattamente a rendere gente la gente. Ho pensato a quali sono le attivit tipiche della razza umana prive di qualsiasi equivalente animale, e mi sono venute in mente solo il fumare, il culturismo e la scrittura. Non poi molto, visto quanto ci consideriamo speciali. Sulla destra, sotto di noi, infuriava il Coquihalla River. La macchina procedeva liscia come un olio. Poi, appena usciti dall'ultimo dei due paraneve abbiamo visto alcuni cervi dalla coda bianca: un maschio, una femmina e un cucciolo di circa un anno con le corna nodose. Tu eri sovreccitata come quando ti divori cinque scodelle di cereali al cioccolato. Abbiamo fermato la macchina cadendo in un silenzio assoluto. I tre animali ci hanno rivolto uno sguardo brevissimo e pieno di curiosit innocente, poi si sono ritirati zampettando nel bosco. Appena tornati in macchina io ti ho detto: Chiss cosa pensano gli animali di noi esseri umani, con queste assurde macchine rosse e i nostri vestiti colorati. Tu che dici, eh? Senz'altro ci considerano pazzi furiosi. Non hai prestato la minima attenzione alle mie parole.

Poi, nemmeno un chilometro pi avanti, abbiamo visto due montoni su un'altura, che discendevano una scarpata ghiaiosa. Di nuovo, abbiamo fermato la macchina e siamo usciti a guardare. Nonostante sulle montagne facesse un freddo micidiale, siamo rimasti con gli occhi fissi sui due animali finch anche loro non sono scomparsi all'interno della foresta. Siamo ripartiti in silenzio, impegnati a rimuginare sull'apparizione di quegli animali nella nostra vita e a domandarcene il significato. Cos' un cervo? E un montone? Perch certe creature risultano attraenti a certi di noi, e altre no? E cosa sono, in realt, queste creature? Ho pensato agli animali che piacciono a me. Mi piacciono i cani perch continuano ad amare sempre la stessa persona. A tua madre di sicuro piacciono i gatti, perch sanno cosa vogliono. Secondo me se i gatti fossero grandi solo il doppio, probabilmente sarebbe proibito tenerli in casa. Ma se i cani fossero grandi anche il triplo di come sono, continuerebbero a rimanere buoni amici. Pensateci. Ora come ora a te piacciono tutti gli animali, per quanto senza dubbio un giorno o l'altro sceglierai i tuoi preferiti. La tua natura finir per trionfare. Tutti quanti nasciamo con la nostra natura gi formata. Quando sei sbucata fuori da tua madre io ti ho guardata negli occhi e ho capito subito che eri gi &tu. E ripenso alla mia vita e mi rendo conto che la &mia natura, il nucleo di quello che io sono, in sostanza non cambiato in tanti anni. Quando mi risveglio la mattina, per quei primi brevi istanti in cui ancora non ricordo chi sia o dove mi trovi, mi sento proprio come quando mi risvegliavo la mattina a cinque anni. Certe volte mi chiedo se davvero possibile cambiare la nostra natura, o se ce la dobbiamo tenere appiccicata addosso proprio come i cani sono destinati a desiderare gli ossi o i gatti a rincorrere i topi. Ci siamo fermati per cena al Chicken Shack di Merritt. Ti sei portata dentro qualcuno dei tuoi libri da leggere mentre io sfogliavo il &Globe e il &Mail spostando gli occhi arrossati da una riga all'altra, muovendoli come si muove un bastone grattato per terra avanti e indietro. Pi tardi siamo ripartiti. Il cielo aveva preso una sfumatura color lavanda e la foschia che copriva i picchi delle montagne sembrava appartenere a un mondo ancora preliminare. Abbiamo attraversato la nebbia e ci siamo ritrovati in mezzo a una vallata, come se avessimo viaggiato all'indietro nel tempo. Poi abbiamo risalito una collina per ridiscendere in un'altra vallata, dove uno stormo di volatili non identificati planava verso il centro di un canyon profondissimo, uno stormo che sembrava incapsulato nell'ambra. E poi siamo arrivati nel canyon, dove non c'erano pi case n rumori, solo noi due e la strada, e a quel punto iniziato a nevicare e il sole a svanire e il mondo si fatto improvvisamente di un candore latteo e io ti ho detto: Trattieni il fiato e tu hai chiesto: Perch? e io ti ho risposto: Perch stiamo per entrare dove comincia il tempo. E ci siamo entrati davvero. Il tempo, bambina mia. Tanto, un mucchio di tempo da qui alla fine della mia vita. A volte mi pare di impazzire se penso a quanto lentamente passa e a quanto in fretta invecchia il mio corpo. Ma non dovrei concedermi riflessioni simili. Sono costretto a rammentarmi che il tempo mi fa paura solo quando credo di doverlo trascorrere da solo. A volte mi faccio paura io stesso nel rendermi conto di quanti dei miei pensieri siano rivolti a trovare un modo per sentirsi meglio quando si dorme soli. Quella notte ci siamo fermati in un motel a Kamloops, a met strada dalla nostra destinazione. Non riuscivo a guidare un minuto di pi. Non appena preso possesso della nostra camera, scoppiata la grande tragedia: avevamo dimenticato il tuo libro della collana Dr' Seuss al Chicken Shack di Merritt. Ti sei fermamente rifiutata di metterti tranquilla a meno che io non ti raccontassi una favola, e cos mi sono visto costretto a improvvisare nonostante la stanchezza, cosa che non mi riesce mai bene. E cos ti ho raccontato la prima cosa che mi passava per la mente: la storia di Pluto Chialuto. Pluto Chialuto? hai domandato. Ma s, Pluto Chialuto. Il cane con gli occhiali. E allora tu hai chiesto cos'era che faceva, questo Pluto Chialuto, e io non sono riuscito a farmi venire in mente altro al di l del fatto che portava gli occhiali. Ma tu insistevi, e allora ti ho detto: Be', Pluto Chialuto doveva recitare da protagonista nella serie dei libri del :&Gatto nel cappello a &cilindro, se non che'''.

Se non cosa? hai domandato. Se non che, beveva troppo ho risposto. Come il nonno hai detto, felice di poter ricollegare la favola al mondo reale. Pi o meno ho risposto. A quel punto hai voluto un'altra storia di animali, e ti ho chiesto se avevi mai sentito parlare di Scoiatto lo Scoiattolo, e tu hai risposto di no. Allora ho cominciato: Be', Scoiatto dipingeva in stile nocciolista e aveva in programma una mostra alla Vancouver Art Gallery, e invece'''. E invece? hai domandato. E invece la signora Scoiatto ha avuto tanti piccoli scoiattolini e cos Scoiatto ha dovuto per forza andare a fare l'operaio alla fabbrica di burro di arachidi e non mai pi riuscito a terminare la sua opera. Oh. Un breve silenzio. Vuoi che ti racconti altre storie di animali? Oh, direi di s hai risposto, un po' ambigua. Hai mai sentito la storia di Cippa la Micina? No. Be', Cippa la Micina era nata per diventare una grande diva del cinema. Ma poi si indebitata troppo con la Mastercard e allora si dovuta trovare un posto da cassiera alla filiale canadese della Banca di Hong Kong per pagare tutti quei debiti. Non passato molto che si ritrovata troppo vecchia per provare a diventare una diva, o magari ha perso ogni ambizione, o magari tutt'e due le cose. E ha scoperto che era molto pi facile raccontarlo agli altri che non provarci veramente, e allora''' Allora cosa? hai domandato. Niente, bambina ho risposto, fermandomi a quel punto preciso, e di colpo mi sentivo male come mai avresti immaginato, dopo averti raccontato di quegli animaletti, dopo averti riempito la testa di quelle storie, storie di animaletti meravigliosi che in teoria dovevano essere protagonisti di altrettante favole e invece avevano finito col perdersi per strada. Il mio anno in pensione 1 - Cathy successo anni fa. Mi trovavo nel bel mezzo di un periodo di grandi rimuginazioni e grandi discorsi sulla necessit di tagliare i miei legami con il passato. Mi ero trasferito in Granville Street, in una pensione a settimana senza acqua calda, e mi ero rapato a zero, avevo smesso di radermi e mi ero fatto tatuare un cespuglio di rovo sul braccio destro. Passavo le mie giornate disteso sul letto a guardare il soffitto, ad ascoltare i litigi fra ubriachi nelle stanze adiacenti, il cicaleccio delle televisioni e la gente che frantumava gli specchi. I miei vicini di camera erano una congerie di affittuari a ore, fuggiaschi, spacciatori e via di questo passo. Quella consorteria fungeva da sfondo, uno sfondo multicolore quanto bastava ad accompagnare la mia intima convinzione che la mia povert, il terrore della morte, la frustrazione sessuale e la totale incapacit di entrare in contatto con gli altri prima o poi sarebbero state sublimate in una specie di Grande Epifania. Avevo moltissimo amore da regalare, il problema era solo che in quel periodo nessuno lo voleva. Ero convinto di trovare rifugio nella solitudine, ma a dire la verit credo proprio che ne stessi ricavando solo incarognimento. In quel periodo i miei dirimpettai erano una coppia di pogaioli, Cathy e PupTent. Cathy era una diciassettenne scappata di casa da Kamloops, a nord; PupTent era di poco pi grande, e veniva da est. Tutti e due avevano il colorito spettrale, i capelloni e i vestiti di cuoio nero che piacciono tanto ai metallari. Sembravano vivere soprattutto di notte e dormire fino al tardo pomeriggio, ma ogni tanto mi capitava di vedere Pup-Tent in Granville Street, il ritratto dell'imprenditorialit, mentre vendeva hashish tagliato con Tender Vittles ai boscaioli in permesso che giravano per la citt. Oppure incrociavo Cathy in Robson Street, sotto la pioggia, mentre smerciava orecchini di piume. A volte li vedevo insieme alla drogheria all'angolo, dove si fermavano a comprare minestre precotte Kraft, sciroppo di granatina, carote grattugiate, Cap'n Crunch, scatole di After Eight e dopobarba Lectric Shave. Ci salutavamo da bravi vicini, con un cenno del capo, e di tanto in tanto ci incontravamo al pub dello Yale Hotel a chiacchierare, ed stato grazie a questi incontri fortuiti che sono entrato in contatto con loro. Se ne stavano seduti a bere birra alla spina e a disegnarsi vicendevolmente teschi e tibie incrociate sui cerotti alla nicotina che portavano appiccicati alle braccia. Pup-Tent: Hai voglia di parlare?. Cathy: No.

Pup-Tent: Okay, allora.(Pausa.) Cathy: Smettila di ignorarmi. In fondo erano anche interessanti, ma quando erano da soli disponevano di una conversazione alquanto limitata. Certe volte anche bello stare seduti in compagnia senza essere obbligati a dire niente di parti a per rimorchiare consisteva nel diffondere vibrazioni negative, in modo che le donne con poca stima di s venissero immediatamente calamitate. In questo modo aveva sempre il coltello dalla parte del manico. Incontrava in un bar una bevitrice un po' stagionata che gli domandava: Secondo te quanti anni ho, carino? e Pup-Tent rispondeva: Trentatr e sei divorziata, oppure ventotto e bevi troppo. Se lei era il suo tipo, gli bastavano queste poche parole per conquistarla. Questo suo continuo farfalloneggiare faceva impazzire Cathy. A volte se ne lamentava con me, quando Pup-Tent si alzava dal tavolo e spariva. Un giorno la sorella di Cathy, Donna, era venuta da Kamloops a farci visita e ci eravamo seduti a parlare noi tre, e lei aveva chiesto a Cathy cosa mai ci trovava in quel Pup-Tent. Fammi capire, Cath: ha la fedina penale sporca''' un violento''' disoccupato''' Oh aveva risposto Cathy ma a me piace come cammina. Certe sere io e Pup-Tent ci trovavamo da soli al pub, e lui mi domandava cose del tipo: Secondo te come mai una donna completamente fatta molto pi pericolosa di un uomo completamente fatto?. E io ribattevo: Cos', scherzi? e lui: No, te lo sto proprio chiedendo sul serio. In generale, comunque, sembravano decisamente affabili tra loro, e quasi sempre le loro conversazioni seguivano traiettorie prevedibili. Pup-Tent: Perch continui a fissarmi?. Cathy: Mi domandavo cosa pensi. Pup-Tent: E a te che ti frega di cosa penso?. Cathy: Okay, va bene, non me ne frega niente. Pup-Tent: Allora dimostralo. Fatti gli affari tuoi. Dopo qualche tempo, per, i due hanno cominciato a litigare, con urla cos forti che riuscivano a svegliarmi la notte dall'altro capo del corridoio. Ogni tanto Cathy compariva in strada con un livido o un occhio pesto. Ma come accade a quasi tutte le coppie che praticano relazioni in questi termini, nelle loro conversazioni con terzi estranei l'argomento violenza domestica non affiorava mai. Un giorno io, Cathy e un ragazzo di strada, un ballerino esotico nella sua giornata di permesso, ci trovavamo a discutere della morte al Tat's Coffee Inn, davanti a un piatto di patatine fritte e Ketchup. La domanda era: Secondo te, com' morire?. Cathy ha detto che per lei era un po' come trovarsi a fare compere e, a un certo punto, davanti all'ingresso del negozio arriva un amico al volante di una macchina da favola e dice: Salta su, andiamo a farci un giro!. E tu salti sulla macchina. Quando sei in viaggio e ti stai divertendo come mai prima, di colpo l'amico si gira e ti dice: Ah, a proposito, guarda che sei morto e allora ti accorgi che ha ragione, ma non ha nessuna importanza perch sei felice e stai vivendo una grande avventura e va tutto a meraviglia. Una mattina, dopo una notte particolarmente rumorosa, mi trovavo con Cathy a camminare per Drake Street e abbiamo visto un corvo in mezzo a una pozzanghera, perfettamente immobile, e il cielo si rifletteva nella pozzanghera e sembrava di vedere il corvo camminare sul cielo. Allora Cathy ha detto che secondo lei esisteva un mondo segreto appena sotto la superficie del nostro mondo quotidiano. Ha detto che questo ipotetico mondo segreto era molto, molto pi importante di quello in cui viviamo. Prova a immaginare come resterebbero sorpresi i pesci ha detto se avessero anche solo idea di tutto il movimento appena sopra la superficie dell'acqua. O magari prova a immaginare di poter respirare nell'acqua e andare a vivere con i pesci. Il mondo segreto ci sta vicino nello stesso modo, ed altrettanto diverso. Io le ho detto che questo mondo segreto di cui parlava mi faceva pensare al sonno, in cui tempo e legge di gravit e cose simili non hanno alcuna importanza. Lei ha risposto che forse parlavamo della stessa cosa. Un giorno tornavo a casa dalla biblioteca, dove avevo passato il pomeriggio a guardare male quelli che mi stavano intorno nel tentativo di farli sentire borghesi. La porta della camera di Cathy e Pup-Tent era spalancata, cos ho

allungato dentro la testa dicendo: Ehi, ciao!. Non credevo ai miei occhi: quella non era una stanza, era una discarica. Sparse dappertutto c'erano catene di motocicletta rugginose, piante domestiche ingiallite, pacchetti e cicche di sigarette, striscioni con il logo dei Metallica, bottiglie di birra, coperte crostose e vestiti di Cathy. Ho detto: Cathy? Pup-Tent? Siete in casa? ma non ho ricevuto risposta. Me ne sono rimasto fermo a guardarmi intorno, e in quel momento arrivata Cathy, in condizioni pietose, con un sacchetto di cibarie prese al Burger King. Mi ha detto che Pup-Tent se n'era andato, che aveva levato le tende insieme a una spogliarellista alla volta di Vancouver Island. Cathy gli aveva distrutto tutte le cassette cuocendole nel forno a microonde, e per lui era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.Ho una faccia tremenda, vero? No le ho risposto per niente. Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa? Magari pi tardi. Siamo rimasti in silenzio per un po'. Cathy ha iniziato a raccogliere qualche abito sparso. Poi ha detto: Tu abitavi sulla montagna, vero? Sulla costa settentrionale?. Le ho risposto di s, che ci ero cresciuto. l che c' il lago, no? Il bacino idrico? Le ho risposto di s. Allora avrei bisogno del tuo aiuto per fare una cosa. Che impegni hai oggi pomeriggio? Le ho chiesto quali impegni potevo mai avere quel pomeriggio o qualsiasi altro, secondo lei. Cathy voleva vedere il bacino idrico del Capilano Canyon, oltre la diga di Cleveland. Non voleva rivelarmi il perch fino a quando non ci fossimo arrivati, ma era evidente che si sentiva molto infelice e offrirmi come guida turistica era il minimo che potessi fare per risollevarle il morale. Cos siamo saliti sull'autobus che portava alla costa, verso le montagne sovrastanti la citt. L'autobus risaliva la Capilano Road, oltrepassando i sobborghi accucciati tra abeti canadesi e cedri. Case che mi sembravano remote e lontane dal mio presente quanto le abitazioni dei cinesi. A mano a mano che risalivamo la montagna, il cielo serale andava facendosi sempre pi buio e nuvoloso. Quando le correnti di aria umida che vengono dall'oceano Pacifico incontrano la montagna, ci scaricano sopra tutta l'umidit. Quando siamo scesi dall'autobus vicino alla diga di Cleveland stava appena iniziando a piovere, e mentre attraversavamo la strada ho capito subito che ci saremmo presi una bella lavata. Il bacino idrico era a pochi minuti di cammino, e ben presto l'ho indicato a Cathy, ma nel vederlo lei mi parsa delusa. Un lago enorme, un &loch che svaniva in lontananza nella vallata montana ripida e tenebrosa. Lei ha detto: Ehi, perch c' quel filo spinato? Non possiamo entrare e mettere le mani nell'acqua?. Le ho risposto di no. Non da dove ci trovavamo. Abbiamo alternative? Le ho risposto di s, ma ci sarebbe stato da entrare nel bosco, e lei ha detto che andava bene, e cos ci siamo avviati lungo la stradina oltrepassando un cartello che diceva: :&Attenzione, spartiacque, vietato l'&accesso, per raggiungere il posto d'elezione per i nostri festini all'aperto ai tempi in cui andavo al liceo. Abbiamo superato un cancello per risalire la stradina sterrata. Cathy, cupa in viso, fumava una sigaretta stringendosi la borsa al fianco. Siamo usciti dalla stradina infilandoci tra gli alberi. Le cime delle montagne sopra di noi erano velate di nebbia, e ci giungeva solo qualche grido d'uccello ogni tanto. Ci siamo infilati nel sottobosco di bacche, erba e abeti giovani, e Cathy si immediatamente inzuppata fino alle ossa. Aveva la capigliatura cosparsa di ragnatele e aghi di pino e foglie morte di mirtillo, e i jeans neri bagnati, che le si appiccicavano alle caviglie. Le ho domandato se voleva tornare indietro, ma lei ha risposto di no, che dovevamo continuare, per cui abbiamo proceduto, addentrandoci nella boscaglia nera che non restituiva eco, finch non abbiamo visto scintillare dell'acqua pi avanti. Il bacino. Allora Cathy mi ha detto: Fermati, non muoverti e allora mi sono bloccato. Credevo che avesse visto un orso, o magari avesse estratto una pistola dalla borsetta e me la stesse puntando contro. Mi sono girato e l'ho vista immobile, congelata. Mi ha detto: Secondo me, se ci fermiamo qui e non muoviamo un muscolo, non respiriamo neanche, secondo me possiamo fermare il tempo.

Per cui siamo rimasti immobili nel mezzo della boscaglia, a cercare di fermare il tempo. Dunque: mia convinzione che quasi tutti i ricordi fondamentali della vita arrivino entro i trent'anni. Dopo, la memoria diventa come acqua che trabocca da un bicchiere gi pieno. Le esperienze successive non rimangono impresse allo stesso modo o con lo stesso impatto. In questo momento potrei essere a farmi di eroina insieme a Lady Diana su un aereo che sta precipitando, e non sarebbe emozionante neanche la met di quella volta che avevamo sedici anni e gli sbirri ci avevano inseguiti per ore perch eravamo entrati nel giardino dei Taylor e gli avevamo buttato tutti i mobili del patio dentro la piscina. Non so se mi capite. Forse anche Cathy provava le stesse sensazioni, a suo modo, e forse si rendeva conto che tutti i ricordi pi importanti della vita se ne sarebbero andati presto. Che le restava un tot di anni da passare a innamorarsi di uomini sbagliati, sadici e violenti, e aveva paura che a quel punto i ricordi sarebbero stati solo di tristezza e situazioni senza via d'uscita e uomini brutali, e alla fine di tutto sarebbe rimasto solo''' il niente. Niente pi emozioni nuove. A volte mi viene da pensare che la gente che merita pi compassione quella incapace di connettersi in qualsiasi modo con le verit pi profonde. Persone come il mio noiosissimo cognato, un giovialone talmente ansioso di mostrarsi normale da bruciarsi ogni possibilit di essere unico, di crearsi una personalit unica. Mi domando se mai un giorno, quando sar pi vecchio, riuscir a capire, e allora la parte profonda di lui capir che non ha mai voluto concedersi di esistere realmente, e quel giorno mio cognato pianger di rimpianto e vergogna e angoscia. E poi a volte mi viene da pensare che la gente che merita pi compassione sia invece quella che un tempo aveva visto e compreso le verit profonde, ma poi si sperduta o magari diventata impermeabile al senso del meraviglioso. Gente che ha chiuso le porte da cui poteva raggiungere il mondo segreto, o magari se l' lasciate chiudere dal tempo e dalla negligenza e dalle decisioni prese in attimi di debolezza. Ecco cosa successo: io e Cathy ci siamo avvicinati alla riva del bacino, e lei ha estratto dalla borsa un sacchetto di plastica a tenuta stagna che conteneva due pesciolini rossi con la coda sottile e l'aria alquanto stupida, due pesciolini che le aveva regalato Pup-Tent la settimana prima in un raro momento di gentilezza. Ci siamo seduti sulle pietre lisce vicino all'acqua del lago, un'acqua pulita, immacolata, nerissima e profondissima. Ha detto: Il primo amore arriva solo una volta nella vita, non trovi?. Ho ribattuto: Be', almeno tu la possibilit l'hai avuta. C' un sacco di gente che l'aspetta ancora. Allora lei ha infilato il dito nell'acqua immobile e vetrosa, agitandola, e ha lanciato dentro un paio di ciottoli. Poi ha preso il sacchetto, l'ha immerso nel lago e ha strappato la plastica con le unghie affilate, smaltate di nero. Ciao ciao, pesciolini ha detto, e la coppia uscita sinuosa per allontanarsi languidamente verso le profondit del lago. Cercate di stare insieme. Non avrete un'altra possibilit, nessuno dei due. 2 - Donny Donny era un marchettaro che abitava in fondo al corridoio, nella camera adiacente il bagno comune. Era giovane e simpatico, e a volte mi invitava a cena a casa sua, se non che le cene a casa sua erano immancabilmente a base di ghiaccioli blu, formaggio Velveeta e birra, il tutto servito in una stanzetta lurida con l'intonaco sbrindellato a mostrare al di sotto le mani di colore precedenti. Gli unici oggetti tecnologici rintracciabili erano un telefono e una segreteria telefonica destinati a gestire gli annunci che faceva stampare sui giornali. Mi faceva cos compassione. Anche se non avevo un soldo in tasca, riuscivo comunque a trovare il modo di invitarlo a cena all'A&W. Donny era disposto a fare qualsiasi cosa con chiunque, ma raccontava che il pi delle volte i suoi clienti non erano disposti a fare gran che. Una sedicenne gli aveva chiesto di fare un bagno caldo con lei; una yuppie pi stagionata lo aveva pagato 250 dollari solo per accompagnarla a vedere batman - il ritorno. Donny diceva che erano cose del genere a fargli venire veramente dei dubbi sulla razza umana, non certo le occasioni in cui si trovava davanti ai tipi in maschera di cuoio che gli tiravano calci nello stomaco.

Nel tardo pomeriggio, quando arrivava il buio e i vetri delle finestre si potevano usare come specchi, Donny usciva dal bagno con i capelli umidi, quei capelli corti e nerissimi che asciugava scrollando la testa come un cane, e poi scendeva la vecchia scala scricchiolante dell'albergo per dare inizio ai suoi commerci serali. Diceva spesso di considerarsi un imprenditore. Diceva che la gente in strada lo aveva soprannominato il puttano. Sosteneva che qualsiasi lavoro era meglio del suo precedente, il conduttore di una navetta fra l'aeroporto e uno degli alberghi del centro. Strano a dirsi, Donny aveva un commercialista, Meyer, un tossicodipendente in programma di recupero assistito, che abitava al piano terra. Meyer aveva convinto Donny a pubblicare degli annunci che dicevano: Voglio raccontarvi le mie fantasie pi segrete''' Mandate l 20 in busta affrancata con vostro nome e indirizzo a: &Maschione, Casella Postale'''. L'annuncio, in teoria, doveva servire da scappatoia legale, nel caso il fisco decidesse un giorno o l'altro di fare visita a Donny. Come no! Se Donny fosse mai riuscito a mettere da parte dei soldi, suppongo che li avrebbe investiti nel suo grande progetto per il futuro, di cui mi aveva parlato una volta soltanto. La sua idea, pi o meno, era di attaccare dei lettini per l'abbronzatura artificiale a un computer e assumere delle ragazzine a tre dollari e 25 l'ora per fargli schiacciare i bottoni al posto mio. Donny si faceva accoltellare di continuo. Ormai aveva la pelle ridotta come quei divani vecchi nelle sale d'attesa delle stazioni d'autobus, ma la cosa non lo preoccupava pi di tanto. Una notte, dopo un violento litigio su un marciapiede, dopo una serata a un club per travestiti impegnati in un grande concorso sul tema Alexis contro Krystle, Donny era tornato a casa con lo stomaco decorato da cinque o sei svolazzi rossi. Io ho cercato di convincerlo ad andare al St' Paul's a farsi dare dei punti, ma lui si rifiutato. Gli ho chiesto se non aveva paura che prima o poi gli capitasse qualcosa di grave, e lui mi ha rivolto un'occhiata guardinga dicendo: La mia vita questa, e io la vivo come mi pare. Da quella notte non mi sono mai pi intromesso. Solo che Donny le andava a cercare, le coltellate. Sosteneva che prendersele non era doloroso neanche la met di quanto si pensasse, anzi, era quasi uno spasso, quando capitava. Ehi, amico, quando senti la lama che ti si pianta dentro, allora per un secondo l'anima ti schizza fuori dal corpo, come un salmone che balza fuori dal fiume. Tuttavia ricordo chiaramente che un giorno mi ha confessato di essere un po' stufo di farsi bucherellare. Mi ha detto che a pensarci bene la sua grande speranza era di farsi sparare. Era curiosissimo di scoprire cosa si prova a sentirsi colpire da una pallottola. E per incentivare gli aspiranti pistoleri girava con la camicia aperta sul torace, proprio come nel 1976. Donny si rifatto vivo nell'ultimo periodo della mia permanenza alla pensione, un periodo in cui mi domandavo spesso se un giorno o l'altro non sarei morto di fatica a forza di affrontare continuamente la solitudine. Secondo me occorre un'energia smisurata per convincersi che forse, tutto sommato, non proprio vero che la Persona della Tua Vita si trova appena dietro l'angolo. Alla fine della giornata, mi sa che non riusciamo proprio a convincerci. Da parte mia, trovavo sempre pi difficile mantenere la mia posa di autosufficienza emotiva quando stavo disteso sul letto a fissare i gabbiani che volteggiavano fra le nuvole sopra i ponti, intento a soffiare l'alito odoroso di cioccolata calda e vodka su una rosa che avevo raccolto a un angolo di strada, nel tentativo di costringerla a schiudersi. Il tempo ticchetta, e noi invecchiamo. Prima ancora di rendercene conto, ne gi passato fin troppo, e ci siamo persi l'occasione di lasciarci ferire dagli altri. Quando ero pi giovane, mi sembrava una grande fortuna; ora che sono pi vecchio mi sembra solo una tragedia silenziosa. A volte, quando c'era il sole, uscivo in strada con Donny molto probabilmente recuperato da qualche discarica e un origami in forma di carpa giapponese con una candela accesa all'interno. Abbiamo cominciato a prendere in giro Donny e a dirgli che doveva assolutamente farsi leggere il futuro, ma lui ha dato fuori di matto, rifiutandosi.

