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Storia della Canzone Napoletana
Un attento studio della storia della canzone italiana non pu prescindere
dall'analizzare la storia e l'evoluzione della musica napoletana, verso la quale
la musica nazionale in cos grande debito. Andando indietro nel tempo, solo
dalla fine dell'ottocento infatti si pu iniziare a parlare di musica
"italiana", prima di tale periodo la scena musicale era dominata dalla canzone
in dialetto, e dalla canzone napoletana in particolare.
#
LA NASCITA
#
Per risalire alle radici di quella che sar la musica "pop" partenopea dobbiamo
sprofondare nella notte dei tempi, addirittura nei secoli bui del medioevo, che,
per, per il nostro mezzogiorno, sotto il regno di Federico II erano forse meno
bui che per il resto della penisola. A quei tempi il Vomero non era ancora un
popoloso quartiere di Napoli, ma un colle rigoglioso di faggi e castagni
punteggiato da casali e da lavandaie che intonavano "villanelle" (cos venivano
chiamate le canzoni agresti a tema amoroso cantate a pi voci) che ancora
resistono nel repertorio popolare napoletano, e note appunto come Canti delle
lavandaie del Vomero. Siamo, come detto, verso il 1250. Di qualche tempo pi
tardi un altro pezzo ancora vivo nella memoria popolare, si tratta di
Michelemm, storia di una ragazza rapita dai pirati saraceni durante una delle
frequenti scorrerie sul litorale campano (Michela a mare, appunto), canzone a
ballo dal ritmo allegro nella quale si scorgono gi i caratteri della
tarantella, ballo che, pur se di origine pugliese come ben richiama il suo nome,
conoscer a Napoli le migliori fortune ( tuttavia controversa questa
interpretazione, attribuendo altri il nome tarantella al dimenarsi tipico di chi
viene morso da una tarantola, il "tarantolato" appunto). In questi brani va
comunque ricercato il passaggio tra "tradizione popolare" e canzone. La prima
infatti basata sull'oralit, nel senso che la sua creazione ed il suo
tramandarsi avviene sempre senza l'uso della scrittura. La canzone invece
legata ai meccanismi della produzione colta, con tanto di spartiti e testo
scritto, in questo senso i brani che abbiamo appena citato, provenienti
senz'altro dalla tradizione popolare, ma successivamente trascritti da letterati
e musicisti di estrazione accademica, sono da considerarsi il momento di
transizione tra la tradizione musicale orale e la canzone vera e propria.
Scorriamo quindi fino ai primi dell'ottocento, passando per altri motivi che
hanno lasciato tracce di se nella memoria collettiva, e non di rado sono stati
ripresi recentemente da gruppi della "new age" napoletana (si pensi a Lo
Guarracino, Cicerenella), brani come Fenesta vascia o Fenesta ca lucive, dai
versi definiti "altissimi" da Pier Paolo Pasolini, fino ad arrivare ad un altro,
importantissimo "punto di svolta" della canzone partenopea, nel 1839.
#
LA NONNA DI SANREMO E LA PRIMA "VOLARE"
#
Piedigrotta, 1839. Viene presentata una canzone che soggiogher letteralmente
Napoli, diventando addirittura per alcuni un ossessione. Si tratta di Te voglio
bene assaje, pezzo che ebbe un successo travolgente (se ne venderanno subito
180.000 copielle, fogli con il testo della canzone stampato), che veniva cantata
e fischiata davvero da tutti, al punto da indurre qualche napoletano ( successo
veramente, lo riportano le cronache dell'epoca) a lasciare la citt per non
rischiare di impazzire. Sulla nascita di questo brano fiorirono molti aneddoti,
chi raccont che il Sacco, affermato rimatore salottiero napoletano
improvvisasse questi versi nei riguardi di una signorina con la quale aveva
avuto una relazione, chi attribu la musica a Donizzetti. Ad ogni buon conto, il

brano, lasciatoci dal suo autore con testo scritto e firmato con nome e cognome,
rappresenta l'atto di nascita della canzone italiana d'autore. Come dicevamo, la
canzone ebbe un successo travolgente, ossessionante, sentite questi versi che il
barone Zezza, anche lui ormai ossessionato dal brano, ci ha lasciato, e che
recitano "Da cinche mise canchero / matina juorno e sera / fanno sta tiritera /
tutti li maram - Che ssiente add te vote - che ssiente add tu vaie - te
voglio bbene assaje - e tu nun pienze a mme!!!" che crediamo riescano ad
interpretare anche i non-napoletani.