Non ho nessuna intenzione di farmi predire il futuro da un vecchio ubriacone. Cristo, quello di sicuro abita in un frigorifero scassato sotto il Burrard Bridge. Sono sicuro che passa la giornata seduto a molestare le tenniste. Noi non abbiamo insistito, e se il vecchio ha sentito cosa diceva Donny, non ne ha dato mostra, cos ce ne siamo andati per la nostra strada. Solo qualche settimana pi tardi ho visto Donny che si faceva leggere allegramente la mano proprio dal vecchio indovino. Mi sono avvicinato e ho detto: Ehi, socio, mi sembrava di avere capito che non intendevi farti predire il futuro. E Donny ha risposto candidamente: Ehi, amico, l'hai visto o no il cartello?. E mi ha indicato un pezzo di cartone accanto alla candela sul tavolino, su cui si leggevano poche parole sgrammaticate scritte a pennarello: ti prometo che non ti dico che stai per muorire Cos si fa, amico. Basta questo, non mi serve altro. Continua a leggermi la mano, vecchio. Questa non una storia lunga. Alla fine, Donny riuscito a vedere esaudito il suo desiderio: gli hanno sparato davvero. Per una stupidissima questione di droga, in un parcheggio di Chinatown. Due volte alla nuca e una alla schiena. toccato a me identificare il cadavere, perch nessuno sapeva dove fosse la sua famiglia o se ne avesse una. Mi sa proprio che il salmone di cui parlava quel giorno saltato davvero fuori dal fiume, tanto da ritrovarsi sulla terraferma mentre il fiume poco lontano continua a scorrere. Qualche tempo dopo me ne sono andato dalla pensione, e poco pi tardi mi sono innamorato. Per me l'amore stato spaventoso e doloroso: non solo durante, ma anche dopo, quando finito. Ma questa un'altra storia. Mi piacerebbe innamorarmi di nuovo, ma spero proprio che dopo quell'esperienza non mi capiti pi tanto spesso. Non ho voglia di dare per scontato l'amore tanto da provare la curiosit di scoprire emozioni pi estreme, qualunque possano mai essere. Cose che volano Per chiunque si sia mai separato da qualcuno domenica notte e mi trovo seduto con la schiena curva davanti al tavolino del soggiorno, intorpidito, dopo essermi appena risvegliato da un sonno profondissimo su un divano in compagnia di varie confezioni di pizza servizio-a-domicilio e vasetti di plastica di yogurt alla ciliegia tutti spiaccicati. Davanti a me il televisore col volume a zero trasmette un telequiz, e intanto io appoggio la testa ai palmi delle mani, come in preghiera, attivit che non pratico; in realt mi stropiccio gli occhi nel tentativo di riprendermi, e sfioro con i capelli il piano del tavolino cosparso di briciole e penso che, nonostante tutto quello che capitato in vita mia, non ho mai perso la sensazione di essere continuamente alle soglie di una rivelazione maestosa, magica, e che se solo fossi capace di guardare il mondo abbastanza da vicino, allora questa magica rivelazione sarebbe mia davvero. Che se solo fossi capace di svegliarmi quel tanto che basta, allora''' be'''' lasciate che vi racconti cosa successo oggi. Oggi andata cos: sveglia a mezzogiorno; caff liofilizzato; un talk show in tiv; un frammento di una partita di football; un qualchecosa a proposito di religione; basta tiv. Ho cominciato a vagare senza meta per la casa, da una camera silenziosa all'altra, per passare davanti alle due mountain-bike appese in corridoio e far girare le ruote con un colpo di mano e quindi passare in soggiorno a rimettere in ordine un cumulo di Cd incollati insieme da un succo d'arancia rovesciato. Probabilmente cercavo di fingere di avere parecchio da fare, ma da fare non avevo proprio niente. Mi sentivo il cervello surriscaldato. Nella mia vita, di recente, successo di tutto. Dopo ore e ore di cincischiamenti mi sono finalmente trovato ad ammettere che non riuscivo a reggere la solitudine neanche un momento di pi. Cos ho ingoiato l'orgoglio e ho preso la macchina per dirigermi a casa dei miei genitori, sulla collina vicino alla Costa settentrionale: su per la montagna, fra i boschi, diretto a casa. La mia casa vera, mi sa. Oggi stato il primo giorno in cui mi sono reso conto sul serio che l'estate finita. L'aria era gelida e frizzante, e le foglie d'acero marcivano diffondendo un odore sgradevole e dolciastro, come di frittelle defunte.

Sulla montagna, mia madre era in cucina a preparare tramezzini al formaggio in perfetto stile 1947, con le croste tagliate via e insaporiti con pepe giamaicano, da mettere in frigo per la serata di bridge con le amiche. Pap stava seduto al tavolo della cucina a leggere il &Vancouver &Sun. Ovviamente sapevano gi cosa era successo negli ultimi tempi, per cui erano a disagio con me, come se camminassero sulle uova. Il che ha fatto sentire &me a disagio, oltre che scrutato al microscopio, e cos sono salito di sopra a sedermi nella camera per gli ospiti e a fissare le oche canadesi partite dalla British Columbia settentrionale che volavano in formazione verso sud, alla volta degli Stati Uniti. Era rilassante vedere tutti quegli uccelli in volo, vedere quante creature al mondo sono in grado di volare. Mamma aveva lasciato accesa la Tv in camera da letto, quella adiacente. Alla Cnn si diceva che la morte di Superman era programmata per quel fine settimana, nel cielo sopra Minneapolis, e per un istante mi sono sentito come trasportato fuori di me. Ho pensato che di sicuro era una coincidenza, perch solo un mese prima ero stato a Minneapolis per un appuntamento di lavoro: una citt nuovissima, di cristallo, scintillante come quarzo, che torreggiava sopra i campi di grano del Midwest. Secondo l'annunciatore, Superman sarebbe morto in una battaglia aerea sopra i grattacieli nel tentativo di sconfiggere un nemico di suprema crudelt, e per quanto mi rendessi conto che si trattava di un volgarissimo espediente pubblicitario per vendere pi fumetti (e tenete presente che non leggo pi un numero di &Superman da vent'anni), pensarci mi ha intristito. E poi sono passate le oche, e io sono rimasto a guardare il fumo bluastro che risaliva i pendii montuosi, dai vari fal accesi per bruciare le foglie morte, oltre il Capilano River. Dopo un po' sono tornato da basso e mi sono seduto in cucina insieme a pap vicino alla porta a vetri scorrevole, e abbiamo dato da mangiare agli uccelli e agli animali sul patio. Avevamo semi di grano per gli zigoli e gli storni, e arachidi tostate per le ghiandaie e gli scoiattoli neri e quelli grigi. Che oceano di vita! Mi sentivo felice, perch gli animali hanno qualcosa che riesce sempre a strapparci a noi stessi e al tempo, qualcosa che ci fa dimenticare la vita. Pap aveva infilzato una pannocchia di grano su un ramo, e le ghiandaie se la bisticciavano senza tregua. Noi gli gettavamo le arachidi, e ho notato che se ne tiravo due alla stessa ghiandaia, quella se ne rimaneva ferma senza riuscire a decidere quale delle due fosse la pi appetitosa, per cui restava paralizzata dall'ingordigia e non mangiava n l'una n l'altra. Abbiamo tirato le arachidi anche agli scoiattoli, ed erano cos deficienti che non erano in grado di trovarle neanche se gliele tiravo diritte in testa. Non riesco proprio a capire come abbiano fatto a sopravvivere per milioni di anni. Pap aveva preparato anche i semi di girasole per uno scoiattolo volante ormai inquilino stabile del giardino, battezzato Yo-yo. Yo-yo schizzava su e gi per il giardino come una pallina di flipper. Mamma ha detto che alla gente gli animali interessano solo finch mostrano comportamenti umani, come l'avidit e la stupidit e la rabbia, liberandoci cos da quell'angoscia unica al mondo che l'angoscia di essere umani. Secondo lei la razza umana stufa di sentirsi dare tutta quanta la colpa dei mali del mondo. Le ho esposto la mia teoria sulle ragioni per cui ci piacciono gli uccelli, di come gli uccelli ci appaiono miracolosi perch stanno a dimostrare che esiste un modo di essere pi semplice e pi elegante, e con qualche sforzo potremmo raggiungerlo anche noi. Ma poi sono crollato di nuovo nella depressione, e mi sembrava di mettere pap e mamma a disagio perch temevano di vedermi cadere a pezzi da un momento all'altro. Erano decisamente sollevati perch ridevo delle ghiandaie, come se fossi guarito da qualche malattia, il che mi ha depresso perch mi sentivo come un invalido, e allora sono tornato al piano di sopra, nella stanza della Tv. L'ho accesa e mi ci sono rifugiato. Ho pensato alle disgrazie che mi erano capitate di recente, e di conseguenza a tutte le malvagit che avevo commesso nei confronti di chi mi stava intorno; e ne avevo commesse parecchie. Mi vergognavo. Mi sembrava che neanche una delle mie buone azioni avesse qualsiasi importanza.

E sullo schermo della Tv c'erano ancora uccelli! Creature meravigliose. Che fortuna, avere gli animali. Quale gentilezza abbiamo mai compiuto noi esseri umani per meritarci da Dio una ricompensa simile? Alla televisione mostravano un parrocchetto grigio che aveva imparato a riconoscere oggetti come i triangoli e le chiavi delle automobili, o il colore blu, e sapeva chiamarli per nome. Il bel parrocchetto faceva una fatica enorme a ricordare queste cose, e aveva una voce quasi femminile, dal tono molto efficiente, come una centralinista texana. Quel parrocchetto mi ha fatto capire quant' difficile imparare, nella vita, e anche una volta che si imparato qualcosa non c' la garanzia che un giorno possa tornare utile. Un altro canale trasmetteva immagini riprese in uno zoo di Miami, Florida, devastato da un uragano, e in mezzo alle rovine nuotavano anatre e altri uccelli altissimi, eleganti, e quegli animali non avevano modo di sapere che si trattava di rovine. Per loro era soltanto il mondo. E poi hanno ritrasmesso il servizio giornalistico sulla morte di Superman, solo che stavolta mi sono reso conto di avere frainteso. Doveva morire sopra Metropolis, non Minneapolis. Ma rimanevo triste. L'idea che potesse esistere Superman mi era sempre piaciuta, perch mi piaceva l'idea che ci fosse una persona al mondo incapace di fare del male. E che ci fosse una persona al mondo in grado di volare. Anche io sogno spesso di volare, ma non come Superman. Lascio semplicemente ricadere le braccia lungo i fianchi e mi alzo in volo. Non c'e bisogno di dire che questo il mio sogno preferito. Alla Tv, altre immagini, stavolta di una coppia di gru americane impegnate in una danza d'accoppiamento, ed erano cos belle e aggraziate che ho pensato: "Potessi essere io una gru, fossi capace io di volare come loro, allora sarebbe proprio come essere sempre innamorati". E poi mi sono sentito solo, punto e basta, e cos stufo di vedere crudelt nella mia vita e nel mondo che ho sussurrato: Ti prego, Dio, fammi diventare un uccello, non ho mai desiderato altro. Un uccello bianco e aggraziato, senza vergogna e difetti e senza paura della solitudine, dammi altri uccelli bianchi insieme ai quali volare, dammi un cielo cos grande e smisurato da poter volare in eterno senza bisogno di dover scendere a terra se non lo voglio. E invece Dio mi ha risposto con parole, quelle che ripeto qui. Aggiungo a mo' di chiusura che nel ritornare in casa mia stasera ho varcato la soglia e oltrepassato i miei rifiuti sparsi per la stanza; mi sono buttato sul divano e mi sono addormentato e poi ho sognato, e sognavo di tornare a Minneapolis, vicino ai campi di grano. Ho sognato che salivo su un ascensore di vetro per arrivare in cima a uno dei grattacieli di vetro verde della citt, fino all'ultimissimo piano, e iniziavo a correre freneticamente da una facciata all'altra del grattacielo con gli occhi rivolti fuori dalle vetrate gigantesche, nel tentativo di scoprire un modo per proteggere Superman. Il sole sbagliato 1 - Pensieri sul sole La mia prima volta a un Mcdonald's stata il 6 novembre 1971, un sabato pomeriggio piovoso. Ero alla festa per il decimo compleanno di Bruce Lemke, e il Mcdonald's si trovava all'angolo fra Pemberton Avenue e Marine Drive, nella parte nord di Vancouver, British Columbia. L'unico motivo per cui ricordo la data con esattezza che quello era il giorno del test nucleare sperimentale Cannikin, sull'isola Amchitka nelle Aleutine: la testata di uno Spartan Missile, di potenza fra i quattro e i cinque megatoni, fatta detonare in fondo a un pozzo profondo quasi tre chilometri scavato appositamente nel suolo di un'isola dell'Alaska. La stampa aveva fatto un gran baccano al riguardo, perch quell'esplosione sarebbe stata potente circa il quadruplo di qualsiasi altra esplosione sperimentale effettuata fino a quel momento. A dar retta ai catastrofismi dell'epoca, l'esplosione avrebbe scosso le faglie sismiche adiacenti Vancouver, innescando una serie di reazioni a catena che a loro volta avrebbero dato inizio al bisnonno di tutti i terremoti. Il centro commerciale di Park Royal si sarebbe spaccato in due per eruttare fuoco; la diga di Cleveland, lungo il Capilano River, sarebbe andata in pezzi, e i sopravvissuti al crollo del centro commerciale sarebbero morti affogati.

Le abitazioni a L arroccate sulle pendici dei monti circostanti la citt, con le loro travi a sbalzo e le loro Cucine del Futuro, sarebbero crollate come carta. Il tutto sarebbe stato spazzato via da una &tsunami sei ore pi tardi. Ricordo che stavo seduto sul mio sgabello di vinile viola, incapace di mandare gi un boccone, a guardare fuori dalla vetrata aspettando il grande lampo, ad aspettare di vedere le macchine alzarsi in volo e la statua di Hamburglar sciogliersi, di vedere le piastrelle del pavimento frantumarsi e lasciar sgorgare lava. Ovviamente non successe nulla. Mezz'ora pi tardi eravamo nella station wagon della signora Lemke diretti ai Twin Theaters di Park Royal per vedere :&I figli della &ferrovia. Ma ormai mi ero creato delle equivalenze mentali indelebili, che fatico a cancellare tuttora, dopo vent'anni: primo, che Mcdonald's il male; secondo, che non sempre tecnologia corrisponde a progresso. Un altro aneddoto termonucleare, un caro ricordo di famiglia. la notte del 20 ottobre 1962, e mia madre si trova a un ballo nella base dell'aeronautica canadese a Baden-Sllingen, Germania Ovest, il mio luogo di nascita. Io ho 294 giorni. Quella sera mio padre in Svizzera per questioni militari. Di colpo un aiutante di campo fa il suo ingresso nella sala e sussurra nell'orecchio ai piloti, e loro nel giro di pochi minuti si eclissano per dirigersi alle piste di decollo, dove salgono sui caccia per iniziare un turno a rotazione di 24 ore, mentre le donne restano sole e confuse nei loro abiti da sera modello Dior &New &Look. Le donne fanno ritorno perplesse agli alloggi; pagano le baby-sitter, cominciano a frugare nelle credenze in cerca delle scorte di latte in polvere. Si accende la radio Zenith a onde corte, che per i tre giorni successivi non verr pi spenta. Il giorno dopo, lo spaccio della base chiuso. Le madri vigilano a turno sui bambini che giocano e a turno seguono i notiziari radio. Probabilmente prendono la situazione con pi calma delle mogli dei civili. Le mogli degli ufficiali in residenza nella base hanno gi assistito ad altre crisi, altri allarmi, per quanto mai gravi come questo. L'Europa, nel 1962, un'arena di terrore. Ai margini dell'Autobahn, fra gli abeti scheletriti dello Schwarzwald, si celano migliaia di carri armati mimetizzati. Ogni giorno la base sorvolata da jet militari. La Cortina di Ferro a solo un pieno di benzina di distanza. La crisi si espande. Per la prima volta in assoluto, le donne vengono accompagnate nei bunker, ripostigli inutilizzati e dotati di finestre al primo piano del complesso Pmq. Nei bunker non ci sono mobili, n cibarie, n scorte di prima necessit: niente pannolini, tranquillanti, garze, n acqua potabile. Tuttavia, strano a dirsi, ci sono sei scatolette di caviale in un angolo. Quando le donne si lamentano della situazione, le autorit della base rispondono che loro sono sacrificabili. :&Dovevate saperlo prima di seguire qui i vostri &mariti. Le donne rimangono sedute nella semioscurit a seguire la radio mentre i bambini frignano. E alzano gli occhi al cielo domandandosi cosa succeder. Alla fine dalla Zenith arrivano parole di sollievo: :&Sembra che la flotta sovietica stia invertendo la &rotta. La vita riprende. Il tempo torna a scorrere. Immagini sparse: al liceo, il Sentinel Senior Secondary di West Vancouver, nella British Columbia. Sulla montagna che sovrasta la citt di Vancouver, a lezione di fisica. Il sibilo di un jet che passa nel cielo. Voltarsi di nascosto e aspettare che arrivi l'ondata di luce a incenerire la citt. A otto anni: sentire le sirene che ululano all'angolo fra Stevens Drive e Bonnymuir Drive, per un'esercitazione di protezione civile, e accorgersi che a nessuno sembra importare un tubo. Gli anni Settanta e i film catastrofisti: al cinema a vedere :&L'avventura del &Poseidon, il primo film che mi avventuro a vedere in centro citt, da solo, all'Orpheum Theater, per assistere allo spettacolo della fine del mondo. &Terremoto; 1975: :&Occhi bianchi sul pianeta &Terra; &Andromeda; 2022: &I

&sopravvissuti; :&L'inferno di &cristallo; 2002: &La &seconda &Odissea, film che nessuno ormai gira pi, perch ognuno di noi li proietta gi continuamente nei pensieri. L'idea di essere gli ultimi abitanti di pianeti scomparsi, incendiati, devastati e spopolati. Una decina d'anni fa, al liceo artistico, ho scoperto che il modo migliore per memorizzare un paesaggio chiudere gli occhi per qualche secondo e poi sbattere le palpebre al contrario. Vale a dire, aprire gli occhi solo per un attimo, per lasciare che le immagini si incidano sulla retina di colpo piuttosto che fissarle a lungo. Lo dico solo perch si tratta sostanzialmente dello stesso principio che entra in gioco nel momento in cui il mondo di ciascuno di noi viene illuminato dal lampo termonucleare. Quello dell'immagine-flash un motivo ricorrente sia nei miei pensieri diurni, sia nella mia vita onirica. L'immagine pi ricorrente nei miei sogni quella che mi vede seduto in cima a un condominio degli anni Settanta, lungo il fronte del porto di West Vancouver, al ventesimo piano, con lo sguardo rivolto verso l'oceano. Una delle persone che si trovano nella stanza con me dice: &Guarda! e allora guardo verso il punto indicato e mi rendo conto che il sole si sta gonfiando rapidissimo, come quelle confezioni di pop-corn in alluminio pronte da mettere sulla fiamma, e brilla di un color arancio come la resistenza di un fornello elettrico. E a quel punto mi risveglio. Altra immagine ricorrente: mi trovo nel campo da calcio del mio liceo, durante l'ora di educazione fisica. Un boato sordo, e noi della squadra smettiamo di dare calci alla palla e andiamo alla rete metallica di recinzione per guardare verso sud, oltre l'orizzonte, verso il punto in cui sappiamo trovarsi Seattle, a duecento chilometri di distanza. E al posto di Seattle vediamo una colonna di polvere grigia e detriti spinti verso il cielo, brandelli di terra scagliati contro l'universo, tanto in alto da non tornare pi: la terra diventata il cielo. Terza immagine ricorrente, molto semplice: in casa dei miei genitori, guardo il panorama fuori dalla finestra, incorniciato dalle bacche di pirocanto e dall'acero in giardino; si accende il Grande Lampo; mi risveglio di colpo. Da giovani, normale vivere nell'assoluta certezza che prima o poi arriver la fine del mondo. Poi si invecchia, e il mondo va avanti e ci si trova costretti a rivedere le proprie convinzioni riguardo l'apocalisse, e allo stesso tempo il proprio rapporto con il tempo e la morte. Ci si rende conto che proprio vero che il mondo proseguir con noi o senza di noi, senza le immagini mentali che ciascuno di noi porta dentro di s. E cos cerchiamo di lasciar perdere il resto e comprendere invece queste immagini. Nella cultura borghese contemporanea, l'assenza di frequentazione con la morte negli anni formativi della vita genera come una specie di vuoto psichico. Per molti, il pensiero di una guerra nucleare rappresenta la prima vera occasione di fare i conti con il concetto di fine dell'esistenza, e proprio per questo il pensiero in questione diventa uno dei pi potenti e indelebili. A mano a mano che si procede negli anni, si elaborano modelli matematici sempre pi sofisticati per spiegare la morte, che per non sono mai altrettanto esaustivi. Per esempio, la formula sesso/morte; scoprire un nodulo corporeo sospetto; la morte, reale, delle persone amate. Tutti i regali strazianti che ci fa la vita. Almeno, questo che mi dico, per riuscire a spiegarmi queste immagini mentali che non riesco ad allontanare. E queste immagini sono pi diffuse di quanto pensassi, e non riguardano soltanto me. Ho interrogato molte delle persone che conosco, e anche molti sconosciuti. Ho ascoltato le loro descrizioni del mondo visto sbattendo le palpebre al contrario. E per quanto le immagini siano diversissime da persona a persona alcuni immaginano di assistere al lampo nucleare in compagnia di amici, altri di sconosciuti, altri dei loro animali, altri in solitudine - ho trovato un filo conduttore, vale a dire: il lampo pu verificarsi sopra i sobborghi del delta del Fraser River, nel cielo di Richmond e White Rock; oppure sopra la baia di Vancouver, sopra lo stretto di Juan de Fuca o l'oceano Pacifico; pu scoppiare sopra il confine americano, su Seattle, Bremerton, o Tacoma, Anacortes, Bellingham. Ma il Grande Lampo, cos luminoso, il Grande Lampo che ci costringe a ricordare ci che era e non pi, che ci rende nostalgici prima del tempo, il

Grande Lampo si accende a sud, sempre e invariabilmente a sud, nel cielo, nel punto esatto in cui prima si trovava il sole. 2 - La parola ai morti Quando successo, mi trovavo in cucina vicino al frigorifero. Il telefono della cucina, appeso alla parete vicino al frigo, ha cominciato a squillare, e allora sono andato a rispondere, quando il meccanismo fabbricaghiaccio ha preso a cacciare fuori cubetti a ripetizione, il che mi parso strano. Poi un'anta della credenza si spalancata da sola e la luce dal lampadario in cucina si affievolita. Di colpo, il telequiz in onda sullo schermo del televisore sul ripiano della cucina stato sostituito da un monoscopio multicolore e da un sibilo lacerante e poi per un secondo comparsa l'immagine di un giornalista con alle spalle una carta dell'Islanda. Ho alzato la cornetta dicendo Pronto, ma dall'altro capo non ha risposto nessuno, e poi arrivato il lampo. La tazzina di plastica dei Simpson sul ripiano della cucina ha cominciato a sciogliersi, e il telaio di plastica nera della Tv ha iniziato ad ammorbidirsi. Mi sono guardato la mano e ho visto che la cornetta del telefono si stava trasformando in un blocco di fango, e la pelle mi si strappava via dalla mano come una striscia di pollo &fajita. Poi arrivata l'onda d'urto. La finestra della cucina scoppiata verso l'interno, splendente come un albero di Natale, il frullatore schizzato contro la parete e i Post-it appiccicati al frigorifero hanno preso fuoco e sono morto. Quando successo, ero dal parrucchiere. Mi trovavo dietro l'angolo rispetto alla vetrina, e il lampo l'ho visto dallo specchio di fronte a me. Una delle parrucchiere, Sasha, si riparata il viso con il braccio, urlando, e alcune ragazze si sono gettate a terra, ma io sono rimasta come impietrita, non riuscivo a fare altro che guardare. Come molti, credevo che quel lampo fosse causato da un fulmine, ma al tempo stesso sapevo che non era possibile, perch fuori c'era il sole. Pensavo a questo e poi ho visto la pianta di ficus prendere fuoco, e la piramide di bottigliette di shampoo Vidal Sassoon a lato del registratore di cassa ha iniziato a gocciolare gi dal bancone. L'impianto antincendio entrato in funzione, rovesciando nella sala una pioggia che si subito vaporizzata, e tutto questo durato qualcosa come un secondo prima che arrivasse l'onda d'urto, che ha fatto esplodere le vetrate, scagliando dentro una Corvette gialla e vari passanti avvolti dalle fiamme, mandandoli a sbattere contro la parete in fondo vicino ai lavelli. Non ricordo di avere sentito rumore, ma senz'altro dev'essercene stato parecchio. Ricordo il grembiule di plastica marrone di Laura mentre le si scioglieva sullo scheletro, come il formaggio sugli hamburger, e poi un odore di capelli bruciati, probabilmente i miei, e l'immagine dei mattoni che mi precipitavano addosso, per cui alla fine sono morta non per il calore e neanche per l'onda d'urto, ma sepolta dal muro crollato. Quando successo, mi trovavo imbottigliato nel traffico dell'ora di punta, nella corsia centrale dell'autostrada in uscita dalla citt. Avevo acceso la radio e stavo passando in rassegna le stazioni Fm, ma all'improvviso la sintonia sparita, e ho pensato che la radio fosse rotta, cos ho abbassato la testa sul cruscotto per armeggiare coi pulsanti. Proprio in quel momento diverse auto che mi stavano intorno hanno cominciato a clacsonare, e una macchina uscita di colpo dalla corsia di destra per infilarsi su quella di emergenza. Alla radio, una voce di donna parlava degli sviluppi strategici vicino a Baffin Island e nel Minnesota settentrionale, e a quel punto arrivato il lampo, velocissimo, silenzioso; durato solo un secondo, ma subito dopo mi sono dovuto sforzare di rimettere a fuoco, come quando si spegne la lampada dopo avere passato un'ora su un lettino per l'abbronzatura. Quando ci sono riuscito, ho visto che la capote della Mazda Miata cabriolet, due auto pi avanti della mia, era in fiamme, e i cedri a margine dell'autostrada e i copertoni di tutte le auto intorno a me bruciavano e mandavano fumo, e non ho avuto nemmeno il tempo di mettermi al riparo prima che arrivasse l'onda d'urto che ha spinto avanti tutta la coda di macchine come una fila di bottiglie rovesciate da un

ubriaco, e il caff nella tazza che avevo sistemato nel portabevande sul cruscotto schizzato contro il parabrezza con uno sfrigolio. Poi la mia macchina si alzata in volo per finire contro il retrotreno di una Acura Legend in fiamme, e il cristallo del parabrezza andato in frantumi. Rumori? Una specie di boato, credo. Non so, succede tutto molto in fretta. Avevo i finestrini spalancati, gli occhi rivolti verso la citt, e il vento tempestoso dell'esplosione soffiava verso di me trasportando una coppia di motociclisti scagliati a mezz'aria come palloncini gonfiati con l'elio, una cabina telefonica, frammenti di automobili e alberi. Ricordo in particolare una Mitsubishi, con al volante il cadavere di una donna dal collo fratturato su cui campeggiava un filo di perle i capelli bruciati, una ventiquattrore che volava fuori dal finestrino. Ricordo questi piccoli particolari. Ricordo che mi riusciva difficile respirare, come in una sauna. E ricordo di avere visto il rimorchio di un autocarro venire a schiantarsi contro di me e ricordo il tettuccio della macchina che si schiacciava, e poi sono morto. Quando successo, ero al centro commerciale. Stavo percorrendo la galleria principale con i due bambini che frignavano perch volevano tornare indietro a vedere i cuccioli in vendita, ma quel pomeriggio avevo tanto da fare che non potevo assolutamente accontentarli. Amy mi tirava per la manica, e stavo per gridarle di finirla, ma in quel momento arrivato il lampo e allora abbiamo tutti alzato la testa a guardare il soffitto di vetro sopra di noi - un gesto stupido, me ne rendo conto - verso il punto in cui gli aquiloni decorativi avevano preso fuoco come tovaglioli di carta, e la struttura di vetro e cemento dell'edificio stava gi cedendo. Ricordo di essermi sentita sollevata al pensiero che ci trovavamo troppo all'interno del centro commerciale per venire colpiti in pieno dall'ondata di calore. Incredibile quanti pensieri riescano a passare per la testa in cos breve tempo. In cielo stava volando un jet: siamo riusciti a vederlo per puro caso, volava via come un giocattolo lanciato da un bambino capriccioso. Io ho urlato ai bambini: A terra!, ma loro erano ipnotizzati dallo spettacolo del cielo che bruciava, cos li ho trascinati gi tirandoli per le giacchette e loro sono finiti col sedere sul pavimento proprio nell'attimo in cui arrivata l'onda d'urto. Il piano pi alto della galleria si spostato di lato, come una fetta di pane tagliata via, togliendoci di vista il sole quasi completamente. E ricordo che le merci dei negozi ai piani superiori ci precipitavano addosso, scarpe e tavolini e distributori di caff e maglioni, come da una borsa rovesciata, e le nuvole di polvere grigia che schizzavano in quel frammento di cielo rimasto visibile, come una glassa densa e grigia che ci veniva spalmata addosso. Un rumore di cascata, e poi le travi di cemento armato hanno cominciato a crollare e allora ho cercato di prendere i bambini per evitarle, e il fragore era insopportabile e la luce si affievoliva e il cielo era talmente costellato di polvere e vestiti e biscotti al cioccolato e cartellini dei prezzi e frammenti di vetro e sangue che non ci si poteva quasi muovere. E a quel punto l'ossigeno iniziato a mancare e respirare era impossibile. Per cui stata l'asfissia a uccidermi. Quando successo, ero in ufficio, alla fine della giornata di lavoro, e tutti si preparavano a tornarsene a casa. Alla scrivania adiacente alla mia, Ellen si lamentava che i computer erano andati di nuovo in tilt, e allora ho guardato il mio Ibm e ho visto che si era spento. Mi stavo dirigendo da lei mentre chiamava Ricky, l'esperto di computer dell'ufficio, e in quel momento la luce si spenta e in quel primo attimo di confusione ci siamo guardati tutti intorno, finch non arrivato il lampo: luce bianca, al titanio, come quando si fa partire la fotocopiatrice senza abbassare il coperchio. Il lampo proveniva dalle vetrate dalla parte opposta dell'ufficio, vicino alla mensa, e ho visto Brent e Tracy venire verso di noi accesi di un bagliore rossastro, perch i raggi luminosi e i raggi gamma gli stavano attraversando il corpo e li illuminavano dall'interno come embrioni abortiti. Subito dopo il lampo, Tracy caduta in ginocchio e Brent crollato sopra una delle sedie. Io ed Ellen stavamo andando da loro quando arrivata l'onda d'urto, come da una diga che crollava, schiantando le vetrate, portando con s

Brent e Tracy e tutti i mobili dell'ufficio, scagliandoli fuori verso l'altra estremit del palazzo, dove si trovava il parcheggio dipendenti. Anche io mi sono sentito trascinare in quella direzione, e allora mi sono aggrappato a un pannello della parete insonorizzata, bruciacchiato e fumante, e ricordo di avere visto un terminale di computer ondeggiare sull'orlo della finestra distrutta, come se non riuscisse a decidersi se precipitare o meno, e poi cadere fuori, trascinandosi dietro un intrico di cavi elettrici. Ricordo che Tracy cercava di aggrapparsi a me per non venire risucchiata fuori dall'ufficio, con il sangue che le schizzava dalle orecchie e i capelli tirati indietro dal vento, mentre un flaconcino di bianchetto le scoppiava contro la testa, e ricordo di averle afferrato la mano tenendola stretta e poi che venivamo aspirati fuori dall'edificio a morire insieme in un punto imprecisato del cielo. Non siamo pi con voi. passato molto tempo, ormai. Per favore, respirate con attenzione, perch siete voi ad avere bisogno di ossigeno, e luce, e acqua. E tempo. Noi no. Non siamo pi fra voi. Non facciamo pi parte del numero dei viventi. Adesso con noi ci sono gli uccelli, qui che sono finiti anche loro. E i pesci del mare, e le piante e tutti gli animali di Dio. Qui fa anche pi fresco, e c' calma. E ora noi siamo anime trasformate: non vediamo pi le cose come prima. Perch c'era un tempo in cui ci attendevamo il peggio. Ma poi, il peggio arrivato, no? Per cui non possiamo sorprenderci pi di nulla. Gettysburg Io e tua madre abbiamo trascorso una luna di miele da banditi, su una Monte Carlo del 1978 presa a nolo, un rottame devastato. Ci fermavamo nei peggiori motel degli Appalachi, immaginandoci come due fuorilegge perduti in una vita dedicata al crimine, impegnati a dirottare satelliti, mettere in piedi un canale televangelista per organizzare una grande truffa ai danni degli spettatori, discendere la facciata vetrosa del Caesar's Palace portandoci dietro borsoni da ginnastica gonfi di diamanti rubati. Nel North Carolina abbiamo comprato un fucile e ci siamo messi a sparare ai cartelli stradali; invece di lavarci, ci cospargevamo le ascelle di Eternity di Calvin Klein; perdevamo soldi alle tombole parrocchiali e mangiavamo pesci gatto fritti nel lardo. Sono stati dieci giorni in cui non eravamo obbligati a essere noi stessi, in cui eravamo liberi e invisibili, nella speranza di riuscire in qualche modo col nostro infantilismo a cancellare la maturit insita nella decisione di sposarci. Per quanto riguarda te, ti dir che sei stata concepita per amore in un motel di infima categoria, in un luogo imprecisato durante quei primi giorni di luna di miele. Tua madre aveva smesso di usare qualsiasi contraccettivo ed era fermamente intenzionata a restare incinta subito. Quella notte, in un motel da qualche parte del West Virginia, mi ha ordinato di tenere spalancate le tende mentre consumavamo il nostro matrimonio, e in seguito mi ha raccontato del suo primo incontro con il sesso, da piccola quando una mattina, in visita a Disneyland con la famiglia, si era messa a sbirciare da una finestra al secondo piano di un motel e aveva visto due sposini che facevano l'amore. La donna stava a cavalcioni dell'uomo, con le braccia dietro la schiena inarcata, i seni che ondeggiavano rivolti al cielo. Nel bel mezzo di questo spettacolo disinibito, il padre di tua madre ha suonato il clacson della station wagon, e tua madre dovuta correre da basso. Ma poi, per qualche problema, la macchina rimasta ferma nel parcheggio ancora un po', e tua madre tornata di nascosto a quella finestra del secondo piano, solo per scoprire che la tenda era stata richiusa e, nell'angolo da cui poco prima aveva spiato lo spettacolo, c'era una piccola faccina sorridente incisa nel vetro con il diamante di un anello di fidanzamento. Nel corso di quella luna di miele abbiamo fatto visita anche a Gettysburg, un luogo che io avevo sempre desiderato vedere, ma che non ha entusiasmato affatto tua madre, la quale ha preferito girare imbronciata per i negozi di souvenir mentre io vagavo tra monumenti e nell'ossario, i pensieri rivolti al passato, alla guerra, al bizzarro fluire del tempo e al rispetto dovuto alle grandi idee. Era tutto molto solenne, ma credo che tua madre non volesse vedere sminuita l'atmosfera della settimana da qualcosa di pi maestoso della nostra minuscola felicit.

Pi tardi, quando ho fatto ritorno alla macchina, ho scoperto che tua madre ti aveva comprato quella casetta di bambole stile rococ che adesso ti piace tanto, una tipica casetta di famiglia, e anche qualche mobile in miniatura e qualche bambolina di pezza per abitarla. Secondo me sapeva gi da quel momento di essere incinta di te. Ma sto divagando. Perdonami. Oggi sono di umore incostante, come il clima. Il cielo si sta dedicando a quattro cose contemporaneamente: piove, grandina, c' il sole, e, a quanto pare, in cima a Grouse Mountain nevica. Oggi il clima non sa proprio decidersi. E ora ti dir perch ho i pensieri tutti scombussolati: tua madre mi ha lasciato da una settimana, portandoti via con s. Mi chiama da casa di sua madre, e parliamo ogni giorno. Meglio che niente. Mi dice che si disamorata di me. Mi dice che si sente confusa. Mi dice che si sente sperduta, un po' come quando era pi giovane. Le rispondo che da giovani ci si sente tutti sperduti. Ma lei ribatte che ora diverso. Dice che perlomeno, da ragazza, si sentiva sperduta in un suo modo speciale. Adesso, invece, si sente sperduta come chiunque altro. Le ho domandato se era infelice, e lei ha risposto che non era questione di infelicit. Mi dice che ricorda anche qualcos'altro a proposito della sua giovent, quel periodo in cui il mondo era un'unica fonte di meraviglia, in cui la vita era una successione di istanti incantevoli, una serie continua di rivelazioni che la faceva sentire come in perpetua estasi. Ricorda i tempi in cui per farla sentire parte del cielo stellato era sufficiente discutere con qualcuno di cose come la morte, la vita e l'universo. E non sa pi come recuperare quel senso di magia. Le ho consigliato di aspettare un po', che forse il problema un altro. Mi dice che non ha voglia di vedere me e lei diventare due persone orrende che si trattano vicendevolmente in modo orrendo, perch non ci sar nessuno a perdonarcelo. Cerca di parlarmi con spirito e allegria, ma non riesce mai a mantenere quel tono per molto. Mi dice che non sopporta l'idea di un matrimonio privo di amore romantico. Ho cercato di buttarla sul ridere. Le ho detto che quando due persone hanno una relazione, nei primi tempi ogni fine settimana come fare i salti mortali sul ciglio di un burrone, ma poi dopo sei mesi ci si ritrova a noleggiare videocassette e comprare patatine come chiunque altro, e il giorno dopo non ci si ricorda neanche pi il titolo della videocassetta noleggiata la sera prima. La nostra telefonata dura per un po'. Dopo di che, lei riattacca e io mi trovo ancora solo, e cerco di comprendere quello che mi sta dicendo. Cerco di capire da dove nasca questo improvviso cambiamento in lei. Comincio a vagare per la casa, ma mi sembra che abbia perso qualsiasi coerenza: che le scalinate vadano a finire contro il soffitto, e le stanze siano tutte murate. Magari mi fermo a riordinare i tuoi giocattoli, quelli rimasti, provo distrattamente a infilarmi in testa la tua cuffia giocattolo Fisher Price da centralinista della Mcdonald's. Forse il telefono squiller ancora, o magari rester solo per la serata. Mi siedo al tavolo della cucina, con addosso la mia vestaglia di flanella, e mangio pane tostato con burro di arachidi mentre penso a tutto questo. Il pastore tedesco del vicino abbaia ai fantasmi e ogni tanto qualche provinciale d gas alla macchina in Lonsdale Avenue, a pochi isolati di distanza. Ma per il resto il mondo del tutto silenzioso, in questa scatola grigia e rosa stile anni Cinquanta che sovrasta le luci delle navi nella baia e i palazzi altissimi del centro citt. Dunque: io sono un uomo capace di molto affetto, ma ho problemi enormi a mostrarlo. Da giovane, mi preoccupavo spesso della solitudine. Che nessuno potesse amarmi, o che fossi io incapace di amare. Col passare degli anni, le mie preoccupazioni sono mutate. Temevo di essere diventato incapace di intrattenere una qualsiasi relazione, di offrire la mia intimit. Mi sentivo come se il resto del mondo vivesse in una casa al caldo di notte, e io mi trovassi fuori da quella casa e

nessuno potesse vedermi, proprio perch ero all'esterno, al buio. Ma adesso dentro a quella casa ci sono anche io, e la sensazione esattamente la stessa. A trovarmi qui, ora, di nuovo solo, sento riaffiorare tutti i miei timori atavici, quelli che mi illudevo di avere sepolto con il matrimonio. La paura della solitudine, la paura che innamorarsi e disamorarsi troppe volte renda impossibili da amare, la paura di non conoscere mai un amore vero; la paura che qualcuno un giorno o l'altro si innamori di me, si avvicini come mai nessuno prima, scopra tutto quello che c' da scoprire sul mio conto e a quel punto levi le tende. La paura che, in fondo, l'amore conti solo fino a un certo limite, oltre il quale praticamente tutto trattabile. Per tanti anni ho vissuto in solitudine, e mi sembrava che la vita andasse benissimo. Ma sapevo che finch non avessi conosciuto l'intimit e non avessi condiviso l'intimit con qualcun altro la vita non sarebbe mai progredita oltre un certo punto. Ricordo di avere pensato che se non fossi mai riuscito a scoprire che cosa frullava nel cervello di qualcun altro, oltre al mio, sarei finito per esplodere. Squilla il telefono. lei. Le racconto di un pensiero che mi venuto. Le dico quanto strano che tutti noi ci troviamo intrappolati nel nostro corpo per settanta e rotti anni e mai una volta, in tutto quel tempo, ci sia concesso di fare qualcosa come, per dire, parcheggiare il corpo dentro una caverna anche solo per cinque minuti di pausa, ed essere liberi di allontanarci dai legami materiali. Poi le racconto delle mie paure di tanti anni fa. Le dico che per me condividere l'intimit con un'altra persona era l'approssimazione migliore del poter abbandonare il corpo. Lei mi domanda: ma io e te abbiamo mai condiviso l'intimit? E quanta, veramente? Be' certo, abbiamo avuto quel tipo scontato di intimit, quello familiare: la condivisione fisica, delle varie secrezioni, degli umori e degli ordinari spurghi corporali, una conoscenza enciclopedica dei vari rancori di famiglia e delle numerose volgarit liceali del partner, le rispettive dfaillances dietetiche, i diversi stili di zapping col telecomando. Eppure''' Eppure? Eppure, alla fine dei conti, possiamo dire di esserci donati l'uno all'altra completamente? O addirittura, di essere effettivamente capaci di condivisione? Proviamo a immaginare che la casa stia andando a fuoco e io abbia la possibilit di salvare una cosa soltanto. Cos' quella cosa? Lo sai, tu? Proviamo a immaginare che io stia affogando e debba frugare dentro di me per salvare quell'unico ricordo che mi definisce per quello che sono. Qual quel ricordo? Lo sai, tu? Cosa cercheremmo di portare con noi? Non lo sappiamo n tu n io. Dopo tutti questi anni, non lo sappiamo ancora. Tu sei nata quasi dieci mesi dopo il giorno del matrimonio, in plateale ritardo. E da quel momento, come per miracolo, la nostra vita si trasformata, passando da una spensierata assenza di preoccupazioni sociali al desiderio fervente di entrare a far parte della borghesia. O figlia, una delle particolarit dell'avere figli che perfino i pauperisti pi anarchici e radicali si trovano di colpo a dover vivere in una &casa. I genitori cominciano a distribuire assegni, e quando ti trovi in coda alla cassa dello Shoppers Drug Mart per pagare una pompetta per l'allattamento artificiale c' sempre qualche sconosciuto che ti abborda per raccontarti quanto importante educare un figlio. Tutto molto accattivante. Solo che alla fine della festa sei tu quello che deve pagare le rate del mutuo. Non c' dubbio, la societ complotta per metterti una palla al piede. Adesso lascia che ti racconti un po' della mia vita. Tieniti forte, perch tutt'altro che emozionante: sono un viaggiatore. Lavoro per una media azienda di software che si chiama Immudyne. Non sono un intellettuale. Solo un tipo come molti in giacca e cravatta che sta al volante di un'automobile di medie dimensioni come molte, e passa troppo tempo negli aeroporti in compagnia di una ventiquattrore traboccante di dpliant, dischetti magnetici, dentifricio per fumatori e pacchetti di arachidi tostate al miele omaggio delle linee aeree, arachidi che mangio in camere d'albergo con l'aria condizionata al massimo, seduto davanti alla Tv a notte fonda. Mi sento come la personificazione

di una barzelletta che forse dieci anni fa avrei potuto raccontarti io. Ma sai com' la vita, prima o poi ti scavalca. Da giovani, si sempre convinti che la vita debba ancora cominciare. Che l'inizio della vita sia in programma per la settimana prossima, il mese prossimo, l'anno prossimo, dopo le vacanze o qualunque sia la scadenza. Ma poi di colpo ci si ritrova vecchi, e la vita che era in programma tempo fa non si fatta vedere. E ci si ritrova a domandarsi: "Be', allora si pu sapere cos'era quell'intervallo, quel correre avanti e indietro come pazzi, tutto quel tempo passato fino a ora?". Un altro pomeriggio: ho la barba lunga, i piatti fermentano nel lavello della cucina e la camicia che ho addosso puzza come la camera da letto di un adolescente. In casa non c'erano cucchiaini puliti, e cos ho mangiato un po' di formaggio servendomi di un calzascarpe di plastica tartarugata che ho recuperato accanto al divano. Per cui mi sa che ho toccato un nuovo record di degrado personale. La Tv spenta. Ho davanti a me una tazza da caff piena di pennarelli ormai scarichi e fogli di carta perforati, rimasti dalle lezioni serali di due anni fa su come superare lo stress. Fuori dalla finestra, la pioggia gocciola sulle foglie d'alloro. Guardo in quella direzione e mi torna in mente tua madre, seduta sul davanzale di quella finestra tempo fa, intenta a mangiare tortine e a parlare con le rondini che nidificavano in mezzo alle travi del tetto. Ricordo tua madre ballare con una sedia della cucina che aveva battezzato Otis durante una festa di Capodanno. Sono queste piccole cose a farci amare gli altri e capire al tempo stesso quanto poco sappiamo di loro. Non so proprio cosa abbia trovato di amabile in me tua madre. Mi sa che qualunque cosa fosse non era sufficiente a farle dimenticare le emozioni che sta provando ora. Io sono un uomo tranquillo. Tendo a riflettere molto sulle cose e a non parlare troppo. Eppure adesso mi trovo qui e forse sto parlando troppo. Ma credo di avere dentro certe emozioni che devono assolutamente trovare uno sfogo. Il che mi d sollievo, perch in questi ultimi anni una delle mie maggiori preoccupazioni stata di perdere la capacit di sentire con la stessa intensit di una volta, quando ero pi giovane. Fa molta paura, accorgersi che le emozioni ti abbandonano e scoprire che non te importa. Forse a fare paura proprio scoprire che di questa perdita non ti importa. Forse a questo che tua madre sta cercando di reagire. Mi prendo un appunto mentale di parlargliene. Telefonata: dico a tua madre che mi rendo conto perfettamente che negli ultimi tempi ho provato sempre meno emozioni, ma le prometto che far del mio meglio per provarne di pi in futuro. Lei scoppia a ridere: non con sarcasmo. Con allegria. Le dico che mi rendo conto che la nostra vita si fatta noiosa molto in fretta, per molti versi, e che nessuno dei due lo voleva. Non avrei mai immaginato di finire ad abitare in periferia con tanto di motofalciatrice e altalena in giardino. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi ergastolano in una stupidissima azienda come tante. Ma del resto, non cos che va il mondo? Non questo che significano la maturit, o allevare dei figli? Ricevo in risposta un calcio nel fegato. Lei ribatte che una delle cose pi crudeli al mondo che si possano fare a un'altra persona fingere di amarla pi di quanto non la si ami in realt. Non capisco se parli di me o se stessa. Glielo domando, e lei risponde che non lo sa. Dice: Mi dispiace, ma il mio innamoramento finito. successo e basta. Mi sono svegliata una mattina e ho scoperto che non c'era pi niente e ho avuto paura e mi sentivo bugiarda e meschina a fingere di essere la moglie. E non ce la faccio pi. Ti voglio bene, ma non sono pi innamorata. Dico: Ma io sono ancora innamorato di te. Dice: Davvero? Ne sei convinto? Dico: S. Dice: Allora ti sto facendo solo del male. Per favore, non chiedermi pi di parlarti di queste cose.

Perch dev'essere cos difficile fare un conto rapido di tutto quanto abbiamo imparato in vita nostra qui sulla Terra? Perch dev'essere cos difficile poter dire a qualcuno: Fra dieci minuti ti investir un autobus, per cui in questi dieci minuti voglio da te un elenco veloce di quello che hai imparato dalla vita. molto probabile che all'intervistato non venga in mente niente. E anche nell'ipotesi di poter dedicare alla domanda una buona dose di concentrazione, altrettanto probabile che l'elenco in questione risulterebbe in bianco. Eppure, nonostante questo, sappiamo bene nel profondo del cuore che le verit pi grandi e importanti si imparano respirando, guardando, provando emozioni, innamorandosi e disamorandosi e riinnamorandosi e ridisamorandosi. Mia madre viene a farmi visita, e chiacchieriamo mentre mi lava i piatti. Non vede la situazione nel mio stesso modo. Dice che tua madre ancora giovane e fra un po' la penser diversamente. Mi dice che basta avere pazienza, che quella che stiamo passando una fase normale per molte coppie ed anche una delle grandi amarezze della vita, ma che si pu sopravvivere. Non le domando come fa a sapere tutto questo, perch ho paura che la risposta mi deprima ancora di pi. Lei lavora di spugna e rimette ordine nel caos. Dice: Prima c' l'amore, poi c' il disincanto, e poi c' il resto della vita. Allora dico: E che succede, per il resto della vita? Che ne di tutto il tempo che rimane?. E lei dice: Oh, be', c' l'amicizia. O la familiarit, perlomeno. E la sicurezza. E dopo quella, il dormire. Penso: Come facciamo a sapere che andr a finire cos? Che forse non ci sar mai niente pi che questo? E dico: Oh Dio. E mia madre mi dice: Figliolo, Dio a tenerci insieme dopo che l'amore se n' andato. Adesso sei grande abbastanza per goderti un racconto, bambina mia, per cui lasciati raccontare una storia. Lascia che ti racconti una storia di Gettysburg, Lunadimielandia: la storia di un uomo di quella citt richiamato in servizio diversi giorni dopo la grande battaglia per fare pulizia. Per rimboccarsi le maniche e andare a raccogliere i cadaveri, disporli in fila uno accanto all'altro e scavare fosse una dopo l'altra all'infinito, bruciare cavalli e muli massacrati, respirare sciami di mosche e vapore misto di terra e sangue, a seppellire e riesumare, seppellire e riesumare cumuli di corpi e membra tutto il giorno, per giorni e giorni. L'uomo ritorna a casa e siede davanti al focolare senza dire una parola. Le sue bambine gli corrono intorno, ma la madre fa loro cenno di stare in silenzio. Le bambine capiscono che il padre non pi come una volta. Si sussurrano a vicenda: Perch pap non parla? e la madre risponde: A volte i padri devono prendere certe decisioni, ma anche la madre preoccupata; ma del resto cosa pu dire lei a quell'uomo? Caccia le bambine a letto, e i loro giocattoli restano per terra, e poi va a letto a sua volta, dopo avere lanciato un lungo sguardo verso il soggiorno, verso suo marito, sempre seduto in silenzio davanti al focolare. Passa la notte, e le bambine si svegliano. Corrono da basso, e fra il cinguettio degli uccelli e nel vento che soffia dalla finestra aperta, trovano il padre addormentato sulla sedia davanti alle braci del focolare. Sono felici di vederlo dormire, e cos se ne vanno a fare colazione. Solo pi tardi, quando riprendono i loro giochi, si rendono conto che c' qualcosa di diverso, ma non capiscono cosa esattamente, e allora lasciano perdere e cominciano a ridere e a cercare le loro bambole, per trovarle allineate con cura, in fila una accanto all'altra, appoggiate alla fiancata della casetta per le bambole. Nel deserto Voi siete la prima generazione cresciuta senza religione A Michael Stipe Clark County, Nevada San Bernardino County, California Riverside County, California