Ma oltre al successo, questo pezzo ha il merito di lanciare l'usanza di
diffondere i nuovi pezzi in occasione della festa della Vergine. Il 7 settembre
di ogni anno, quindi, festa della Nativit di Maria, in mezzo a carri festanti e
luminarie, si presentano al pubblico i nuovi brani che gli artisti hanno
preparato per la stagione, in una vera e propria Sanremo ante litteram che
conoscer le pi alte fortune. E' nato il Festival di Piedigrotta, che dar
successo a pezzi celeberrimi quali Funicul Funicul, 'E spingole frangesi, 'O
sole mio.
#
L'INDUSTRIA DISCOGRAFICA DEL TEMPO
#
Ancora lontani i tempi della fonoincisione, interessante studiare come
venivano diffuse le nuove melodie che si componevano. Delle copielle abbiamo
detto, fogli volanti sui quali veniva stampato alla buona il testo della
canzone. L'editore (di solito anche tipografo) donava mille copie stampate
all'autore ed una quantit variabile in denaro a seconda del prestigio
dell'artista a titolo di diritto d'autore, le altre le affidava ad abili
venditori ambulanti che le piazzavano in giro per la citt. La popolarit del
brano veniva affidata anche a posteggiatori, musicanti girovaghi che operavano
in ristoranti di Napoli o nei locali alla moda che eseguivano i loro pezzi per
pochi spicci come una sorta di juke box umani, ma che non di rado facevano
carriera fino ad arrivare ad esibirsi nei pi noti teatri; diffusi anche gli
organetti o i pianini meccanici, di solito "installati" in botteghe di barbieri
o sartorie. Le "periodiche" erano i palcoscenici dei salotti napoletani,
riunioni nelle quali un poeta o un tenore declamavano i loro versi, comici
motteggiavano scherzosamente sui presenti e, quando il salotto ospitante era tra
quelli della Napoli "bene", si sorseggiava rosolio e si gustava un buffet
freddo, nelle case pi modeste si servivano (da qui la nota espressione)
tarallucci e vino.
#
LA SCENEGGIATA: NATA PER EVADERE LE TASSE
#
Anche la genesi di questo genere ha del curioso: nel dopoguerra, infatti, lo
Stato impone agli spettacoli musicali una forte tassa, allo scopo di
disincentivarli e di combattere il degrado e l'improvvisazione che vi regnavano,
e di favorire quindi la prosa. Fatta le legge, trovato l'inganno: vengono quindi
realizzate delle "scene sulle canzoni", con un testo teatrale scritto,
all'interno del quale convivono, come nel variet, canzone, recitazione e ballo.
Dopo i primi esperimenti del 1919, la sceneggiata raggiunse una sua fisionomia
pi stabile con l'adozione della canzone drammatica. La sceneggiata ha due
prevalenti aree di diffusione: Napoli e la Little Italy americana. Le storie
napoletane sono quasi tutte d'amore e tradimento, la donna di solito
rappresentata come un essere infido, traditore; in quelle d'ambientazione
americana invece, a parte il costante riferimento al tema dell'emigrazione,
impongono nuovi argomenti, a cominciare dal sociale, che tuttavia non mancano
nemmeno a sceneggiate ad ambiente partenopeo, ne un esempio l'opera forse pi
conosciuta di Libero Bovio, 'O Zappatore.
Di tono diametralmente opposto la macchietta: questo genere fu magistralmente
interpretato dall'attore buffo Nicola Maldacea, verso la fine del secolo scorso,
e deve il suo nome proprio alla definizione che ne diede il Maldacea stesso: una
piccola macchia, un caratterizzare in chiave comica con poche pennellate di
colore un luogo o un personaggio. La novit ebbe grande successo e nacquero cos
le oltre cento macchiette pubblicate dall'editore Bideri, quasi tutte di
carattere spassoso ed imperniate sul doppio senso, come Il membro del comitato,
Lieva 'e mmane alloco. Il genere fu ripreso decenni pi tardi quando, coi suoi
caratteri, nacquero Ciccio Formaggio o Dove st Zaz, destinate ai pi grandi

successi.