Guidavo in direzione sud, da Las Vegas a Palm Springs, e al centro dei pensieri c'era il Nulla. Non cessava mai di stupirmi la vastit del paesaggio, scoprire quanto pu essere grande il deserto. Nella mia macchina presa a nolo salivo e discendevo i pendii e gli avvallamenti del deserto di Mojave, impegnato a contare le strisciate alla Mark Rothko dei copertoni sul cemento bianco dell'Interstate 15, pietre miliari di incidenti stradali ormai dimenticati, e intanto guardavo una donna anziana mettersi il rossetto all'interno dell'abitacolo di una Lincoln Town Car vicino a me e l'uomo al volante scatarrare appena oltrepassata l'uscita per la Hoover Dam. Era pressappoco mezzogiorno, con un sole offuscato da sprazzi di nuvole stanche, e fuori non faceva poi molto caldo. Sul sedile accanto al mio c'erano una bottiglia di Gatorade tiepido, quasi vuota, una cartina stradale del Nevada ripiegata a casaccio e qualche fiche avanzata dallo Showboat Casino; nel baule si trovava una scatola di cartone di un televisore Mitsubishi a 27 pollici, che conteneva qualcosa di troppo illegale e ignominioso per parlarne ora. Il pulsante di ricerca automatica dell'autoradio scandagliava di continuo l'aria in cerca di stazioni nuove. Il tremolio delle Fasce di Van Allen mi consentiva di ricevere trasmissioni radio da tutto quanto l'Ovest, piccoli frammenti di memoria culturale e notiziari che vanno a comporre l'invisibile struttura informativa che per me casa, la mia comunit virtuale. Ascoltavo il tipo di notizie che di sicuro mi avrebbero fatto venire nostalgia di casa se mi fossi trovato in Europa o moribondo in Vietnam: per esempio, che a San Francisco la temperatura era di 16 gradi e a Daly City di 14 gradi; o un talk show su una radio evangelica di Las Vegas in cui si chiedeva agli ascoltatori di pregare per una casalinga tormentata dal lupus eritematoso; sulla Santa Monica Freeway, il traffico era bloccato a causa di un'autocisterna carica di propano che si era rovesciata all'altezza dell'uscita per Normandie; il sindaco di Albuquerque in filo diretto per rispondere alle domande degli ascoltatori. Mi trovavo sulla Interstate 15, in un punto imprecisato fra la cittadina di Jean, cos piccola che bastava chiudere gli occhi e riaprirli per lasciarsela alle spalle, e i complessi di casin luccicanti lungo il confine di Stato. Fuori dal mio abitacolo non c'erano alberi n cartelli pubblicitari n piante n animali n palazzi: solo le onde radio e il granito vulcanico del Mojave, il tutto assimilato a 120 chilometri l'ora. Era il mio compleanno, lo ricordo: il 31. Ricordo anche che non mi sentivo particolarmente solo, nonostante fosse il mio compleanno e lo stessi trascorrendo in solitudine nel bel mezzo del deserto. Se mi fossi trovato qualche anno prima in una situazione del genere, avrei cominciato a sudare freddo per l'ansia, ma negli ultimi tempi la solitudine non era pi un'emozione intensa come prima. Ne avevo conosciuto gli estremi, ne avevo delimitato i confini, e ormai non era pi una novit e neanche particolarmente spaventosa, solo un aspetto della vita come un altro, che pareva svanire non appena si riusciva a identificarlo. Ma al tempo stesso mi rendevo conto che riuscire a non sentirsi soli richiedeva un prezzo reale e concreto, vale a dire il pericolo di non sentire pi niente del tutto. Forse il nulla all'esterno cercava di pervadere anche l'abitacolo della macchina. Alzai ancora il finestrino, nonostante non potesse andare pi su di com'era, e schiacciai di nuovo il pulsante di ricerca della sintonia. Ora vi dir cosa conteneva lo scatolone del televisore Mitsubishi: duemila siringhe rubate da un ospedale Kaiser Permanente, a Las Vegas, e 1440 fiale da 50 cc di steroidi anabolizzanti Parastolin, arrivati di contrabbando dal Messico. Ero in viaggio per consegnare lo scatolone a un istruttore di ginnastica di nome Oscar, che seguiva diversi divi della televisione. Oscar abitava a Palm Springs, nel sobborgo di Las Palmas. Dunque: mia convinzione che ciascuno di noi possa disporre del proprio corpo senza limiti, per cui l'uso che ne fa affar suo. Ne consegue che non ho pregiudizi morali contro l'uso degli steroidi, ma riconosco che molte altre persone ne hanno eccome. E ovviamente so bene che detenere steroidi illegale, come so che le siringhe usate costituiscono uno dei canali di trasmissione del virus Hiv pi comuni. In effetti, stata proprio questa faccenda dell'Hiv a farmi pensare che in fondo compivo una buona azione: rifornivo di siringhe pulite e sterili la comunit dei culturisti del sudovest americano. Ma questo

un cavillo morale che non vale la pena di discutere in questa sede. La questione che le siringhe in oggetto erano rubate, e per quanto non le avessi rubate io personalmente, in caso di mio arresto sarei stato considerato complice. Non avevo voglia neppure di cominciare a pensare a una simile eventualit, dal momento che la situazione della mia fedina penale, pur non essendo disastrosa, non neanche immacolata. Canticchiavo sull'onda di una vecchia melodia dei Four Lads trasmessa da una stazione radio di Salt Lake City, con l'orecchio teso al tintinnio delle fialette nel baule. Mi trovavo nella corsia centrale dell'autostrada, fra quella di sorpasso e quella per i veicoli lenti. Il motore era piacevolmente silenzioso. Cantavo ad alta voce, ora, cercando di fare caso alla mia voce stonata, la cui genericit mi dava speranza, visto che ho sempre cercato di parlare con una voce priva di accento, una voce dal nulla. E questo perch non ho mai avuto la sensazione di provenire da qualche parte specifica; come ho gi detto, per me casa una specie di sogno collettivo fatto di ricordi di cartoni animati, telenovelas da mezz'ora a puntata e tragedie nazionali. Mi sono sempre vantato della mia mancanza di accento, la mancanza di qualsiasi specificit regionale percepibile. Una volta pensavo di avere un accento del nordovest, della Costa del Pacifico, perch l che sono cresciuto; ma col passare del tempo mi sono accorto che il mio era semplicemente l'accento di nessun luogo, l'accento di una persona priva di residenza mentale. Ecco cosa pensavo: di recente avevo iniziato a preoccuparmi che le mie emozioni si volatilizzassero col passare del tempo. Notavo che, molto semplicemente, &provavo sempre meno. Al volante, queste preoccupazioni diventavano a mano a mano sempre pi incalzanti e precise. Mi sentivo come se stessi trasformandomi in un rettile, un'iguana su una pietra con ricordi sempre pi indistinti e nessuna piet umana. Ho pensato ai divi della Tv che Oscar sottopone ai suoi massacranti esercizi fisici, i vecchi con le guance cascanti, quelli che hanno visto di tutto e di pi, e lo stesso continuano a sorridere ai paparazzi sul marciapiede del Cineplex Odeon a Century City, rettili per i quali la vita stata una serie ininterrotta di tradimenti fin dal giorno dell'invenzione della televisione. Mi viene da pensare che proprio questo che la gente diventa invecchiando, vale a dire rettili, e che i divi televisivi rappresentino solo un'iperbole. Ho continuato a guidare, e le mie paure sulla scomparsa delle emozioni restavano in sottofondo, come una radiazione residua. Ma secondo me il bello del guidare sta nel fatto che il semplice impegno fisico che comporta tiene occupata una buona porzione di neuroni che altrimenti non farebbero che sovraccaricarsi di pensieri creando ulteriori problemi. I panorami precedenti vengono continuamente sostituiti dai nuovi; la memoria si perde, si rimescola, viene rietichettata e accantonata. Si mastica chewing-gum, si premono pulsanti, si abbassano i finestrini. L'unico luogo in cui si ha il diritto costituzionale di non affrontare i propri problemi l'abitacolo di una macchina in corsa. come una meditazione coatta, il che un bene. Mi ha sorpassato una Camaro nera, polverosa. La stazione radio scomparsa, rimpiazzata da un'altra stazione che trasmetteva da Yuma: musica gospel. Forti scariche di elettricit statica. Ho cominciato a domandarmi dove esattamente mi avrebbe portato la strada che percorrevo, in tutti i sensi. A Palm Springs non avevo nessuno che mi aspettasse; Oscar era a Beverly Hills, e ci sarebbe rimasto fino all'indomani, per cui lui non contava. Del resto, non mi aspettava nessuno neanche da altre parti. Mi domandavo quale sarebbe stato il risultato logico ultimo di tutta la faccenda: perch provavo sempre meno emozioni? Forse il non provare nulla conseguenza inevitabile del non credere pi in nulla? E poi mi sono spaventato sul serio, perch mi venuto da pensare che forse in realt non c' proprio nulla in cui si possa credere. Ho pensato che sarebbe stata una vera beffa vivere per decenni senza credere a niente e senza provare niente. Sul margine della strada era ferma una roulotte. In lontananza, sulla destra, le scie intrecciate di vapore dei caccia decollati dalla base aeronautica di Nellis.

Ho cominciato a domandarmi in cosa esattamente avevo creduto fino a quel momento, cosa mi aveva condotto alla situazione in cui mi trovavo. Non affatto facile. Spiegare in dettaglio le proprie convinzioni problematico. E mi era reso ancora pi problematico dal fatto di essere cresciuto in assenza di religioni da genitori che a loro volta avevano tagliato i legami col passato trasferendosi sulla Costa occidentale; genitori che avevano allevato i loro figli nell'assoluta mancanza di qualsiasi ideologia in un'abitazione moderna, di cemento, a picco sull'oceano Pacifico. Al termine della storia, o cos almeno avevano voluto farmi credere. Ho cercato di dimenticare tutto per ascoltare la radio. Stavano trasmettendo un servizio su un uomo, in Arizona, a cui avevano sparato in testa. Nella sala d'attesa dell'ospedale, l'uomo aveva starnutito, e la pallottola, che gli si era conficcata nei seni nasali, era schizzata fuori cadendo con un tintinnio sul pavimento lucido e nero. E poi la storia di una vedova, in California, che si era battuta a lungo in tribunale per far riesumare la salma del marito, adducendo come motivo della richiesta il fatto che lui, prima di morire, aveva ingoiato per dispetto un suo anello di brillanti, e lei lo rivoleva indietro. Ma alla fine la vedova aveva confessato che non riusciva pi a dormire da settimane e che passava le notti sulla tomba del marito a cercare di parlargli, e in realt voleva riesumarlo solo per guardarlo in viso ancora una volta soltanto. E poi la storia di un bambino scomparso da casa subito dopo avere ricevuto la notizia che i suoi genitori stavano per divorziare. La gente del quartiere si era riunita per cercarlo, e due giorni pi tardi avevano trovato il bambino ancora vivo. Si era nascosto dentro al materiale isolante della soffitta di casa, nella fibra di vetro rosa, per diventare parte dell'abitazione, per fingersi morto. E anche stazioni radio evangeliche, innumerevoli stazioni radio, e le voci trasmesse da quelle frequenze grondavano tutte entusiasmo e dedizione. Sembravano credere sinceramente in quanto dicevano, e cos per una volta ho deciso di prestare loro attenzione, nel tentativo di capire in cosa esattamente credevano e recepire la nozione del Credere. In queste stazioni radio si parlava di Ges Cristo e della salvezza dell'anima, e mi sono accorto di quanto era difficile stare ad ascoltare, perch i cristiani redenti come quelli sono sempre sconvolti e radicali. Secondo me prendono le cose troppo alla lettera e per questo perdono di vista molti particolari importanti. Il che era sempre stato il difetto fondamentale delle religioni, o almeno cos mi era stato insegnato, e mi sono reso conto che proprio per questo avevo finito col crederci. Per cui c'era almeno una cosa al mondo in cui &credevo. In tutte queste stazioni sembrava che si parlasse di Ges Cristo senza sosta, un'unica gigantesca orgia di proiezioni inconsce per cui ciascuno attribuiva a Ges Cristo la qualit di antidoto agli errori e alle sfortune della propria esistenza. Egli Amore. Egli Perdono. Egli Piet. Egli una Carriera Riuscita. Egli un Figlio Che Mi Vuole Bene. Ad ascoltare tutte queste persone, provavo come un senso di perdita. Mi sembrava quasi che Ges Cristo fosse il sesso, o meglio: mi sentivo come un alieno venuto da un altro pianeta in cui il sesso non esisteva, e fossi arrivato sulla Terra e tutti mi raccontassero di continuo com' bello e mi mostrassero riviste pornografiche spiegandomi come la loro vita ci gravitava intorno, e con tutto ci io fossi escluso senza speranza da un contatto vero con il sesso. Non negavo certo che Ges Cristo rappresentasse una realt concreta per quella gente, ma rimanevo sostanzialmente tagliato fuori dalla loro esperienza in un modo non recuperabile. Eppure mi sono visto costretto a domandarmi ripetutamente cosa vedessero quelle persone nel volto di Ges Cristo. Mi parevano parlare tutte con la voce di chi ha sprecato la vita e ora si sente sperduto, e almeno insieme a Ges non si sentivano pi sperdute, un po' come alle riunioni degli Alcolisti Anonimi. Il che mi parso un bene. Questi pensieri mi giungevano tutti dopo aver risalito la cresta dell'Halloran Summit, mentre scendevo verso le Shadow Mountains fino a raggiungere la

cittadina di Baker, un'oasi per camionisti stanchi in cui mi sono fermato a ordinare un hamburger e una fetta di crostata di fragole al Bun Boy, il ristorante che ospitava il Termometro Pi Grande Del Mondo, alto 41 metri, che indicava a cifre digitali una temperatura di 12,2 gradi. Mentre aspettavo di venire servito, ho usato il telefono a gettoni della Pacific Bell vicino ai gabinetti per chiamare Laurelle, che gestisce un campo di &jai &alai vicino a Fremont. Mi aveva lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di Las Vegas. Per prima cosa mi ha chiesto quando era il mio compleanno. Le ho risposto che era proprio quel giorno, e lei non ha affatto colto il nesso n mi ha fatto gli auguri. Mi ha letto l'oroscopo, dopo di che ha annunciato che gli sbirri avevano pizzicato Oscar a North Hollywood ed era molto probabile che si sarebbero messi presto sulle mie tracce. Mi sono sentito stritolare il petto e incendiare l'ipotalamo. Basti dire che in quel momento il mio imperativo primario diventato sbarazzarmi quanto prima del Parastolin e delle siringhe. Ma era fuori discussione gettare il tutto in un cassonetto della spazzatura l, a Baker. Quel paesino sembrava uscito da un episodio di :&Ai confini della &realt, e traboccava di sbirri: almeno due per ogni tavola calda. Chips, sceriffi della Contea di San Bernardino, e perfino due agenti della Forestale, cosa quanto mai ridicola dal momento che non c'era un albero in vista nel raggio di ottanta chilometri. I comuni bidoni della spazzatura erano altrettanto fuori discussione: c'erano le mie impronte digitali su tutta la merce, e che sarebbe successo se qualche ficcanaso le avesse trovate? Ho pensato che l'unico metodo sicuro per sbarazzarsi del carico consisteva nel seppellirlo da qualche parte lungo la strada. Per fortuna la macchina era presa a nolo, per cui la polizia non aveva modo di sapere chi cercare. Finch rispettavo i limiti di velocit era tutto a posto, e avevo tutto il tempo che volevo per pensare a come liberarmi del mio scatolone. Ho proseguito il mio viaggio alla volta di Palm Springs passando da Barstow e San Bernardino, facendo il giro da est e immettendomi sulla Interstate 10. Provavo una grande variet di emozioni, soprattutto panico, e masticavo chewinggum Freedent uno dopo l'altro, e poi ho spento la radio, dimenticando completamente di riprendere il filo dei pensieri che mi avevano occupato la mente quando discendevo la vallata, prima di pranzo, quei pensieri sul volto di Ges Cristo. Ho preferito concentrarmi invece sul borbottio che veniva dal mio stomaco, rimpiangendo amaramente di avere lasciato il pranzo sul bancone del Bun Boy dopo la mia fuga precipitosa. In tutta la giornata avevo mandato gi solo una mezza tortina confezionata Pop-Tart e una tazza di caff, a Las Vegas. Due ore pi tardi mi trovavo a una ventina di chilometri da Palm Springs, a imboccare l'uscita di Indian Avenue in direzione opposta al centro citt per cercare un adeguato luogo di sepoltura per le fialette di steroidi. Dai tempi in cui mi esercitavo al tiro a segno, ricordavo vagamente la configurazione del deserto e dei burroni fra Desert Hot Springs e Thousand Palms, e ho pensato che quella zona poteva essere la pi adatta ai miei scopi: molto pi selvaggia e arida, dal lato orientale della faglia di San Andreas, un punto da cui passavano firmatari di assegni scoperti al volante di macchine con i finestrini distrutti da anni e rimpiazzati con sacchetti di plastica. Da queste parti, forse la gente era meno incline a fare domande se vedeva qualcosa di fuori dal comune. Ero un po' logorato dalla guida. Mi sentivo la camicia sporca e sudaticcia, di sudore d'automobilista. Ed ero anche irritabile, o meglio, sarei stato irritabile se mi fossi trovato intorno della gente. Certe volte non ci si rende conto di essere di pessimo umore finch un'altra persona non entra nella propria orbita. Sembrava vacillare anche il mio buon senso. Forse avrei dovuto semplicemente gettare lo scatolone a margine di una sterrata qualsiasi, ma ero in un tale stato d'animo che nulla meno di una sepoltura con tutti i crismi poteva bastare. E cos ho continuato a guidare, in cerca della stradina pi adatta, una laterale che conducesse verso il deserto pi deserto, una strada in cui poter sparire e, se non seppellire lo scatolone, almeno disperderne il contenuto e ricoprire il tutto con la sabbia, come i gatti coi loro escrementi. Ma perfino nel bel mezzo del nulla trovavo sempre qualche macchina che sfrecciava in lontananza, qualcuno che avrebbe potuto vedermi.

Ho dovuto guidare per molto prima di sentirmi sicuro di non essere visto mentre mi liberavo del carico. Alla fine ho raggiunto una stradina tortuosa, con i margini cosparsi di bossoli di fucile e bottiglie di birra frantumate. Scendeva lungo un canyon ignorato da tutti, basso e ampio. Dal canyon si dipartiva una serie di biforcazioni che conducevano a un reticolo di crepacci e terre erose, costellato di alberi di yucca. A giudicare dall'abbondanza di materassi essiccati, divani in pezzi e frigoriferi vecchi da cui ero circondato, sembrava evidente che altri prima di me avevano battuto quella strada con il mio stesso desiderio di scaricarsi dei loro pesi. Mi sentivo bene a poter finalmente guidare a una velocit che non fossero i centoquaranta all'ora, e sulla terra, non su cemento e asfalto, e cos mi sono addentrato pi del necessario. Raggiunto il termine della strada che avevo scelto - un sentiero, quasi - ho fermato la macchina e sono uscito a sgranchirmi un po'. Ho esaminato il punto prescelto: squallido e desolato e perfettamente al riparo da sguardi indiscreti. Ho aperto il cofano e ho tirato fuori lo scatolone del televisore Mitsubishi, per poi rovesciarne il contenuto sulla sabbia a lato della macchina. Ho strappato via i risvolti di cartone per usarli come spatole e raccogliere la sabbia, che poi ho versato sopra gli incarti bianchi delle siringhe, fissando l'ultima fialetta di Parastolin che brillava sotto il sole del tardo pomeriggio. Mi muovevo a scatti, e percepivo gi nel sangue l'approssimarsi di una crisi ipoglicemica. Mi irritava non avere mangiato, perch di solito quando soffro la fame mi arrabbio molto. Sapevo benissimo che anche se mi fossi precipitato alla prima stazione di servizio per recuperare qualche schifezza di emergenza, mi ci sarebbe voluta comunque mezz'ora per arrivarci. Sapendo questo, non ci vuole molto a immaginare la mia reazione quando ho girato la chiave per accendere la macchina e la macchina non si accesa. Buon compleanno, stronzone. Non riuscivo a crederci. Ho aperto il cofano per dare un'occhiata, ma il motore non aveva niente in comune con gli otto cilindri a V che ricordavo dai tempi dell'adolescenza. In un lampo di rabbia, mi sono reso conto che non mi restava altra scelta se non tornare a piedi fino alla strada principale, e di l molto probabilmente rifarmi tutta quanta la strada fino al telefono o alla stazione di servizio pi vicina, sempre a piedi. Agli uomini soli che vagano nel deserto nessuno d mai un passaggio. Merda. E cos ha avuto inizio la mia marcia. Non cominciata affatto bene, e presto la situazione peggiorata. Restavano poche ore di sole, e non appena anche quel poco fosse tramontato oltre le montagne di San Gorgonio, la luce se ne sarebbe andata del tutto. Mi sono ritrovato i calzini infestati di semi uncinati che non volevano saperne di staccarsi. L'aria era gelida, ventosa, e sapevo che anche quella non sarebbe migliorata. Avevo sete, morivo di fame e stavo passando molto rapidamente dalla rabbia alla confusione alle vertigini. Tenevo le braccia conserte, borbottavo cazzo e merda sottovoce, e dopo un po' ho deciso di starmene zitto e fare il possibile per camminare senza pensieri, annullare il tempo fingendo che non esistesse pi. E questo mio Zen personale e fasullo continuato finch non mi sono accorto, dopo qualcosa come un'ora di cammino senza arrivare da nessuna parte, che qualche chilometro prima dovevo avere imboccato l'incrocio sbagliato, e avevo percorso la strada sbagliata Dio solo sapeva per quanto. Ero il pi grande cretino del mondo. Non riuscivo nemmeno a incazzarmi. Ho dato un gemito di disperazione. Non sapevo nemmeno se poteva fare qualche differenza ripercorrere i miei passi, dato che non ero pi sicuro di quale fosse la biforcazione giusta. E cos mi sono seduto su una pietra, tanto per aguzzare l'ingegno quanto per rannicchiarmi e mantenere il calore. Ho guardato svanire la luce del sole, come da copione. Poi mi sono voltato e ho iniziato a dirigermi verso la strada da cui ero venuto, costringendomi ad avanzare meccanicamente, senza alternative, senza la bench minima idea di dove stessi andando, con fatalismo sempre crescente.

Tutto ci si protratto per varie ore, nel corso delle quali il cielo si era fatto nero e gelido. E ad aggiungersi al fastidio degli insetti e al tedio di quella camminata senza fine, arrivata anche la paura dell'assoluta tenebra notturna. Mi trovavo a prendere in considerazione tutte le possibili scene che potrebbero presentarsi a una persona che vaghi nel deserto: per esempio un raduno di motociclisti sconvolti di Pcp, oppure qualcuno che sta girando un film sadomaso con torture vere, assistito da guardie armate di fucile pronte a sparare sugli spettatori importuni, o serpenti a sonagli che strisciano su cadaveri ormai freddi di persone assassinate. Ho pensato che farsi ammazzare in mezzo al deserto sarebbe stata una ben misera fine. Avrei voluto essere in una citt, o un paese, in mezzo a una comunit. Una qualsiasi. Per cui mi trovavo in quel tristissimo stato d'animo, quando successo qualcosa che mi ha mozzato il respiro: mi sono accorto che un'altra persona stava camminando alle mie spalle. All'inizio ho pensato che il rumore di passi che sentivo fosse solo l'eco dei miei, ma poi il mio subconscio ha registrato il fatto che il rumore non era in sincronia. Ho accelerato, solo un piccolo scarto nel ritmo, e un osservatore particolarmente attento avrebbe capito che qualcosa in me era cambiato, che il mio corpo stava reagendo a un pericolo ancora sconosciuto. I passi che sentivo mi parevano a breve distanza, neanche un tiro di pietra, scricchiolanti, come il rumore di qualcuno che masticasse riso soffiato. E dal momento che i passi erano pi rapidi dei miei, capivo che il Camminatore Misterioso mi stava raggiungendo. Ero indifeso. Non sapevo neppure quale genere di nemico potesse mai essere. Ho sentito un rivolo di sudore bollente scivolarmi dal viso fin sotto la maglietta. Ho cercato di decidere se fosse il caso di fermarmi e voltarmi, o magari allontanarmi dalla strada e''' be'''' non c'era nulla dietro cui ripararsi. Niente massi. Mentre forse il Camminatore aveva con s dei faretti alogeni per accecarmi''' una pistola''' una &corda. Oh Cristo. Mi sono fermato. rimasto solo il rumore dei passi che si avvicinavano. Ho irrigidito le spalle. Mi sono voltato. Ho visto la sagoma nera avvicinarsi sotto il cielo color cobalto. Ho visto una stella cadente, e poi un jet militare diretto verso Twentynine Palms, e le pareti del canyon nero inchiostro. Dato che non avevo altra scelta, mi sono rivolto all'ombra, dicendo: &Salve. Nessuna risposta. L'ombra - bassa, ingobbita? - ha continuato a procedere nella mia direzione sempre con la stessa velocit. Ho ripetuto, con pi enfasi: &Salve!, e l'ombra si avvicinata e il rumore scricchiolante cresciuto d'intensit. Non avevo certo forza per scappare via, e cos sono rimasto immobile, abbattuto, in attesa forse di morire, o magari di uccidere, troppo irritato e pavido ed esausto per riflettere. Ho sentito raccontare che la paura affina i sensi, ma non lo credo affatto. La paura, aggiunta a tutto il resto, serve solo a confondere le idee, non certo a chiarirle. E cos l'ombra si avvicinata, crescendo quasi a grandezza naturale. Ho visto una sagoma d'uomo, curva, che portava sulla schiena uno zaino di poliuretano arrotolato e legato con due corde elastiche e dei sacchetti di carta di un Mcdonald's. Aveva la barba bianca e lanuginosa come una clematide, e portava una camicia di flanella e calzoni verdi cos consunti che erano lucidi. Era un vagabondo, un topo del deserto, come quelli che ogni tanto si vedono vagare per il Desert Fashion Plaza, abbronzato, di un'abbronzatura spaventosa e ben visibile perfino nel buio illuminato dalla luna al terzo quarto, un uomo con la pelle come una cotoletta, pori come quelli di una saliera e un principio di cataratta bianchiccia in tutt'e due gli occhi. Mi si avvicinato e allora gli ho ripetuto &Salve, guardingo. A quel punto lui mi si fermato di fronte, come se fossimo due passanti che si incontrano per caso davanti a un grande magazzino. Mi ha detto, con una voce ispessita dal catarro e dagli anni passati a recitare monologhi nel deserto: :&Vengo qui quasi tutte le sere, ma stanotte non piover, per cui staremo &benissimo. Aveva un alito come di fuoco, di pepe.

Mi sono sentito enormemente sollevato. Quell'uomo era pazzo, ma innocuo, troppo povero anche solo per comprarsi una pistola. Anche malconcio com'ero, potevo metterlo fuori combattimento in un istante. Toccava a me parlare. Ho detto: Piovere? No, mi sa che non piover proprio. A ripensarci, era una situazione decisamente ridicola. Cercavo di prendere con noncuranza quell'incontro cos bizzarro, e lui era troppo pazzo anche solo per intuirne la bizzarria. Cercavo di fingere che ci fossimo incontrati alla luce del sole, non della luna; cercavo di considerarla una circostanza dignitosa, di una dignit tranquilla e virile come fossimo due fotomodelli intenti a chiacchierare affabilmente sulle pagine di un catalogo J' Crew. A quel punto il mio collega vagabondo ha alzato la spalla sinistra, lercia, ha sputato un grumo di catarro e mi ha fatto segno di continuare a camminare. Ora avevano iniziato a tremarmi le gambe, pi che altro per carenza di glucidi nel sangue. Dopo avere proseguito con lui per qualche tempo, anche la paura residua se n' andata. Il vagabondo non si stupiva affatto che qualcuno potesse trovarsi a camminare sperduto nel deserto di notte, come se fosse la cosa pi naturale del mondo. E a dire il vero non stava nemmeno parlando a me. Le sue erano trasmissioni simili a quelle di certe stazioni radio Am che non ascolta nessuno e che si trovano per caso scandagliando le frequenze. Vorrei poter dire che durante il nostro cammino abbiamo parlato di cose semplici, che mi ha messo a parte di quelle piccole rivelazioni sulla vita che vengono dal sale della terra, dalla saggezza maturata in anni e anni di vagabondaggio. Ma non andata cos. Non mi ha neppure detto come si chiamava, e io ho fatto altrettanto. Ha continuato a parlare del fatto che non sarebbe piovuto. Parlava di un presunto complotto dei Repubblicani, del Colorado River, della principessa Caroline di Monaco. Io prestavo scarsa attenzione a quelle sue parole, come se mi parlasse mentre guidavo. Ha detto che andava a Indio. Ha chiesto: E tu, dov' che vuoi andare?. Ho risposto, senza molta energia, che cercavo di raggiungere una strada che mi portasse a Desert Hot Springs, Bermuda Dunes o Palm Springs. Be', se cos ha replicato, bloccandosi guarda che stai andando dalla parte sbagliata. stato come una scossa elettrica vederlo entrare in contatto con me e scoprire che mi aveva effettivamente ascoltato. Ho cercato di reagire con noncuranza. Ah s? Lui si fermato, e mi sono fermato anch'io, e allora ha detto: Senti, non so che ci fai qua, ma va bene. Magari non volevi vedermi, e forse ha schioccato le labbra diciamo che neanche io ho visto te. Ma comunque guarda che la tua strada quella. Mi ha indicato una minuscola biforcazione poco dietro a noi. E poi c' ancora un'ora per Dillon Road. Be', non che cos arrivi chiss dove. Hot Springs, magari. Da l, altre due ore a piedi. &Claro? Dal tono con cui l'ha detto sembrava evidente che gli ci era voluto uno sforzo terribile per riuscire a comunicare con me fino a quel punto. Ho annuito, e sul volto del vagabondo ritornata l'espressione folle di poco prima. Molto semplicemente, era solo un topo del deserto fin troppo disadattato. Mi sentivo ingenuo e borghese per avere sperato, anche solo per un attimo, di poter comunicare con uno incapace di comunicare, per avere pensato che a far rinsavire i pazzi bastino un po' di cordialit e di buon senso. E poi ho provato una grande tristezza, perch mi sono reso conto che una volta che le persone si spezzano, in un modo o nell'altro, non pi possibile ripararle, e quando si giovani nessuno te lo dice; ma poi, invecchiando, una

continua sorpresa vedere le persone care della propria vita spezzarsi una dopo l'altra. Cominci a chiederti quando toccher a te, o se magari non gi successo. E cos gli sono rimasto vicino, con un'aria un po' ebete, e lui si innervosito. Stavo fissando il suo zaino con l'espressione di un Labrador che fissa una tavola imbandita, e allora mi sono sentito a disagio e ho capito che quel mio sguardo per lui era minaccioso. Solo allora mi venuto in mente che quell'uomo aveva paura di me, uno sconosciuto incontrato nel mezzo del deserto. Ha infilato una mano nella tasca dello zaino e ne ha estratto due oggetti per poi allungarmeli: un barattolo in plastica di Beefaroni, da cuocere nel microonde, e una torta di mele di un Mcdonald's. I maccheroni li ho rubati a un 7-Eleven ha detto. No, &no! ho detto. Volevo fargli capire che non avevo nessuna intenzione di rubargli le provviste, cos ho preso dal taschino delle camicia una banconota da cinquanta dollari e gliel'ho data. Lui se l' infilata senza ripiegarla in una tasca della giacca lurida. Dopo di che se n' andato senza nemmeno salutarmi, allontanandosi lungo la strada per svanire rapidissimo nella notte, lasciandomi vicino alla biforcazione a mangiare i Beefaroni, tirandoli fuori dal barattolo con dita impolverate, e la torta di mele senza neanche masticarla, consapevole che, per quanto fossi malridotto, perlomeno non sarebbe durato in eterno. Dunque: C' molto che non sapete di me, cose che non vi ho detto. Per esempio che ho una famiglia, che credo nell'esistenza di un Dio da qualche parte, che un tempo sono stato bambino, e che mi sono innamorato due volte, e in entrambi i casi non durata molto. Ma ditemi che importanza ha, se poi alla fine dei conti ci si ritrova soli. Che memoria abbiamo? Qual la nostra storia? Quanto fa parte di noi il nostro ambiente, e quanto noi del nostro ambiente? Il mio corpo invecchia, assume colori strani, rifiuta di obbedire agli ordini, diventa sempre meno parte del &me che ricordo essere stato un tempo. Rileggo quello che ho scritto qui e capisco di non essere un uomo felice. Forse non lo sar mai. Ormai passato qualche anno da quella notte nel deserto. Da allora ho visto altri aspetti di questo mondo. Ho abitato a Los Angeles, e l'ho vista andare a fuoco; ho visto i ghiacciai dell'Alaska sfaldarsi e scivolare nel mare; ho visto un'eclissi solare dal ponte di uno yacht immobile su un oceano inspessito di petrolio greggio. E ogni volta che mi trovavo di fronte a questi spettacoli ripensavo al viso devastato del vagabondo in quel deserto, scomparso, ormai introvabile, svanito nelle lande desolate intorno a Indio, Scottsdale, Las Vegas, pianeti privati di un suo universo privato. Ma sto parlando troppo. Eppure, quante volte capita di essere salvati da uno sconosciuto, se mai capita? E come possibile che nella vita possiamo smarrire ogni senso di gentilezza e perdono, tanto che perfino un minuscolo gesto di compassione diventa un ricordo di enorme potenza, che dura per tutta la vita? Com' possibile nella vita arrivare a certi punti? con questi pensieri in mente che rivedo oggi il viso bruciato dal vento di quel barbone quando rifletto sul mio mondo: il suo volto a rammentarmi che esiste ancora qualcosa in cui credere dopo che non rimasto pi niente in cui credere. Un volto per le persone come me, spinte fin sul ciglio della solitudine e che poi magari sono precipitate. Persone che poi, una volta risalite in cima, non riconoscono pi il loro mondo. Patty Hearst. Gli eventi di quest'ultima settimana mi hanno indotto a pormi alcune domande riguardo la vita. Be', non proprio la vita, piuttosto la sua sequenza. Per esempio: ha forse qualche importanza che nel corso della vita noi ci spostiamo da un giorno all'altro dal punto A al punto B al C al D''' dalla nascita al matrimonio all'avere dei figli alla morte, e via di questo passo? O magari questa enfasi sull'aspetto sequenziale dell'esistenza solo una specie di contabilit interna che l'unico mezzo a disposizione di noi esseri umani per

far quadrare la bizzarria del nostro stare al mondo? Come gi ho detto, in quest'ultima settimana mi sono trovato a pormi alcune domande al riguardo. Per cominciare, c'era Walter. Walter era un Labrador nero che viveva a tre case di distanza da quella dei miei genitori, sulle montagne sovrastanti West Vancouver. Walter era un'anima buona, placida, che da anni passava spesso a trovarci. Faceva la sua comparsa fuori dalla porta che dava dalla cucina al giardino, abbaiava una volta sola, e noi lo lasciavamo entrare. Dopo di che iniziava a gironzolare per la casa, facendo ticchettare gli unghioni sul linoleum. Mendicava qualche avanzo e poi si stendeva per terra in cucina e diventava nostro familiare per qualche ora. Quando capiva che era ora di andarsene, abbaiava ancora una volta, e noi lo lasciavamo uscire. Walter per noi era la somma vivente di tutti i piaceri dell'avere un animale in casa senza i fastidi e le preoccupazioni correlate. Be', da circa un mese Walter ha smesso di fare visita ai miei genitori. Me lo ha detto la mamma nel corso di una telefonata, aggiungendo che lei e pap si sentivano un po' in ansia, ma non sapevano cosa fare. Poi, qualche giorno pi tardi, hanno ricevuto una telefonata. Era la signora Miller, la padrona di Walter, che chiamava per dire che suo marito era morto qualche settimana prima. Mia madre le ha espresso le dovute condoglianze, e la signora Miller ha detto che in fondo il peggio era passato, e i suoi figli le erano stati molto vicini. Ha aggiunto che per c'era un problema, e cio che Walter sembrava profondamente depresso, non era pi il vecchio Walter di una volta. Cos ha domandato a mia madre se potevamo magari passare a casa sua e vedere se riuscivamo a tirarlo un po' su di morale. Mamma ha chiamato subito tutte le truppe all'adunata. Mi ha chiesto se potevo venire e io le ho risposto di s, naturalmente. Alla fine ci siamo trovati io, mamma, pap e mio fratello minore Brent, l'eterno studente di storia del cinema che non si decideva mai ad andarsene da casa, tutti insieme a dirigerci verso casa Miller: mamma portava una torta di more, io una scatola di biscotti per cani e Brent una Handycam per immortalare la nostra visita. La signora Miller ha aperto la porta, noi l'abbiamo salutata, e poi lei ci ha invitati a entrare per accompagnarci in soggiorno, dove abbiamo trovato Walter steso su una coperta Hudson's Bay sul divano, davanti alla televisione che trasmetteva :&La ruota della &fortuna, proprio come un pensionato. Brent era tutto contento che ci fosse una Tv accesa in soggiorno. Secondo me era convinto che avrebbe conferito un tocco artistico alla sua ripresa amatoriale. Quando Walter ci ha visti ha alzato il muso, aguzzato leggermente le orecchie e ci ha salutati con uno scodinzolio svogliato, ma era evidente che tutta la sua &verve se n'era andata. Abbiamo abbassato il volume della Tv e ci siamo seduti intorno a lui accarezzandolo sulla testa. Io gli ho allungato uno dei biscotti, e lui lo ha mordicchiato giusto per non mortificarmi (cane di grande educazione) ma per il resto continuava a sembrare depresso. Abbiamo cominciato a parlare con Walter. Brent gli ha detto che Ping, l'orrida siamese dei Klassen, aveva partorito cinque micini, ma pap ha detto di no, neanche per idea, i micini erano sei e la signora Klassen non aveva idea di chi fosse il padre. E a quel punto pap e Brent si sono messi a discutere proprio di Ping, di tutti gli argomenti al mondo. In circostanze normali era sufficiente nominare quel gatto per far arruffare il pelo sulla nuca a Walter, ma in quel momento si limitato a corrugare appena la fronte, con il muso appoggiato alle zampe anteriori. Dopo circa un quarto d'ora ce ne siamo andati, dicendo a Walter che poteva passare a farci visita quando voleva, e gli abbiamo fatto ciao ciao con la mano. Di nuovo, lui ha battuto desolatamente un paio di volte la coda sul divano, e quella stata l'ultima volta che l'abbiamo visto. Walter morto qualche giorno pi tardi, e tutti abbiamo pensato di crepacuore. Brent mi ha telefonato per darmi la notizia, che ci ha depressi entrambi, ma ha detto che non era il caso di intristirsi e ha cercato di riderci sopra. Ha detto: Ehi, perlomeno Walter ha avuto una fortuna nella vita. sempre stato un cane alla moda, con quel suo guardaroba tutto in nero. Io ho ribattuto che lui e i suoi amichetti modaioli con velleit artistiche mi facevano schifo. Lui ha ribattuto che dovevo stare su col morale, che i cani non

hanno la percezione del passare del tempo. Sia che il padrone esca dieci minuti per passare dal negozio all'angolo, sia che parta per le Hawaii per due settimane, in sua assenza il cane prova solo una tristezza indefinita che non concepisce durata. Un'ora o due settimane, per un cane non fa differenza. Walter ha sofferto ed era triste, ma non nello stesso modo di una persona. Brent ha proseguito sostenendo che gli esseri umani sono gli unici animali al mondo in grado di provare dolore lungo tutto l'arco di un determinato intervallo di tempo. Che la maledizione degli esseri umani quella di trovarsi intrappolati nel tempo, dover interpretare la vita come una sequenza di eventi, come una storia, e che nel momento in cui ci rendiamo conto di non capire quale storia sia ci sentiamo sperduti. I cani conoscono solo il presente ha continuato. La memoria dei cani come quei cigni scolpiti nel ghiaccio che vedi ai matrimoni, belli da vedere ma dopo un'ora si sono gi sciolti. Gli esseri umani, invece, devono sopportare tutto quello che capita nella vita per un tempo infinito, secondo per secondo, e non solo, ma poi siamo obbligati anche a :&ricordare di aver &vissuto. Tremendo, no? C' da sorprendersi che non siamo impazziti tutti. Gli ho risposto che il dolore era dolore e basta, e che avevo bisogno di riflettere su quello che mi stava dicendo. E gli ho spiegato che per sua informazione Walter mi mancava comunque, qualsiasi fosse il tempo presente o passato di cui andava vaneggiando. La telefonata si conclusa su una nota acida, ma devo dire che le parole di Brent mi hanno dato da riflettere. Comunque sia, questa settimana successo qualcos'altro che mi ha spinto a riflettere su come la vita sia una strana sequenza di eventi. Qualcosa di pi importante della morte di Walter, anche se non voglio sminuire il significato della sua perdita per me. solo che''' be'''' adesso capirete. successo questo: ha telefonato Jeremy, un vecchio compagno di liceo. Jeremy mi ha informato di avere visto a Whistler, una localit sciistica, mia sorella Laurie, che lavorava come commessa in un negozio. Non alla stazione Husky, o alla Rainbow; una pi oltre, lungo l'autostrada. Gli ho domandato se era assolutamente sicuro che si trattasse di Laurie, e Jeremy ha risposto che a dire il vero non l'aveva vista lui di persona. Era stato un suo amico, per cui non ne era sicuro al cento per cento. Nondimeno, quel vaghissimo accenno mi stato sufficiente. Ho spento il computer, ho infilato il soprabito e me ne sono andato dall'ufficio in anticipo, per iniziare il mio viaggio di 150 chilometri alla volta di Whistler e controllare se l'informazione rispondeva a verit. Il cielo era fitto di pioggia. Era il giorno pi piovoso di tutti i tempi, di quella pioggia spessa e salutare che nutre alberi e oceani e d colore a gran parte dei miei ricordi. Alle quattro, mentre oltrepassavo Horseshoe Bay e imboccavo i tornanti scavati nel granito a strapiombo sull'oceano della Highway 99, l'autostrada che va dal mare al cielo, diretto al fiordo di Howe Sound, il cielo era gi plumbeo. Guidavo lentamente: perfino i fari della macchina faticavano a penetrare quel muro d'acqua. I pendii ripidi, montuosi, sopra Montizambert Creek e Lyons Bay erano resi ancora pi sinistri dalle slavine fangose simili a masse di budino al cioccolato. All'ultima luce del giorno, sopra Britannia Beach, ho visto l'oceano Pacifico alla mia sinistra, appiattito dalla pioggia come una lastra di piombo. Quella pioggia cos avvolgente mi faceva sentire protetto, al sicuro: la pioggia mi sempre sembrata lenitiva, una specie di coperta, come un amico che d conforto. Quando in una giornata non c' almeno un minimo di pioggia, o un paio di nuvole all'orizzonte, mi sento come sopraffatto da una overdose informativa, con il sole a mostrare troppi dettagli, e mi trovo a desiderare quella ricompensa vitale e ovattante che la pioggia. Appena oltrepassata Squamish ho visto il fuoco, un grande fal acceso per liberare un tratto di terra, sul margine destro dell'autostrada, oltre un gruppetto di trattori gialli immersi nel bagliore dell'incendio, una specie di

insalata di rami e ceppi, un milione di anni solidificati in anelli di accrescimento che bruciavano, friggevano, un fuoco enorme, come un lago di fiamme: fiamme cos gigantesche da far evaporare la pioggia prima ancora che cadesse sulle braci. Non avevo mai visto tanto fuoco in un posto solo tutto in una volta, e non avevo mai neanche immaginato che se ne potesse accendere uno cos smisurato. Come un campo di urina infuocata, un tramonto liquido. Sono rimasto immobile in mezzo al fango a lato dell'incendio, per assistere, sentendomi arrossare e bruciare la pelle dalle piccole braci che svolazzavano in mezzo alla furia quieta del fuoco, come un sogno fiammeggiante, un sole sotto la superficie dell'oceano. Nella tenebra, sotto la pioggia, come un segreto impossibile da mantenere. Laurie. Questo capitolo non semplice come quello che ha per protagonista Walter. Laurie scomparsa dalla nostra famiglia cinque anni fa. Era la mia sorella maggiore e, almeno per qualche anno prima di svanire nel nulla, la persona a me pi vicina di chiunque altro, ai tempi della nostra adolescenza. Io avevo soprannominato Laurie Louie, e anche lei mi chiamava Louie. Era la pi in gamba dei cinque figli, la bella maschiaccia, l'amante degli animali, la bambina con tutti i numeri giusti. Era la secondogenita (io sono il quartogenito), ed era lei, Laurie, quella che stava in piscina in un giorno torrido d'estate, con un salvagente di Paperino addosso, e mi diceva di sentirsi in quel momento come se si trovasse nel bel mezzo del lago Chanel a galleggiare dentro una borsetta di cuoio, e intanto mi mandava a prenderle Coca-cola e pastiglie di calcio. Era con lei che marinavo le lezioni al liceo, per seguirla in giro sulla sua 44 Ford Courier incrostata di ruggine, a fumare marijuana scadente mentre l'aiutavo a distribuire quotidiani casa per casa, uno dei suoi numerosissimi impieghi-lampo dopo il liceo. Istantanea: Laurie ha preso in prestito il telefono senza fili di Adam, mio fratello maggiore, ha composto il numero dal telefono in cucina, e poi ha infilato la cornetta del senza fili in un tronco di cedro marcio, nella foresta dietro casa. Io e lei ci sediamo in cucina con l'orecchio alla cornetta ad ascoltare il ronzio delle api. Altra istantanea: io e Laurie in giardino a tirarci un frisbee fluorescente guardando uno stormo di pipistrelli che si lancia in picchiata a inseguirlo, e intanto aspettiamo i gufi che occasionalmente calano su di noi dalla cicuta vicino ai pali del telefono, tondi e cicciosi, simili a teste d'uomo. Ultima istantanea: il pomeriggio in cui ho finalmente ricevuto la patente, guido orgoglioso la station wagon della mamma per andare a prendere Laurie in Marine Drive, dove si sta dedicando al suo nuovo impiego: vestita da clown, distribuisce palloncini ai mocciosi che entrano in un fast food. Laurie ha appena deciso di licenziarsi e salta nella station wagon con parrucca, cerone e tutto quanto, e ce ne andiamo in giro fumando sigarette. Laurie alza il medio a chiunque abbia la sventura di incrociarci lungo la strada e incorrere nelle nostre ire. Pi tardi, andiamo a frugare nei cassonetti delle immondizie di Chinatown in cerca di roba giusta: casse di bamb, calendari gettati via. I piedoni di gommapiuma da pagliaccio che sporgono dai cumuli di immondizia. Ho raggiunto Whistler circa un'ora dopo aver essermi lasciato alle spalle il grande fal. Attraverso il velo di pioggia ho visto strutture architettoniche progettate al computer stagliarsi lungo il margine della strada, soprattutto condomini, e mi sono trovato a sorprendermi di quanto era cambiata la stazione sciistica, dal nascondiglio per fanatici della neve che era negli anni Settanta all'inferno yuppie in cui si era trasformata. La stagione sciistica non era ancora iniziata, e la cittadina diffondeva quell'atmosfera di privilegio, di luogo per amatori, tipica delle citt turistiche fuori stagione: strade deserte, palazzi con le finestre buie e ristoranti chiusi. Mi sono fermato alla stazione di servizio di Husky per comprare una cartina stradale, sono passato da una cabina telefonica per ascoltare eventuali messaggi sulla mia segreteria a Vancouver e ho fatto ritorno alla macchina. In quel momento sono arrivate da opposte direzioni due vecchissime Karmann Ghias tirate a specchio, una rossa e una gialla, tonde come confetti M&M's con le ruote, per arrestarsi contemporaneamente alle pompe di benzina. C' stato un attimo di stupore e imbarazzo, quando i due al volante hanno notato le rispettive vetture. E poi la cassiera mi ha detto, parlandomi alle spalle:

Chiss che bei bambini arancione faranno insieme, quei due. Allora sono scoppiato a ridere e per un brevissimo istante mi sembrato di fare parte di qualcosa di pi grande di me, come se fossi entrato in un universo magico. Ma sto parlando troppo in astratto. Lasciate che vi racconti di fatti reali. Vi racconter di quando le cose con Laurie sono iniziate a degenerare, pi di dieci anni fa, ai tempi in cui riponevo fiducia nell'idea di salvare le persone. Laurie ha sempre avuto la lingua affilata, ed era di gran lunga la pi eloquente fra noi, forse anche la pi sveglia. Ma sul finire dell'adolescenza entrata in una fase a dire il vero allarmante, in cui alternava tristezza, iperattivit e logorrea. Aveva instaurato un regime del terrore per cui a cena, e in generale a tutte le riunioni di famiglia, aveva l'abitudine di notificare a ciascuno di noi le proprie deficienze caratteriali con tale precisione e perspicacia che ce ne stavamo zitti soltanto per paura che lei approfondisse. Le nostre allegre rimpatriate si trasformavano cos in un tormentothlon. A ripensarci, diventa chiaro che il suo era solo un tipico comportamento da drogata, corrispondente alle narrazioni che mi sono state fatte da altre persone afflitte da problemi similari con fratelli, sorelle o figli. Ma in quel momento ci sembrava solo che Laurie fosse assorta sempre pi nel peggio di s, invece che nel suo lato buono, che pure sapevamo esistere. Ma si era in famiglia, e in famiglia pu anche non piacere l'andazzo che si vede prendere a uno dei componenti, ma non si mette in discussione il suo diritto a prenderlo. Laurie ha sempre desiderato essere Patty Hearst. Partiva spesso per la tangente nel nominare la ricca ereditiera rapita dai terroristi, quando io avevo tredici anni e lei diciassette, proprio il periodo in cui stavano iniziando i grandi cambiamenti della sua personalit. Entrava in camera mia e mi diceva, con grande seriet: Louie, adesso voglio che pensi a una cosa. Siediti. Pensa di essere a casa, la sera di un fine settimana. Ti stai preparando una minestra di pollo Campbell's. Alla Tv, in soggiorno, danno una replica di hawaii five-o. Hai i capelli ridotti una schifezza, indossi un vecchio accappatoio di spugna e non sai deciderti se sia il caso di farti un po' di pop-corn. A un certo punto suona il campanello, e tu vai in corridoio per vedere chi . Appena apri la porta, entra di corsa una squadra di terroristi mascherati. Quelli ti mettono una benda, ti imbavagliano e ti legano e ti buttano nel baule della loro Chevrolet. E ti portano via. Ti rapiscono. Io mi ascoltavo tutta la tirata senza fiatare. Poi, Louie, ti portano nel loro nascondiglio, dall'altra parte della citt, ti chiudono in un armadio e non ti danno da mangiare e non ti lasciano dormire e ti fanno il lavaggio del cervello a forza di proclami terroristici. Ti costringono a cambiare nome. Ti obbligano a tagliare tutti i ponti col passato. Per mesi e mesi, scompari dalla faccia della terra. A sentire Laurie sembrava tutto affascinante: dipingeva un quadro in cui Patty Hearst entrava a far parte dell'immaginario collettivo in qualit di agnello sacrificale della deontologia borghese, strappata alla sua dimora da forze oscure che si proponevano come obiettivo quello di cancellare dal mondo capisaldi come le magliette da tennis, le lezioni private di francese e i pranzi da buongustai: E tutti ti credono morto, e tutti vorrebbero pensare a te come un sogno che meglio lasciare non interpretato. Ma poi, un giorno, eccoti riemergere. (Questo lo diceva sempre con uno scintillio negli occhi.) E quel giorno riemergi in forma di immagine sfuocata, in bianco e nero, sulla telecamera a circuito chiuso di una banca dei sobborghi della tua citt, in California, e hai in mano una carabina M-1 a canne mozze e in quella banca ci sei entrato per rapinarla. I sermoni di Laurie tendevano a concludersi sempre sulla stessa falsariga: Ecco che sei diventato un terrorista, un guerrigliero metropolitano, pronto a fare a pezzi la cultura che ti ha cresciuto. Sei tornato ad accecarla, quella cultura, come un lampo abbagliante di luce bianchissima. Questi discorsi a volte mi lasciavano confuso e in preda al terrore. Una sera, dopo la conclusione di una delle sue prediche, ho trovato Laurie che si sforzava di vomitare nel gabinetto, e quando le ho chiesto in tutta onest perch mai lo stesse facendo lei mi ha risposto: Volevo solo preparare il mio corpo ad accogliere il suo nuovo padrone.

Secondo me Laurie era affascinata da quell'idea di metamorfosi totale che Patty Hearst aveva incarnato nel breve periodo in cui aveva cambiato nome in Tania e si dedicava a rapinare banche. Forse Laurie percepiva che dentro di lei stavano avvenendo mutazioni inarrestabili, e la vicenda di Patty Hearst le sembrava compatibile con quelle mutazioni. Sia lei sia Patty Hearst erano cresciute in famiglie numerose, e la citt di Patty Hearst era molto simile alla nostra, protesa a una grande fantasia urbanistica di futuri all'aria aperta, di enormi cupole in plexiglass e grandi barbecue dentro abitazioni ventilate e tutta una serie di voli pindarici all'acqua di rose sulla possibilit di implementare una vera strategia sociale. Arrivato a Whistler, ho proseguito il mio viaggio sotto la pioggia, lungo l'autostrada, e nel pensare al mio eventuale incontro mi domandavo cosa esattamente avrei dovuto dire o fare se fossi riuscito a trovare mia sorella. Nel corso degli anni mi ero recitato mentalmente cos tante possibili conversazioni, a occhi aperti o in sogno, che trovarmi effettivamente faccia a faccia con lei poteva rivelarsi una delusione, oppure solo un sogno come un altro. E nessuna delle due alternative mi sembrava piacevole. Mi avrebbe sorriso? O sarebbe rimasta inespressiva? Mi avrebbe aggredito? Mi avrebbe voltato le spalle? Ci saremmo toccati? Anni e anni di fantasticherie al riguardo, e ora che mi trovavo di fronte all'occasione concreta di rivederla, non avevo idea di cosa dire o cosa fare. Il caso Hearst era solo una delle tante ossessioni di Laurie. Un'altra erano i vestiti, che subito dopo la fine del liceo hanno cominciato a diventare alquanto bizzarri: roba da negozio dell'usato, eppure ben al di sopra di qualsiasi negozio di usato; gli abiti pi brutti del mondo disposti a strati, uno sopra l'altro a casaccio: camicie polinesiane a maniche corte, repellenti e prive di qualsiasi possibile bellezza redentrice, accoppiate a calzoni di tuta mimetica verde oliva. Abiti pazzeschi, abiti da barbona. E i miei genitori tolleravano tutto, anche quando le sue tenute si facevano sempre pi estreme, il livello di sporcizia corporea sempre pi allarmante e il suo atteggiamento sempre pi insostenibile ogni volta che Laurie tornava a casa dopo il fallimento di una relazione amorosa, dopo aver scoperto che la sua compagna d'appartamento era una ladra o qualsiasi fosse la tragedia del momento. I miei genitori sopportavano tutto. I miei genitori non avevano affrontato nulla nella vita che potesse in qualche modo prepararli a un comportamento come quello di Laurie. Essendo inclassificabile, non era recepito e nemmeno se ne parlava. Perfino quando Laurie li ha schiaffeggiati e gli ha rubato dei soldi e ha fatto a pezzi la Oldsmobile, o quando suonava alla porta un agente della Polizia a cavallo per riportarci a casa Laurie con gli occhi vitrei. In nessun caso ci sono mai state discussioni di sorta. A sentirmi, sembra che Laurie fosse una ragazza orrenda. E forse, a sentirmi, pare che io fossi un modello di virt; ma le cose non stanno cos. Il punto che lei era molto pi grande di me, e per questo sempre stata circondata da un alone di fascino e irraggiungibilit. Quei pochi anni di differenza me l'avevano sempre resa inavvicinabile. E ora vi dir com' successo che Laurie ha rotto i rapporti con me. Un giorno ci trovavamo seduti in soggiorno davanti alla Tv, a guardarci una trasmissione sui fenomeni paranormali. Laurie aveva qualcosa come vent'anni, e sembrava ridiventata se stessa, com'era un tempo. Se capitava che rimanesse quieta anche solo per mezz'ora, noi, in quanto famiglia, eravamo pi che disposti a illuderci che la nostra cara Laurie fosse tornata all'ovile e tutto sarebbe andato di nuovo alla perfezione. Poveri fessi. Be', a un certo punto Laurie si girata verso di me e ha detto: Louie, prova a leggermi nella mente. Indovina a cosa sto pensando. E allora io l'ho guardata e senza neanche battere ciglio ho capito la risposta in un lampo: era Peter Zzyzzy, l'ultimo nome in fondo all'elenco telefonico di Vancouver. Peter Zzyzzy, ho detto. Laurie ha dato fuori di matto. Ha cominciato a strillarmi: Come hai fatto a capirlo? Come hai fatto? Dimmelo, dimmelo &subito!. Ma ovviamente non lo sapevo neanch'io. Era un caso, un puro caso, e di sicuro non sarei mai riuscito a ripetere l'impresa. Ma per lei questo non aveva

importanza. Dopo l'incidente, Laurie non mi ha pi sorriso, non abbiamo mai pi parlato sul serio, e fra l'altro non mi ha mai pi chiamato Louie. In quel periodo la cosa non mi dava poi grande fastidio, anche perch in tutta franchezza cominciavamo ad averne le scatole piene delle stravaganze di Laurie, e oltretutto io ero all'ultimo anno di liceo e non mi sarebbe dispiaciuto vedere riservata un po' di attenzione a me, tanto per cambiare. Nel corso degli anni seguenti Laurie ha dato inizio a un'opera sistematica di rastrellamento dei familiari e degli amici, che consisteva nell'individuare volta per volta una piccola dfaillance commessa dal soggetto in questione, vera o immaginaria che fosse non importava, per poi gonfiarla e ingrandirla sproporzionatamente fuori da qualsiasi contesto e sulla base di questo dichiarare chiusa per sempre qualsiasi relazione. Non c' voluto molto prima che tutti quanti finissero ostracizzati, ultima dell'elenco nostra madre. E poco dopo Laurie, molto semplicemente, ''' scomparsa. A Seattle? Phoenix? Toronto? Niente grandi addii. Niente di definitivo. Solo un lento svanire, cinque anni fa. Pap ha ingaggiato degli investigatori privati, che per non sono mai riusciti a scoprire gran che. Non sono mai riusciti a starle alle calcagna a meno di tre mesi di distacco, in qualche punto dello Stato di Washington, e comunque, se non altro, almeno sapevamo che era ancora viva. Da allora Laurie diventata una specie di zombie familiare a cui non si fa mai riferimento: un ricordo cancellato, come se non fosse mai esistita. Per, naturalmente, la sua presenza sempre percepibile: alle cene in famiglia, ai matrimoni, eccetera. Ma la si sente soprattutto la mattina di Natale, quando l'ombra di Laurie aleggia nel giardino appena oltre le vetrate, sprezzante, fuggevole; o nel giardino e nella foresta, nei brevi luccichii e nei rumori fruscianti in cui tutti noi la riconosciamo e che tuttavia non abbiamo il coraggio di nominare. Ho accostato la macchina al marciapiede davanti alla drogheria Nester's, pochi chilometri oltre Whistler Village, e ho avuto subito la risposta che cercavo. Anche dalla strada vedevo benissimo all'interno del negozio una commessa che aveva tutta l'aria di essere Laurie, intenta a mettere delle scatolette nella borsa a un cliente. Mi sentivo intorpidito. Sono rimasto seduto dov'ero a guardare quella sagoma oscurata dalla pioggia sul lato esterno della vetrata e dalla condensa sul lato interno. Vicino a dove avevo parcheggiato c'era una cabina telefonica. Ho pensato di andare alla vetrata a guardare pi da vicino. Se davvero si fosse trattato di Laurie, avrei potuto chiamare in citt Brent o l'altra mia sorella, Wendy, per discutere il da farsi. Con il braccio tremante e i brividi al petto, sono uscito dall'auto e mi sono diretto alla vetrata, senza badare alla pioggia, per guardare meglio la commessa al banco. Ma non era Laurie. Le assomigliava quasi come una goccia d'acqua, ma non era lei. Sono rimasto per un pezzo a guardare quella donna che non era mia sorella, e poi me ne sono tornato in macchina. Ho cenato in fretta in un ristorante francese carissimo che ho trovato aperto nel centro del paese. Ho bevuto qualche bicchiere di vino, e quando sono uscito ho visto che proprio in quel momento la pioggia si stava trasformando in neve, e allora sono ripartito lasciandomi Whistler alle spalle per imboccare di nuovo la stradina tortuosa che riportava in citt. Il riscaldamento della macchina si era rotto, e il mio viaggio stato deprimentissimo: lento, noioso, infreddolito. Avevo sperato davvero di poter ritrovare Laurie, e non esserci riuscito mi dava una sensazione insostenibile di''' di &irrisolutezza. Poi ho cominciato a vagare con i pensieri. Ho pensato: Com' strano che ciascuno di noi, ogni giorno, viva alcuni brevi momenti che possiedono un poco pi di risonanza di tutti gli altri. Per esempio, sentiamo una parola che ci rimane impressa nella mente; oppure magari ci capita qualcosa che ci trasporta fuori di noi stessi, anche solo per un attimo, o, per dire, ci troviamo chiusi in un ascensore in compagnia di una sposa in abito bianco oppure uno sconosciuto ci regala un pezzo di pane per darlo alle anatre della laguna; o magari incontriamo un bambino con cui facciamo conversazione dentro a un Dairy Queen, o magari, com' successo a me, si vedono due macchine simili a confetti con le ruote, alla stazione di servizio di Husky.