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CAPOLAVORI, INTERPRETI E FEMMINISTE NAPOLETANE
#
Riferita alla prima guerra mondiale la splendida 'O surdato innamurato, della
quale ogni napoletano, anche giovanissimo, in grado di cantare il ritornello,
del 1917 Reginella, splendido valzer sul testo di Libero Bovio, del '18 'A
tazza 'e caf, interpretata da Elvira Donnarumma. E proprio a quest'ultima ed
alla sua triste agonia pare che Libero Bovio s'ispirasse per il suo capolavoro
(un altro) del 1923, la famosissima Chiove. Nel 1925, sempre Bovio, dar vita,
assieme a D'Annibale, a 'O paese d'o sole. Ma torniamo alla Donnarumma. E' un
periodo d'oro per gli interpreti in generale (Pasquariello su tutti), ma in
particolare si affermano le interpreti femminili, grandi per le loro passioni
come all'ultimo sangue furono le loro rivalit: Elvira Donnarumma, forse la pi
grande, sublime artista, passionale, forte nella dizione e negli accenti, dopo
una moltitudine di trionfi, da tempo malata, si congeda teatralmente nel 1933
dal suo pubblico cantando L'Addio e scompare, appena cinquantenne; Gilda
Mignonette, nome d'arte di Gilda Andreatini, debutta come ballerina ed
eccentrica, milita nella compagnia di Raffaele Viviani, poi, convertita alla
melodia tradizionale napoletana, nel 1924, parte per l'America, dove diventa la
regina degli emigranti con la sua Cartulina 'e Napule, ma torna periodicamente
nella sua citt natale, da perfetta sciantosa ingioiellata, impelliciata e con
la sua Rolls-Royce. Lina Resal, debutta giovanissima, ha un successo travolgente
e poi muore prematuramente (a 30 anni, nel 1936) per una bronchite malcurata,
per rispettare gli impegni di registrazione presi con la casa editrice
Phonotype.
I rapporti tra queste grandi e capricciose artiste furono incandescenti. La
Resal e la Donnarumma si detestavano, la Mignonette nel 1931 doveva tenere
alcuni concerti a Napoli, ma, sbarcando dal piroscafo, accorgendosi che sulle
locandine del teatro Bellini il suo nome appariva nella stessa grandezza di
quello della Resal, si indispett e ripart indignata. Ria Rosa, al secolo Maria
Rosaria Liberti, era approdata al successo a 16 anni, nel 1915; da allora aveva
partecipato a tutte le Piedigrotte fino al 1922 quando anche lei salpa per
l'America. I suoi brani hanno un carattere acceso, la si potrebbe definire una
femminista ante litteram, anche se in Italia, di li a poco, il regime fascista
avrebbe bloccato qualsiasi velleit di emancipazione femminile. Sullo sfondo
delle sue canzoni c' Napoli, con le sue donne coraggiose fino alla protervia,
aggressive e malandrine: quella caratterizzazione della figura femminile
tipicamente napoletana che, all'interno della famiglia, hanno spesso fatto
parlare della famiglia napoletana come un regime "matriarcale".
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SANREMO, PROVINCIA DI NAPOLI
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Forse non lo sanno in molti, ma esiste un precedente Festival di Sanremo, che si
tenne una ventina d'anni prima che nascesse l'attuale presso il Casin
municipale della citt ligure. Era un festival tutto partenopeo, a cui
parteciparono quasi esclusivamente cantanti napoletani, e fu senza classifica e
senza vincitori, trattandosi esclusivamente di una "passerella" di canzoni
napoletane. Lo ide il pap di Roberto Murolo; lo documenta la storia e lo ha
raccontato volentieri anche il grande interprete partenopeo quandera in vita.
Correva l'anno 1931 ed il padre Ernesto col fido Tagliaferri decisero di
esportare a Sanremo un festival di canzoni appunto tutte napoletane. Dal 24
dicembre al 1 gennaio del '32, con un cast niente male: Parisi, Ada Bruges,
Maldacea, tanto per fare qualche nome. Quest'ultimo, ossessionato dalla passione
per il gioco, bruci alla roulette l'intero cachet che aveva ricevuto per la
manifestazione....
La rassegna si concluse con Napule ca se ne va, un quadretto nostalgico di una
Napoli d'altri tempi che, incalzata dalla modernit, stava proprio per
scomparire. Ovviamente l'avventura fin l, ma fra Napoli e Sanremo c' un
cordone ombelicale che non si mai rotto, probabilmente non c' edizione che
non abbia almeno una voce partenopea in gara. Se scompariva la "vecchia Napoli"
sociologicamente parlando, la sua musica per reggeva benissimo il passo, tant'
che negli anni trenta videro la luce alcuni dei suoi capolavori pi celebrati,
ad esempio Dicitenciello Vuje, lanciata da Vittorio Parisi, e Signorinella, in

italiano, ma nata in ambito partenopeo, col testo frutto del genio musicale di
Libero Bovio e la musica composta da Nicola Valente in una nottata passata in
bianco per l'ennesima bastonata al poker. Il pezzo venne proposto a
Pasquariello, il celebre interprete, che la rifiut. La riteneva troppo triste,
articolata e lunga "...chesta nun 'na canzone, nu romanzo..." disse. Poco
tempo dopo, Poco tempo dopo, dato il grosso successo, fu costretto a ricredersi
ed a cantarla.