E se noi decidessimo di raccogliere tutti questi piccoli istanti in un quaderno, annotandoli per mesi, di sicuro vedremmo in questa collezione una specie di filo conduttore. Verrebbero alla superficie determinate voci, voci che da tempo cercano di raggiungerci. E capiremmo che abbiamo vissuto una vita parallela, una vita di cui non immaginavamo neppure lo svolgimento dentro di noi. E forse quest'&altra vita molto pi importante di quella che consideriamo reale, quella quotidiana, ingombrante, fatta di mobili e rumori e metalli. E forse sono davvero questi attimi minuscoli e silenziosi a scrivere la storia della nostra vita. Sto divagando. Sono un essere umano, e mi trovo ingabbiato nel tempo. Non riesco proprio a convincermi che la storia di Laurie sia finita, che non finir mai, che non riuscir mai a conoscerne il finale o che non arriver mai l'istante conclusivo, quello che riporta tutti i nodi al pettine. Penso spesso a lei: mi domando se sia felice, o se stia soffrendo. Mi domando che acconciatura ha adesso, di cosa parla con i suoi nuovi amici, se magari si mai innamorata o anche solo cosa ha mangiato a pranzo. Qualsiasi cosa. Mi viene voglia di dirle che la trovo buona. Che la trovo gentile. Che anche Dio gentile, e siamo circondati dalla bellezza, e possiamo davvero conoscere il mondo. Vorrei che venisse a trovarmi in casa mia. Passando di nuovo per Squamish, ho visto il grande fuoco ancora acceso sotto la pioggia che continuava a cadere: pioggia che non dava tregua, fuoco che non voleva consumarsi. Un fuoco cos enorme da far dimenticare la pioggia. Ho pensato ai pionieri venuti prima di me, alla scoperta di questo mondo cos nuovo ancora oggi: li ho immaginati mentre costruivano strade ferrate in mezzo ai canyon vergini, a erigere ponti sopra fiumi di origine sconosciuta, a cercare di sopravvivere agli incendi delle foreste distesi immobili in una palude respirando l'aria fumosa da un boccaglio fatto con una canna svuotata. Ho attraversato la strada sotto la pioggia fino a raggiungere una stazione di servizio chiusa, per chiamare casa dalla cabina telefonica. Mi ha risposto Brent. Gli ho raccontato quello che era appena successo, del fallimento della mia ricerca. Credo proprio di avere parlato con un tono di voce esausto, sperduto, triste. Lui mi ha detto che pensa a Laurie di continuo. Ha detto: Be', almeno la notte sogno che siamo ancora tutti insieme come una volta. Forse non posso pretendere di pi. Ho imparato a farmelo bastare. Gli ho risposto che ero d'accordo. E ho pensato a quanto strano il modo in cui i sogni ci danno conforto. Brent ha proseguito: Ehi, siamo sempre qui a interpretare i sogni. Senti che idea: perch non proviamo qualcos'altro? Perch invece non interpretiamo la vita come se fosse un sogno? Prova a dirti: "In questo momento vedo un aereo in cielo. &Che &significato &ha?". Prova a dirti: "Ultimamente sta piovendo un sacco. &Che &significato &ha?". Prova a dirti: "Oggi pensavo di avere ritrovato Laurie, e invece era un'altra persona. &Che &significato &ha?". Secondo me facilita la vita. Sul serio. Ho fatto ritorno al grande fal, ma mi sono avvicinato troppo, e mi caduta una brace nei capelli, bruciandomene parecchi e sprigionando nell'aria il tipico odore dei capelli bruciati. Un odore che mi ha fatto tornare in mente la sera in cui a cena Laurie si data fuoco intenzionalmente a un sopracciglio con un accendino Bic, pochi giorni prima di sparire per sempre. Ricordi: ricordo di avere visto un vecchio film in cui si svolgeva una guerra e un'intera citt veniva cosparsa di gas soporifero. Quando gli abitanti si risvegliavano, scoprivano che la guerra era finita. Certe volte penso che una bella mattina mi risveglier anch'io e ritrover Laurie di nuovo normale, come se non fosse mai successo nulla. A volte, come ho gi detto, anche a me capita di sognare che Laurie ritornata se stessa e riprendiamo a chiacchierare da amici e lei mi fa ridere ancora. So benissimo che solo un'amicizia sognata, non vera, ma comunque un bel sogno. Solo due notti fa ho sognato che Walter, il Labrador, vagava per casa mia in cerca di spuntini, con gli unghioni che ticchettavano sul pavimento e la lingua che penzolava allegra dal faccione nero, gentile. E anche la notte scorsa ho sognato di dover sopravvivere: sognavo di galleggiare in mezzo alle foreste

lussureggianti dello spartiacque dietro la casa dove sono nato. Volavo tra gli alberi alti fino al cielo, oltrepassando le piante, e mi domandavo se ce l'avrei mai fatta nel caso fossi rimasto solo nella foresta, cibandomi soltanto del poco che riuscivo a trovare. E al termine di quel sogno riemergevo nel consueto mondo di giardini ben curati e villette: casa nostra. Certe volte mi domando se Laurie morta. Sono convinto che la morte non significhi semplicemente morire. Secondo me la morte una perdita irrecuperabile, un discorso non pi ritrattabile, un danno non riparabile. la negazione di qualsiasi possibilit futura di donare amore. Forse morta davvero, ma non per me. Non lo credo proprio. Ho iniziato questa storia parlando di come gli eventi della vita procedono sequenzialmente, per cui immagino sia meglio concluderla ritornando a parlare di sequenzialit. Mi tornano alla mente tre episodi della vita di Laurie, per cui li racconter in questa sede. E solo perch questi tre episodi sono passati e non futuri, be', non vuol dire che non possano servire da finale. Primo evento: uno dei primi ricordi della mia vita di quando io e Laurie abbiamo incontrato una vecchietta sperduta all'angolo fra Kenwood Road e Southborough Drive. Continuava a ripeterci che era quasi arrivata dal suo medico e doveva tornare a riprendere la sua borsa della spesa. Noi siamo rimasti perplessi, perch sapevamo che nel raggio di diversi chilometri intorno a noi c'erano solo abitazioni e campagna deserta. L'abbiamo portata a casa e la mamma ha capito subito che era affetta da demenza senile, cos ha chiamato le autorit. Laurie rimasta seduta nel giardino a tenere compagnia alla donna stringendole la mano finch non arrivata l'ambulanza. Secondo evento: da piccola, la favola preferita di Laurie narrava di una principessa che viveva in un grande castello. Chiedeva spesso a me, Brent e Wendy di impersonarla con lei nella foresta dietro casa. La storia era pi o meno questa: una principessa che viveva in un grande castello si innamorava di un principe errante venuto da terre lontane. Suo padre, il re, era furibondo, e assoldava una strega per farle preparare una pozione che dava l'oblio. Il re saliva nella torre, in camera di sua figlia, e la costringeva a bere la pozione magica. Ordinava alle sue guardie di immobilizzarla, poi le versava in gola la fetida mistura. Non appena la principessa aveva ingoiato la pozione, le guardie la lasciavano andare. Ma poi, di colpo, prima che riuscissero a fermarla, la principessa correva alla finestra e si gettava di sotto, verso la morte, prima che il filtro magico potesse fare effetto e le rubasse l'anima, facendole dimenticare il suo amore. Ultimo evento: da piccoli io, Brent e Laurie ci dedicavamo ad allevare oche canadesi. Laurie rubava le uova dai nidi vicino ai laghetti del campo da golf, poi le mettevamo in incubazione dentro una cassa di whiskey Johnny Walker foderata di stagnola e riscaldata da una lampadina 40 watt, spostandole due volte al giorno finch non si schiudevano, un momento scandito da deliziosi cinguettii che proseguivano ininterrotti per diversi mesi, mesi gioiosi, per poi trasformarsi gradualmente in uno starnazzare. Le oche sono animali domestici splendidi: curiose, amorevoli, fedeli e intelligentissime. E divertentissime, anche. Venivano a sedersi intorno a noi in giardino, a beccare l'erba mentre noi leggevamo romanzi da quattro soldi accarezzandole sulle piume grigie del petto. Ogni tanto tendevano il collo, quel collo che si allungava ogni giorno di pi, per mordicchiarci gli orecchi con uno starnazzio adolescente che era l'espressione della loro sete insaziabile di attenzioni. Erano le nostre compagne estive, e ci seguivano zampettando durante le nostre passeggiate nei paraggi, starnazzando come clacson d'automobile, soffiando ai gatti e affiancandosi in fretta a noi se ci fermavamo anche solo per un momento. Quando arrivavano i temporali, si sistemavano in casa appollaiate sullo sgabello davanti al pianoforte, per poi schizzare fuori in giardino, verso il laghetto, lasciandosi alle spalle una scia di cacche. Era una grande fatica, ma anche un gran divertimento.

Comunque sia, le oche canadesi hanno una particolarit, e cio che ricordano il loro padrone solo per un anno e un giorno. Questo per dire che anche le oche cresciute nell'ambiente pi cosmopolita prima o poi, inevitabilmente, ritornano selvatiche e dimenticano la famiglia che le ha cresciute; una triste verit con cui chiunque le ami deve fare i conti. Ma come ho detto, le oche se ne ricordano per un anno e un giorno: c' un giorno, e uno solo, in cui fanno ritorno a casa, un giorno soltanto. Di solito capita la mattina prestissimo, quando si profondamente addormentati. Ci si risveglia nel sentire un rumore conosciuto, lo starnazzare delle oche, e cos si corre fuori in giardino insieme al resto della famiglia, tutti quanti con gli occhi impastati. Si guarda in giardino, e poi verso il laghetto, ma delle vecchie amiche non si vede l'ombra. E poi gli occhi salgono al tetto, proprio in cima. E sul tetto ci sono le vecchie amiche di una volta, cicciose come tacchini del Ringraziamento, e danno fiato alle trombe festanti che si portano nel cuore: fanno capire, solo per quell'unica volta, mentre ci si ritrova a salutarle con la mano, che il loro amore per chi le ha cresciute molto pi grande di tutte le forze dell'universo che vorrebbero vederci divisi e cancellare la parte migliore di noi, il nostro ricordo dei tempi andati. 1000 anni (La vita dopo Dio) Nella nostra infanzia di figli di periferia ci immergevamo di notte in piscine la cui acqua aveva la temperatura del sangue, piscine del colore della Terra vista dallo spazio. Andavamo a nuotare nudi, io e i miei amici: Stacey, la bella pollastra dalla lunga chioma bionda e con un corpicino da Barbie californiana; Mark, il nostro Sansone silenzioso; Kristy, la nostra onnilentigginosa dispensatrice di barzellette coi capelli rossi; Julie, la voce del buon senso, quella con il corpo medio della popolazione media; Dana, il fanatico degli sci con la sua abbronzatura integrale, sempre dotato di contanti in quantit sospetta; e poi Todd, il timido, sempre l'ultimo a spogliarsi, quello che aspettava di essere gi in acqua per togliersi le mutande. Ce ne stavamo nudi a galleggiare, a fingerci embrioni o feti, in un silenzio totale, spezzato soltanto dal ronzio dei filtranti della piscina. Andavamo alla deriva nell'acqua calda svuotandoci la mente dai pensieri, con gli occhi chiusi e la separazione fra corpo e cervello ridotta a zero, a bagno nel cloro e illuminati di luce azzurra purissima dalle lampade installate sotto i trampolini. A volte ci prendevamo per mano disponendoci in cerchio, come astronauti in caduta libera nello spazio; altre volte, quando ci sentivamo pi isolati nel nostro torpore fetale, ci trovavamo a sbattere uno contro l'altro dalla parte pi profonda della piscina, come gemelli in uno stesso grembo materno che non sapevamo neppure di condividere. Pi tardi ci asciugavamo e salivamo in macchina per percorrere le strade scavate nei fianchi della montagna su cui abitavamo: attraverso le foreste e i terreni lottizzati, da un laghetto all'altro, da un avvallamento all'altro, su per Cypress Bowl, gi verso Park Royal fino al Lions Gate Bridge; e quel moto perpetuo era succedaneo di altre forme di pensiero pi articolate. Tenevamo la radio sempre accesa, traboccante canzoni d'amore e rock; nel rock ci credevamo, ma penso proprio che alle canzoni d'amore non credessimo affatto, n allora n adesso. La nostra era una vita vissuta in paradiso, e di conseguenza qualsiasi elaborazione di concetti trascendentali era in s priva di senso. Secondo le nostre convinzioni, la politica esisteva in un altrove imprecisato, un nonparadiso televisivo, e la morte assomigliava un po' al riciclaggio. Era un vivere fascinoso, ma privo di politica o di religione. Un vivere da figli dei figli dei pionieri, un vivere dopo Dio, un vivere di salvezza nel regno dei mortali ai confini del cielo. Forse proprio questo il meglio cui si possa aspirare: una vita di pace, il confondersi del sogno e della realt. E tuttavia, con un senso di dubbio che pronuncio queste parole. Forse, in un determinato momento, si imposto un aut-aut. Forse abbiamo dovuto pagare un prezzo per la nostra vita scintillante, e il prezzo stato l'incapacit di credere totalmente nell'amore. Al suo posto abbiamo ricevuto in dono una particolare forma di ironia che ha bruciato tutto quello con cui entravamo in contatto. E mi domando se questa forma di ironia rappresenti il prezzo che abbiamo pagato per vivere senza Dio.

Ma poi ci ripenso e devo rammentarmi che siamo esseri viventi, e abbiamo pulsioni religiose; anzi, le dobbiamo avere per forza. Eppure, da quali brecce possono mai filtrare simili pulsioni in un mondo senza religione? una cosa a cui penso ogni giorno. Certe volte mi sembra l'unica cosa al mondo a cui valga la pena di pensare. Lo scorso luglio era il decimo anniversario di quelle nottate in piscina. E lo scorso luglio il mio medico mi ha prescritto certe pastiglie gialle. Adesso siamo in gennaio. Era da tempo che passavo attraverso uno di quei brutti periodi della vita, soprattutto di depressione e ansia, non soltanto una crisi di melanconia. Era qualcosa di pi. Di certo non poteva bastare qualche piacere momentaneo come un abbraccio, o un palloncino argentato, a curare il tipo di umore che mi affliggeva ormai da anni. Le pasticche triangolari del dottor Watkin, dello stesso colore degli omogeneizzati al pollo, sembravano smussare con grande efficacia le mie punte emotive, il che mi andava benissimo. Il dottor Watkin mi ha assicurato che quelle pasticche erano assai diffuse, e che moltissima gente finiva per prenderle presto o tardi; e devo ammettere che servivano davvero a indebolire i miei sbalzi di umore. Mi hanno aiutato anche a diventare una persona molto pi gentile (cos commentavano numerosi amici e familiari). Per di pi, sono servite a incrementare la mia efficienza sul lavoro, e dunque nel complesso a rendermi un cittadino molto pi produttivo. Un po' come farsi una plastica al cervello. Be', d'accordo, la questione delle pasticche un po' pi profonda. Ma forse anche voi vi siete impasticcati, qualche volta, e forse mentre lo facevate non avevate una consapevolezza profonda del perch. Capivate solo di essere felici dell'esistenza di quelle pillole. Nel mio caso, era lo stesso. Vi racconto tutto questo seduto in mezzo alla foresta di Vancouver Island, all'interno della mia vecchia tenda da boy scout, che non usavo pi da decenni. Il pavimento di plastica della tenda puzza vagamente di frigorifero pieno di yogurt che ha superato ampiamente la data di scadenza, e stringo con la mano l'ultimo pacchetto di sigarette contro il torace, in giacca e cravatta, avvolto in una vecchia coperta militare grigia. Cerco di tenere le sigarette al riparo dalla pioggia che gocciola dentro di continuo. Sta scendendo la sera. Come probabilmente avrete gi capito, ci sono cose che non vi ho ancora detto, cose che non riesco a dirvi adesso. Tenete duro, per favore. Abbiate pazienza e cercher di dirvi qualcosa di pi. Forse dovrei raccontarvi di come i miei amici feti se la sono cavata nella vita, raccontarvi delle strade bizzarre che abbiamo imboccato. E nonostante il nostro sparpagliarci per milioni di sentieri diversi, stranamente, abbiamo finito per raggiungere tutti lo stesso non-luogo. Per primo, Mark: il Sansone della compagnia, quello capace di stritolare chiunque fino a ridurlo in petrolio. Un paio d'anni fa ha scoperto di essere Hiv-positivo. In questo momento sta abbastanza bene, e lavora ancora come agente di cambio in citt; ma per ovvi motivi si trova a riflettere sugli Ultimi Giorni pi delle altre persone. La sera, quando piove, ci incontriamo per un cocktail-retr (tipo Sidecar, o Singapore Sling) al Sylvia Hotel Lounge, di fronte a English Bay. Mark ha un modo tutto suo di vedere la situazione. Dice: Se provi a pensarci, Scout, capirai che il nostro corpo non ha modo di sapere dove comincia e dove finisce. Il sistema immunitario non serve tanto a tenerti in salute, quanto a informare il tuo corpo su dove si trovano i suoi confini. In questo momento come se ci fosse un buco che mi si espande dentro, e questo buco impedisce al mio corpo di capire dove inizio e dove finisco. L'esterno mi penetra all'interno. Prova a pensare al groviera: se un groviera ha buchi troppo grandi, allora non pi un groviera. Diventa''' be', &niente. Forse questo che mi sta succedendo. Sto diventando niente. E ti dir che s, mi fa paura. Le nostre conversazioni non sono mai facili, ma a mano a mano che noi''' o meglio, che &io invecchio, ci accorgiamo che vanno portate a termine. Sentiamo un bisogno impellente di dividere le emozioni con gli altri. Oltre una certa et, la sincerit non pi sinonimo di pornografia. Come se quell'idea di

essere &a &posto che ha marcato la nostra giovinezza sia di per s un altro tipo di retrovirus che alla fine ci lascia vuoti. Perforati. Un'altra sera al Sylvia Lounge, un altro giro di cocktail, e Stacey, insegnante di aerobica ora divorziata nonch assistente paralegale, mi dice: Ci hanno sempre insegnato a credere che il nostro non era un mondo magico, soltanto perch era nostro. Perch ci hanno fatto credere che la magia poteva capitare solo in un altro posto e ad altra gente? Perch non potevano dirci semplicemente: "Cari figli, non vi concesso pretendere di pi, per cui godetevi quello che avete finch c'"?. E finisce il suo secondo Martini con succo di mirtilli, il suo Mirtini. Ormai Stacey alcolizzata. E ha in viso quell'espressione indurita tipica di chi ha frequentazione con la cocaina. Il che mi rattrista, perch in fondo ancora bellissima e le voglio bene pi che ad altri miei conoscenti. Ma capisco che l'unico modo per lei di potersi ricollegare al magico che tanto desidera sta dentro una bottiglia. Tuttavia, invecchiando, ho imparato che n io n altri possiamo fare molto, in una situazione come quella. Dopo un po', si impara a capire che nella vita pu esserci qualcosa che va storto, e a conoscere sintomi e tentazioni, e a distinguere il modo in cui la gente si serve degli altri. Tutto il fascino della corruzione svanisce di colpo, e apprenderla non pi divertente. Non si ha pi voglia di sprecare energia, per cui si impara la tolleranza, e poi la compassione e l'amore, e la lontananza; e per me molto doloroso dirlo. Mi doloroso dire tutto questo. Stacey si sente in vena di confessioni. Mi dice: C' una grossa differenza fra me e te e il resto del mondo, Scout, al che le domando quale sarebbe. Lei dice: Be', hai presente il giorno in cui arrivi a un certo punto, quel giorno in cui arriva il grande crollo e ti rendi conto all'improvviso di essere solo al mondo e precipiti nell'abisso?. Dico: Certo. Non capita a tutti?. Stacey dice: Be', quando succede, in genere alla maggioranza capita mentre vive con un'altra persona, per cui l'espulsione dall'Eden non poi cos drammatica. Ma io e te, Scout, io e te ci siamo fatti l'esperienza da soli. Ci siamo fatti tutta la strada completamente soli. E adesso siamo due isole. Non riesco a capire se lo dice come un complimento o no. A quel punto comincia a sviolinare su Mark, per il quale ha sempre provato un desiderio mai corrisposto. Oh, povero Mark, pi bello di tutti quanti noi messi insieme, credo davvero che potrei dare la vita se servisse a permettergli di adornare il mondo per qualche anno in pi. Ammettilo, Scout: anche tu daresti tutto pur di avere il fisico di un ballerino anche solo per dieci minuti. Stacey si accorge che il bicchiere vuoto e comincia a girare la testa in cerca del cameriere. E la vuoi sapere una cosa? Mark non lo ha neanche detto ai suoi genitori. Ha paura che lo abbandonino. E poi arriva un altro Mirtini e a quel punto capisco che per me ora di levare le tende. E poi, non so come, viene affrontato l'argomento Dio. Stacey alza gli occhi a guardarmi, sempre bellissima e purtroppo sempre pi ubriaca, e dice: Scout, Dio sta nei denti dell'uomo che mi morde sulla nuca una notte, quando mi capita un colpo di fortuna. Dio quella voce nel buio che sento ma di cui non ho paura perch so a chi appartiene. Mi stai ascoltando, Scout?. Ti ascolto, Stace dico. E non mento: solo qualche tempo prima avrei cambiato discorso. Tempo fa, in luoghi imprecisati, molti di noi hanno spezzato la catena che lega l'amore e il sesso. E quella catena, una volta spezzata non pi riparabile. Julie cresciuta pi normale di Mark o Stacey. Oggi ha due figli e abita a Pemberton Heights, nella zona nord di Vancouver, una periferia che pi periferia non si pu. Ha un marito del tipo simpatico, Simon, e quando ritorna con la memoria agli anni della giovent in cui eravamo tutti uniti li fa sembrare bellissimi e pericolosi, ma per fortuna lontani, un po' come le tigri in gabbia allo zoo.

Ultimamente cerco di redimermi la voce, Scout mi dice, quando ci troviamo seduti sui gradini di casa sua a bere Mr' Coffee annacquato. Mi capisci, no? Voglio cercare di liberarmi da questo inferno di ironia, di trasformare il cinismo in fede, il disordine in chiarezza, le ansie in devozione. Ma dura, perch io sono qui che provo a vedere la vita con sincerit e poi accendo la Tv e mi trovo davanti un presentatore di telequiz, e a quel punto posso solo darmi per vinta. Troppi bersagli facili! Sarebbe molto pi semplice trovare chiarezza se non ci fossero in giro tante celebrit di bassa lega. Sei d'accordo? Poi Julie grida ai suoi due bambini di piantarla di litigare per quello stupido Super Soaker (&en &passant mi mette a parte dei nomignoli con cui li chiama, cio Damien e Satana), dopo di che proseguiamo nella conversazione. Fa' finta che non esistano, quei mocciosi. Se c' bel tempo allora parliamo ancora per un po', con il panorama della citt che splende aureo di fronte a noi, trasmutato nel suo profilo quasi a vista d'occhio dalle gru e dai cantieri che abbiamo davanti. Julie dice: Migliaia di anni fa, la gente dava per scontato che per i propri figli la vita sarebbe stata identica alla loro. Oggi, invece, si d per scontato che la vita della prossima generazione''' ma che dico, della prossima settimana''' sar completamente diversa. Quand' che abbiamo cominciato a pensare in questi termini? Cos' che abbiamo inventato? stato per colpa del telefono? O dell'automobile? Perch succede questo? Dev'esserci per forza una ragione, da qualche parte. Continuiamo a parlare. Lei mi rammenta una sera che noi sette abbiamo trascorso insieme nel 1983. Ti ricordi? Quella sera che bevevamo gin e succo di limone e abbiamo rubato un fiore ciascuno dal cimitero di West Van per mettercelo all'occhiello. Ci ripenso e non riesco a farmelo tornare in mente. Oh, Scout, non deludermi, non eri mica cos ubriaco. Quella sera che eravamo al ristorante in centro e tu mi hai dato tutti quei buoni consigli. Pensa che mi hai addirittura fatto cambiare scuola. Continuo a non ricordare. Mi spiace, Julie. veramente patetico, Scout. Pensaci bene. Mark andava in giro a torso nudo per Denman Street, e Todd e Dana e Kristy si sono fatti dei tatuaggi finti. Ah''' encefalogramma piatto. Zero. A quel punto Julie diventa ossessiva e cerca di costringermi a ricordare: Nel ristorante c'erano quei mobili da vomito in vinile marrone anni Settanta. E tu hai ordinato un pesce vivo. Ehi! grido. Mobili marrone anni Settanta. Quelli me li ricordo. Grazie a Dio dice Julie mi stavi facendo impazzire. No, un momento, adesso ricordo''' i fiori''' il pesce. E mi torna in mente tutta la sera, un centimetro alla volta come il procedere lento di un filo interdentale, incalzato da Julie. Alla fine ricordo tutto di quella serata, ma un'esperienza faticosa e bizzarra. Ce ne stiamo seduti in silenzio sui gradini. Be', ma poi che senso aveva quella storia? domando. Non me lo ricordo risponde Julie. Rimaniamo tutt'e due leggermente scioccati, pi io che Julie, nel pensare alla natura dei ricordi, a come rimangono archiviati in qualche punto imprecisato del cervello ma a volte si smarriscono o non ci si rammenta pi dove li si messi o Dio solo sa cos'altro. Se Julie non si fosse impegnata con pazienza a tirarmi fuori la memoria di quella serata, sarei certamente sceso nella tomba senza pi ricordare che, in effetti, era stata una delle sere magiche della mia vita. Di conseguenza, che senso avrebbe avuto viverla? Per cui ce ne rimaniamo tutt'e due in silenzio. Poi arriva il momento del commiato, e io mi ritrovo met dentro e met fuori dalla mia macchina in fondo al vialetto, vicino ai boccioli dei rododendri che Simon ha piantato di recente. Julie mi dice: Be', allora ciao, James Bond. Buon ritorno alla tua Batcaverna di scapolo. Vorrei poter venire con te. Medito su queste parole e le dico: No, non vero. Sono io che pagherei un milione di dollari pur di stare in questa casa con te. Pur di essere Simon solo per un giorno. Allora lei rimane in silenzio un istante e poi dice: Sai, Scout, ho una buona vita, ma anche a me capita di sentirmi sola, in questa casa. Non illuderti. Poi mi d un bacio sulla guancia, e io riparto, di nuovo in direzione della citt.