Degli stessi anni Passione, anch'essa di Bovio, interpretata da Vittorio
Parisi, l'ultimo tenore di Napoli, prima che cominciasse l'era dei microfoni.
Anche questo pezzo ha il sapore di un addio ad un mondo, quello della Napoli
dell'ottocento, che ormai appare scomparire irrimediabilmente. Un addio
sottolineato tristemente anche dal fatto che, proprio in quell'anno, si spegneva
Salvatore di Giacomo.
#
NAPOLETANI TAGLIATORI DI TESTE NERE
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Una citazione particolare nel panorama della canzone partenopea merita
senz'altro E.A. Mario, nome d'arte di Giovanni Gaeta, vuoi per la sua
versatilit quale poeta e musicista, vuoi per l'incredibile mole di produzione.
Acceso nazionalista e infervorato da moti patriottici (non tutti sanno che
sua, ad esempio, La leggenda del Piave, il famoso "...Piave mormor, non passa
lo straniero", che tanto entusiasm finanche il Re; fino ad arrivare, sull'onda
del regime imperante, a brani con testi a dir poco imbarazzanti, tipo Teste di
moro, del '35, in piena avventura coloniale abissina, in cui si ascoltano
passaggi di questo tenore: "....andremo in Africa sicuri e allegri / andremo a
vincere contro quei negri / tra tante teste che mozzer / una di queste ti
porter..". Ma questo appartiene all'aneddotica e sarebbe ingiusto ridurre
l'opera di questo geniale e prolificissimo autore a tali episodiche cadute di
gusto, alle quali del resto molti altri colleghi non furono certo immuni.
Citando solo alcuni dei suoi pezzi celeberrimi, ricordiamo Santa Lucia lontana,
'E duje paravise, Funtana all'ombra, Maggio si tu, e molte altre, interpretate
dai pi grandi artisti dell'epoca. La tipologia dei musicisti si amplia con
l'avvento dei primi "cantautori"; Armando Gill, signorile intrattenitore con
frac e monocolo, o Raffaele Viviani, drammaturgo di grande forza poetica e
politica, creatore di brani di grande intensit come So' Bammenella 'e copp' 'e
Quartiere o La Rumba degli scugnizzi. Chiudiamo il periodo dell'anteguerra
ricordando 'Na sera e' maggio, grande successo di Piedigrotta 1938, lanciata
anch'essa da Vittorio Parisi.
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NAPOLI NEL DOPOGUERRA
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Ha scritto Michele Straniero nel suo saggio "Antistoria d'Italia in canzonetta"
che "Nella confusione che segue la fine delle ostilit, mentre si tirano le
somme dell'immenso disastro, gli italiani si mettono a cantare con volenterosa
allegria una canzone di tipo infantile, Dove sta Zaz: c' dentro la festa di S.
Gennaro, la banda per la via, aria di fiera paesana, e, in certo qual modo, di
liberazione da un incubo attraverso la ripetizione sonora di due sillabe che
evocano l'onomatopeico zum zum dei piatti d'orchestra. Gli scugnizzi, gli
sciusci, i superstiti della paurosa avventura cantano, ancora un po' storditi".
Magnifica descrizione per un quadro della Napoli che, uscita dall'immane dramma,
ha ancora voglia di cantare. La canzone, scritta nel 1944, fu lanciata da Gigi
Beccaria e subito ripresa da Nino Taranto, che ne fece uno dei suoi cavalli di
battaglia. Zaz pare fosse l'appellativo delle "segnorine" che allietavano i
soldati americani di stanza in Italia. Ma l'invocazione "Add sta Zaz?" che
ritorna ossessiva in tutto il brano chi invoca? La virt delle ragazze
napoletane, la libert, la citt che non trova pi se stessa o tutte queste cose
assieme?
Nello stesso clima nasce, anch'essa dal genio di E.A. Mario e sempre nel '44,
l'amara eppure cos ironica Tammurriata nera. A Napoli, durante l'occupazione
americana, nacquero misteriosamente parecchi bambini neri. Perch? "A volte
basta solo 'na guardata / e 'a femmena rimasta sott' a botto impressiunata",
la gustosa giustificazione.
Molto pi triste, pur se nello stesso ambito, Munastero 'e Santa Chiara, del

1945, portata per la prima volta al successo da Giacomo Rondinella. Rievoca il


tremendo bombardamento del 4 agosto 1943, quando il cuore di Napoli venne
squassato e, oltre al trecentesco Monastero, vennero sventrati molti edifici
testimoni della millenaria storia partenopea. Ma, per analogia, il testo fa
riferimento anche ai drammatici mutamenti che il dopoguerra ha portato nella
morale e nei costumi dei napoletani, che appaiono irrimediabilmente corrotti.
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IL TENTATIVO FESTIVALIERO
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Sulla scia del neonato Festival di Sanremo, intanto, e sulla scorta del gi
ricordato primo festival sanremese tutto partenopeo, anche Napoli inaugura la
sua rassegna, il suo festival, destinato a soppiantare la tradizionale
Piedigrotta, che in effetti, si approssimava al capolinea. Il primo festival di
Napoli, siamo nel 1952, si svolge nell'imponente cornice della Mostra
d'Oltremare, ancora pregna di ubbie imperialistiche fasciste, e s'impone, guarda
un po', Nilla Pizzi, fresca vincitrice sanremese, in coppia con Franco Ricci,
con un pezzo intitolato Desiderio 'e sole, che lascer scarsa traccia di se. Il
Festival di Napoli si trasciner per una ventina d'anni tra scandali, corruttele
e intrallazzi, senza riuscire nel suo intento di fornire un rilancio alla
canzone napoletana, contribuendo anzi a renderla vittima di quegli stereotipi
che hanno seriamente rischiato di affossarla definitivamente. Il vero rilancio
della canzone partenopea verr in quegli anni da un gruppo di personaggi che,
ognuno per suo conto, potrebbero anzi definirsi di "rottura". Conosciamone
meglio qualcuno.
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ARRIVANO I CANTANTI
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Roberto Murolo, come gi ricordato figlio d'arte del grande Ernesto, per
antonomasia il fine dicitore della canzone partenopea. La sua grazia e
discrezione ne hanno accompagnato il successo in giro per il mondo, con la
capacit di coinvolgere il pubblico nelle sue esibizioni e di rispettare
l'ortodossia delle composizioni originali senza avventurarsi in spericolati
"ammodernamenti". Dopo gli esordi, datati 1946, al Tragara club di Capri, dove
si esibiva con l'inseparabile chitarra, Roberto passer presto ai pi
prestigiosi prosceni capresi del Gaudeamus e del Quisisana, per poi approdare
trionfalmente nei principali teatri mondiali, col suo repertorio ricco di
classici, ma anche dei "nuovi" successi quali Anema e Core, Munasterio 'e' Santa
Chiara, La pans, Luna caprese, 'Na voce, 'na chitarra e 'o ppoco 'e luna.
Autore fortunato a sua volta, Roberto ha duettato con colleghi molto pi giovani
di lui, quali Pino Daniele, Enzo Gragnaniello o Renzo Arbore ed anche con
artisti non-partenopei, ma comunque attenti all'evoluzione del mondo musicale
napoletano, come Gino Paoli o Lucio Dalla, col quale resta memorabile un duetto
in Caruso. Roberto sar ai primi posti delle hit a ottant'anni suonati, in
coppia con la molto pi giovane Mia Martini alla quale dovr tuttavia
sopravvivere, in pieni anni novanta, con uno stupendo pezzo di Gragnaniello dal
titolo Cu 'mme.
Renato Carosone, diplomatosi in pianoforte all'et di diciassette anni, cominci
la sua carriera alla fine degli anni trenta a Massaua e ad Addis Abeba, in
Etiopia, dove pi che a darsi da fare come invasore aveva preferito scalmanarsi
in orchestrine di ristoranti e night clubs. Quando torna a Napoli, passata la
guerra e sbollite le italiche paturnie colonialiste, fonda il 27 settembre 1949
con Geg di Giacomo e Peter Van Wood il suo famoso trio, esibendosi allo Shaker
Club di Napoli. L'incontro con Van Wood ha del comico: Renato, ingaggiato
appunto dallo Shaker club non aveva musicisti da portare con s, e, sentito
parlare di uno strano chitarrista olandese che si esibiva nei circuiti
dell'avanspettacolo romano con una incredibile chitarra elettrica a pedali (!!)
lo and a sentire e lo ingaggi subito, anche perch l'istrionico chitarrista
futuro astrologo sproloquiava in italiano, spagnolo, francese ed inglese, oltre
ad un personalissimo slang che aveva inventato e che riscuoteva ilari consensi.