Ritorno in questa tenda piccola e umida, nel fitto della foresta piovosa e oscura. Ora che la luce del giorno scomparsa dietro i nuvoloni temporaleschi fa pi freddo, ma in fondo neanche troppo. Da queste parti non fa mai veramente freddo, e quest'ultimo gennaio stato abbastanza mite. Le batterie della pila elettrica sono scariche: non ho fatto grandi preparativi per questo viaggio, stato alquanto frettoloso. Vi spiegher pi tardi. Me ne sto qui seduto a stiracchiare un paio di calzini asciutti, grigi, che ho comprato alla stazione Petrocan di Duncan, e mangio il mio terzo Kit Kat. In questo momento nella tenda c' un odore simile a quello di una casa piena di uova di Pasqua. Tanto vale che vi metta al corrente della situazione degli altri tre feti con cui ho condiviso le piscine della mia infanzia. E lasciatemi aggiungere qualcos'altro: una settimana fa ho gettato via le pillole che mi ha prescritto il dottor Watkin. In questo momento sono ben chiuse in una fialetta di plastica marrone dello Shoppers Drug Mart, sepolte accuratamente nella discarica municipale. Per cui la voce che vi parla a tutti gli effetti la mia. Non quella delle pillole. Giusto per rassicurarvi. Dana. Dana era sempre stato il pi avventuroso di noi sette. Sapevamo bene che si dedicava a ogni sorta di attivit marginali, ma quando usciva con noi si sforzava di essere normale (di nuovo questa parola). Forse lo trovavamo affascinante per questo. Solo molti anni dopo ho avuto modo di scoprire quanto &marginali fossero certe sue &attivit. Mi ha invitato a casa sua, al ventierottesimo piano di un condominio stile zanna di cemento anni Sessanta e, sentendosi in vena di confessioni, mi ha mostrato un cumulo di riviste porno con dei Post-it appiccicati alle pagine a mo' di segnalibro, dicendomi: Guarda qua. Io ho guardato, e sulle pagine comparso Dana, in diversi periodi della vita, con la sua abbronzatura integrale, impegnato a fare praticamente tutto con praticamente chiunque. Ero senza parole. Cosa mai si pu dire in casi del genere? Dopo di che, mi ha accompagnato a un armadietto in cui si trovavano un aspirapolvere e alcune scatole di detersivo in polvere Tide. Da una delle scatole ha estratto un sacchetto di plastica trasparente pieno di qualcosa che non era affatto detersivo. Dopo di che siamo andati in bagno e lui ha tirato lo sciacquone sull'equivalente della somma necessaria a pagare la retta a una coppia di gemelli per tutto il corso di laurea in un'universit dell'Ivy League. Siamo tornati nel soggiorno, tutto mobili Ikea e giocattoli elettronici da yuppie cosparsi di bruciature di sigaretta, ci siamo fumati un'ultima sigaretta e abbiamo guardato il sole brillare argenteo sulle barche a vela che punteggiavano la English Bay. Volevo solo un testimone, nient'altro ha detto. Allora puoi considerarmi tuo testimone ho ribattuto. Sono cambiato ha detto. Sono contento ho detto. C' stato un breve silenzio, e poi qualche saluto imbarazzato e poi sono uscito da casa sua, e prima che lo rivedessi di nuovo sono passati anni. Mi capitato nel parcheggio del supermercato Save-On-Foods, al centro commerciale Park & Tilford. L'ho visto mentre caricava cibarie su un furgoncino, insieme a una donna che allacciava la cintura a un bambino sul seggiolino posteriore di sicurezza e al tempo stesso cercava di far tacere un secondo bambino pi grande e iperattivo. Sono andato da lui e ho detto: Ehi, Dana! un pezzo che non ci si vede. Gli ho letto la paura negli occhi. La donna, sua moglie, ha alzato la testa incuriosita, e Dana mi ha presentato in fretta e furia chiamandomi Scout: Eravamo nella stessa squadra di football al liceo. Bello ha detto lei, continuando a impacchettare il moccioso sul sedile. Ehi, ma guarda, hai dei bambini ho detto fantastico. Quand' che vi siete sposati? Dana mi ha interrotto sbattendo il portellone e spingendo di lato il carrello del supermarket senza neanche preoccuparsi di rimetterlo al suo posto in fila per riprendersi i 25 centesimi. Ha trafficato con il mazzo di chiavi e

si piazzato al volante.Non posso parlarti, Scout. Non posso proprio. Ehi, okay, okay. Nessun problema, amico ho detto. Dana ha acceso il furgone. Sua moglie mi ha sorriso e mi ha salutato con la mano dall'abitacolo, gridando: Piacere di averti conosciuto! ma Dana stava gi richiudendo in fretta il finestrino. Una settimana dopo, verso le sei di sera Dana mi ha telefonato. Non difficile reperirmi. Il mio numero di telefono lo stesso da quasi dieci anni. Era chiaramente in una cabina: sentivo automobili e camion ruggire in sottofondo. Sono io ha detto. Lo immaginavo. Tutto okay? Una pausa. Assolutamente. Ho cercato di fare conversazione, sentendomi vagamente come se mi trovassi in una stanza silenziosa a parlare con un malato in fase terminale. Carina, tua moglie ho detto. Prego spesso per te ha ribattuto. Oh ho detto. Ah''' be', grazie. Prego per te perch non hai fede, e dunque neanche anima. Ehi, Danone. Sar anche un infedele, ma un'anima ce l'ho eccome. E ti sarei grato se non mi facessi la morale. Dio sta per discendere nei sobborghi, Scout. Non avremmo mai immaginato di assistere al Giudizio nel corso della nostra vita, e invece sta per arrivare. Dana? Che ti prende? L'ora si avvicina, Scout. Non sarai pi costretto nei confini del tempo. Pensare all'infinito non ti far pi paura. Ogni segreto verr svelato. Vi saranno immani distruzioni, e i grattacieli e le grandi multinazionali crolleranno nella polvere. Vita onirica e reale si fonderanno l'una nell'altra. Sentirai una musica. Ma prima che tu ti dissolva nell'immateriale, il corpo ti si rivolter come un guanto e allora cadrai a terra e brucerai come una bistecca dentro un &hibachi e a quel punto sarai libero e verrai giudicato. Ah, Dana''' mi sa che ho una persona in attesa al telefono. Ti spiace se ti richiamo pi tardi? Potrebbe succedere mentre sei in macchina. O magari a fare spese in un negozio elegante. Potrebbe succedere mentre''' Ehi, Dana. Devo scappare. &Au &revoir. Chiuso il capitolo Dana. Todd quello la cui vita cambiata meno di tutti. Pi di dieci anni fa ha lasciato la Simon Fraser University, e ha cominciato ad alternarsi a tempo pieno fra una carriera di piantatore d'alberi e sussidi di disoccupazione, uno stile di vita che non mostra intenzione di voler mutare. Abita in una casa degli anni Quaranta in Commercial Drive, East Vancouver, dividendola con una corte dei miracoli in continua rotazione costituita di maniaci ecologisti, mangiapane a ufo, fanatici dei Grateful Dead, indipendentisti del Qubec, appassionati di mountain bike e musicisti part-time. Il nostro legame pi rilevante consiste nel fatto che subito dopo la fine del liceo abbiamo passato due estati insieme come piantatori d'alberi, a zingareggiare fra una commessa e l'altra seminando germogli nelle radure della British Columbia: Bowron Lake, Camper Creek, l'Okanagan, Nelson, Tzenzaicut, la Sheemahant Valley. Ci siamo fatti rovesciare addosso erbicida dagli elicotteri che volavano controvento; abbiamo nuotato in paludi color mirtillo, nelle isole Queen Charlotte abbiamo sentito sconosciuti batterci alla finestra sussurrando: hashish''' funghi''' coca'''; a Prince George abbiamo fatto docce collettive di mezz'ora per raschiarci di dosso con la pietra pomice la fuliggine portata dai fal di disboscamento. Era una bella vita, e Todd non l'ha voluta lasciare. Vado a fargli visita a casa sua, e lui mi racconta le sue teorie riguardo qualsiasi cosa al mondo. Vado a trovarlo solo qualche volta l'anno: lui non viene mai da me in citt. Lo trovo appollaiato sulla sua sedia Balans, coperta di magliette con il logo del &The &Lorax del Dr' Seuss, mentre assimila una vitamina B-12 sublinguale. Ciao, Todd dico cercando di sovrastare la cassetta dei Fortran 5 a tutto volume che fa da colonna sonora al film dell'orrore trasmesso in videocassetta sullo schermo con il sonoro a zero. Amicoski, amicoski, amicoski! Stuzzichino? Mi porge qualcosa di gommoso servito dentro un guscio di abalone e io dico: Certo, al che si sposta dall'altro lato della stanza con la moquette a treccine su cui campeggiano sparsi collarini in piombo presi da bottiglie di vino, cuscinetti di gommapiuma, pantaloni da scaricatore, sacchi a pelo, calzini di lana, una tavola da surf, pupazzetti di gomma per gatti, forchettoni e posate per insalata. Mi tira una pagnotta al lievito biologico.

Todd indossa calzoncini da ciclista, guanti di lana a mezzo dito e un maglione Aran comprato al Value Village. Agli appendiabiti sulla parete del corridoio d'ingresso sono appesi in fila vari maglioni Cowichan ancora umidi. Qualunque &mise io porti, al confronto, mi sembra disperatamente borghese. Mi accomodo sul sedile da Boeing 737 che Todd tiene vicino alla sua Balans, comprato a una svendita di residuati. Todd dico posso abbassare la musica? Eh? Cosa hai detto? Al che, abbasso la musica. La stanza pi pacifica, e riusciamo a parlare. Non si guadagna una cicca, a piantare alberi dice. Non mi prendo neanche la briga di fargli presente che tutto sommato non gli mancano alternative diverse. Todd mi sembra inquieto. Forse ha preso qualche droga. Stacey finita alcolizzata, ma Todd che finito tossico. Secondo Mark, Todd ha uno stile di vita che si pu sintetizzare nella frase alzati e cammina. Todd comincia a giocherellare con i pulsanti di un walkie-talkie Motorola che ha preso da sopra un cumulo di dischetti da Macintosh. Fuori, in Commercial Drive, gli adolescenti si dedicano al dragsterismo. Gli artisti da strada elettrificati dai troppi espresso starnazzano il tema dalla colonna sonora di &Jeopardy! con voci da gatto randagio. C' una sensazione di caos multicolore, rassicurante. Un caos percorso da un sottofondo inquietante di casualit. Parliamo un po' dei vecchi tempi, ma Todd non pare pi interessato di tanto. Sono l'unico della vecchia compagnia con cui ha ancora contatti, e solo perch mi sforzo io di mantenerli. La possibilit che un bel giorno possiamo ritrovarci tutti e sette pi o meno fuori discussione. Ma poi, ogni tanto, il Todd di sempre riesce a tornare alla luce, riemergendo dalla nebbia degli stupefacenti e dal generale degrado della sua vita, e a quel punto capisco la ragione per cui mi sforzo tanto di restare in contatto con lui col passare degli anni. Per esempio, gli domando a cosa pensa quando si trova a piantare alberi nuovi nelle radure lobotomiche del nord. Lui risponde con un ringhio e una risata (oh, che capolavoro di odontoiatria, la sua bocca!) e dice: Ai soldi, amicoski, ai soldi e poi si blocca e riprende: No, sai bene che non vero. Lo sai benissimo che era solo una pessima battuta. Vuoi veramente sapere a cosa penso quando sono in giro da quelle parti?. S. Penso a questo''' penso a quanto duro, anche con tutto il desiderio, con tutta la volont e il tempo del mondo''' penso a quanto difficile raggiungere quel punto dentro di noi che si mantiene puro, quel punto che non riusciamo mai a sfiorare ma che sappiamo esistere. E cerco di raggiungerlo. Poi sistema un po' di tabacco Drum su una cartina e stringe gli occhi. Amico, che altro si pu fare? Non sono mai riuscito a toccarlo, quel punto, ma continuo a provarci. Accende la sigaretta e medita. Poi si allunga verso di me, che sto sul sedile del 737, mi afferra per una spalla e mi posa l'altra mano sulla testa, e di colpo tira fortissimo, come per estrarmi lo spirito dal corpo strappandolo fuori dal cranio, lasciandomi di sasso. Mi guarda e dice: Eccoti qua. C' questa cosa di carne che hai, il tuo &cadavere, e invece qui c'''' fissa la mano con cui stringe ipoteticamente il mio spirito ''' ci sei &tu. Mi gira la testa. Mi sento come se Todd mi avesse spaccato in due. Cosa sei &tu, Scout? Qual il tuo &tu? Qual il legame? Dov' che cominci &tu, e dove finisci? Questo &tu''' cos'? Un filo invisibile tessuto dai tuoi ricordi? uno spirito? Energia elettrica? Cosa esattamente? Dopo di che mima il gesto di reinserirmi delicatamente lo spirito dentro al corpo, e io mi sento sollevato. Poi mi batte piano sulla testa. Niente paura, vecchio. Sei di nuovo tutt'intero. Non ti manca nulla. Per qualche momento stiamo seduti ad ascoltare il silenzio. Poi Todd parla di nuovo. Dice: Oh, certo, lo so che secondo voi la mia vita ridicola e non sto andando da nessuna parte. Per sono felice. E non mi sento mica sperduto, o altro del genere. Noi siamo troppo stronzi borghesi per riuscirci. Sentirsi sperduti vuol dire che &prima avevi una fede, o qualcosa del genere, e la borghesia non ha mai avuto nessuna fede. Per cui sentirci sperduti impossibile per definizione. Adesso dimmi tu, Scout: dato questo, com' che ci sentiamo? Se non sperduti, allora come?. Per concludere: Kristy. La incontro ogni giorno al lavoro, alla compagnia di software: un cubo luccicante color smeraldo nella zona industriale di Richmond,

nelle pianure del delta lungo la Highway 99. Lei sta all'ufficio marketing e io alle vendite, per cui abbiamo modo di interagire spesso, sia a livello aziendale sia personale, e alle riunioni, quando ci troviamo dai lati opposti della sala, ci scambiamo un complicatissimo linguaggio gestuale fatto di battutine e risate represse. Facciamo i buffoni tutte le volte che ci possibile. Al momento Kristy in preda a una folle passione per il proprietario dell'azienda, Bryce. La faccenda va avanti da almeno sei mesi. E nonostante l'azienda sia di per s uno smisurato distributore di pettegolezzi, l'unico a saperlo sono io. Il guaio di Kristy sta nel fatto che riesce a invaghirsi solo di uomini che considera pi intelligenti di lei, cosa che ha automaticamente escluso Todd, Dana, Mark e me ormai da anni. E ha escluso anche un sacco di altri. Bryce un fanatico del software, per cui immagino che questo lo renda superiore. E pensa che anche sposato aggiunge Kristy davanti a un gin tonic al circolo sportivo del quartiere all'ora di pranzo, un locale immerso in un odore di cedri, salviette di spugna e colonie per uomo iperpubblicizzate. Per cui attraente il doppio. Conviene notare che Kristy equipara matrimonio e intelligenza, nonostante faccia un'enorme fatica a immaginarsi in abito da sposa. Una delle maggiori preoccupazioni di Kristy quella di perseverare nel suo desiderio di uomini irraggiungibili tanto che un giorno, be', per citare le sue parole testuali: Un giorno la mia capacit di innamorarmi si atrofizzer, o qualcosa del genere, e allora dovr sostituirla con il sentimentalismo. Hai presente, cose tipo fare scarpine all'uncinetto per i bambini di mia sorella, mettersi a frignare per un cucciolo, stravolgersi a Natale e mettersi vestiti rossi e verdi, o decorare la specchiera a &dcoupage. Se mai dovesse succedermi una cosa simile, Scout, ti prego in ginocchio: telefona subito all'Esercito simbionese di liberazione e mandalo a sequestrarmi. Comunque sia, Kristy ha un ruolo ulteriore in questa storia, per cui torner a lei pi avanti. Ma per il momento credo sia meglio raccontare com' che mi ritrovo dentro questa tenda, in giacca e cravatta, nel mezzo della foresta. E forse sarebbe il caso di parlare un po' di me, cosa che fino a questo momento ho evitato. Qualche informazione sul mio conto: mi considero una persona spezzata. Dubito spesso della strada che ho intrapreso, e mi trovo a ritornare continuamente col pensiero sui diversi compromessi della mia vita. Ho un posto precario e vagamente di merda all'interno di un'azienda priva di qualsiasi moralit, che mi permette di non avere problemi di soldi. Mi adatto a intrattenere mezze relazioni per paura della solitudine. Ho perso la capacit di ritrovare le sensazioni della mia giovent, molto pi pure, per dedicarmi anima e corpo a una grettezza e una meschinit con cui mi illudevo di arrivare in cima. Che ridere. Dicono che la vita sia fatta di compromessi, eppure mi sento male ogni volta che cerco di accettare le conseguenze dei miei, come le pasticche gialle o l'insonnia. Ma immagino che non sia una grande scoperta. Non per dire che ho una brutta vita. So che non cos''' ma la mia vita di oggi non affatto quella che speravo da ragazzo. Forse voi riuscite ad affrontare il problema meglio di me. Forse avete avuto la fortuna di non trovarvi perseguitati da una voce interiore che criticava ogni vostro passo, o magari avete risposto a quella voce e siete emersi dalla parte opposta. Non mi sento affatto triste per me stesso. Sto solo imparando a fare i conti con quella che mi sembra la verit sul mondo. Altri pensieri: a volte mi domando se non troppo tardi per provare le stesse emozioni degli altri. Ogni tanto vorrei fermare il primo che incontro per strada e dirgli: Cos' che provi :&in pi di &me? Per favore, non chiedo di sapere altro. Magari penserete che ho bisogno solo di innamorarmi e non ho ancora trovato la persona giusta. O magari, semplicemente, non ho mai capito cosa volessi fare esattamente della mia vita con il trascorrere del tempo. Comunque sia.

Come quasi tutti, mi capitato varie volte di toccare il fondo: per esempio in una stanza d'albergo, in citt che non ricordo, magari steso accanto a un'altra persona nuda, trovandomi a fissare il telefono senza nessuno da chiamare. E ho subito anche assuefazioni di vario genere, che mi hanno fatto perdere mesi e anni di tempo, ma alla fine credo di essere riuscito a superarle mantenendo intatti quasi tutti i neuroni. E poi, del resto, che importanza ha? A volte mi addormento con il desiderio di fondermi all'universo nebbioso dei sogni e non tornare mai pi nel mondo reale. A volte ripenso alla mia vita e rimango stupito nel pensare a quanto pochi siano stati i miei gesti compassionevoli. A volte penso che dev'esserci per forza un'altra strada da poter imboccare, una strada che allontani da quel tipo di persona che sono diventato contro la mia volont o per inerzia. Ma poi mi viene in mente questo: alle cene di famiglia, mamma e pap raccontavano spesso del loro primo incontro. Un giorno mamma, per andare in biblioteca, aveva preso una strada diversa da quella consueta, e aveva visto pap. Si erano scambiati un sorriso, e avevano rotto il ghiaccio. una storia molto commovente, e non ci stancavamo mai di sentircela ripetere e ripetere, assaporando i dettagli del loro personale mito della creazione: che vestito indossava mamma quel giorno, quali libri avevano sottobraccio, la prima bibita insieme. Nostro padre firmava sempre l'epilogo dicendo: Provate a pensarci, ragazzi. Se quel giorno vostra madre fosse andata in biblioteca per la sua solita strada, oggi non sareste qui!. Ho riflettuto molte volte su questa dichiarazione di mio padre, e pi ci penso e pi mi sembra assurda. So per istinto che in un modo o nell'altro io sarei qui comunque; per qualche motivo inspiegabile, ho la sensazione che non mi sarei perso la mia nascita per niente al mondo. Per cui dev'esserci un tornaconto in questa esperienza. Comunque sia, ora vi spiego com' che mi ritrovo in questa tenda al buio e sotto la pioggia sulla costa occidentale di Vancouver Island: la settimana scorsa sono andato a New York in viaggio d'affari insieme ad altri due colleghi dell'azienda, Cameron e Shiraz. Prendevo ancora le pasticche gialle. Non stato un viaggio emozionante. Niente aperitivi con Angie Dickinson a cavalcioni delle aquile sul grattacielo della Chrysler, o cose simili: solo una successione infinita di riunioni e terrore, circondato da faine ossessionate dalle gerarchie aziendali; cene di lavoro con rappresentanti ubriachi, poi un seminario motivazionale assolutamente isterico, e in mezzo a tutto questo scappatelle furtive nella Eighth Avenue insieme a Cameron, diretti ai locali porno. L'agenzia di viaggi scelta dall'azienda era riuscita a localizzare le stanze d'albergo pi microscopiche e a basso prezzo di Manhattan, stanze che puzzavano come scantinati. Il poco sonno che riuscivo a rubare era sempre interrotto dal brontolio continuo del traffico gi in strada. Vita da commesso viaggiatore. In quel periodo, peraltro, iniziavano i preparativi per il giuramento presidenziale, e gran parte dei notiziari del fine settimana riguardava le cerimonie che si sarebbero svolte a Washington il mercoled successivo. Per qualche ragione misteriosa, mi ero trovato a prestare pi attenzione a questo particolare evento che ad altri. Non mi considero politicamente impegnato; da canadese, vedo la politica americana con un certo distacco. Eppure mi trovavo sulle lenzuola muffose della mia camera d'albergo a seguire gli innumerevoli cicli di notiziari Cnn fino a notte fonda, con il clamore delle sirene che veniva dalla strada, a riflettere sul passaggio di consegne che stava per formalizzarsi nella capitale pi a sud. Mi chiedevo come sarebbe stata la cerimonia vera e propria. Era come pensare a un'incoronazione, come dire: il re morto, lunga vita al nuovo re. Mi veniva in mente un corteo di trombettieri che suonava una fanfara, una folla di sudditi, un mondo improvvisamente rinnovato da quella cerimonia d'investitura. Pensavo a tutte queste cose nella nebbia mentale delle pasticche gialle. Pensavo che la cerimonia d'investitura doveva rappresentare qualcosa di molto importante, se l'idea riusciva a emergere cos netta dallo stato confusionale in cui mi trovavo.

Marted mattina sarei dovuto salire su un taxi e farmi portare al Laguardia per prendere l'aereo che mi avrebbe ricondotto a Vancouver. Invece sono riuscito a sorprendermi percorrendo i dieci isolati fino alla biglietteria Amtrak di Penn Station, dove ho comprato un biglietto per il diretto Metroliner per Washington, Dc. Ho razionalizzato questa mia decisione istintiva dicendomi che era l'unica occasione che avrei avuto in vita mia per assistere a uno spettacolo del calibro di un giuramento presidenziale. Credo di non averci pensato in altri termini. Dal telefono pubblico sul treno ho chiamato Allan, un vecchio compagno di universit di mio fratello che lavora alla Banca Mondiale: un solitario che aveva trasformato la sua stanza di dormitorio all'universit della British Columbia in un museo dedicato a &Star &Trek. Allan ha detto che gli avrebbe fatto piacere avermi come ospite, e con mia grande sorpresa ho scoperto che quella sera aveva addirittura compagnia. Mi ha anche invitato a collassare sul pavimento del soggiorno di casa sua, se volevo, e allora ho pensato che se lui non mi avesse invitato io non avrei neanche saputo dove dormire a Washington. Non ci avevo nemmeno pensato. E cos sono arrivato a destinazione. Allan abitava in un appartamento al terzo piano sulla Collina del Campidoglio, alle spalle del palazzo, e ho scoperto che il suo fanatismo per &Star &Trek non era scomparso, si era semplicemente aggiornato alla nuova serie di episodi televisivi. Gli amici di Allan sono arrivati verso le sette e mezzo: si trattava dei suoi compagni di gioco di Dungeons & Dragons. Hanno trascorso l'intera serata a discutere di teschi magici e livelli e sovrani e incantesimi e spade e maghi. Come beveraggi c'erano acqua di rubinetto, polvere per gelatine di frutta e gin. Devo ammettere per che la serata era divertente: mi trovavo da straniero in una citt sconosciuta in mezzo a gente amichevole. Come se il mio passato non esistesse pi, come se non esistesse quella mia vita parallela in cui avrei dovuto gi trovarmi su un jet dodicimila metri sopra l'Idaho, diretto a Vancouver per fare ritorno a una vita che ero sempre pi incapace di comprendere. Mi sentivo come se stessi vivendo la vita di un estraneo. Per la prima volta da anni, cominciavo a sentirmi protagonista di un racconto. Volevo quasi rinunciare a dormire quella notte, per paura che la sensazione sparisse. Mi sentivo cos diverso che per la prima volta da mesi a quella parte ho deciso di non prendere le pasticche gialle. Ho dormito come un sasso, e nel corso di quella notte la concentrazione di pillole nel sangue calava lentamente, un milligrammo dopo l'altro, come un decadimento radioattivo. La mattina dopo, quella del giuramento, mi trovavo seduto sul parquet sconnesso del soggiorno nella luce del sole che penetrava dalle finestre, a scaldare il gatto siamese che mi stava arrotolato sulle gambe. Gli grattavo il torace fissando le particelle di pulviscolo scintillare nell'aria. Ho guardato la cerimonia alla Cnn insieme ad Allan. Il gatto mi saltato via dalle gambe, si stirato arcuando la schiena e poi si messo sul davanzale a guardare fuori dalla finestra. Le strade erano silenziose, in quella zona della citt, in contrasto con la giornata precedente, gremita di cori scolastici venuti dall'Illinois e delle loro prove d'orchestra, furgoni delle troupe televisive dei canali via satellite, ricetrasmittenti di uomini dei servizi segreti che si chiamavano a vicenda, gente che faceva jogging e cani che abbaiavano. Quel giorno, invece, tutto il movimento era dalla parte opposta del Campidoglio. Dopo avere assistito alla fine della cerimonia, siamo scesi in strada per vedere se saremmo riusciti a scorgere l'elicottero dell'ex presidente alzarsi dal Campidoglio, e l'abbiamo individuato davvero. Le altre persone dalle case circostanti avevano avuto la stessa idea, e cos ci siamo trovati tutti sotto il sole caldo di gennaio, in mezzo a una strada senza automobili a guardare l'elicottero che saliva, rimaneva sospeso in aria e poi si allontanava, come l'astronave di un alieno in un film di fantascienza. Nel tornare a casa di Allan, ho osservato i giardinetti che fronteggiavano le abitazioni: quell'anno le gelate non avevano fatto grandi danni, e il suolo cittadino sbocciava di narcisi ed erba cipollina e denti di leone.

Poi mi sono messo giacca e cravatta e sono sceso in Pennsylvania Avenue, dove tutti i cittadini erano accalcati dietro le transenne per aspettare la grande parata. C'era un clima da maglione estivo, e i cittadini erano su di morale. Tossici con una carnagione del colore dei frapp alla vaniglia avevano in testa i loro berrettini da baseball migliori, e reginette di bellezza cariche di fiori divoravano bagel presi dai venditori ambulanti. La gente dei sobborghi che si era avventurata nella grande citt portava addosso piumini e giacche a vento, mentre i vecchi indossavano soprabiti di tweed e cappelli sgargianti. Dovunque guardassi c'era la sensazione che quello non fosse un giorno come gli altri, che solo per una giornata la citt fosse aperta a tutti e senza pericoli. E che rumore! Il ruggito della folla! Gli applausi, le urla di gioia! Una bellezza assordante. Mi sono fatto strada tra la folla davanti all'ambasciata del Canada, al 501 di Pennsylvania Avenue, proprio mentre aveva inizio la parata. Quando il presidente in persona ci passato di fronte, gli agenti dei servizi segreti erano dappertutto. In quel momento, un ragazzo di una squadra di basket universitaria di Rockville, Maryland, ha sollevato una vecchietta su una sedia a rotelle in modo da far vedere il presidente anche a lei, e gli applausi si sono fatti estatici. Dopo il passaggio del presidente arrivata una banda, e la musica mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Mi sono ricordato che c'era una guerra in corso, e quella musica era come il memento della bellezza che spesso accompagna la devastazione. E poi di colpo mi sono reso conto che sentivo''' be', che stavo &provando &emozioni. Dopo mesi di pasticche e di piacevole nulla, alla fine la mia personalit stava facendo ritorno. Solo un poco, perch tutto sommato era da un giorno che avevo smesso di prendere le pillole, ma la mia essenza riprendeva gi il controllo, per quanto debolmente. Mi sentivo un nodo alla gola, e cos ho trascorso il resto della giornata a camminare per quella citt strana e bellissima, a ricordare me stesso e come mi sentivo prima di spegnermi, prima di far tacere le mie voci interiori. Il tutto continuato nella notte. Ho cenato a un Burger King. Quando sono rientrato a casa di Allan, esausto, lui era gi addormentato. Per tutto il viaggio di ritorno, il giorno dopo, ho recuperato gradualmente, come acqua che gocciola in un bicchiere, una goccia dopo l'altra, e intanto il jet sorvolava l'Idaho, per riportarmi a casa dopo quel breve interludio sulla costa orientale, in un mondo radicalmente diverso. Alle nove e mezzo della sera successiva ero di nuovo a Vancouver, nel mio appartamento di Kitsilano, un quartiere panoramico con vista sull'oceano, trafficato di jeep, che sembrava uscito dalla pubblicit di una birra. Sono entrato in casa, ho chiamato l'ufficio dandomi malato, ho staccato il telefono, tirato le tende, chiuso a chiave e me ne sono andato a letto. Per tutta la settimana successiva ho messo il naso fuori solo per far visita alla gastronomia hippie dietro l'angolo a comprare tofu, verdure, succo di &Rubus &Ursinus e latte di soia. Mi sono abbandonato ai ricordi, ricordi di fotografie viste anni prima, case sommerse dagli allagamenti nella British Columbia settentrionale durante le grandi installazioni idroelettriche degli anni Sessanta. Decenni pi tardi, con l'abbassarsi del livello dell'acqua, queste case spettrali riemergevano in mezzo al fango e a cumuli di pesci che si dibattevano nelle convulsioni della morte per asfissia. Mi sentivo come se mi trovassi a camminare dentro una di quelle case bizzarre, che ora era diventata casa mia, e stessi appendendo quadri alle travi di legno ingrigito e smangiato, sistemando tappeti persiani sui pavimenti slabbrati, ridipingendo le mura sbrecciate in colori molto luminosi, riaccendendo il caminetto sommerso in fondo al mare per tanti anni. Non avevo mai immaginato di diventare un giorno la persona strana che ero, ma ero fermamente deciso a capire chi fosse quella persona. E cos me ne sono rimasto seduto in casa, in clausura per una settimana, a disintossicarmi dalle pasticche, a pensare e sognare in solitudine. Come succede a tutti noi, immagino.

Solo stamattina, mercoled, una settimana dopo il giuramento, ho fatto ritorno al mio vecchio ufficio, nella zona industriale di Richmond sulla Highway 99, fermandomi prima a prendere un paio di ciambelle al Lansdowne Mall, assaporandone l'artificialit zuccherina dopo una settimana di pietanze macrobiotiche hippie. Ma appena entrato nel parcheggio dipendenti, con la sua guardiola di vetro color acquamarina, sono rimasto paralizzato dentro la macchina, a tre posti di distanza da quello riservato a me. Stavo malissimo, non potevo uscire. Ero in tenuta da lavoro, perch ero convinto che ce l'avrei fatta, ma alla fine non sono riuscito a venir fuori dalla macchina per dirigermi al palazzo. Dopo circa mezz'ora, dall'ingresso principale comparsa Kristy con due bicchieri di polistirolo pieni di caff, entrata in macchina e si seduta accanto a me. Mi ha domandato che novit c'erano e ho detto: Oh, be'''' sai, sto vivendo, direi che questa la novit. E ha chiesto: Ti fai crescere la barba?. Ho detto: Be', s. Dopo un silenzio colpevole, ha chiesto: Hmmm, Scout''' non che magari stai progettando di far pratica di cecchinaggio su noi poveri dipendenti al lavoro, vero?. Ho detto: No. Non questa settimana, almeno. Niente bagni di sangue innocente? Niente carneficine? No, mi spiace. Be', meno male. Che sollievo. Si controllata il trucco nello specchietto dell'aletta parasole. Erano tutti a guardarti dalle finestre e a domandarsi se per caso tenevi un Uzi nascosto nel bagagliaio. Ti senti ancora non-male? Non come prima. Bene. Siamo rimasti seduti a bere il caff e a guardare il palazzo aziendale. Le vetrate erano a specchio, per cui non riuscivamo a vedere dentro, ma vi si riflettevano le nuvole: nuvole panciute, quelle in cui si fa presto a riconoscere sagome di animali. Ho domandato a Kristy che c'era di nuovo in ufficio e lei mi ha risposto che la Ricerca e Sviluppo aveva intenzione di dare il via a un progetto per un nuovo sistema di memorizzazione battezzato a Cristalli Gustativi, cio in cui i dati venivano immagazzinati a cellule, un po' come nelle spremute d'arancia o qualcosa del genere. Non sono sicura di avere capito bene. Sono rimasto in silenzio, e il nostro sorseggiare caff dalle tazze di polistirolo era deprimente. Kristy ha detto: Sai, Scout, mi sa che ora di cominciare uno dei nostri viaggi terapeutici. Che ne dici?. Le ho risposto di s. Ho acceso il motore, sono uscito dal parcheggio in retromarcia e mi sono diretto verso il fiume, in direzione delle campagne coltivate. Tenevamo strette le nostre tazze di caff, mentre guidavo appena sotto il limite di velocit con gli occhi rivolti alle fattorie circondate da mirtilli e lamponi sotto il sole grigio di gennaio e i vecchi granai cadenti. Era bello muoversi. Era bello non trovarsi nei pressi dell'ufficio. Era bello stare con Kristy. L'alta marea era passata, e cos abbiamo fermato la macchina per cercare rifiuti portati a riva dalle correnti. Ci trovavamo nel punto in cui il Fraser River incontra l'oceano, e l'acqua dolce del fiume diventa salata. C'erano rami e pezzi di plastica e tronchi vecchi e frammenti di barche incagliate e porte in legno. Cumuli e cumuli di detriti a perdita d'occhio. Forse lo spettacolo dei granai in rovina e dei rifiuti abbandonati dalla corrente ha fatto venire in mente a Kristy la vecchiaia. Ha domandato: una cosa solo mia, Scout, o il tempo sta diventando bizzarro anche per te?. In che senso? Smuovevo con un bastone una vecchia cornice. Cio, per te una giornata ancora una giornata, o ti schizza via di dosso come una pallottola? Anche per te il tempo passa troppo in fretta? Forse s. Secondo me lo spirito dell'epoca. Tutte queste macchine che ci circondano. Le segreterie telefoniche, i videoregistratori. Il tempo sta collassando. Una volta pensavo che il tempo fosse come un fiume ha detto, saltando da un tronco morto all'altro e che scorresse sempre alla medesima velocit in ogni circostanza. Ma ultimamente mi capita di pensare che perfino il tempo ogni tanto rompe gli

argini. O che semplicemente non lo si pu pi immaginare costante. E adesso mi sento come se il fiume fosse uscito fuori e io mi trovassi in mezzo all'ondata di piena. Ho detto che il tempo era legato alle emozioni. Forse il tempo sembra durare di pi con l'aumentare del numero di emozioni che una persona prova nella vita quotidiana. A mano a mano che si invecchia, si provano meno emozioni nuove, per cui il tempo sembra passare pi in fretta. Cristo, che depressione ha detto Kristy. Abbiamo attraversato la distesa argentata di relitti lasciati dall'alta marea, spostandoli di tanto in tanto. Kristy mi ha domandato: Scout, ti capita mai di pensare che forse una persona pu arrivare &oltre l'amore?. Chi, io? No, parlavo di &me. A volte mi chiedo se non sto diventando una vecchia zitella acida. Ho tirato un bastoncino a un cane immaginario. Ne dubito. A quanto vedo, l'amore sempre in agguato dietro l'angolo. Magari diventerai una di quelle donne che si invaghiscono dei serial killer in galera. Grazie tante. Era una di quelle conversazioni in cui si guarda il panorama, non l'interlocutore. Ho detto: S, certo, capita anche a me di preoccuparmi di essermi lasciato l'amore alle spalle. O meglio, di chiedermi se sono mai stato in effetti capace di amare. Stamattina mi sono svegliata prestissimo ha detto Kristy e ho pensato: "Be', figlia mia, proprio tutto qui? Altri quarant'anni di quest'andazzo? Qualcosa deve cambiare, bimba. Deve cambiare qualcosa". Ed vero. Deve. Ho bisogno di qualcosa. O forse ho bisogno di liberarmi di qualcos'altro. Ma deve cambiare qualcosa &subito. Non posso andare avanti cos. Ti sei disamorata di Bryce? Non ancora. Ma succeder presto, arriver presto quel momento in cui l'Altro si trasforma in un estraneo stucchevole e io non riesco a capacitarmi di come abbia fatto a mettermi con un perdente del genere. Diavolo, certo che sei ottimista. Per la verit. Pi passano gli anni e pi mi rendo conto che non ho voglia di lavorare su relazioni che so fin dall'inizio che non funzioneranno. Mi dici che razza di vecchia stronza sono? Forse una vecchia stronza con le idee chiare ho azzardato. Abbiamo camminato ancora, e poi da Kristy arrivata una confessione. La mia paura peggiore di sposarmi e poi disamorarmi. La scoperta dell'acqua calda, Kris. Questa la paura peggiore per chiunque. Ce l'hanno tutti. Ma quasi tutti la superano. Ero sorpreso che Kristy mi volesse confessare una preoccupazione che, detta da lei, pareva quasi ingenua. Abbiamo camminato ancora, fissando gli uccelli che becchettavano fra le schegge di legno mentre noi becchettavamo i rifiuti in mezzo a loro. Kristy ha domandato: Non ti fa paura l'idea di trovarti semplicemente a &cavartela nella vita?. Come no. E come la affronti, quest'idea? Fino a poco tempo fa, direi che non riuscivo ad affrontarla per niente. C' stata una pausa, e poi Kristy si girata sorridendo verso di me. La settimana scorsa tu non eri malato sul serio, vero, Scout? Tecnicamente, no. E dov'eri? A casa. A pensare. Vuoi dire a lucidare il fucile? A parlare da solo? A farneticare di complotti? No, a pensare e basta. Sai, sono stato a Washington, dopo New York. Ad assistere alla cerimonia del giuramento. Hai visto qualche celebrit? No. Hai parlato col presidente? No. Perch ci sei andato? Non saprei. Ma c'era qualcosa che dovevo assolutamente vedere''' la riprova dell'esistenza di una persona, o altro, di pi che umano. E poi? E poi''' sono tornato a casa e ho finito per passare tutta la settimana in clausura. A pensare. Sapevo bene che Kristy non vedeva l'ora che le raccontassi a quali conclusioni ero arrivato, ma mi vergogno a dire che rivelarglielo mi imbarazzava troppo. Invece ho cambiato discorso. Ti ho mai raccontato ho detto di quella volta che sono andato a Stanley Park a pattinare con Mark, l'anno scorso? No. C'era una comitiva di ciechi, con tanto di bastone bianco e tutto il resto, forse in gita con l'Istituto nazionale per i Non Vedenti o qualcosa del genere, e ci hanno sentiti arrivare e ci hanno fermati. Hanno dato a Mark una macchina fotografica e gli hanno chiesto di fotografarli. Dei ciechi? Esatto. La cosa strana che credevano ancora nella vista. Nelle fotografie. Comincio a pensare che in fondo non sia un atteggiamento sbagliato. Era piacevole starsene a gironzolare con Kristy in quel modo. Mi faceva tornare in mente i vecchi tempi, quando embrioneggiavamo tutti insieme in piscina. Le ho

parlato di una delle mie fantasticherie preferite: rimanere in coma per un anno e poi risvegliarmi con un anno intero di notizie arretrate da aggiornare.Anche a me piacerebbe! ha gridato. Pensa, cinquantadue numeri interi di &People da leggere tutti insieme! Praticamente come l'eroina. Un'overdose di informazioni. Siamo tornati in macchina, e Kristy era ancora fissata con &People. Ti sei mai chiesto chi verr ricordato fra mille anni? Cio, secondo te &ci &azzeccheranno? Cio, immagina: ":&In quell'epoca viveva la Grande Madonna Ciccone, cos splendente da occupare una reggia al cinquecentesimo piano dell'Empire State Building. La Divina beveva mille Pepsi al &giorno". Sar una cosa del genere? Le ho risposto che molto probabilmente in futuro verranno ricordati Einstein, Marilyn Monroe e pochi altri. Poi invece ho cambiato idea. Ho detto: Sai cosa verr in mente fra mille anni, secondo me, quando si penser a quest'epoca? La ricorderanno con meraviglia e stupore. Penseranno a Stacey, o a qualcuno come Stacey, mentre sta al volante della sua cabriolet lungo l'autostrada con i capelli al vento. Stacey che guida in bikini, subito dopo avere preso una pillola contraccettiva, diretta a comprare un appezzamento di terreno. Secondo me sar questo che verr in mente a chi penser a quest'epoca. La libert. Penseranno che la nostra vita era sospinta da un sogno meraviglioso di libert. Sembra quasi impossibile immaginarsi mille anni ha detto Kristy. Forse gli esseri umani non riescono a immaginare pi della durata di una vita umana. Forse hai ragione. Secondo me ci sono concessi solo determinati punti di vista sul tempo, in quanto esseri umani. E mi sa che non sono neppure quelli giusti. Forse il tempo tutt'altro. Per cui credo non sia il caso di farsi prendere dal panico. Ehi, quella storia che sei rimasto in clausura una settimana era proprio vera, eh? Forse meglio se ti riporto nell'Impero del Male ho detto. Qualche minuto pi tardi sono rientrato nel parcheggio davanti all'azienda. Kristy ha posato sul cruscotto la sua tazza di polistirolo, sfregiata di unghiate e macchie di rossetto. Mi sembra di capire che non torni al lavoro ha detto. No, mi sa di no ho detto. C' qualche motivo in particolare? La clausura, sai. Fa vedere la vita con occhi diversi. Posso venire a trovarti nei prossimi giorni? Quando vuoi. In quel momento la Porsche di Bryce ha fatto il suo ingresso nello spiazzo. Kristy l'ha guardata. meglio che vada. Mi ha baciato sulle labbra. Sai una cosa? Comincio a pensare che forse sei pi intelligente di me. Ci sentiamo presto. Dopo di che tornata in ufficio zampettando. Ma la foresta''' la foresta''' come ho fatto a ritrovarmi dentro questa tenda fradicia nel mezzo del nulla? Vi ho raccontato una parte della storia. Ma c' dell'altro. andata cos: decenni fa, mio padre si portava dietro me e i miei numerosi fratelli e sorelle in gita quando andava a pescare nel nord della British Columbia. Ai tempi, eravamo tutti giovani quanto bastava perch le esperienze quotidiane iniziassero a tramutarsi da semplici sogni in ricordi, ricordi indelebili. Io temevo queste scampagnate pi di ogni altra cosa al mondo, perch, come molti bambini, le consideravo semplicemente un inesplorato terreno di prova a disposizione dei miei fratelli e delle sorelle maggiori per escogitare nuovi e pi creativi metodi per torturarmi. Non c' bisogno di dire che invece loro li adoravano, quei viaggi nelle profondit pi remote del Nulla; lontani dal conforto della televisione e dei centri commerciali e delle pietanze calde. La British Columbia, a quei tempi, era molto pi inesplorata, perfino negli anni Sessanta. Sono passati anni, e le molestie familiari, qualunque fossero, sono da tempo dimenticate. Ma nella mente mi rimane il ricordo dei paesaggi in cui ci addentravamo: le montagne scabre, i fiumi in piena, la smisurata purezza. Rimane anche la convinzione incrollabile che le zone del mondo non ancora esplorate siano senza dubbio molte pi di quelle che siamo convinti di conoscere. E cos, fatto ritorno alla mia casa di Kitsilano, dopo aver guardato il mio appartamento triste e ascoltato il sottofondo del traffico in strada, sono stati

proprio questi ricordi a farmi ritirare ulteriormente in me stesso, a farmi partire verso la foresta. Finch esiste qualche territorio inesplorato, capisco che esiste una parte di me molto pi vasta, e che posso visitarla in qualsiasi momento: ampie distese selvagge che chiedono solo di venire percorse e in cambio santificano. Ed per questo che stasera mi ritrovo in questa foresta, in questa tenda inzuppata: per un impulso, un impulso incontrollabile oltre che, viste le mie condizioni disagiate al momento, molto mal pianificato. Ma non ha importanza. E ora vi racconter la mia fuga dalla citt: sono schizzato come una pallottola verso il guardaroba in anticamera e poi in cucina, per riempire una vecchia borsa blu da ginnastica con vestiti pesanti, berretti da baseball, una scatola di cracker Ritz, scarponi da montagna, una pila elettrica''' ho gettato la borsa sul sedile posteriore della mia Volvo disastrata, insieme alla vecchia tenda da boy scout, e sono partito senza ulteriori indugi verso Horseshoe Bay, a West Vancouver, a prendere il traghetto per Vancouver Island. Ho attraversato il centro per risalire cavalcavia attorcigliati come modelli di catene proteiche, in una brezza odorosa di pesce, oltrepassando i grattacieli, la torre della Cbc Tv e i vari totem e i turisti giapponesi che percorrevano mesti i marciapiedi, afflitti dal fuso orario. Poi ho attraversato il Lions Gate Bridge per raggiungere Burrard Inlet, dove i germani reali dormono nelle correnti d'acqua gelida in mezzo alle scie bianconere di orche assassine. A Horseshoe Bay, il traghetto stava proprio iniziando a caricare i veicoli, e cos sono salito per quei novanta minuti di traversata fino a Vancouver Island. Guardavo il cielo, le nuvole tonde che mutavano ad annunciare grandi piogge. A Nanaimo, dopo lo sbarco dal traghetto, ho imboccato la Trans-Canada Highway in direzione sud, e poi all'uscita di Duncan mi sono immesso sulla Pacific Oceanward, verso Lake Cowichan e poi Youbou con la sua cartiera. A quel punto la strada diventava di terra battuta, cosparsa di buche colme di acqua piovana come ematomi color latte. Una processione spettrale di ecologisti in cerate gialle e verdi marciava lungo la strada a mo' di coscienza critica. Ho guidato per due ore senza vedere altre automobili n i consueti convogli carichi di legname, ma a volte dal versante opposto della montagna mi arrivava il suono degli autocarri che scalavano marcia, come un ululato di dinosauro. I margini della strada erano cosparsi di rifiuti simili a ossa sparse lasciate dai boscaioli: tazzine di carta da caff, cartucce per ingrassatori a pressione, stracci, cavi d'acciaio e bombolette di vernice spray. Sentivo il pietrisco mitragliare il fondo della macchina. Ho attraversato un fiume color smeraldo liquido e mi sono diretto verso l'entroterra, su per le montagne, in mezzo alla nebbia. Ho percorso le stradine per taglialegna a finestrini spalancati, lasciando penetrare nell'abitacolo le raffiche di vento e gli spruzzi di pioggia: ho risalito tornanti, oltrepassato radure e foreste pluviali, legnaie, sempre con gli occhi rivolti alla strada per evitare tratti alluvionati e tronchi caduti. Mi sentivo come un vecchio con il morbo di Alzheimer, uno di quelli che salgono in macchina per andare all'angolo a fare la spesa e poi dimenticano la loro destinazione e li si ritrova dopo giorni a migliaia di chilometri di distanza. Dopo un'altra ora di questo vagare, ho visto un cartello segnalatore di una falegnameria: &Haddon 1000. Mi bastato quel numero magico per capire che mi trovavo esattamente dove volevo arrivare. Ho seguito una trasversale fino a una collina che terminava in un vicolo cieco. Un vicolo cieco adiacente a una foresta pluviale antichissima e solitaria. Se un tempo avevo considerato la vita come un interminabile viaggio in automobile, a quel punto ho capito che il mio viaggio era finito. Ho pensato a questo: ho pensato che un embrione non ha modo di sapere in anticipo in quale punto della Terra o in quale momento della storia nascer. Si limita a saltare fuori dal grembo materno e a riunirsi al suo mondo. Il paesaggio che avevo di fronte agli occhi era il mondo a cui mi riunivo, il mondo che mi ha reso quel che sono. Con questi pensieri in mente, sono uscito dalla macchina. Era tardo pomeriggio. Ho spalancato la portiera posteriore e recuperato la borsa da ginnastica. Ho estratto uno dei sacchetti verdi Gled per la spazzatura dal vano della ruota di scorta, ho aperto un buco in fondo e me lo sono infilato

addosso, aprendo altri due buchi per le braccia. Ho tolto le scarpe da ufficio e indossato gli scarponi da montagna, poi mi sono piazzato in testa un berrettino nero. Portando la borsa da ginnastica sotto un braccio e la tenda sotto l'altro, mi sono diretto verso il folto della foresta verde, a passi silenziati dal tappeto di muschio umido. Il cielo era senza respiro, privo di suoni: n motori, n aerei. Ogni superficie intorno a me esplodeva di vita, rigogliosa di marcanzia e felci. Ho visto tronchi di abeti Douglas caduti da secoli, biomasse ciclopiche come brandelli di cielo solidificato, un capitale di millenni di sostanze nutritive strappate al cielo che ora andavano a cibare le poliporacee e tutto un filare di abeti giovani. Di uno di quei tronchi ho cercato di contare gli anelli di accrescimento, ma ho rinunciato all'impresa appena risalito al Medioevo, prima di raggiungere l'epoca dell'Impero Romano o il giorno della nascita di Cristo. Il sottobosco era umido e lussureggiante. Mi sentivo sfiorare le guance dalle dendriti lanuginose delle clematidi verde chiaro. Mi addentravo sempre pi in profondit in quel grande organismo, quel grande cervello, immaginandomi di sentire rumori umani dove sapevo benissimo che non potevano essercene, e non riuscivo a credere che potesse esistere un silenzio simile. Dopo un'ora di cammino all'interno della foresta, mi sono fermato sotto un mastodontico abete rosso dalla corteccia grigia, butterata, simile a una pelle di squalo. Pi in basso scorreva un fiume limpido, freddo. E cos ho piantato la tenda e ci sono entrato proprio mentre il cielo andava oscurandosi, per preparare la mia storia, per prepararmi a raggiungere il mondo degli alberi e il loro sonno maestoso e parallelo. E questa la mia storia. Ora mi trovo qui, disteso sullo stomaco a guardare fuori, verso questo mondo buio e umido, stringendomi addosso la coperta e fumando una sigaretta, e capisco che sono arrivato alla fine di un momento particolare della mia vita; alla fine, ma anche all'inizio. L'inizio della scoperta di un segreto misterioso che mi verr rivelato presto. Per scoprirlo, devo soltanto chiederlo, e pregare. Spengo la sigaretta, richiudo l'ingresso della tenda e mi stendo sul telo a contatto con il terreno. Chiudo gli occhi e mi preparo a dormire, ma mi sento pungolare la schiena da qualcosa. Allungo le braccia fuori dalla tenda, nella pioggia, e le infilo sotto il telo di plastica che fa da pavimento, per estrarne un piccolo oggetto. Me lo porto dentro per esaminarlo: una pigna caduta da un abete. La annuso, cos fredda e umida, poi me la porto alla guancia. Poi allungo di nuovo il braccio fuori dalla tenda e pianto la pigna nel terreno, proprio sotto la tenda. col tempo che gli alberi crescono. Ora mi addormenter e dormir per mille anni, e il giorno del mio risveglio scoprir che un abete mi ha sollevato fino al cielo. E ora mattino. Esco dalla tenda avvolto nella coperta grigia, e alzo gli occhi verso le cime degli alberi. Rumori di uccelli. Rondoni? Gazze marine? Il cielo azzurro e limpidissimo. Mangio qualche cracker Ritz e un'altra stecca di cioccolato, e di colpo sento la bocca esigere acqua. Sempre con addosso la coperta e la mia tenuta da ufficio, percorro la distesa di muschio morbido fino alla riva del fiume che scorre sotto la mia tenda. Acqua limpida che fluisce su una strisciata di pietrisco; una macchia di ontani radunati in colonia a lato di un laghetto profondo. Mi inginocchio a sorseggiare l'acqua del laghetto. Alzo la testa e guardo la radura. Vedo il sole splendere nel cielo, una sfera di fuoco roteante, come una palla da basket fatta girare sulla punta di un dito. lo stesso sole, lo stesso globo infuocato che brillava sui giorni della mia infanzia. Sulle piscine in cui nuotavamo, sul Lego e i surgelati Kraft e i centri commerciali e la vita nei sobborghi e la Tv e i libri su Andy Warhol. La stessa sfera di fuoco che illumina Mark, che gli brucia la pelle e genera melanomi. Il fuoco che illumina Stacey, accaldandola e facendole desiderare un altro cocktail. E illumina Dana, il fuoco che un giorno far piovere morte e distruzione sul suo universo. anche il fuoco che illumina casa di Julie, e spinge i suoi figli a giocare con l'acqua. anche il fuoco che nutre gli alberi piantati da Todd. Nonch il sole

che Kristy, con la sua carnagione pallida, fa di tutto per evitare, in modo da rimanere sempre carina e trovare finalmente un uomo da amare per l'eternit. Guardo questa sfera di fuoco, il fuoco che brucia via l'inverno e lo riscalda, senza paura di accecarmi. Mi tolgo la coperta di dosso e la ripiego e la depongo sulle rocce calde accanto al fiume. Quindi mi tolgo scarpe e calze e infilo i piedi nell'acqua, e Dio mio, fredda davvero. Mi sfilo i vestiti ed entro nel laghetto poco lontano dal fiume gorgogliante, camminando sulle pietre levigate, in un'acqua cos limpida che sembra non esistere neppure. Ho la pelle grigia: poco sole, pochi bagni. E s, l'acqua gelida, quest'acqua che solo ieri era ghiaccio sulle cime delle montagne. Ma il dolore provocato da questo gelo non ha alcuna importanza. Mi tolgo pantaloni, camicia, cravatta e biancheria, che rimangono sparsi sul pietrisco accanto alla coperta. E sento ruggire il fiume che scende sopra di me. Oh, come ruggisce! Come una voce che conosce un solo messaggio, una sola verit incessante, come il battere di mani e le urla di gioia dei cittadini quando viene incoronato un re o al giuramento presidenziale, applausi di speranza e di gioia rivolti a quella voce, l'unica voce in grado di parlare a loro nome. Ora, il mio grande segreto questo: Ve lo rivelo con una sincerit che dubito di recuperare mai pi in vita mia, per cui spero che nell'ascoltare queste parole vi troviate in una stanza tranquilla e silenziosa. Il mio segreto che ho bisogno di Dio, che sono stufo marcio e non ce la faccio pi ad andare avanti da solo. Ho bisogno di Dio per aiutarmi a donare, perch sembro diventato incapace di generosit; per aiutarmi a essere gentile, perch sembro ormai incapace di gentilezza; per aiutarmi ad amare, perch sembro avere oltrepassato lo stadio in cui si capaci di amare. Mi addentro sempre di pi nell'acqua tumultuosa. Mi si contraggono i testicoli. L'acqua mi penetra nell'ombelico e mi gela il petto, le braccia, il collo. Mi raggiunge la bocca, il naso, le orecchie, con un ruggito assordante, il fragore di un battere di mani. Queste mani. Mani che guariscono, mani che stringono, mani che ci scopriamo a desiderare perch valgono pi di qualsiasi desiderio. Mi immergo completamente nel laghetto. Mi abbraccio le ginocchia dimenticando la legge di gravit e mi lascio galleggiare. Eppure, perfino cos, continuo a sentire il rumore dell'acqua, un fragore di battimani. Queste mani. Mani che accudiscono, mani che modellano; mani che sfiorano labbra, quelle labbra che pronunciano le parole. Le parole che ci rivelano integri. Fine...

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