Per quattromila lire al giorno, il doppio di quanto percepisse a Roma, Van Wood
era suo. Il trio cominci presto ad interessare gli appassionati di musica,
tanto che in breve tempo si trasform in quartetto e quindi sestetto, ma il
nucleo principale restavano sempre loro tre, almeno fino all'abbandono di Van
Wood. Verso il 1957, il momento pi felice della carriera di Renato, Geg

invent quello che sar uno dei leit-motiv delle loro esibizioni, la trovata che
trasforma le canzoni in piccoli spettacoli, che iniziavano appunto col suo
classico "Canta Napoli", proseguivano con interruzioni nelle quali venivano
inseriti dialoghi buffi, originale anche l'uso di feticci che davano subito
l'ambientazione per i pezzi, quasi dei video avanti lettera, come il turbante
per Caravan petrol, o la penna da indiano per 'O pellerossa.
Carosone, accanto a queste innovazioni geniali, ha anche il merito di riprendere
le vecchie canzoni napoletane e riproporle con una nuova, dirompente carica
ritmica. Maruzzella, Tu vuo' fa' l'ammericano, 'O sarracino, Torero, impossibile
elencarle tutte. All'improvviso, il 7 settembre 1959, dopo aver assaggiato anche
la gloria americana, l'addio: durante la trasmissione "Serata di gala",
presentata da Emma Danieli, Carosone annuncia: "ritengo che il mio genere sia
ormai superato, stato un piacere, addio amato pubblico". E sar cos fino al
1975, quando, altrettanto clamorosamente, torner al suo amato proscenio; in
quella stessa Bussola di Viareggio, alla quale aveva dato un contributo decisivo
per l'affermazione, avviene in diretta TV il clamoroso rientro, cui seguiranno
delle apparizioni sanremesi. Di Van Wood abbiamo detto, oggi membro della
carovana di giro televisiva di Fabio Fazio, definitivo invece l'addio alla
musica di Geg di Giacomo.
Pi legato alla tradizione, anche se nelle sue accezioni pi nobili, invece un
altro grande interprete degli anni cinquanta: Sergio Bruni, col suo
particolarissimo stile, ricco di suoni vibrati, tremolanti, di effetti smorzati
che lo rendono cos riconoscibile.
I prodromi del "cambiamento", per, cominciano a vedersi con l'apparizione sulla
scena di Giuseppe Fajella, alias Peppino di Capri. I pi giovani stenteranno
forse a crederlo, ma senz'altro all'occhialuto Peppino che va assegnata la
palma di primo cantante rock italiano. Ancora lontano dal diventare un
interprete confidenziale, un sempreverde della canzone italiana, Di Capri
esordisce con un personalissimo e innovativo stile, rifacendosi a classici
rocker americani dell'epoca ma con un timbro nasale, tutto suo. Il suo avvento
una rivoluzione nella canzone partenopea, via gli svolazzi melodici, le vocine,
i retaggi del romanticismo pi trito, scopre che pu coniugare la sua
napoletanit col rock ed il twist dell'ultima moda.
Si cimenta anche, con pari successo, nella rilettura dei classici Voce 'e notte,
o Pescatore 'e Pusillepo. Vince negli anni '70 un paio di Festival di Sanremo e,
con l'et, si trasformer appunto in un "crooner", con uno stile pi melodico ma
sempre al passo coi tempi e consono alle sue passioni musicali.
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LA CRISI
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Si noter che, gi da Peppino, abbiamo smesso di circoscrivere l'ambito musicale
degli artisti alla sola Napoli: dagli anni sessanta, infatti, entriamo in un
periodo di crisi profonda della canzone napoletana. I pochi artisti validi
preferiscono prosceni nazionali, italianizzandosi ed italianizzando i propri
brani. I "resti" di quella che stata la tradizione pi feconda di musica
melodica nell'idioma partenopeo si trova immiserita e costretta in festival
della camorra e del cattivo gusto, in squallide feste di piazza all'insegna
dello scimmiottamento di vecchi canoni melodici proposto da interpreti per lo
pi inadeguati.
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